"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Luciano Semerani e Gigetta Tamaro, Casa Semerani a Conconello

Antonella Gallo

English abstract

1 | La casa inserita nel luogo, vista angolare sud-ovest/sud-est.

Prologo

Nel 1965, sulle alture che sovrastano Trieste, nei pressi del borgo di Conconello, prende forma una casa pensata con affetto e precisione da Luciano Semerani e Gigetta Tamaro: una dimora voluta in primis per accogliere i genitori di Semerani, immersa in un paesaggio dalla forte identità geologica e culturale. Non si tratta di una residenza permanente, ma di un rifugio pensato per il fine settimana, in particolare per la stagione estiva: un luogo dove il tempo rallenta e si apre alla condivisione, pensato per la quiete e per la compagnia, per ospitare amici e parenti, per coltivare relazioni in un’atmosfera di leggerezza e serenità.Parte di una trilogia di case unifamiliari – insieme alla casa per l’avicoltore a Cattinara (1964) e alla casa Tamaro (1967) – l’edificio si offre come un momento di intensa sperimentazione nel lavoro dei due architetti. Il progetto nasce da una riflessione profonda sul legame tra l’architettura e il suo luogo, tra il gesto del costruire e il senso dell’abitare, tra la memoria silenziosa del paesaggio e la forma che la richiama e la reinventa. È in questa intima corrispondenza tra geografia e pensiero progettuale che si rivela, con chiarezza poetica, il significato più autentico della casa-Semerani.

Ogni discorso su Semerani e Tamaro, su quel loro essere architetti che agiscono in ascolto del luogo, non può che iniziare da qui: dalla casa di Conconello, la casa costruita sulle alture di Trieste. Il borgo di Conconello si colloca su un rilievo carsico a breve distanza da Trieste, raggiungendo i 400 metri di altitudine. Il suo impianto urbano si estende lungo una dorsale rocciosa, suggerendo un equilibrio tra isolamento e prossimità alla città. L’ambiente naturale intorno al borgo si presenta come un intreccio complesso di elementi geologici e vegetali: la presenza di cavità carsiche, formazioni calcaree e percorsi tracciati nel tempo dalla pioggia e dal vento racconta un paesaggio scolpito dalla natura e ricco di stratificazioni storiche. In questo scenario tanto suggestivo quanto complesso, la casa si distingue per l’articolazione dei suoi volumi geometrici, che si adattano con misura al terreno gradonato, stabilendo con esso un rapporto non imitativo ma dialogico, fatto di risonanze e contrappunti (Rosa 1984, 19). Un’architettura che non si sovrappone al paesaggio, ma lo ascolta, lo interpreta, lo restituisce in forma costruita.

Il mestiere dell’architetto: “le tre dominanti”

Ne “Il mestiere dell’architetto”, la conferenza tenuta nel 2015 in occasione della mostra “Semerani e Tamaro Architetti” – voluta dall’Archivio Progetti Iuav per celebrare l’acquisizione del fondo dello studio – Luciano Semerani riflette sul senso della pratica architettonica e sul valore della trasmissione dell’esperienza, e per farlo sceglie proprio la casa di Conconello, per “mostrare che l’architettura ha un suo specifico, e che l’esperienza dell’architettura insegna anche facendola, anche facendo un progetto, a capire quali sono le regole, quali le tecniche. Sostanzialmente, quali sono gli elementi trasmissibili di un’esperienza che, per altri versi, resta misteriosa, magica, alchemica, spirituale, fondamentalmente”. Così Luciano Semerani introduce il cuore del suo intervento:

Abbandonando l’idea di descrivere il mestiere dell’architetto nella sua complessità, ho scelto di parlare di una sola cosa. Cioè di mostrare come la specificità del mestiere dell’architetto – e anche la sua diversità rispetto ad altri mestieri simili, come il planner, il designer, l’ingegnere – stia in questa oscillazione continua tra la conoscenza delle regole, la conoscenza delle tecniche, e una loro appropriazione che non è mai completa. Non solo una trasgressione, ma un’innovazione delle regole che avviene durante il processo. Questo è quello che ho imparato dal mio lavoro, dal lavoro che ho sempre fatto con altri e principalmente con mia moglie Gigetta Tamaro (Semerani 2015).

La riflessione si approfondisce e prende una forma teorica più definita, attraverso una domanda fondamentale:

Che cos’è specifico del mestiere dell’architetto? È il controllo, come per qualunque altro artista, dei mezzi di un linguaggio. Cioè riuscire a padroneggiare strumenti capaci di commuovere, far pensare, far sentire, far vedere. Non è molto diverso da ciò che si chiede a un regista o a un commediografo. Quando si esce da un film o da una pièce teatrale e si sente dire: ‘Sì, bello, ma non mi ha detto niente’, significa che non si è arricchiti di una sensazione, di un’emozione, di un pensiero, di un dubbio – tutti elementi che rendono valida e interessante l’esperienza. C’è una dimensione simbolica nel linguaggio dell’architettura che l’ingegneria non ha, che la pianificazione non ha bisogno di avere. Nel design c’è, ma forse arriva dopo. Certo, il disegno del locomotore fatto da Pininfarina ha una dimensione simbolica, ma non è la sua natura profonda. Invece nell’architettura io penso che sia l’essenza. Tutto il resto – le ragioni pratiche, tecnologiche, la committenza, lo scopo sociale, il bisogno dal quale nasce – è la sostanza dell’architettura. Ma non è l’essenza. L’essenza è ‘il gioco’. La capacità di controllare il gioco con la conoscenza delle regole, la padronanza delle tecniche, e il vivere il processo nel quale nascono nuove regole (Semerani 2015).

Questa idea di architettura come linguaggio simbolico, come spazio narrativo che si costruisce nell’equilibrio tra rigore e invenzione, prende forma concreta nel racconto della Casa di Conconello che Semerani introduce così:

Questa casa […] la prima che abbiamo avuto occasione di realizzare, dopo aver fatto qualche negozio […] Ha tre dominanti, tre temi che costituiscono l’essenza di quest’opera. Il primo tema è la discesa lungo un terreno gradonato. La discesa da una strada circa dieci metri più alta della casa, che entra dentro la casa, la perfora e la attraversa. Il secondo tema è l’incastonare una scatola in un terreno gradonato. Che cos’è un terreno gradonato? È un terreno artificiale, coltivato a viti, sul quale si posa quest’ulteriore artificio. La nostra idea non era, da subito, quella di poggiare una scatola – più o meno leggera – in uno di questi piani. L’idea era … di utilizzare un rapporto con l’ambiente che fosse romantico, diciamo ‘poetico’. Il terzo elemento è la facciata. L’idea di inserire questo tema come un tema dominante, alla pari della scatola e alla pari della narrazione che deriva dal racconto che fa la discesa – a piani alterni, a gradini – lungo il terreno e poi dentro la casa, deriva da un retroterra che non posso definire diversamente se non di carattere narrativo (Semerani 2015).

Un raumplan carsico

Il progetto nasce in risposta a un dislivello marcato: una differenza di quota di circa dieci metri separa la strada d’accesso dal piano di appoggio della casa. Questa condizione, lontana dall’essere un vincolo, viene assunta come occasione progettuale, capace di generare un impianto spaziale coerente con il contesto. La topografia del sito, dunque, si fa fondamento per un’architettura che interpreta il terreno come materia da leggere e articolare. Il lotto, derivante dalla fusione di due porzioni di terreno un tempo indipendenti, presenta una doppia logica: una linea inclinata che collega la via dei Bidischini con il cuore del sito, e una fascia terrazzata che si sviluppa trasversalmente, seguendo il pendio. Dall’incrocio di queste direttrici nasce un impianto che non solo organizza la casa, ma disegna anche un sistema di spazi esterni su più livelli, ciascuno con apertura e orientamento differenti. L’accesso alla casa non avviene per semplice ingresso, ma per discesa. Il percorso è un lento attraversamento che introduce gradualmente all’abitazione. La traiettoria, ritmata da rampe e pause, si configura come un racconto esperienziale: la sequenza di soglie e differenze di quota scandisce un tempo dell’abitare che si sviluppa più per intensità che per destinazione funzionale. Nella sua tesi Il desiderio di architettura (2024), Bo Kyung Lee descrive la sequenza di accesso alla casa come una “scultura topografica”. Egli individua tre ambiti all’aperto che, pur distinti per funzione e carattere, condividono un senso comune: “il passaggio panoramico”, “il giardino antico” e “il giardino originario”. Tali nomi suggeriscono una lettura poetica e funzionale dello spazio aperto, considerato parte integrante dell’esperienza domestica.

L’ingresso al lotto avviene dalla strada che costeggia il borgo storico, dove il terreno è stato modellato con tecniche tradizionali di terrazzamento. Due piattaforme principali accolgono le prime funzioni: una superiore, adibita a parcheggio, segna il confine tra pubblico e privato; una inferiore, leggermente arretrata, ospita un volume di servizio incassato nel terreno. Qui la casa inizia a rivelarsi, non con la sua facciata, ma attraverso il tetto: una superficie che si impone come disegno geometrico visibile dall’alto – un sistema di figure pure (cerchio, quadrato, trapezio) che sovrascrive il terreno con ordine astratto. Rosa (1984) interpreta questa composizione come un gioco percettivo tra la precisione del progetto e la complessità del paesaggio. Sul lato nord-occidentale, una scala spezzata accompagna la discesa lungo il pendio. Il primo tratto conduce al piccolo spazio davanti al volume di servizio, già impostando la logica narrativa delle scale come dispositivi non solo distributivi, ma esperienziali. Da qui, un secondo segmento conduce all’ingresso vero e proprio della casa, mediante una rampa interrotta da una pausa, che favorisce l’adattamento del corpo al mutamento altimetrico. Una terza scala, più raccolta e curvilinea, guida verso il cosiddetto “giardino antico”, costeggiando un vecchio muro circolare. Questo frammento preesistente viene accolto e integrato nel progetto, trasformato in elemento poetico e memoriale.

Il “giardino antico” si apre in uno spazio appartato, delimitato da pietra e vegetazione, e conserva le tracce dell’antica vocazione agricola. Vi affiora il rudere di un edificio rurale che, lungi dall’essere rimosso, è lasciato a dialogare con la nuova costruzione. Il progetto non lo ingloba né lo cancella, ma lo riconosce come presenza viva, capace di attivare una riflessione sul tempo e sul senso del costruire. Attraverso un portico-vestibolo ritagliato lungo la parete nord-occidentale, si accede al livello inferiore della casa. Qui lo spazio si apre in un soggiorno-studio dominato dalla grande finestra ad arco rovesciato, un elemento che incornicia il paesaggio e lo ordina, rendendolo parte dell’interno. L’ambiente si estende fino al portico che si affaccia sulla parte sud-orientale del lotto, dove si trova il cosiddetto “giardino originario”. In quest’area più esposta e luminosa, i terrazzamenti assumono un ruolo diverso: non più contenimento o coltivazione, ma predisposizione per l’abitare all’aperto. Il terreno, un tempo destinato forse a orti, è oggi riletto come luogo della sosta e della socialità. In un punto strategico di questo giardino, tra il muro a secco e la casa, il terreno si abbassa formando una conca circolare. Questa “dolina artificiale”, come la definisce Lee, non ha una funzione esplicita, ma una valenza percettiva: essa richiama le forme erosive del paesaggio carsico, reinterpretandole in chiave architettonica. La sua collocazione accanto al portico attiva una relazione silenziosa tra vuoto costruito e depressione naturale, tra gesto progettuale e memoria geologica. Secondo Lee, questa forma è testimonianza non solo del luogo, ma dello sguardo che lo ha osservato. Non è reperto, ma figura evocativa, carica di significato intimo e paesaggistico.

In questa articolazione dello spazio aperto – fatta di quote differenziate, percorsi gradonati, soglie visive e temporali – si manifesta ciò che potremmo definire un ‘Raumplan carsico’. Non più limitato alla gestione delle variazioni interne di livello, il principio del Raumplan si estende qui al paesaggio stesso: una sezione abitata che attraversa suolo, architettura e natura, generando un’esperienza spaziale stratificata e radicata nel contesto. Composta di tre aree – ingresso, giardino nord-occidentale e spazio sud-orientale – l’organizzazione dello spazio esterno accompagna l’esperienza in modo graduale e narrativo. Il ritmo delle scale, mai banale, introduce deviazioni, soglie e pause che trasformano il semplice spostamento in un percorso denso di senso.

All’interno, la scala principale è posta al centro del volume abitato. Attorno a essa si articolano cucina, soggiorno, studiolo e zona pranzo. Essa si salda con il blocco dei bagni, organizzando il percorso verso le camere da letto secondo una logica di anello continuo. La scala non è nascosta, ma dichiarata, vissuta, esposta. Il suo ruolo va oltre la distribuzione funzionale: essa incarna la promenade architecturale dell’intero progetto, unendo paesaggio e abitazione in un unico racconto spaziale. Allo stesso tempo struttura il cuore dell’intero impianto domestico. La sua ambiguità – sospesa tra interno ed esterno, forma e vuoto – le conferisce un valore operativo oltre che simbolico. È da essa che prende forma l’esperienza dello spazio interno. È attorno a essa che la casa si costruisce, si percorre, si abita: “È una presa di luce [...] è un luogo dove i bambini giocano [...] dove entra il sole da est e soprattutto, è un luogo intorno al quale si gira. [...] Questi spazi che sarebbero poi dei vuoti, delle terrazze, in realtà sono dei ‘luoghi’ [...] ci si sposta in uno o nell’altro, a seconda dell’ora e del tempo” (Semerani 2015).

Si comincia a comprendere che la casa è pensata non per essere mostrata, ma vissuta, accogliendo ozio e festa, silenzi e relazioni quotidiane. In questo senso, ogni soglia è un invito, ogni apertura è un gesto ospitale. Le terrazze, i gradoni, le scale: nulla separa, tutto raccorda. Non esiste un’estetica imposta, ma una qualità del vivere resa possibile dalle scelte di progetto.

La ‘pianta spaziale’, il ‘raumplan’ non solo collega le diverse quote ma sostiene, come una lunga mistilinea colonna vertebrale, non delle ‘stanze’ ma dei ‘luoghi’ [...]. La discesa dalla strada fino al terreno più basso incontra piani, e conseguentemente spazi, di sosta che si collocano indifferentemente tanto all’esterno quanto all’interno del volume costruito (Semerani 2015).

Come si è detto all’inizio è in questo senso che l'impianto della casa richiama, in modo sottile ma decisivo, il principio del Raumplan loosiano. Non si tratta di una trasposizione letterale del principio loosiano, fondato sulla variazione in altezza dei vani, quanto piuttosto di una sua interpretazione poetica e geografica. In questa casa, il Raumplan si manifesta come una sequenza articolata di volumi che si rivelano progressivamente, seguendo l’inclinazione naturale del terreno e un tracciato diagonale. La verticalità del patio-scala e la torsione del percorso interno traducono in termini carsici – come in un paesaggio scavato – quella tensione tra spazio e narrazione che è propria del Raumplan, rendendolo non solo uno strumento compositivo, ma anche espressivo, “quasi liturgico” (Lee 2024).

Lo ‘scavo’ del volume

A un primo sguardo, la casa si presenta come un corpo compatto, unitario. Ma a osservarla meglio, questa apparente integrità si rivela percorsa da una sequenza misurata di sottrazioni, fenditure, incisioni geometriche che non si limitano a occupare lo spazio, ma lo generano. Non è un volume semplicemente edificato, bensì un organismo scavato e intagliato, come se la materia fosse stata sottratta più che aggiunta, per far emergere le condizioni dell’abitare. Non è tanto la massa a essere scolpita, quanto lo spazio a essere generato attraverso tagli, rotazioni, giustapposizioni: le facciate si piegano, si interrompono, si inclinano per accogliere la luce e moltiplicare le direzioni dello sguardo. L’angolo, anziché chiudere, apre e disarticola. Le figure volumetriche, pur semplici, si sottraggono alla simmetria e alla linearità, costruendo un effetto di articolazione mobile, quasi tellurica. Lo ‘scavo’ che ne risulta è più narrativo che materico, più una strategia percettiva che un’azione costruttiva: genera attese, rivela progressivamente, ospita. La casa si offre così come paesaggio costruito, non oggetto da contemplare ma organismo da attraversare. La forma architettonica, invece di imporsi, si piega e si apre, come guidata da forze interne che ne disegnano la logica. Il risultato è una tensione costante tra compattezza e articolazione, tra visibilità e ritiro, tra geometria e vita.

La facciata sud-ovest della casa non è semplicemente un fronte costruito: è una scena espressiva, un ‘personaggio’ che si affaccia verso il Golfo di Trieste. Non si presenta frontalmente, ma per scorcio, come una figura che gira il capo, leggermente ruotata rispetto all’asse del lotto e del pendio. Non è chiusa in una simmetria statica, ma si costruisce per rotazioni, slittamenti e pause, rivelando una presenza trattenuta, consapevole, non monumentale. In questo senso, è una facciata che racconta – o meglio, che lascia intendere un racconto. L’arco rovesciato, incavato nella parte inferiore del muro, rappresenta il segno più evidente di questa volontà narrativa. Una curva netta e incompleta che interrompe la continuità muraria, come una bocca che si apre – o si trattiene. Non è una semplice eccentricità formale: è un dispositivo di misura. Inserita in una griglia geometrica non ortogonale, questa mezzaluna slittata introduce un ritmo diverso, una controbattuta visiva che influenza tutto il prospetto. La sua ambiguità – tra apertura e chiusura, figura e sfondo – è ciò che attiva la facciata come soglia. Al di sopra, il volume pieno del soggiorno si sporge in aggetto, ma senza appoggiarsi realmente alla curva sottostante. C’è tra i due elementi – la bocca e la massa sospesa – una distanza, una tensione verticale non risolta, come se il vuoto reggesse il pieno. In questo spazio intermedio si concentra una delle qualità più intense della casa: l’architettura non cerca la sintesi, ma una coesistenza vigilante tra le parti. Il sopra non domina il sotto, ma lo riconosce. Il vuoto diventa così elemento portante, figura generativa, più che assenza.

Dietro l’apparente libertà di questo disegno si nasconde un sistema preciso di rapporti: tracciati regolatori che si irradiano da un centro decentrato, guidando la disposizione delle aperture, dei tagli, delle masse. Ogni finestra, ogni sfasamento, ogni scarto è frutto di una misura interna, non arbitraria ma latente. La composizione non è statica, ma accordata come un corpo musicale. Semerani parla di “ordine senza simmetria”: una regola che non si impone, ma struttura in silenzio. Infine, questa facciata non si limita a separare l’interno dall’esterno: lo convoca. Le pieghe, le soglie, l’arco stesso sono punti di passaggio più che di chiusura. Nulla è definitivo, tutto è in attesa. Il racconto non è concluso. La casa non si fa guardare, ma si lascia vedere. E forse è proprio per questo che Giuseppe Samonà, già nel 1967, la descriveva come “librata nello spazio”: sospesa, tesa, incastonata nel paesaggio carsico con una leggerezza plastica che trova nella facciata verso il mare la sua espressione più compiuta. La grande apertura ad arco rovesciato – una “frase architettonica”, diceva, dalle “sottili vibrazioni” – non è solo un dettaglio formale, ma un dispositivo di ascolto. Un punto in cui lo spazio si apre al paesaggio e ne traduce la voce. È una bocca che non parla, ma che ascolta (Samonà 1967).

Epilogo

Ci sono case che non si lasciano ridurre a oggetti. Non stanno ferme nella loro sagoma, né si esauriscono nel disegno. La casa a Conconello è una di queste: più che un progetto, è un processo; più che una forma, è una figura in trasformazione. Una casa che si racconta come si gioca, dove ogni passo è una mossa e ogni spazio una regola scoperta lungo il cammino. Perché l’architettura, per chi la vive come mestiere interiore, è un gioco serio: fatto di regole da conoscere per poterle trasgredire, di geometrie da piegare alla luce, di riferimenti da evocare senza mai ripetere. Il mestiere dell’architetto, diceva Semerani, non è (solo) costruire secondo i bisogni. I bisogni sono la sostanza. Ma l’essenza – ciò che distingue l’architetto dal planner o dal designer – risiede altrove: nella padronanza del linguaggio, nella capacità di costruire senso con lo spazio, emozione con la forma, dubbio con la materia. Come un film che ci cambia, una casa può essere un’esperienza che ci interroga. E quella sul ciglio della collina triestina – scavata, sospesa, attraversata dalla luce e dalla memoria – non smette di porre domande.

Il modo in cui è stata pensata e costruita rivela una tensione profonda tra natura e costruzione, tra l’atto di abitare e il desiderio di appartenere. Semerani e Tamaro non hanno semplicemente sovrapposto un edificio al terreno: l’hanno intrecciato alla morfologia del luogo, come se fosse emerso dal suolo stesso, scavato nella roccia carsica più che edificato sopra di essa. I terrazzamenti che la circondano non sono meri espedienti tecnici: sono gesti di adattamento, segni di una volontà di crescere in armonia con ciò che esisteva. Ma questa fusione tra naturale e artificiale non è una resa. La casa non si mimetizza, non si ritrae come un rifugio: afferma la propria presenza, cercando un equilibrio tra il radicarsi e l’elevazione, tra l’intimità del costruito e l’ampiezza dell’orizzonte triestino. Le aperture, le terrazze, gli interni sembrano pensati per accogliere la luce e il vento, per lasciare che mare e colline entrino, diventando parte della casa. C’è però qualcosa di ulteriore che la rende viva: la sua capacità di accogliere la vita, di farsi luogo di incontro, emozione, condivisione. Quanti ‘primi maggio’ sono stati festeggiati qui, tra amici, artisti, architetti e intellettuali, in un convivio aperto dove la cultura della città si intrecciava con la vitalità e l’ironia di Luciano e Gigetta. Questa apertura è evidente nella sua struttura: non esistono barriere nette tra dentro e fuori, tra intimo e condiviso. Ogni elemento – scale, terrazze, affacci – è pensato per favorire il movimento, la sosta, l’incontro.

Forse è proprio qui che sta il senso profondo della Casa Semerani: non una semplice abitazione, ma una dichiarazione. Abitare non è possedere uno spazio, ma entrarci in relazione, farlo proprio, farsi accogliere. Questa casa nasce in fondo come un atto d’amore: per la terra, per il mare, per il paesaggio, per le persone chiamate a viverla e ad abitarla.

Galleria

2 | La casa inserita nel luogo, vista angolare sud-ovest/sud-est.

3 | Facciata sud-ovest: la grande finestra ad arco rovesciato e il volume aggettante del soggiorno, vista angolare nord-ovest/sud-ovest.

4 |  La scala esterna sul fronte sud-ovest.

5 | Il volume aggettante della camera padronale sul fronte sud-ovest, visto dalla sommità della scala esterna che dal soggiorno conduce al giardino.

6 | Vista della casa da sud-ovest/sud-est. In evidenza il dialogo tra il portico che si apre verso il giardino di sud-est
e la scala esterna.

7a | Dettaglio della grande finestra ad arco rovesciato vista dall’interno.

7b | Dettaglio della grande finestra ad arco rovesciato vista dall’esterno.

8 | Vista interna della grande finestra ad arco capovolto che inonda di luce lo spazio continuo della sala posta al piano terra.

9 | Il volume vetrato della scala interna a cielo aperto, visto dal soggiorno verso l’ingresso.

10 | Pianta e sezione del progetto che mettono in evidenza la promenade architettonica definita dal sistema di scale.

11 | La “scala patio” a cielo aperto vista dall’interno.

12 | Pianta del piano terra, disegno di progetto. Evidenziati la cavità circolare nel giardino a sud-est e il tracciato della scala interna che, attraversando il portico, conduce al “giardino originario”.

13 | Vista del lato nord-ovest della casa dal rudere del “giardino antico”. Foto pubblicata in: Villa a Conconello, Trieste, presentazione di Giuseppe Samonà, “L’architettura. Cronache e storia” 142, anno XIII n. 4 (1967), 234.

14 | Luciano Semerani seduto di fronte alla finestra del piano terra che, dall’interno, inquadra il giardino antico e il rudere preesistente, situati a nord-ovest della casa. Foto pubblicata in: Villa a Conconello, Trieste, presentazione di Giuseppe Samonà, “L’architettura. Cronache e storia” 142, anno XIII n. 4 (1967), 234.

15 | Vista zenitale della promenade di scale in relazione ai terrazzamenti, alle doline e al rudere preesistente. Plastico di studio realizzato da Bo Kyung Lee nell’ambito della tesi di dottorato Il desiderio di architettura, dedicata all’opera di Luciano Semerani e Gigetta Tamaro, Università Iuav di Venezia, XXXVI ciclo.

16 | Vista del fronte sud-ovest con la grande finestra ad arco capovolto.

17 | La casa vista dall’angolo nord ovest/sud ovest.

18 | Schema dei tracciati regolatori che definiscono la facciata sud-ovest, pianta del piano terra e del primo livello. Disegni di progetto.

19 | Vista della casa dal lato sud-ovest/sud-est. In evidenza la relazione che intercorre tra il portico che si apre verso il giardino di sud-est e la scala esterna.

20 | Vista della casa dal lato sud-est con il portico che si apre verso il “giardino originario”.

21 | Vista delle scale e dell’invaso che conducono all’ingresso della casa sul lato nord-ovest.

22 | Vista dell’ingresso dalla scala promenade prima di imboccare la scala che conduce alla soglia della porta di casa.

23, 24 | Il tetto della casa visto da via dei Bidischini.

26 | Viste del tetto verso il Golfo di Trieste. Fotografie di Luciano Semerani. Archivio Progetti Iuav, Venezia.

Riferimenti bibliografici
  • Lee 2024
    B.K. Lee, Casa Semerani a Conconello 1965, in Id., Il Desiderio Di Architettura. Quattro Progetti di Luciano Semerani e Gigetta Tamaro, Tesi di Dottorato in Composizione Architettonica, Università Iuav di Venezia - Scuola di Dottorato In Architettura, Città e Design - Ambito di Ricerca Composizione Architettonica, XXXVI ciclo, relatore prof. arch. Antonella Gallo, correlatore prof. Ildebrando Clemente.
  • Rosa 1983
    G. Rosa (a cura di), Semerani + Tamaro. La città e i progetti, Roma 1983.
  • Samonà 1967
    G. Samonà, Villa a Conconello, Trieste, architetti Luciano Semerani e Gigetta Semerani Tamaro, “L’architettura cronache e storia” 142 (1967), 228-235.
  • Semerani 2015
    L. Semerani, Il mestiere dell'architetto, testo della conferenza tenutasi il 5 novembre 2015 presso l'Auditorium del Cotonificio dell’Università Iuav di Venezia in concomitanza della mostra “Semerani e Tamaro Architetti” allestita per celebrare l’acquisizione del fondo dello studio Semerani e Tamaro da parte dell’Archivio Progetti Iuav, trascrizione a cura di Antonella Gallo.
  • Semerani, Tamaro 2000
    L. Semerani, G. Tamaro, Semerani e Tamaro. Architetture e progetti, Milano 2000.
English abstract

The essay explores the architectural and symbolic significance of the Casa Semerani in Conconello, a weekend house designed in 1965 by Luciano Semerani and Gigetta Tamaro near Trieste. Conceived as a retreat for Semerani’s parents, the house embodies an intimate dialogue between architecture and landscape, responding sensitively to the Karst topography through a non-mimetic yet harmonious integration. Positioned along a steep slope, the house is articulated through a descending spatial sequence that becomes both a physical path and a narrative device, exemplifying what the author defines as a “karstic Raumplan”. The project is presented not merely as a built object but as an experiential and poetic architecture, shaped through subtraction, spatial layering, and symbolic gestures. Drawing from Semerani’s reflections on the architectural profession, the house is interpreted as a concrete manifestation of architecture as a symbolic language – where geometry, memory, and the landscape converge to produce meaning. Ultimately, the house is portrayed as a living organism rather than a formal artifact: a space for encounter, play, and hospitality, where dwelling becomes a relational and emotional act. The text positions the Casa Semerani as foundational in understanding the architects' oeuvre and ethos.

keywords | Luciano Semerani and Gigetta Tamaro; Conconello; Trieste; Karstic Raumplan.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Antonella Gallo, Luciano Semerani e Gigetta Tamaro, Casa Semerani a Conconello, Trieste, 1965, “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025.