“Tre donne intorno al cor mi son venute”
Mobilità e immobilità nel masochismo
Giovanni Bottiroli
English abstract
1 | Peter Paul Rubens, Il giudizio di Paride, 1636 ca., olio su tavola, London, National Gallery (particolare).
I
Il titolo riprende l’inizio di una celebre canzone di Dante, e mi è venuto in mente per associazione con quella che Deleuze chiama ‘la trinità femminile’ nel masochismo, cioè i tre tipi di donna che egli presenta come tre versioni della madre. Ma non sono un deleuziano, tutt’altro. Il saggio di Deleuze, Présentation de Sacher-Masoch. Le froid et le cruel (Deleuze [1967] 1973), presenta tanti limiti e appare molto datato. Appare peraltro condivisibile la tesi secondo cui non esiste una sindrome, un’entità sadomaso: secondo Deleuze il sadismo sarebbe orientato sul padre, il masochismo sulla madre. Non si può non rilevare che in questo saggio il futuro autore dell’Anti-Edipo è ancora notevolmente edipico.
Io sarò meno edipico, e mi terrò al di qua delle figure paterna e materna. La mia prospettiva si incentrerà sulle pulsioni, e sul rapporto tra le pulsioni e la Legge (senza dare per scontata la sovrapposizione tra la Legge e il Simbolico, ostinatamente conservata dalla scolastica lacaniana). Inoltre, diversamente da Deleuze che cita frequentemente altre opere di Sacher-Masoch, mi limiterò ad analizzare Venere in pelliccia. Senza negare la legittimità delle ricognizioni intertestuali, ritengo che sia necessario riconoscere sempre il primato di ogni testo, nella sua singolarità.
Formulerò anzitutto alcune tesi sulle perversioni, e le commenterò brevemente: benché siano ispirate a Lacan, esse fanno intravedere le critiche che muovo al pensiero lacaniano. Successivamente, prenderò in esame il saggio di Deleuze e ne indicherò i difetti principali. Infine, presenterò la mia lettura del romanzo, soltanto abbozzata per ragioni di tempo.
Ritengo però di dover indicare, preliminarmente, la mia prospettiva sulla psicoanalisi. Ogni prospettiva si fonda su alcune concetti strategici, che vengono chiamati categorie: ho definito le mie categorie, organizzate in coppie, ‘rigido – flessibile’, ‘indiviso – diviso’, ‘denso – articolato’, in La ragione flessibile. Modi d’essere e stili di pensiero (Bottiroli [2013] 2024). Le ho proposte con l’obiettivo di rielaborare la dottrina delle modalità in filosofia, e per affermare un’ontologia e una logica della flessibilità, ma anche per indagare le teorie del desiderio, in particolare i testi di Freud e di Lacan. Ritengo che la psicoanalisi esiga di venir interpretata come un pensiero della flessibilità (da questo punto di vista, purtroppo, Lacan rappresenta un regresso rispetto a Freud). Naturalmente sono questi concetti a ispirare il modo in cui cerco di analizzare i testi.
II
Vi presento adesso cinque tesi sulle perversioni.
(a) La perversione è al servizio dell’indiviso. Problema: come pensare l’indiviso? Non si tratta forse di ciò che si sottrae a tutte le articolazioni, a tutte le distinzioni, anche quelle del pensiero? Dovremmo designarlo allora come l’impossibile e l’impensabile. Ci troviamo subito di fronte a un ostacolo che non siamo in grado di sormontare?
La presunta impossibilità inizia a dissolversi, se decidiamo di pensare l’indiviso non staticamente (come una condizione stabilmente definitiva, come la compattezza stessa), bensì dinamicamente. Vale a dire: l’indiviso è ciò che non cessa di ‘individersi’.
(b) La perversione mira alla coincidenza tra il soggetto e l’Io, cioè intende ignorare, se non abolire, la distinzione ‘prima’ su cui si fonda la psicoanalisi. La divisione – in un’accezione autenticamente scissionale - è intollerabile per il perverso.
(c) Dunque, le diverse perversioni sono modi diversi di realizzare l’Uno, il Reale. Se c’è una “radice comune” a sadismo e masochismo (Lacan, Seminario XVI, in Recalcati 2016, 448), la si deve individuare nella spinta all’indiviso, al Reale – lo indicherò più avanti come la Cosa (das Ding).
(d) La perversione rifiuta il Simbolico – ma non lo forclude, come avviene nella psicosi. Considera come una menzogna la legge generata dal Simbolico: rifiuta dunque la Legge ‘separativa’, in quanto contrapposta alle pulsioni.
Questo primo chiarimento è indispensabile: il perverso aderisce alla coincidenza tra pulsione e Legge, e quindi alla Legge che afferma la coincidentia oppositorum. Occorre però aggiungere un secondo chiarimento: la coincidenza tra gli opposti, che il perverso vuole introdurre nel Simbolico separativo, non va assolutamente confusa con la relazione tra i correlativi, cioè gli opposti interdipendenti ma non sintetizzabili – e che si prestano a una elaborazione logico-linguistica. La coincidentia oppositorum non intende rivolgersi al Simbolico, in quanto trova la sua verità nel flusso totalizzante dell’energia.
(e) Ciò che chiamo ‘spinta all’indiviso’ implica la dissoluzione del soggetto come singolarità. Il perverso mira all’auto-annullamento in una dimensione di alterità impersonale: non il Grande altro e neanche il piccolo altro, bensì l’alterità assoluta (sciolta, energeticamente fluida). Potremmo indicarla con la [A], tra parentesi quadre, per distinguerla dalla (A) del Grande Altro e dalla (a) del simile.
Dunque, il soggetto della perversione è sempre un ‘soggetto de-soggettivato’, in modi diversi. Ritengo – almeno ipoteticamente - che queste tesi siano valide per tutte le perversioni, quindi sia per il sadismo sia per masochismo, due quadri clinici non rovesciabili direttamente l’uno nell’altro.
Cercherò adesso di chiarire le cinque tesi, in cui appare fondamentale la coppia ‘indiviso – diviso’.
Si tratta evidentemente di un’opposizione conflittuale. La psicoanalisi è una teoria del soggetto diviso, non pacificamente, ma in “regni combattenti” (Freud [1932] 1979, 184). Per Freud: l’Es, l’Io e il Super-io; per Lacan – che non rinuncia a questi concetti – i tre registri, cioè le dimensioni del soggetto e dell’esperienza. Nella mia prospettiva, è necessario scindere il Simbolico negli stili di pensiero (il separativo, il confusivo, e il distintivo come pensiero della flessibilità; Bottiroli 2023).
Provo a offrire alcune indicazioni essenziali tramite uno schema diacronico, relativo alla formazione del soggetto (gli schemi narrativi sono più ‘amichevoli’). Come diventiamo ciò che siamo? Per Freud, gli esseri umani corrispondono inizialmente a un caos pulsionale, a un insieme ancora disorganizzato di forze. Il caos dovrà assumere una forma, e ciò avviene scontrandosi con i limiti della realtà esterna (principio di realtà) e interiorizzando dei vincoli, la Legge (il Super-io). Questa è la vulgata freudiana, derivata dalla seconda topica.
Ci sono diversi aspetti da chiarire relativamente allo statuto e al modo di funzionamento della pulsione. Non dimentichiamo che si tratta di un concetto tra i più difficili della psicoanalisi. Anzitutto, la pulsione non è un istinto, che invece è un comportamento fortemente, se non totalmente, programmato. Questa precisazione dovrebbe essere superflua, nell’ambito della psicoanalisi e di coloro che con essa si confrontano. Ma per parecchio tempo le traduzioni inglesi di Freud hanno usato il termine instinct e, sorprendentemente per un autore francese che non ignora Lacan, Deleuze parla continuamente di istinti. Una disattenzione? Oppure un lapsus che ci dice qualcosa sulla teoria di Deleuze? Credo di sì, perché Deleuze è un energetista.
Seconda precisazione: le pulsioni sono forze plastiche, dice Freud, e plasticità equivale a flessibilità. Lo si vede nella costituzione della pulsione come montaggio di quattro fattori (fonte, spinta, oggetto, meta), nell’estrema facilità con cui la pulsione può sostituire un oggetto con un altro, e nella pluralità delle mete (dal soddisfacimento ai tipi di negazione: i quattro Ver, come li chiama Žižek), senza dimenticare la sublimazione – e l’identificazione (che non compare nell’elenco di Freud 1915).
Terza precisazione: la pulsione non è plasticità ‘permanente’, in quanto la flessibilità non è una proprietà, bensì una possibilità della pulsione; infatti la pulsione è, al tempo stesso, energia che tende a fissarsi sugli oggetti che investe. E fissazione equivale a rigidità. Dunque – questa è la mia definizione – la pulsione è conflitto tra rigido e flessibile. Il destino degli esseri umani dipende da questo conflitto.
In relazione alla teoria freudiana dobbiamo constatare un grave e imperdonabile regresso da parte di Lacan, che ha sostanzialmente dimenticato la flessibilità. Lo si vede in particolare nel Seminario XI, dove la pulsione viene ridotta a un funzionamento autistico. Come si verifica tale fraintendimento? Enfatizzando una tesi di Freud, secondo cui la pulsione sessuale tende a godere anzitutto di se stessa, della propria attività. Osserva Recalcati: “L’autoerotismo è, infatti, il suo tratto essenziale, presente sin dall’infanzia. L’immagine che egli [Freud] ci offre del circuito autistico della pulsione è eloquente: ‘una bocca che bacia se stessa’” (Recalcati 2016, 397). Qui Recalcati sta riassumendo correttamente il modo in cui Lacan ha interpretato il concetto di pulsione, e da cui derivano queste ulteriori affermazioni: “La pulsione è in sé perversa, indifferente all’Altro, chiusa autisticamente su sé stessa […] la pulsione è una figura dell’Uno che sembra rendere impossibile ogni rapporto con l’Altro” (Recalcati 2016, 396). Il che implica una contrapposizione tra pulsione e desiderio: il desiderio è in relazione all’altro, la pulsione è dal lato della Cosa (Lacan 1966, 857).
Bisogna mettere radicalmente in discussione questi enunciati. L’errore fondamentale consiste nell’aver cancellato lo statuto conflittuale dei Triebe, cioè la contesa tra rigidità (fissazione, stagnazione, circuito autistico) e flessibilità. L’essenza della pulsione – se si vuole utilizzare questo termine – è un conflitto tra possibilità. E il presunto ‘autismo’ della pulsione andrebbe chiarito sottolineando piuttosto che la pulsione è una forza costante, destinata comunque ad appagarsi. Questo è il suo tratto più inquietante – potremmo indicarlo con un termine-chiave della tragedia greca, deinos (meraviglioso e spaventoso; si pensi al primo Coro dell’Antigone). Inquietante è la flessibilità della pulsione, in quanto può rivolgersi contro se stessa, disperdersi, perdere forza, aprendo la via al trionfo della rigidità. La sconfitta appare certa e inevitabile, se le pulsioni non si agganciano al Simbolico – ma non al Simbolico indiviso, nella versione di Lacan: vi tornerò tra un attimo.
Se siamo disposti a riscoprire, tornando a Freud, la conflittualità nella pulsione, non diremo più che “la pulsione è una figura dell’Uno”. Diremo piuttosto che l’Uno è una versione della pulsione, una versione che la descrive come un’eterna rotazione intorno all’oggetto. L’Uno, nella scolastica lacaniana, vorrebbe essere l’unica figura della pulsione: si tratta di un grande errore. Non è accettabile, inoltre, la contrapposizione troppo netta tra pulsione e desiderio: il desiderio non è un indebolimento pulsionale, ma la pulsione stessa in quanto ha trovato – o può trovare - una via per la flessibilità. Tutto questo risulta ovviamente incomprensibile all’interno della scolastica lacaniana, la cui impostazione riduzionistica è riconoscibile, tra l’altro, dalla tendenza a sostituire la pulsione con la jouissance: è la conseguenza inevitabile dell’incapacità, che va rimproverata a Lacan e non solo a Miller e alle varie forme di scolastica, di ripensare il Simbolico nella sua complessità. Anziché riconoscere le divisioni (feconde) nel Simbolico, si è preferito incensare il Reale.
Vorrei sviluppare questo punto. Da dove deriva la frattura tra le pulsioni e il Simbolico? Da una concezione riduttiva di questo registro, causata dall’incontro della psicoanalisi con la linguistica strutturale nella versione (irrigidita) di Jakobson. Pensato come un codice, come insieme di correlazioni fisse tra significanti e significati, il linguaggio viene ‘schiacciato’ sul concetto di legge. Non c’è da meravigliarsi allora se al linguaggio-codice viene assegnata una funzione punitiva e castrante nei confronti delle altre possibilità del Simbolico, le più complesse e creative.
Leggiamo Miller, nell’ultimo dei suoi corsi: “il linguaggio in quanto tale è la castrazione” (Miller, Di Ciaccia 2010-2011, 71). E ancora: “Lacan chiama Legge la legge edipica, quella del Nome-del-Padre, la Legge che dice no nel senso che proibisce. L’insieme della raccolta degli Scritti è sotto il dominio di questa Legge perché il campo del linguaggio è fatto di questo no: il significante, che è il suo elemento, si regge su un annullamento” (Miller, Di Ciaccia 2010-2011, 72). Una concezione a dir poco unilaterale – così unilaterale da risultare sostanzialmente falsa, perché il linguaggio va pensato come dimensione sempre aperta alla flessibilità. La letteratura è lo spazio che esalta le possibilità del linguaggio. Alla visione arretrata e dogmatica del Simbolico indiviso contrappongo la mia definizione: il linguaggio vive nel conflitto tra stili di pensiero (e il codice è uno soltanto di questi stili in quanto si colloca nel separativo).
Dunque il linguaggio è diviso - ed è grazie a queste divisioni, a questo pluralismo, che la pulsione può agganciarsi al linguaggio, mantenendo e intensificando la propria plasticità, e producendo effetti singolarizzanti. Se non si aggancia al Simbolico, la pulsione imbocca inevitabilmente il circuito autistico.
III
Adesso siamo in grado di comprendere meglio le tesi sulla perversione, enunciate in precedenza, e in particolare la quarta tesi. Rifiutare il Simbolico non equivale a rifiutare la Legge, che occupa soltanto una parte di tale registro: a venir rifiutata è soltanto la Legge separativa, contrapposta alle pulsioni. Ciò non significa che la perversione sia “trasgressione”, come vuole il senso comune (descrittivamente, non è falso, ma il punto di vista descrittivo è insufficiente). Il perverso obbedisce alla legge della coincidenza tra pulsione e Legge: è il portatore, l’esecutore implacabile di questa legge con cui si è identificato, de-soggettivandosi. Nella perversione vi è un’ascesa verso l’impersonale, verso l’energia suprema.
Si ricordi che Sade distingue due nature, una natura seconda, dove l’energia è controllata, vincolata, dove le distruzioni sono ancora il contrario delle creazione – si tratta, insomma, della società in cui viviamo - e una natura prima, che corrisponde a un caos primordiale e dove si tende al crimine assoluto. Ma il crimine assoluto non è possibile, la natura prima non è mai raggiungibile interamente. Nondimeno, il sadico si pone al suo servizio, senza sosta. Perciò il sadismo è movimento. Nel masochismo, invece, troviamo la sospensione, la posa immobile, l’immobilità della statua e del quadro. Un’ultima osservazione: la concezione rigida del Simbolico, schiacciato sul codice, finisce con il dare ragione, in una certa misura, al perverso: nella sua compattezza rigida e indivisa, il Simbolico è oppressivo e falso.
A svolgere una funzione legislatrice nel masochismo è il contratto. In questo potremmo vedere un abbassamento/parodia della legge, che non sovrasta gli individui, che non ha alcuna aspirazione all’universalità, ma è stabilita dai singoli, a partire da un soggetto che vuole godere. Dunque il masochista addolcisce la Legge? In realtà, dobbiamo scorgere nel contratto la tensione tra due polarità, che corrispondono alla differenza tra le due nature in Sade: (a) il contratto “etico-giuridico”, che pone dei freni; inizialmente, Severin pensa a questo tipo; (b) il contratto “pulsionale”, cioè dettato dalla pulsione – e che è sfrenato nella sua unilateralità. Adesso il soggetto perverso si pone interamente nelle mani del carnefice e appare disposto a rinunciare persino al suo nome e alla sua vita (Sacher-Masoch [1878] 2017, 93).
Nel primo caso, il contratto è ancora un freno per l’arbitrio e per la crudeltà; nel secondo caso, la pulsione risulta interamente slegata da ogni vincolo – in questo senso essa è l’unica legge. Bisogna evitare di edipizzare le perversioni. Deleuze si inganna, sia quando afferma “tutta la legge è riversata sulla madre, che espelle il padre dalla sfera simbolica” (Deleuze [1967] 1973, 89), sia quando mostra di non comprendere il primato dell’impersonale. Va rilevato peraltro che la tesi secondo cui “l’eroe masochista sembra educato, formato, dalla donna autoritaria, mentre è lui che la forma e la traveste, suggerendole le parole dure che lei gli rivolge” (Deleuze [1967] 1973, 11), ha trovato riscontro anche in ambito psicoanalitico. Chi è la marionetta e chi è il macchinista? Secondo Recalcati, che cita l’autobiografia di Sacher-Masoch, il vero padrone non è la moglie, bensì l’autore: “il vero ‘macchinista’, che allestisce e dirige tutta la scena, è Masoch” (Recalcati 2016, 440). Questa prospettiva è criticabile perché rimane imperniata sulle figure del soggetto e dell’oggetto. Si insiste nel chiedersi: chi è il vero soggetto? Chi comanda? Si rimane impigliati nelle nozioni di ‘attivo’ e ‘passivo’ (a cui si era limitato Freud in alcune brevi considerazioni del 1915). A rigore, chi comanda è la pulsione. Il soggetto che firma il contratto è un soggetto de-soggettivato: il masochista firma un atto di de-soggettivazione.
IV
Torniamo al contratto. Senza dubbio la versione prudente (etico-giuridica) rappresenta una difesa: ma, come si è già detto, il masochismo nella sua forma pura, cioè estrema, inscenata nel romanzo di Sacher-Masoch, esige l’eliminazione di ogni limite. Vi è dunque un movimento anche nel masochismo, un movimento non furioso, caratterizzato piuttosto da esitazioni e lentezza, e tuttavia inesorabile: il perverso si avvicina progressivamente alla Cosa (das Ding). Com’è noto, Lacan introduce questa nozione nel Seminario VII, e in seguito non la riprende. Egli ha comunque dedicato a das Ding pagine affascinanti, e una serie di esempi che iniziano nella sfera quotidiana (la collezione delle scatole di fiammiferi, nella casa di Prévert: qui la Cosa è la x che circola nella collezione, è la spinta a collezionare) e proseguono con la figura della Dama, inavvicinabile e crudele, che ha ogni diritto di esigere nell’amor cortese. Non vi è forse qualcosa della Dama nella Wanda del romanzo di Sacher-Masoch?
Possiamo descrivere il processo di de-soggettivazione per mezzo di una distinzione fondamentale in Freud, quella tra energia libera ed energia legata. Nella perversione, l’energia legata si slega, non anarchicamente, ma a favore di un solo legame: la dipendenza. Anche il carnefice ‘controvoglia’, come Wanda nella Venere in pelliccia, viene trascinato nello spazio della de-soggettivazione. Si deve persuaderla. Deleuze contrappone il discorso dimostrativo del sadico al discorso persuasivo del masochista. Sembra riprendere il punto di vista della retorica, nel cui ambito il carattere impersonale della dimostrazione (di un teorema, per esempio: ci si rivolge a un uditorio impersonale, fuori dallo spazio e dal tempo) viene contrapposto alla ‘personalizzazione’ del discorso persuasivo, che si rivolge a un uditorio in carne e ossa, carico di idee, pregiudizi, passioni (v. Perelman, Olbrechts-Tyteca 1958). Ma, nel caso delle perversioni, sia le dimostrazioni filosofiche dei personaggi di Sade sia i discorsi appassionati di Severin mirano allo stesso obiettivo: delineare uno spazio di de-soggettivazione.
Così Wanda, inizialmente, può preoccuparsi di Severin (Sacher-Masoch [1878] 2017, 75: “Ti ho fatto male?” chiese, accarezzandomi dolcemente”) ma in seguito non è più padrona di sé stessa (di questo accusa Severin: “Sei stato tu a liberare in me l’egoismo, la protervia, la crudeltà, e tu devi esserne la prima vittima” (Sacher-Masoch [1878] 2017, 137)). Dunque, la perversione presenta la grandezza e la miseria delle pulsioni. Il loro trionfo è pagato con la rinuncia alla possibilità più alta, più creativa: la flessibilità si è piegata interamente alla rigidità, alla pulsione di morte. È dunque una forma di servitù – volontaria? involontaria? Su questo si potrebbe discutere.
V
Esaminiamo con più attenzione il contratto masochista in quanto stipulato tra il soggetto e das Ding. Diamo per scontata la tesi di Lacan nel Seminario VII: la Cosa non si presenta mai direttamente, è sempre velata. Nel romanzo di Masoch, la velatura è rappresentata da una figura femminile, Venere in persona, la Venere di pietra del sogno iniziale, che poi si manifesta in tre figure riunite, tre volti della femminilità, tre figure di donna.
Questo è il punto più interessante nella lettura di Deleuze: “nell’apparente monotonia, appaiono tre tipi di donna” (Deleuze [1967] 1973, 39). Il primo è la donna pagana, la greca, l’etera - sensuale, generatrice di disordini (a caratterizzarla è la volubilità, la brevità delle relazioni amorose). Al lato opposto, il terzo tipo, la sadica: ama far soffrire, torturare. Osserva Deleuze: nel romanzo di Sacher-Masoch, “Wanda comincia con il credere di essere la greca e finisce con il credersi sadica” (ivi, 41). Alla fine, fa frustare Severin dal greco. Ma più essenziale è il secondo tipo, la donna ‘materna’, in grado di mantenere la dolcezza pur esercitando il ruolo di carnefice (ivi, 43). Naturalmente c’è sempre il rischio che essa ricada nel primo o nel terzo tipo.
L’insieme delle tre donne rappresenta, per Deleuze, la trinità del sogno masochista: freddo-materno-severo / glaciale-sentimentale-crudele (Deleuze [1967] 1973, 43). Egli aggiunge: “le tre donne costituiscono un ordine simbolico, nel quale e mediante il quale il padre è già soppresso, soppresso da sempre […]. Il masochista vive l’ordine simbolico come intermaterno e pone le condizioni mediante cui la madre, in tale ordine, si confonde con la legge” (Deleuze [1967] 1973, 58-59). Non è chiaro che cosa si debba intendere con “ordine simbolico”, una nozione di provenienza lacaniana. Ma il punto essenziale è un altro.
Osserviamo la triade, nelle diverse formulazioni che Deleuze presenta come equivalenti, e che forse non lo sono affatto. Come era lecito attendersi, data la confusione tra la legge e la madre, le tre donne diventano in seguito le tre madri: “il fantasma masochista ha, quali ‘bordi’ simbolici, la madre uterina e la madre edipica; tra le due si trova la madre orale, il cuore del fantasma” (Deleuze [1967] 1973, 62). Nascono dei dubbi se confrontiamo le tre donne (la greca, la sentimentale, la sadica) con la trinità ‘freddo-materno-severo / glaciale-sentimentale-crudele’. Si tratta di una triade oppure di una diade? Freddo e severo non sono la stessa cosa, e tuttavia stanno sullo stesso versante: infatti la freddezza è per Deleuze il corrispettivo, nel masochismo, dell’apatia sadica. Analogamente, glaciale e crudele sono strettamente solidali. Dov’è finita la sensualità? È scomparsa.
Deleuze sembra giustificare la scomparsa della sensualità con una trasformazione culturale: dal caldo mondo greco si è passati al freddo nordico; c’è stata una catastrofe glaciale (Deleuze [1967] 1973, 46-47). Di ciò si lamenta la Venere ‘iniziale’ – che però appartiene al sogno dell’amico, e non al fantasma di Severin. Bisogna chiedersi: Venere potrebbe mai rinunciare alla propria sensualità? Anziché tentare di recuperare la sensualità, Deleuze insiste sui disagi del freddo: osserva che Venere starnutisce frequentemente. E aggiunge questa considerazione: “Nel fantasma masochista, la pelliccia mantiene la sua funzione utilitaria” (ivi, 46). Si faccia attenzione: “Nel fantasma masochista”, dice Deleuze - e non, per esempio, nel mese di gennaio, in una stanza d’hotel in cui il riscaldamento è guasto, “la pelliccia mantiene la sua funzione utilitaria”. In tal caso la sua affermazione sarebbe plausibile.
Che la pelliccia appartenga invece alla dimensione erotica mi sembra incontestabile. Severin elogia i suoi attributi: eccitante, elettrica, morbida, voluttuosa (von Sacher-Masoch [1878] 2017, 45-47 e altrove). Non è forse l’indizio che ci indica che Venere non intende ridursi alla diade ‘sentimentalità + crudeltà’? Tuttavia, Deleuze segue incautamente la via della diade. Anzitutto nel sottotitolo del suo saggio: Le froid et le cruel (in contrapposizione alla madre orale); ma anche poche righe dopo il passo appena citato: “Nella loro fredda alleanza, la sentimentalità e la crudeltà spingono l’uomo alla riflessione, costituendo l’ideale masochista” (Deleuze [1967] 1973, 47). E ancora, quando menziona l’utopia politica di Sacher-Masoch: essere governati da “una zarina terribile, in cui emerga la legge più sentimentale, ma anche la più fredda, la più severa (la plus glacée, la plus sévère)” (ivi, 93). Di nuovo, sono due le componenti femminili: la sentimentalità e la crudeltà (come si è già notato, il freddo appartiene alla sfera del crudele).
Dunque, la sensualità è scomparsa: con quali conseguenze? Cos’è che Deleuze trascura e e dimentica? Ebbene, dimentica la gelosia, che è un aspetto fondamentale nelle sofferenze di Severin. Tuttavia il masochista (e anche Deleuze mostra di non ignorarlo, citando Kraft-Ebing) non soffre solo per le torture fisiche. Ma la gelosia sarà tanto più intensa in quando suscitata da una donna molto attraente. Wanda è straordinariamente bella. È una Venere - il che acuisce le sofferenze di Severin. “La bellezza è una promessa di felicità”, ha detto Stendhal. Ma si può benissimo affermare il contrario. Nel libro V delle Storie, Erodoto racconta di alcuni Persiani che erano stati inviati alla corte di Aminta; il re diede un banchetto in loro onore; al termine della cena, però, gli ospiti si lamentarono per l'assenza delle donne e si appellarono al loro costume. Aminta li accontentò, “mandò a cercare le donne; queste, chiamate, vennero e si sedettero in fila di fronte ai Persiani. Allora questi, al vedere quelle donne così belle, fecero le rimostranze ad Aminta, dicendo che quello che era stato fatto non era per nulla saggio. Poiché era meglio che le donne non fossero venute affatto piuttosto che, una volta venute, stessero sedute di fronte e non a lato e fossero così un tormento per i loro occhi” (Hdt. V, 18). Un tormento per gli occhi, vale a dire: una promessa d'infelicità.
VI
Ma le sofferenze di Severin nascono ancora da un’altra fonte, ed è importante considerarla, anche se emerge solo nella Venere in pelliccia, perché questo romanzo ci dice forse la verità sul masochismo. Quale verità? Che Severin è innamorato. Ma non lo è ogni masochista? In questa perversione si sovrappongono l’umiliazione e l’amore (coincidentia oppositorum): si desidera l’amore, si chiede di essere puniti, di soffrire. Si desidera l’amore, nel godimento. Concludo con una citazione, incontrata casualmente sul web, di Oriana Fallaci: “Non si regala la propria anima a chi non è disposto a regalare la sua” (Penelope alla guerra). Ma non è esattamente questo che fa il masochista? Sì, con una precisazione: il masochista regala la sua anima alla Cosa.
Bibliografia
Fonti
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Riferimenti bibliografici
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M. Recalcati, Jacques Lacan. La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto, Milano 2016.
English abstract
The pervert generally does not seek analysis, observed Freud in the article Fetishism (1927): he believes he knows what enjoyment is, and in any case, he has chosen it irreversibly. Therefore, the theory of the subject can enrich its knowledge through literary elaboration (for example, the texts of Sade and Sacher-Masoch), not only through clinical experience. The paper draws extensively on Lacan’s thought but aims to go further by interrogating fundamental concepts such as the drive. However, it is imperative to interpret the drive as a conflict between rigidity and flexibility, rather than reducing it to autistic enjoyment (as in Lacan and Lacanian orthodoxy). In perversion, the drive is paradoxically the Law—the only Law. The pervert approaches the Thing (das Ding) in various ways but is nonetheless dominated by a push toward de-subjectivation. Masochism illustrates this push in relation to a female figure, divided into three aspects: the pagan and sensual woman, the maternal woman, and the purely sadistic woman (according to a proposal by Deleuze). However, Deleuze reduces this triad to a dyad, forgetting sensuality and the coincidentia oppositorum between love and jouissance.
keywords | Masochism; Venus in furs; Lacan; Deleuze; Coincidentia oppositorum.
questo numero di Engramma è a invito: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e all'international advisory board della rivista
Per citare questo articolo / To cite this article: Giovanni Bottiroli, “Tre donne intorno al cor mi son venute”. Mobilità e immobilità nel masochismoo, “La Rivista di Engramma” n. 223, aprile 2025.