"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

224 | maggio 2025

97888948401

Zurigo 1972. Das Kätchen von Heilbronn

Una “prova del fuoco” per Luca Ronconi e Arnaldo Pomodoro

Livia Cavaglieri

English abstract

Fra gli spettacoli che hanno avuto meno fortuna nella bibliografia critica ronconiana spicca la leggendaria Kätchen von Heilbronn di Heinrich von Kleist, che debuttò a Zurigo l’11 agosto 1972[1]. Su questa regia si sono soffermati estesamente – e da due punti di vista complementari – solamente Franco Quadri nel seminale Il rito perduto (Quadri 1973, ma già in Quadri 1982 la presenza di Kätchen si sgretola vistosamente) e Antonio Calbi all’interno del monumentale catalogo dedicato al teatro di Arnaldo Pomodoro (Calbi 2012), lo scultore al quale si devono le scene dello spettacolo. Allo stesso tempo, però, la vicenda di Kätchen ha assunto, nella memoria e nelle testimonianze di cui sono disseminate le pubblicazioni dedicate al regista, contorni leggendari, che suggeriscono forse le motivazioni di una scarsa appetibilità storiografica: concepito come un progetto straordinario sul piano allestitivo e ai limiti della realizzabilità scenotecnica, il doppio spettacolo (una versione all’aperto, sulle acque del lago, e una versione al chiuso, in caso di maltempo) commissionato a Ronconi dalla città di Zurigo, in coproduzione con la Cooperativa Tuscolano, non andò mai in scena in forma compiuta per motivi di sicurezza, fu disertato dal pubblico e venne vistosamente contratto nelle repliche, con conseguenze disastrose sul piano economico e dei rapporti di collaborazione fra gli enti produttori.

Ronconi stesso, a circa vent’anni di distanza dai fatti, ha collocato con decisione la sua Kätchen nel territorio mentale dell’irrealizzato: “lavoravo a uno spettacolo, che praticamente non è mai andato in scena” e ancora “uno spettacolo che non è mai stato fatto come l’avevo pensato” (Ronconi 2019, 223 e 283).

Il “tonfo” (così sempre il regista) di Kätchen von Heilbronn produsse delusione, rabbia (Voser 1972) e amarezza in Ronconi che lasciò cadere la possibilità di un riallestimento da parte del Teatro Stabile di Torino, polemiche sulla stampa e presso la cittadinanza, conflitti e tensioni, che si estesero nel tempo con debiti insoluti, controversie e persino, come vedremo, un epilogo vandalico. Avvalendoci della documentazione conservata negli archivi, proveremo a ricostruire il processo produttivo di questo sfortunato allestimento e a riflettere sulla tensione insoluta tra idea e realtà che lo caratterizza in modo radicale[2].

Ripensare il teatro, ripensare le politiche culturali

Luca Ronconi e il Teatro Libero erano conosciuti e apprezzati a Zurigo: nel 1970 il Theater 11 aveva ospitato Orlando furioso, le cui quattro repliche programmate dovettero essere estese a sette, per accogliere oltre 8.000 spettatori entusiasti. L’anno successivo era arrivato in città anche XX, che aveva confermato – con meno clamore ma sempre grande interesse – la qualità della ricerca teatrale dell’ensemble.

L’ospitalità del gruppo romano si era inserita all’interno di un programma di svecchiamento dell’offerta teatrale, che prevedeva un’ampia apertura ai massimi esponenti di quello che si stava definendo come ‘nuovo teatro’ internazionale (Ariane Mnouchkine, Living Theatre, Peter Brook, Peter Stein). Il regista dell’Orlando, con la sua geniale capacità di coinvolgere il pubblico e di ridisegnarne il rapporto con la scena, valorizzando elementi percepiti come festivi e popolari, era apparso la figura ideale per continuare il lavoro di rinnovamento ora sul piano più complesso della committenza diretta e della coproduzione.

Ad attraversare le carte conservate nell’archivio comunale di Zurigo emerge come all’origine della nuova impresa stiano due giovani collaboratori (allora trentenni) del sindaco Sigmund Widmer, responsabili delle attività culturali all’interno della Präsidialabteilung (oggi Präsidialdepartement). Si tratta di Christoph Vitali e Nicolas Baerlocher, due figure destinate a dare un’impronta nuova alla vita culturale non solo zurighese. Se Baerlocher sarà tra gli inventori nel 1980 del Zürcher Theater Spektakel (rinomato festival internazionale di teatro indipendente ancora oggi in attività) e rimarrà a lungo un punto di riferimento delle politiche culturali cittadine, Vitali diventerà direttore generale dei teatri municipali di Francoforte, per poi trovare la propria strada nell’arte visiva, dirigendo musei di primo piano, come Schirn Kunsthalle a Francoforte, Haus der Kunst a Monaco di Baviera o, ancora, Fondation Beyeler a Basilea (Kröger 2005).

Dopo i primi colloqui in seguito alle recite di XX nel maggio, è nell’estate del 1971 che inizia a concretizzarsi il progetto, che sfocerà nella commissione, da parte della Präsidialabteilung, a Ronconi e alla compagnia Teatro Libero (legalmente organizzata in Cooperativa Tuscolano) di un nuovo spettacolo, pensato appositamente per la città di Zurigo. In anni di pieno ripensamento dei modi e del senso di fare teatro tanto sul piano delle poetiche, dei linguaggi e delle tecniche, quanto su quello delle politiche e dell’organizzazione, la dilatazione del teatro fuori dagli edifici teatrali e oltre il concetto di rappresentazione significava anche fuoriuscita dalle tradizionali stagioni e creazione di nuovi formati estivi, in grado di intercettare, accogliere e rilanciare i bisogni di cultura e socialità in emersione. Per questo, ma non secondariamente anche per convogliare sull’operazione un più sostanzioso finanziamento del Comune, viene scelto il periodo estivo: lo spettacolo del Teatro Libero sarà l’evento clou dell’estate 1972.

Tra natura spettacolosa e misteriosa introspezione. Le due Kätchen

1 | Frontespizio e pagina con la locandina del Programma di sala, 1972 (FAP, S/72/1). Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro.

Il primo elemento a essere definito è quello linguistico: anche se ideato per un pubblico in assoluta maggioranza tedescofono, lo spettacolo sarà recitato in italiano. Ronconi suggerisce di concentrarsi su di un testo classico della letteratura teatrale tedesca, che possa risultare famigliare al pubblico, anche se fruito in una lingua straniera. Dal sedimento della “memoria intima e personale di un tempo vissuto” (Marchetti 2016, 24), dal quale è solito estrarre i testi da portare sulla scena, Ronconi propone ai suoi interlocutori due soluzioni (entrambe in realtà un poco eccentriche): una riduzione de Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus, di cui aveva commissionato in quel periodo la traduzione a Nanni Balestrini, e in seconda istanza Kätchen di Heilbronn. Nonostante “il problema grosso di trovare una protagonista adatta per l’età e il fisico” (SAZ, Lettera 30 luglio 1971, da Paolo Radaelli a C. Vitali), la scelta cade rapidamente sul dramma romantico di sapore medievale scritto da Kleist, probabilmente per fattori di carattere più organizzativo che artistico, poiché è evidente da subito che la realizzazione dello spettacolo per Zurigo si sovrapporrà all’impegnativa produzione dell’Orestea, programmata per la fine del settembre 1972 al BITEF di Belgrado.

Le note di regia, contenute nel programma di sala [Fig. 1], illustrano l’approccio generale al dramma ed esplicitano una linea di continuità con il lavoro condotto su Orlando furioso:

Die Inszenierung von Das Kätchen von Heilbronn ist als ein Versuch zu betrachten, einen Klassiker neu zu entdecken. Volkstümliche Elemente sollen besonders hervortreten, und dem Moment der szenischen Überraschung wird breiter Raum gelassen. So wie Orlando Furioso durch die Art und Weise, wie das Publikum miteinbezogen wurde, durch das Spiel mit elementaren Theatereffekten sowie die Verwendung einfacher, “naiver” Schaumechanismen eine Möglichkeit bedeutete, das Romantische auf der Bühne zu neuem Leben zu erwecken, so soll im Kätchen von Heilbronn etwas Ähnliches mit der romantisch geprägten Phantastik geschehen. Sie gehört meines Ermessens zu den wichtigsten Vorläufern des Geschmacks unserer Zeit; sie entspricht der heutigen Neigung zum Esoterisch.
[La messa in scena di Das Kätchen von Heilbronn va considerata un tentativo di riscoperta di un classico. Dovranno emergere soprattutto gli elementi popolari e sarà lasciato ampio spazio alla sorpresa scenica. Così come nell’Orlando furioso il modo e la maniera in cui il pubblico veniva coinvolto attraverso il gioco con effetti teatrali elementari e l’utilizzo di meccanismi visivi facili e naif era una possibilità per portare nuova vita al Romantico sulla scena, così dovrebbe succedere nella Kätchen von Heilbronn qualcosa di simile con il Fantastico influenzato dal romantico. A mio avviso essa appartiene ai più importanti precursori del gusto del nostro tempo; esprime l’attuale inclinazione per l’esoterico][3].

Dietro alla scelta del testo c’è la pista della fascinazione per via indiretta attraverso la Centaura, in cui Ronconi era immerso in quei mesi con gli allievi dell’Accademia Drammatica Silvio d’Amico: la natura irrazionale e incongruente del dramma kleistiano, “i caratteri di improbabilità e il trionfo dell’artificio letterario”, “la dissoluzione del personaggio” sono tutti elementi che tracciano una sintonia ideale con il testo di Giovan Battista Andreini, secondo la bella intuizione di Quadri (1973, 178-179). Forse Ronconi è interessato anche a raccogliere qualcosa di quella “parodia del romantico” (Carpi 2011, 1187), che alcuni commentatori hanno voluto vedere nella delirante immaginazione che si effonde attraverso il dramma. Sembrerebbero spingere in questa direzione alcuni scarni appunti di Pomodoro, in cui ritorna la parola “IRONIA” a caratteri maiuscoli, insieme a una serie di domande sul senso del dramma, con le quali forse Ronconi voleva aprire ai suoi collaboratori l’ampio ventaglio delle possibilità interpretative: “chiave del dramma: riconoscimenti degli amori? […] Vuole essere l’ultimo spettacolo degli amori dei nobili?” […] ULTIMO TRIONFALE SPETTACOLO, Mitologia degli amori assoluti designati dal destino?” (FAP, Manoscritto s.d.). Difficile invece dire quanto al regista interessassero i rimandi di carattere sado-masochistico o le risonanze platoniche, di cui è intessuto il bizzarro Zauberstück (dramma magico) dall’esplicito valore iniziatico (Randi 2005): il copione (ASAC, ARL) è un dattiloscritto del tutto coincidente, salvo dettagli insignificanti, con la nuova traduzione commissionata a Giorgio Zampa e di lì a poco pubblicata per Adelphi. Come frequente in Ronconi, insomma, il testo è offerto nella sua ‘oggettività’ e nelle sue ambiguità (davvero numerose in questo caso): le contraddizioni presenti sono mantenute, ma non risolte.

Scelto il testo, l’elemento cruciale che viene successivamente definito è lo spazio. Per il “großes historisches Ritterschauspiel” (“grande spettacolo storico cavalleresco”, così come viene definito da Kleist), si pensa a uno spazio all’aperto, visto il periodo estivo. Il regista immagina una collocazione sulle acque del lago di Zurigo (“Luca pensa di fare lo spettacolo in mezzo al lago. Credi che sia possibile? L’incendio del castello si vedrebbe dappertutto. Ma come portare il pubblico? E d’estate il lago è sempre tranquillo?”: SAZ, Lettera ante 15 novembre 1971, da P. Radaelli a N. Baerlocher), trovando il rapido ed entusiasta consenso della committenza, che si impegna ad attraversare e risolvere con la Cooperativa Tuscolano i molti problemi tecnici che inevitabilmente sorgeranno da una soluzione così affascinante e minacciosa al tempo stesso.

L’elemento acquatico, con il suo ondeggiamento e la sua mutevolezza nella forma e nel colore, pare potere perfettamente restituire l’instabilità drammaturgica del testo, l’atmosfera del sogno, il tema del sonnambulismo e quella serie di ambientazioni evanescenti e determinate, simboliche e definite, che raccontano del nascere dell’amore folle e incomprensibile tra Caterina e il conte Wetter von Strahl, come di un “viaggio sognato a occhi aperti tra poesia e inconscio” (Ronconi in Programma di sala). Certo un elemento specifico di questa commissione che deve avere stimolato verso la scelta del testo di Kleist (o averne confermato l’opportunità) è l’idea del doppio spettacolo. Scottata dalle esperienze degli anni precedenti, in cui gli spettacoli estivi erano stati vittime di condizioni atmosferiche avverse, la Präsidialabteilung pone infatti come condizione essenziale che il regista prepari due versioni dello spettacolo: una all’aperto e una al chiuso, la seconda “totalmente diversa dalla prima” e non di ripiego (SAZ, Lettera 9 febbraio 1972, di S. Widmer a P. Radaelli e L. Ronconi), ovvero una “ebenso aussergewöhnliche Version” (“una versione altrettanto eccezionale”: SAZ, Progetto Sommertheater 1972, s.d.)[4]. Ronconi accetta e fa convintamente propri i vincoli della committenza, rilanciando la sfida, in coerenza con una poetica interpretativa che gli è cara:

Beide Versionen sind durchaus eigenständig und nicht als Komponenten einer Gesamtinterpretation zu verstehen (Programma di sala).
[Entrambe le versioni sono completamente autonome e non devono essere considerate come componenti di una interpretazione complessiva].

Secondo il disegno del regista, le due versioni infatti hanno la funzione di fare emergere due direzioni opposte, contemporaneamente presenti nel testo del Kleist:

Einerseits das Element der Natur, dem die Inszenierung mit der Betonung des Optisches gerecht werden will; anderseits das Element des Geheimnisvollen in den psychologischen Beziehungen der Personen zueinander. Diese zwei Aspekte haben mich dazu geführt, zwei Versionen des Stucks zu konzipieren: eine Aufführung im Freien auf dem See, welche die Stilmittel von Orlando furioso weiterentwickelt und vor allem durch szenische Überraschungen und optische Wirkung das Magische und das Märchenhaft des Stücks zum Ausdruck bringen soll […]. Mit einfachen Mitteln kann, wie schon bei der Ariosto-Bearbeitung, beispielsweise der Eindruck erweckt werden, dass die Schauspieler auf dem Wasser sich bewegen; der Widerschien vom Licht auf dem Seespiegel wird benützt und so fort. Das Naturhafte dominiert also. Die zweite Version wird in einem geschlossenen Raum gespielt und ist gewissermassen die Innenseite der ersten Version. Hier werden die geheimen, gleichsam unterirdischen Zusammenhängen sichtbar gemacht (Programma di sala).
[Da una parte l’elemento della natura del quale l’allestimento vuole dare conto con la sottolineatura dell’ottico; dall’altra parte l’elemento del misterioso nelle relazioni psicologiche dei personaggi. Questi due aspetti mi hanno portato a concepire due versioni dello spettacolo: una versione all’aperto sul lago che sviluppa ulteriormente i mezzi stilistici dell’Orlando furioso e che soprattutto attraverso sorprese sceniche ed effetti ottici dovrebbe fare emergere il magico e il favoloso del dramma […]. Come già nell’adattamento di Ariosto, con mezzi semplici si può per esempio dare l’impressione che gli attori si muovano sull’acqua; il riverbero della luce sullo specchio lacustre verrà utilizzato e così via. Dunque domina il naturale. La seconda versione sarà recitata in una sala al chiuso ed è per così dire il lato interno della prima versione. Qui i riferimenti segreti, in un certo qual modo sotterranei, saranno resi espliciti].

L’idea del doppio spettacolo è affascinante, ma già plurimi fronti sono aperti in quella densa primavera per la Cooperativa Tuscolano: alle lente riprese dell’Orlando televisivo (una “decostruzione” della versione teatrale, Tomassini 2018, 37) si somma la complicata co-produzione internazionale della mastodontica Orestea. Per conto proprio, inoltre, Ronconi sta provando la messinscena della Centaura con gli allievi dell’Accademia, alcuni dei quali ritroveremo nella Kätchen (anzitutto Gabriella Zamparini, nel ruolo della protagonista eponima, dopo il tentativo infelice di scritturare una ragazzina). L’ipersaturazione produttiva in cui si butta l’entusiasta e illimitata creatività del regista – sostenuta da capacità e intelligenza straordinarie ma spinta anche dalla necessità di trovare commissioni per sostenere economicamente la compagnia – si rivolterà però contro il progetto.

“Un teatro delle meraviglie” sull’acqua

Dopo molte lettere, tre sopralluoghi e lunghi colloqui, il 3-4 aprile 1972 i committenti, Ronconi, Radaelli e il rappresentante legale della compagnia, l’avvocato Giovanni Arnone, mettono a punto a Roma gli elementi principali del progetto, di cui si accolla il rischio produttivo in grande parte la municipalità zurighese; ma si dovrà aspettare fino a giugno per la delibera di copertura economica da parte del consiglio comunale.

Nel colloquio romano un’idea complessiva dello spazio scenico non è ancora precisata. Sulla scorta dei carrelli usati per Ariosto, Ronconi pensa a rotaie sott’acqua, che rendano possibile lo scivolamento sotto la superficie del lago di veicoli nascosti, “so dass, wenn Schauspieler sich darauf befinden, der Eindruck entsteht, das diese auf dem Wasser gehen. Grundsätzlich will Ronconi eine “Wassergerechte Inszenierung anstreben” (“in modo che, quando gli attori vi siano sopra, si abbia l’impressione che si muovano sull’acqua. Sostanzialmente Ronconi mira a un allestimento ‘governato dall’acqua’”: SAZ, Aktennotiz, 6 aprile 1972). Il regista è ben consapevole della sfida: negli appunti di Baerlocher si legge che, se una soluzione del genere non fosse possibile per motivi tecnici o finanziari, Ronconi preferirebbe trasferire la messinscena sulla terra. È un dato significativo, che ridimensiona la lettura del Ronconi utopista e ne dimostra invece l’attenzione per la fattibilità realizzativa, il senso del limite rispetto a una solo apparente “concezione del teatro spinta al di là di ogni effettiva possibilità reale” (Quadri 1973, 189).

Emerge in questo contesto anche una criticità di natura organizzativa, che si rivelerà insolubile. Baerlocher, che intuisce il rischio, lo segnala scrupolosamente nel suo verbale: difficilmente trasportabile in Italia, Kätchen è per la compagnia la produzione “numero due”, destinata a potere contare su energie e risorse residuali rispetto all’Orestea, programmata per la circuitazione dei festival internazionali.

2 | Fotografia dei tre pontoni per il pubblico, 1972.

Nelle settimane successive viene risolto dalla committenza il tema cruciale della fattibilità nautica posto nella riunione romana, grazie al sorprendente coinvolgimento dell’associazione dei pontonieri veterani, i quali – in collaborazione con il genio militare – metteranno a disposizione a condizioni economiche vantaggiose le proprie competenze tecniche e i tre costosi pontoni galleggianti su cui saranno sistemate le gradinate per gli spettatori [Fig. 2].

Tutto sembra proseguire sotto i migliori auspici: complice nel creare un’“epifania del barocco” (Ronconi 2019, 283) sarà l’illustre scultore Arnaldo Pomodoro, che viene coinvolto nel mese di aprile (un bilancio preventivo, s.d., in SAZ documenta che inizialmente era stato indicato Nestor de Arzadun, già scenografo di XX, ma non si sono reperite altre informazioni che confermino una sua partecipazione effettiva alle prime fasi ideative). Mediata dal comune amico Franco Quadri (Pomodoro, Leonetti 2012, 127), la collaborazione fra i due artisti è nel segno della continuità per entrambi: se per Ronconi la scultura si era già evidenziata come alleata preziosa nel processo di superamento dell’uso tradizionale dello spazio scenico (pensiamo al lavoro con Mario Ceroli e soprattutto con Enrico Job, che stava progettando le scene di Orestea), Pomodoro poteva finalmente riprendere il filo sotterraneo della scenografia, a cui erano legate le sue prime esperienze ed esposizioni negli anni Cinquanta (Pomodoro 2014, 83).

Il disegno registico dell’edizione all’aperto (quella su cui si concentrano tutti gli sforzi) si precisa ulteriormente come una variante acquatica di alcuni elementi di movimento dell’Orlando furioso. Non c’è simultaneità in questo caso, ma ritorna l’idea di pensare lo spettacolo come su una mappa: il sogno è di creare sulla superficie del lago “un teatro delle meraviglie, ricco di sorprese, quasi che la macchina scenica si identificasse con la storia e i destini dei personaggi” (ricorda Ronconi 2019, 283). Tutto avrebbe dovuto cominciare da una piattaforma circondata su tre lati dal pubblico seduto sui pontoni galleggianti. Poi i pontoni avrebbero iniziato a muoversi, ruotando su sé stessi in modo da assumere nove configurazioni spaziali diverse (corrispondenti alle nove scene in cui vengono riorganizzati i cinque atti): trasportato dal dondolio delle tribune galleggianti, il pubblico avrebbe incontrato altri luoghi, vicende e personaggi su palchi-zattere disseminati e in movimento sulla superficie del lago, sui quali avrebbero recitato attrici e attori. Infine, l’azione scenica sarebbe terminata con il ritorno dei pontoni nella posizione iniziale, di fronte alla riva, intorno alla piattaforma originaria, sulla quale sarebbe avvenuta la scena finale. Così ricorda Anna Nogara:

Tre straordinari pontoni galleggianti a ferro di cavallo legati fra loro, che ospitano le tribune per il pubblico, abbracciano una piattaforma fissa e ancorata alla riva, dove si svolge parte dello spettacolo. Altri luoghi del testo e quindi altre azioni sono previste su due zattere ancorate al largo, lontane fra loro un centinaio di metri; gli straordinari pontoni […] staccandosi dalla riva in un unico blocco e pivottando su loro stessi, vanno a incuneare prima l’una e poi l’altra zattera; e infine rientrano a riva. Il pubblico […] avrebbe compiuto questi spostamenti al suono di alcuni Lieder di Brahms, cantati dagli attori, che avrebbero dovuto raggiungere le loro varie postazioni su piccole barche (Calbi 2012, 564; vedi Quadri 1972 e Quadri 1973, 184-187 per una descrizione esaustiva del progetto).

All’interno di questa concezione spaziale, Pomodoro differenzia il suo intervento in due direzioni diverse, concentrandosi da una parte sulla piattaforma, alpha e omega dell’azione, e dall’altra parte sui palchi-zattera.

3 | Arnaldo Pomodoro, Studio per la piattaforma e movimenti scenici delle zattere, 1972 (FAP, S/72/1-002). Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro.
4 | Arnaldo Pomodoro, Disegno della scena con piattaforma, torri e altri elementi, 1972 (FAP, S/72/1-001). Courtesy Fondazione Arnaldo Pomodoro.

La piattaforma [Fig. 3] viene concepita come un luogo mobile, percorso da spaccature e sprofondamenti, che può ergersi e diventare la rappresentazione, scultorea e grafica al tempo stesso, di un grande sole, il cui dinamismo sarà amplificato dall’intervento luministico di Vittorio Storaro. Questa piattaforma contiene una “opera-scena” (così Pomodoro in Programma di sala, tradotto in Calbi 2012, 50), ossia una bianca calotta semisferica che può chiudersi completamente, creando uno spazio interno inaccessibile. La piattaforma e l’opera-scena sono ideate da Pomodoro come elementi scenici di base, dotati di una loro autonomia rispetto alla Kätchen ronconiana e potenzialmente utilizzabili anche in altri e diversi spettacoli. Se già la piattaforma con il suo sole è un chiaro segno d’autore (è del 1972 la notissima scultura, Grande disco, che evoca a sua volta un sole), ancora più lo è l’opera-scena: le fenditure che all’interno spaccano e movimentano drammaticamente la perfetta e levigata sfericità esterna dell’oggetto lo rendono tanto immediatamente riconoscibile come una scultura di Pomodoro (e una simile calotta ritornerà nella Semiramide del 1983 per il Teatro dell’Opera di Roma), quanto un’ambientazione congruente a un dramma che fa emergere continuamente l’inconscio nel conscio, il dentro nel fuori.

Gli altri elementi dell’allestimento scenico [Fig. 4], costruiti sui palchi-zattera, non si rifanno invece esplicitamente allo stile dello scultore e reinventano – secondo un certo espressionismo astratto – i luoghi e gli elementi visivi del testo (l’eremo, la grotta, il castello di Strahl, la casa di Cunegonda, ecc.), in un gioco di sorprese visive, apparizioni e sparizioni sull’acqua che trova origine nella “chincaglieria clamorosa, frastornante” di “zuffe, battaglie, incendi, monasteri, cavalcate, cortei, Medioevo da feulleiton” (Zampa 1972, 15) inventata da Kleist.

“Ein Sommernachtstrauma”[5]

Verso la fine del mese di giugno, qualche giorno dopo la conferenza stampa di lancio del Sommertheater 1972, l’ambiziosa produzione inizia a incagliarsi. La Präsidialabteilung si scopre impreparata nel gestire la complessità produttiva entro cui lo spettacolo è andato gonfiandosi. Le procedure burocratiche per l’ottenimento delle autorizzazioni necessarie all’utilizzo dell’area lacustre (individuata nei pressi del Kasino Zürichhorn) partono in ritardo, con gran dispetto degli uffici competenti (il nulla osta arriverà solo il 27 luglio). Sul lato tecnico, si registrano ritardi nella preparazione degli elementi scenici (suddivisi tra Zurigo, Roma e Milano, come testimoniano le liste conservate in SAZ e in FAP) e si presentano i primi problemi di funzionalità.

La distribuzione viene chiusa in corsa, attingendo al bacino delle attrici e degli attori della cooperativa e al gruppo degli allievi dell’Accademia, tenendo allo stesso tempo presente la coincidenza con la distribuzione di Orestea, le cui prove sono previste durante il periodo delle recite zurighesi. Accanto a Zamparini, nel ruolo del conte Wetter von Strahl troviamo Massimo Foschi, mentre l’antagonista Cunegonda slitta da Mariangela Melato, a Marisa Fabbri, per stabilizzarsi in una doppia copertura Claudia Giannotti-Anna Nogara. Con grande irritazione di Ronconi l’inizio delle prove, previsto per il 29 luglio, slitta alla sera del 31 perché la macchina scenica non è pronta a causa delle richieste di adattamento e modifica avanzate dall’Ufficio per la protezione delle acque e l’ingegneria idraulica.

Mentre cambiamenti ai meccanismi della macchina scenica si susseguono costantemente, durante le prove ci si rende conto che uno spettacolo sul lago richiede molto più tempo di quanto previsto in condizioni ordinarie. I movimenti di scena generano lunghe attese; l’arrivo di un personaggio o la comparsa di un accessorio impiegano molti più minuti del consueto; i tempi morti si estendono paurosamente. Tutt’altro che immediato risulta recitare sull’acqua: la ricerca della stabilità, l’ambiente dispersivo, le attese snervanti minano le prove, mentre anche per i tecnici lavorare nel dondolio rappresenta una nuova e tutt’altro che semplice sfida (lo racconta Bachmann 1972). Ci vorrebbe tempo per adattarsi alle inusuali condizioni, ma il tempo è proprio ciò che manca.

Accadono anche vari incidenti, che incupiscono il clima della feérie con tensione e timore: speronamenti e tamponamenti fra i pontoni e i palchi-zattere, funi che si spezzano, attori e tecnici che scivolano, finiscono in acqua e si infortunano. La poetica dell’“invenzione di impedimenta” (Milanese 1973, 71) tocca qui altezze che danno la vertigine e la magica ambientazione lacustre dimostra il rovescio della medaglia: forse mai come in questa Kätchen la macchina scenica in prova dà luogo “piuttosto ad un modello di studio per una ipotesi di funzionamento che a un funzionamento vero e proprio” (Milanese 1973, 68).

La situazione è grave e il 4 agosto la Cooperativa Tuscolano comunica alla municipalità – tramite l’avvocato Arnone – l’impossibilità di andare in scena l’8 senza i previsti dieci giorni di prova. Ma – così si intuisce dalle carte – il Comune è determinato ad andare avanti: non solo rischia di giocarsi la credibilità sul piano internazionale, ma ha investito nell’operazione una cifra ragguardevole, cioè oltre 450.000 franchi svizzeri, pari a circa 64.000.000 lire italiane (quasi 622.000 euro correnti) e a quasi il 90% dei costi di produzione (avendo la cooperativa contribuito con 6.500.000 lire, ovvero un terzo della sovvenzione ministeriale, utilizzata per la restante parte per Orestea, SAZ, Lettera 23 aprile 1972, da P. Radaelli a C. Vitali).

Il 5 agosto, a tre giorni dalla prima, la situazione precipita: una perizia dichiara la struttura approntata dai pontonieri inadeguata a un evento pubblico, che – a differenza di un’esercitazione militare – non può e non deve avere nessun margine di rischio per quanto riguarda la sicurezza degli spettatori. I pontoni risultano non sicuri, perché, in caso di lago agitato, il meccanismo di movimentazione non ne garantisce il controllo assoluto, ovvero la certezza di poterli riportare a terra velocemente. La polizia cantonale dunque nega l’autorizzazione alla messinscena, chiedendo ulteriori modifiche e imponendo nuovi collaudi, in una situazione di massima tensione, di cui dà conto il verbale di una lunga riunione notturna convocata d’emergenza (SAZ, Protokoll der Sitzung vom 6. August 1972). È la débâcle, il tonfo della Kätchen sull’acqua, il risveglio improvviso dal sogno alla realtà, ma forse anche – seguo l’intuizione del critico di “Theater Heute”, Dieter Bachmann – il primo momento in cui Ronconi può finalmente tirare un sospiro di sollievo.

Das Kätchen: dall’acqua, alla terra, al fuoco

Di fronte alla mancata agibilità, la committenza propone di ridurre il movimento dei pontoni all’unica possibilità accolta dalla polizia: un semplice avanti e indietro di fronte alla riva, senza rotazioni. Contrattualmente obbligato a firmare la regia per garantire il pagamento della compagnia, Ronconi decide di non scendere a un penalizzante compromesso e ripensa rapidamente l’intero spettacolo in una versione di ripiego, ossia in formato statico, facendo a meno della quasi totalità degli elementi scenici, tutti progettati per scivolare sull’acqua. Contestualmente Pomodoro rinuncia ad assumere la responsabilità dell’allestimento scenico e all’intera compagnia è ingiunto di evitare ogni polemica pubblica (SAZ, Foglio dattiloscritto s.d. e Bozza di modifica al Contratto 25 maggio 1973 tra la Città di Zurigo e Luca Ronconi per la Cooperativa Tuscolano, s.d.). Non sappiamo se la richiesta di riconoscimento della regia nacque da un reale rischio di ritiro della firma del regista dall’allestimento (si sarebbe trattato di un unicum nella sua carriera e comunque di un absurdum, essendo coproduttrice la cooperativa di cui era presidente) o, più probabilmente, da un atteggiamento cautelativo da parte della municipalità. Ciò che importa è che il fatto sottolinea la drammaticità dello iato fra lo spettacolo immaginato e lo spettacolo realizzato, e impone prudenza nell’approccio al secondo, che non è dunque altro che il risultato di un compromesso doloroso e obbligato fra le ambizioni artistiche originarie e le concrete possibilità di realizzazione.

Il debutto dello spettacolo è posticipato all’11 agosto. Al pubblico viene distribuito un comunicato, che riassume la situazione e di cui riportiamo le frasi finali:

Regisseur und Bühnenbildner stellte dies vor die nicht einfache Aufgabe, ein neues Konzept auszuarbeiten, welches ohne das Element der Tribünenbewegung auskommt. In kurzer Zeit hat es Luca Ronconi unternommen für „Das Kätchen von Heilbronn“ in wenigen Tagen eine Lösung zu suchen, welche der neuen räumlichen Situation Rechnung trägt. Die Bühnenelemente von Arnaldo Pomodoro waren teilweise auf die Bewegungsabläufe der verschiedenen Flossen abgestimmt. Die Inszenierung übernimmt seine zentrale Skulptur am Ufer; im übrigen zeichnet Pomodoro, im Einverständnis mit dem Regisseur, für die Gestaltung der Bühne nicht mehr verantwortlich (SAZ, Foglio dattiloscritto s.d.).
[Questo [la mancata agibilità concessa dalla polizia] ha posto il regista e lo scenografo di fronte al difficile compito di ideare una nuova regia senza il movimento delle tribune. In poco tempo Luca Ronconi è riuscito a trovare una soluzione per Das Kätchen von Heilbronn che tenesse conto della nuova situazione spaziale. Gli elementi scenici di Arnaldo Pomodoro erano stati in parte adattati ai movimenti delle zattere. L’allestimento riprende la sua scultura centrale sulla riva; per il resto, Pomodoro, in accordo con il regista, non è più responsabile della progettazione della scena].

5 | Fotografia di Das Kätchen von Heilbronn, versione all’aperto (Zürichhorn), 1972.

La versione terrestre vede gli spettatori seduti (con le spalle rivolte al lago) sui pontoni saldamente ancorati alla riva e l’azione svolgersi a terra, sulla piattaforma concepita da Pomodoro, unico elemento rimasto della fantasmagoria scenica prevista. Con grande delusione delle aspettative del pubblico, pronto a scoprire in Kätchen una “Orlandos Tochter” (“figlia di Orlando”: Bachmann 1972), la rinuncia agli effetti scenici è totale e programmatica, solo in parte attenuata dalla poesia dei fiabeschi costumi di Elena Mannini e dall’espressività delle luci di Storaro [Fig. 5]. Completamente giocato sul piano della recitazione, lo spettacolo si rivela difficile alla comprensione del pubblico di lingua tedesca. Perplessa di fronte a una gestualità ampia, “italiana” (un aggettivo che segnala un cliché interpretativo basato su luoghi comuni oppure il residuo di una recitazione originariamente pensata per una situazione ambientale diversa?), che viene percepita come stridente rispetto alla parola di Kleist, la critica si divide fra quanti sospendono il giudizio e quanti cavalcano la polemica, forse anche spinti da questioni di politica cittadina che travalicano lo spettacolo teatrale.

Dopo la prima dell’11 agosto, a causa del cattivo tempo, tutte le recite rimanenti si svolgono allo Schützenhaus Albisgütli, un ampio salone di forma rettangolare, in una zona periferica e collinare della città, dove va in scena la versione al chiuso e dove la compagnia stava anche provando l’Orestea. La leggenda vuole che in quell’agosto Zurigo sia stata ininterrottamente tempestata dalla pioggia, ma non è da escludere che lo spostamento delle recite sia stato anche calcolato come il ‘male minore’ di fronte al disastro di Zürichhorn, che sia cioè stato una mossa strategica per contenere i costi delle repliche (certo maggiori nella versione all’aperto, pure se amputata) e per recuperare il tonfo della prima, offrendo una versione meno straordinaria, ma di piena dignità realizzativa. Una lettera dell’8 agosto in cui Vitali, ipotizzando ridotto concorso di pubblico, dichiara ad Andrea Schuler (l’avvocata della compagnia sul territorio svizzero), che sarà garantito solo un terzo delle recite a contratto (dieci delle trenta previste) e offre un risarcimento dei danni dice bene dell’attenzione mantenuta dalla Präsidialabteilung sugli aspetti economici (in effetti, nel progetto originario si era contato parecchio sui ricavi da sbigliettamento).

Ma anche il tentativo di riabilitazione ha un inaspettato sapore amaro. Come nella versione all’aperto e come sempre in Ronconi, la struttura scenica avrebbe dovuto essere il tramite privilegiato per rendere evidente la chiave di lettura. Scrive il regista nel Programma di sala:

In der Version für den geschlossenen Raum wird auf schaukelartigen, beweglichen Rampen und verschiedenen Ebenen gespielt. Diese Bewegungen sollen mit den wechselnden Beziehungen und Stellungen der Personen während des Ablaufs des Stücks übereinstimmen. Die Bühne ist gewissermassen eine bewegliche Skulptur oder eine Art von riesigem Kinderspielzeug.
[Nella versione al chiuso si reciterà su rampe mobili e dondolanti e su diversi piani. Questi movimenti saranno accordati con le cangianti relazioni e posizioni dei personaggi durante lo svolgersi del dramma. La scena è in qualche modo una scultura mobile o una sorta di enorme giocattolo per bambini].

In effetti lo spazio scenico ad Albisgütli è formalmente coerente con il progetto che era stato inviato alla municipalità:

Il dispositivo scenico della Kätchen von Heilbronn consiste di una struttura di ferro […], praticabile in tre livelli, che racchiude un palcoscenico formato da una parte anteriore fissa e da una posteriore mobile, che un meccanismo a bilancia permette di inclinare fino a un angolo di circa 60°. La costruzione è inoltre provvista di un soffitto diviso trasversalmente in due parti uguali, comandate ciascuna da un motore da ascensore e in grado di calare dall’alto fino a raggiungere il piano palcoscenico e di salire di nuovo. Sia la parte mobile del palcoscenico che i soffitti sono provvisti di botole (SAZ, Testo s.d., su carta intestata della Cooperativa Tuscolano).

Ma, con grande sorpresa della committenza, la struttura coincide sostanzialmente con lo scheletro della scatola scenica progettata da Job per l’Orestea, di cui peraltro non vengono utilizzati i meccanismi di movimento (per problemi di funzionamento, ma pare di intuire anche per una consapevole rinuncia) [figg. 6-7]. Al di là del ripresentarsi del problema sicurezza (risolto con alcune modifiche il giorno precedente alla ‘seconda prima’), il reimpiego di un dispositivo nato (o convertito strada facendo?) per un altro spettacolo e il disinteresse esplicitamente espresso da parte della compagnia per la variante al chiuso tradiscono la promessa del doppio spettacolo e aprono un contenzioso in merito al mancato rispetto delle condizioni contrattuali (SAZ, Lettera 15 agosto 1972, da Vitali a Schuler).

6-7 | Christian Altorfer, Fotografie di Das Kätchen von Heilbronn, versione al chiuso (Schützenhaus Albisgütli), 1972 (SAZ).

Nonostante un riscontro non infelice sulla stampa, il 23 agosto le recite di Kätchen terminano con dieci giorni di anticipo e la centaurica struttura, dalla doppia natura scenica, viene mandata al BITEF (con il quale si aprirà un ennesimo problema in merito alla copertura dei costi di smontaggio e spedizione) per la messinscena di Orestea.

A Zurigo, nei pressi di Zürichhorn, rimane la piattaforma di Pomodoro, in attesa che vengano definite, fra lo scenografo e il Comune, le questioni relative alla copertura dei costi di realizzazione. La vicenda si protrae senza trovare soluzione e, dopo varie segnalazioni della polizia che chiede la rimozione della scultura per motivi di sicurezza, la notte del 5 gennaio 1973 scoppia un incendio doloso appiccato da ignoto (documentazione in SAZ e in FAP). Se nel dramma di Kleist la protagonista esce illesa dall’incendio del castello di Strahl e supera magicamente la “prova del fuoco”, ben diverso destino occorre alla scultura di Pomodoro, quasi completamente distrutta dalle fiamme che ne cancellano i resti[6].

Il sogno di due artisti visionari

La natura profonda di Das Kätchen von Heilbronn è quella di essere “un avvenimento teatrale che avrebbe potuto essere e non è stato” (Tian 1972) e perciò lo spettacolo viene considerato capostipite del ‘filone impossibile’ della teatrografia ronconiana, “piena, a ben vedere, di aborti o fallimenti o sogni impossibili rimasti nel cassetto, non meno significativi per capire il suo approccio alla scena dei grandi spettacoli che lo hanno reso famoso” (Longhi 2015, 9).

È interessante a questo punto notare che nel 1983 il progetto della piattaforma per Kätchen viene esposto allo Studio Marconi di Milano in una mostra intitolata Arnaldo Pomodoro: progetti in forma di sculture, che raccoglie prevalentemente progetti destinati a non trovare la via del compimento (Bortolon 1983). Sono passati dieci anni dall’avventura zurighese e la critica ha nel frattempo preso in carico la significatività di una linea visionaria anche nel lavoro dello scultore, il quale al principio degli anni Settanta “began to conceive of a large-scale, site-specific art that might challenge architectural prerogatives” (Hunter 1982, 140; Mussa 1984, 15). Ecco allora che nel catalogo di Hunter troviamo il principale elemento scenografico kleistiano (anonimizzato nella formula di Piattaforma di Palazzo degli spettacoli) ad aprire la serie dei grandi progetti urbanistici irrealizzati, come il Movimento di crollo (1972-73, per Milano) o il celebre Progetto per il nuovo cimitero di Urbino (1974).

Das Kätchen von Heilbronn segna così l’incontro (rimasto unico) fra due artisti visionari, alle prese con un testo il cui fascino stava proprio in quella non linearità e in quell’irrazionale, che a lungo lo resero inaccettabile nei repertori.

Anche Kleist, del resto, fu scontento delle modifiche che ebbe ad apportare alla sua Kätchen perché fosse trasferita dalla leggera pagina della scrittura alla viva materialità del palcoscenico del Theater an der Wien, come scrisse in una lettera a Marie del maggio 1811: “Era inizialmente una splendida invenzione e solo l’intento di renderla adatta alla scena mi ha indotto a infelici interventi che ora deploro” (Carpi 2011, 1187). Dal testo alla scena, il percorso della sonnambula Kätchen era stato dunque fin dai primi passi sdrucciolevole.

Nella vicenda zurighese del doppio spettacolo incompiuto è allora proprio la sospensione tra ciò che fu fantasticato e sognato e ciò che fu realizzato a dirci quanto il lavoro di Ronconi e Pomodoro fosse intrinsecamente klestiano, giacché – non dimentichiamolo – nell’autore tedesco il fenomeno del sonnambulismo aveva destato curiosità non solo sul piano scientifico e medico, non solo come via intuitiva verso l’inconscio, ma anche come analogia della fantasia poetica, delle sue sfide, delle sue visioni – dunque anche delle sue débâcle.

Note

[1] Rimando al sito dedicato a Luca Ronconi per la locandina. Il titolo completo del dramma è Kätchen von Heilbronn oder die Feuerprobe, ovvero Caterina di Heilbronn o la prova del fuoco. In italiano spesso il titolo viene tradotto mantenendo l’originale Kätchen: fu questa la scelta anche di Giorgio Zampa che tradusse il testo per l’allestimento ronconiano (Zampa 1972).

[2] L’articolo si basa sulla documentazione conservata fra le carte della Präsidialabteilung (V.B. c.64., 3.1.10.6. Veranstaltungen im Theater 11, 1972) nell’Archivio comunale di Zurigo (Stadtarchiv Zürich, d’ora in poi SAZ) e nell’Archivio della Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano (d’ora in poi FAP), parzialmente consultabile anche on-line, a partire dal Catalogue raisonné dell’artista. Nell’Archivio Luca Ronconi, presso l’Archivio Storico delle Arti Contemporanee a Venezia (d’ora in poi ASAC, ALR) si trovano, inoltre, una decina di fotografie (disponibili anche sul sito dedicato a Luca Ronconi), il copione dello spettacolo e una tesi di laurea (quest’ultima non è stata consultata). Per la preziosa assistenza nella ricerca desidero ringraziare Nadine Schwald (SAZ) e Ilaria Sgaravatto (FAP). Sono grata anche a Marco Beltrame e Ilaria Lepore per avermi assistito nella consultazione remota di ASAC, ALR, e a Christian Altorfer, allora agli inizi della sua carriera di fotografo, per avere concesso la pubblicazione delle sue fotografie inedite conservate in SAZ. Le traduzioni dal tedesco sono mie.

[3] ) Il programma di sala è conservato in SAZ e in FAP; sul sito dedicato a Luca Ronconi è pubblicato quello che potrebbe essere il testo originario: Kätchen von Heilbronn. Nota di Luca Ronconi raccolta da Franco Quadri.

[4] Cito da un prezioso testo dattiloscritto di quattro pagine che riassume le ipotesi di distribuzione e le linee progettuali dello spettacolo a uno stadio che potrebbe coincidere con la seconda metà di giugno 1972, quando si tenne la conferenza stampa di presentazione. In Calbi 2012, 53 lo stesso testo è pubblicato in lingua italiana, con il titolo La sfida dell’acqua ed erroneamente attribuito a Franco Quadri: senz’altro di pugno del critico, il manoscritto conservato in FAP non è però altro che la traduzione di un documento evidentemente prodotto dalla Präsidialabteilung.

[5] Riprendo qui un gioco di parole di sapore shakespeariano con cui il critico della rivista “Theater Heute” definisce lo spettacolo “un trauma di una notte d’estate” (Bachmann 1972, 26).

[6] Chissà se non si debba proprio a questo simbolico epilogo, la scelta di Quadri 1973 di intitolare il capitolo dedicato a Kätchen con il sottotitolo del dramma di Kleist (La prova del fuoco)? Da notare, inoltre, che in FAP la documentazione è archiviata non con il titolo Kätchen von Heilbronn, ma con La prova del fuoco.

Riferimenti bibliografici
  • Bachmann 1972
    D. Bachmann, Kätchen auf dem Wasser. Luca Ronconi inszeniert Kleists Stück auf dem Zürich See, “Theatre Heute” 13/9 (settembre 1972), 26-28.
  • Bortolon 1983
    L. Bortolon, Tra utopia e realtà, le invenzioni di Arnaldo Pomodoro, "Grazia", 2202/56 (8 maggio 1983), 29.
  • Calbi 2012
    A. Calbi (a cura di), Arnaldo Pomodoro. Il teatro scolpito, Milano 2012.
  • Carpi 2011
    A.M. Carpi, Notizie sui testi e note di commento, in Ead. (a cura di), H. von Kleist, Opere, Milano, 2011, 1137-1328.
  • Ebs 1972
    Ebs, Ronconi rehabilitiert, “Die Tat” (19 agosto 1972).
  • Hunter 1982
    S. Hunter, Arnaldo Pomodoro, New York 1982.
  • Kleist [1811] 1972
    H. von Kleist, Kätchen di Heilbronn ovvero La prova del fuoco. Grande dramma storico-cavalleresco [Das Kätchen von Heilbronn oder Die Feuerprobe. Ein großes historisches Ritterschauspiel, 1811], a cura di G. Zampa, Milano 1972.
  • Kretz 1972
    P. Kretz, Pompöses Fiasko, “Die Woche” (16 agosto 1972).
  • Kröger 2005
    U. Kröger, Vitali Christoph, in Theaterlexikon der Schweiz. Dictionnaire du théâtre en Suisse. Dizionario teatrale svizzero. Lexikon da teater svizzer, a cura di A. Kotte, S. Gojan, J. Aguet, P. Lepori, Zürich 2005.
  • Longhi 2015
    C. Longhi, Per Luca Ronconi (1933-2015): quasi una ‘leçon de ténèbres’, “Drammaturgia” XII/2 (2015), 7-16.
  • Marchetti 2016
    M. Marchetti, Guardare il romanzo. Luca Ronconi e la parola in scena, Catanzaro 2016.
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    C. Milanese, Luca Ronconi e la realtà del teatro, Milano 1973.
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    I. Mussa (a cura di), Luoghi fondamentali. Sculture di Arnaldo Pomodoro, Milano 1984.
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    A. Pomodoro, Il lavoro teatrale, in S. Esengrini (a cura di), Forma, segno, spazio. Scritti e dichiarazioni sull'arte, Falciano 2014, 84-85.
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    F. Quadri, Acqua per Kleist, lepri per Eschilo, “Sipario” 312 (ottobre 1972), 12-15.
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    F. Quadri, Il teatro degli anni Settanta. Tradizione e ricerca, Torino 1982.
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    L. Ronconi, Prove di autobiografia, a cura di G. Agosti, Milano 2019.
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    G. Schloker, Gebremster Wellenschlag, “Deutsches allgemeines Sonntagsblatt“ (27 agosto 1972).
  • Voser 1972
    [I.] Voser, Ronconi furioso, “Die Weltwoche” (9 agosto 1972).
  • Tian 1972
    R. Tian, A Ginevra teatro acquatico, “Il Secolo XIX” (13 agosto 1972).
  • Tomassini 2018
    S. Tomassini, New York furioso: Luca Ronconi e quelli dell'Orlando a Bryant Park (1970), Venezia 2018.
  • Zampa 1972
    G. Zampa, Prefazione, in H. von Kleist, Kätchen di Heilbronn, Milano 1972.
English abstract

The article focuses on the legendary staging of Kätchen von Heilbronn by Heinrich von Kleist, a production commissioned to Ronconi by the city of Zurich for the summer of 1972. It was an extraordinary project in terms of staging and at the limits of feasibility (the sets were entrusted to the sculptor Arnaldo Pomodoro), which was never staged in its completed form for safety reasons. Exploiting the documentation preserved in the archives, the article attempts to reconstruct the production process of the spectacle, focusing on the conception and tracing its organisational and stagecraft challenges.

keywords | Theater direction; Luca Ronconi; Arnaldo Pomodoro; Heinrich von Kleist.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Livia Cavaglieri, Zurigo 1972. Das Kätchen von Heilbronn. Una “prova del fuoco” per Luca Ronconi e Arnaldo Pomodoro, “La Rivista di Engramma” n. 225, maggio 2025.