"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Abitare la messa in scena 

La casa studio di Ray e Charles Eames

Maria Grazia Eccheli

English abstract

1 | Ray e Charles catturati dalle loro basi di acciaio

2 | Ray e Charles nello studio a cavallo della Welocette

1947 - In un esterno - Ray e Charles sono sdraiati sul marciapiede intrappolati dalle loro basi in acciaio. La studiatissima immagine per la campagna pubblicitaria di Herman Miller era stata elaborata in studio su grandi tele a scala reale, perché nulla per gli Eames era lasciato al caso: ogni passaggio dall’idea alla sua realizzazione era rigorosamente controllato.

1948 - In un interno - lo schermo bianco è appoggiato alla parete dello studio, Ray e Charles sono a cavallo di una motocicletta: lei alla guida, lui guarda l’obiettivo che immortala il design della Welocette dalla sinuosa linea del tubo di scappamento. La motocicletta è di proprietà del figlio del loro amico e socio in affari Warren Kerkman.

Lei e lui, sempre insieme, immortalati da fotografi quali Arnold Newman, noto negli Stati Uniti per i suoi famosi environmental portraits. Lei e lui fotografavano tutto: gli oggetti, gli incontri. I loro scatti narrano di un mondo sospeso tra rigore e gioco: le fasi degli esperimenti con il compensato sagomato, la paziente ricerca di linee ergometriche ed essenziali tradotte in un unico stampo, il variare di quelle curve composte e il loro controllo attraverso i tanti modelli. Parlano di bimbi che giocano nel prato davanti alla loro casa con le infinite combinazioni del Building Toy e Little Toy. L’obiettivo, prezioso strumento del loro lavoro, era una passione da sempre coltivata: Ray si era occupata di cinema e di scenografia e Charles fin dall’adolescenza era attratto non solo dalla macchina fotografica, ma dalla camera oscura dove sviluppare le pellicole e controllarne la qualità delle stampe in bianco e nero. La stanza, quella oscura, era sempre presente nei loro luoghi di lavoro.

Chi era Ray prima dell’incontro con Charles? Una brillante liceale che nel 1933 si laurea presso l’università Bennett Women’s College di Millbrook, New York. Frequenta per sei anni lo studio del pittore Hans Hoffman, geniale astrattista. Leggiamo di lei che frequenta l’ambiente artistico newyorkese e che nel 1937 è membro di “American Abstract Artist” (AAA). Ray, l’artista che ama il design, approda alla Cranbrook Academy in Michigan. Qui, i destini si incrociano: Charles nel 1940, anno d’iscrizione di Ray, è Capo Dipartimento di Industrial Design.

L’inquieto, elegantissimo Charles non aveva laurea: dalla Washington University di St. Louis era fuggito in Europa prima di completare gli studi (pare che la sua ammirazione per F.L.Wright fosse osteggiata dall’ambiente accademico) per mettere la testa dentro le architetture di Le Corbusier, Mies e per conoscere il Bauhaus di Gropius. Al suo ritorno, in piena Grande Depressione tenta di avviare un proprio studio che sopravviverà pochi anni durante i quali realizza (con i giovani soci) tre case, e una chiesa, particolarmente apprezzata da Eliel Saarinen, direttore della Cranbrook, che gli offre una borsa di studio tramutata ben presto in incarico e di lavorare part-time presso il suo studio.

Ray, l’allieva eccellente nel disegno e nella modellazione dei plastici sarà coinvolta da Eero Saarinen e Charles nel concorso promosso dal MoMA Organic Design in Home Furnishings (di cui risulteranno vincitori).

1941, è trascorso solo un anno, quando Ray accetta di sposare lo spiantato Charles e migrare a Los Angeles; per lei è un ritorno alla terra di appartenenza, per lui la terra promessa. Sarà Entenza a trovare loro un alloggio in uno degli Strathmore Apartments progettato da Richard Neutra e a coinvolgerli nel comitato editoriale di “Arts & Architecture”.

L’incontro con John Entenza è l’incontro con le figure del moderno californiano: artisti, architetti designer, letterati, cineasti, dei quali la rivista sembra cibarsi. Entenza, l’intellettuale/imprenditore, aveva acquistato nel 1938 la rivista “California Arts & Architecture” e dopo averne assunto la direzione cambia la testata (cancellando ‘California’), l’immagine e i contenuti. Sulle ceneri della locale rivista di interni nasce un intrigante contenitore di pensiero e di progetto intorno a tutte le arti. Ray e Charles saranno preziosi collaboratori e non sarà un caso se, segnatamente all’architettura, la rivista pubblicherà e renderà noti i giovani architetti californiani e i modernisti oriundi europei quali Richard Neutra e R.M.Schindler. Tale metamorfosi renderà conosciuta la rivista a livello internazionale, oltre i confini della California e degli Stati Uniti.

Gli esegeti scrivono che la storia della Eames House è in una certa misura la storia della relazione tra Eames e Entenza.

Entenza intravedeva nell’architettura moderna grandi potenzialità di valore sociale, di sperimentazioni di nuove tecnologie a basso costo e soprattutto di nuovi modi dell’abitare. Lo sguardo è verso quelle esperienze promosse dal Werkbund tedesco, quali l’insediamento del Weissenhof di Stoccarda (1927) con le case progettate tra gli altri da Le Corbusier, Gropius, Mies, Oud, il Werkbundsiedlung di Vienna dove le case sono disegnate da Loos, Neutra e Margarete Schütte-Lihotzky. Si può pensare che Entenza e Eames non ignorassero la ricerca sull’abitazione promossa negli anni Trenta dalla Triennale di Milano, studi e progetti supportati da riviste quali “Casabella” e “Domus, che contemplavano nuove tecnologie e il mettere insieme industria e arte: temi sfociati anche nelle accattivanti “Case-Studio per artisti”.

In una America ferita dalla depressione Entenza pare interessato sì a case non costose, ma soprattutto moderne. Diciamo più intrigato dallo spirito modernista che quello socialista. E comunque per dirla alla Frampton “per persone eccezionali, in termini di cultura e di fiducia in sé stessi.

Sul numero di “Arts & Architecture”, gennaio 1945 Entenza bandisce Case Study House, una sorta di sperimentazione dell’abitare la modernità, case-tipo indirizzate alla middle class americana. Il programma prevedeva 8 case e invitava 8 gruppi di architetti a progettare una “macchina per abitare” le cui questioni del comporre sarebbero state dettate dagli interessi della famiglia che l’avrebbe abitata, dal sito (da costruirsi nell’area metropolitana di Los Angeles), dall’obbligo di impiego di tecnologie e prodotti sviluppati in tempo di guerra e, non ultimo, visitabili una volta completate. Annota Frampton che:

[...] sulla costa occidentale il Movimento Moderno fiorì durante gli anni Trenta e Quaranta, in particolare nelle case progettate e realizzate grazie al sostegno del programma Case Study House (Frampton 2002, 2).

È a Pacific Palisades, nel canyon di Santa Monica, l’area scelta da Entenza e dagli Eames, cinque acri acquistati per conto della rivista, di cui tre riservati alle loro case (Houses 8 e 9) e due per le case di Richard Neutra e Rodney Walker. È un sito incontaminato, disteso su una scogliera a cinquanta metri dal livello del mare: una vista mozzafiato dell’immenso oceano Pacifico. Si parla di rilievi, scatti fotografici, e sopralluoghi con gli amici: a un perplesso Herman Miller (presidente della Miller Furniture Company) in visita all’area, Charles confida che:

[...] voleva trascorrere parte della sua vita vicino a un grande specchio d’acqua, in parte accanto a una grande montagna e in parte vicino a un grande deserto… che il silenzio di queste grandi identità avrebbero portato integrità alla sua etica zen, alla sua vita in cui il lavoro era totalizzante (Neuhart, Neuhart 1994).

Arts & Architecture”, dicembre 1945, il numero dedica più pagine al progetto delle Houses 8 e 9 presentato da Eames e Eero Saarinen: in un divertente schizzo le silhouette di Charles e Ray sono accerchiate dagli oggetti indispensabili al loro mestiere, accompagnati da note quali: “per una coppia sposata entrambi impegnati professionalmente in esperimenti meccanici e presentazione grafichementre la silhouette di Entenza è attorniata di libri, proiettore…

In questa casa le attività di natura più generale da condividere con più persone e più cose [...] Case per persone di diverse occupazioni ma con gli stessi interessi.

Planimetrie, vedute prospettiche, pianta delle due case e lo schema della struttura costruttiva rendono chiara l’idea del progetto. La House 9 è una scatola su base quadrata aperta verso l’oceano e sarà abitata dal direttore della rivista. La House 8, quella degli Eames, è un parallelepipedo vetrato su palafitte dove colonne in acciaio superano l’orografia della collina. La Bridge House (richiama alla memoria alcuni schizzi di Le Corbusier) è uno schema a L che sull’altura individua una sorta di quota zero: l’ingresso della casa e ortogonale ma staccato, lo studio.

Sfogliando i numeri della rivista “Arts & Architecture” colpisce il silenzio tra la prima idea della casa e quella realizzata. È lecito immaginare che gli Eames, ormai designers di successo, siano stati impegnati a controllare la realizzazione delle loro geniali idee, a tradurre la loro ricerca in splendide forme organiche. Se confrontiamo la sedia premiata al Moma alle nuove linee è facile pensare che l’apporto di Ray non sia stato secondario; quanto, ad esempio La Chaise, icona del design organico, deve all’arte? La bianca seduta in vetroresina (presentata nel 1948 al Moma, non premiata perché molto costosa) è una sorta di ventre di donna svuotato, ispirata alla scultura Floating Figure di Gaston Lachaise. E sospese tra arte e tecnica sono le geometrie in esile acciaio, chiamate Eiffel, che supportano le scocche delle famosissime poltroncine.

Vediamo anche l’instancabile coppia alle prese con The Toy e coinvolta da Alexander Girard per il quale disegnano la Fonda, una sedia in fibra di vetro il cui schienale non doveva superare l’altezza dei tavoli di La fonda del Sol: il celebre ristorante di Manhattan, frequentato dal jet-set newyorkese (Andy Wharol in primis). Girard è un famoso arredatore, un eclettico cosmopolita, disegna tessuti e tappeti che ama mischiare con quelli etnici: ammalierà Ray quel sapere accostare arte popolare e design, oggetti d’altri tempi e forme astratte. Un sapere che verrà declinato in alcune installazioni e nella loro casa (di questi oggetti molti sono stati raccatati durante il viaggio in Italia con l’amico Girard).

Gli infaticabili Ray e Charles li troviamo come fotografi sul set dell’amico regista Billy Wilder, i loro scatti disvelano il dietro le quinte, il lato più tecnico delle riprese cinematografiche. In primo piano macchinari, stabilizzatori, e carrelli e gimbal dolly per ogni tipo di movimento. Tralicci e scale si stagliano sull’azzurro del cielo. Immortalata l’ingegneria delle cantinelle, la struttura usata dagli scenografi su cui fissare facciate di cartapesta di un improbabile luogo. Sono immagini in cui si fondono arte, tecnica e poesia. “c’è architettura, composizione e luce: delle vere opere d’arte” racconta Alexandra Midal, la curatrice che selezionò 240 immagini dalla Library of Congress di Washington per la mostra Eames e Hollywood inaugurata a Bruxelles, nel 2016 (De Conti 2016).

La geniale coppia, dopo quattro anni, presenta per la loro casa, un nuovo progetto pubblicato in “Arts & Architecture”, febbraio 1949 (pare che il responsabile dell’ufficio tecnico rispose a Ray che lo ringraziava per l’approvazione “well, we didn’t approve a house, we decided it isn’t a house. We don’know what it is(Neuhart, Neuhart 1994, 56), nelle pagine a loro dedicate incuriosisce l’accattivante schizzo (in china nera?) che rappresenta l’intera area a volo d’uccello: fitte curve di livello narrano di una altitudine in fregio al mare, due grossi tratti, grumi neri, anticipano il nuovo schema lineare della Casa-Studio alle pendici della collina. Filari di alberi si sovrappongono a proteggere e a occultare l’architettura. Le piante e i prospetti della seconda versione della casa vengono pubblicati in “Arts & Architecture”, maggio 1949 in cui si legge “designed by Charles Eames”, mentre è cancellato il nome di Saarinen, appare Kenneth Acker come Consulting Architect (Charles Eames non poteva firmare?). Una sezione trasversale evidenzia il rapporto dell’edificio con la collina, la pianta è libera da ogni impedimento strutturale e i prospetti definitivi palesano il comporre pannelli e vetrate. Accattivanti sono le foto di cantiere che immortalano un paesaggio dove la natura sembra prendere il dominio, una splendida moderna rovina, (per citare Le Corbusier) dove lo scheletro in acciaio è divorato dagli eucalipti.

Ancora uno scatto: in piedi sull’esile struttura, la coppia sorride a chi li fotografa. 

In “Arts &Architecture” dicembre 1949 viene annunciato il completamento dei lavori. Un lunghissimo muro è il primo atto di fondazione della Eames House: un muro in cemento armato largo circa ventitré centimetri, la cui altezza di due metri mezzo detta il disegno orizzontale della struttura. Al muro che contiene la collina si accostano due parallelepipedi: la casa di circa 140 metri quadrati (otto moduli di cui uno rimarrà un vuoto d’ombra destinano alla loggia), una assenza di quattro moduli segna la misura del cortile e cinque moduli racchiudono lo studio di circa 93 metri quadrati. Geometrie essenziali dettano il ritmo del modulo, circa 2,90 per 6 metri di altezza. Esili pilastri in acciaio (tipo H, 4 pollici) sono imbullonati a travi reticolari poste e a contenere i solai dei soppalchi e il pacchetto di copertura. Il muro continua e si piega alla morfologia della terra; lì una tenda per un improbabile garage.

Per Charles la conoscenza dello Steel Framing risale a quando giovanissimo, per pagarsi gli studi, lavorava presso le acciaierie; la struttura è una sintassi metallica su cui sarebbero stati applicati vetri e pannelli in stucco. Una facciata ab-soluta, spesso additata alla Mondrian, in realtà è una scena teatrale violata da studiatissime trasparenze che incorniciano il mare o la collina o i tronchi d’albero sopravvissuti come sculture. Si può immaginare che Ray, l’artista, non sia stata una figura secondaria nella costruzione di questo brano scenografico: un comporre che ricorda le opere (ad esempio The Gate) del suo mentore Hans Hofmann.

I pannelli di stucco della casa degli Eames (blu, nero, argento, grigio e bianco, legno con foglia d’oro e mogano, amaranto, terra, e rari i pannelli rossi) si alternano a grandi superfici vetrate che inquadrano il cielo e gli eucalipti. All’interno: la sequenza orizzontale di vetri opacizzati, memoria dei pannelli scorrevoli giapponesi, il legno di betulla che copre la parete addossata alla collina e i pannelli in stucco rivestiti di tela grigia donano allo spazio una sensuale raffinatezza di sapore orientale. Un sapore che sembra accettare la nudità delle sottili capriate a supporto della copertura.

Una atmosfera rarefatta abita il soggiorno a doppia altezza, la parete tutta vetrata si affaccia sulla stretta e alta loggia che guarda il mare. È un vedere e farsi vedere: dalla loro camera si guarda nel soggiorno e verso la collina, nascosti dai pannelli il bagno e lo spogliatoio. Il pranzo e la cucina si trovano sotto la zona notte. Una enfilade di aperture attraversa gli spazi dell’abitare, supera il cortile e lo studio dove si ripetono le gerarchie della casa: a doppia altezza il luogo del lavoro riceve luce da alte finestre, mentre sopra l’area di servizio che contempla la camera oscura, una scala elicoidale raggiunge la zona ospiti. È un filare di eucalipti, parallelo alla facciata assolata, a ricoprire il ruolo di un brise soleil. Le prime foto d’interno comunicano uno spazio essenziale, decorato da luce e ombra e dalla loro Lounge Chair. Uno scatto accattivante per gli effetti della doppia esposizione - tecnica fotografica conosciuta dalla coppia - annulla la distinzione tra lo spazio interno ed esterno.

Gli scatti degli anni successivi documentano un poetico abitare tra tecnica e artigianato. Oltre l’aggiunta di ciò che era necessario, come la libreria addossata all’alta parete rivestita in legno, lo spazio è sempre più abitato dall’anima, da oggetti testimoni dei tanti viaggi: teli colorati coprono i divani posti nella nicchia, poltrone orientali in legno con una bassissima e non comoda seduta si accostano alla Lounge Chair. Coprono il bianco pavimento in gomma i tanti tappeti e piante nei vasi di coccio. Lo studio dopo alcuni anni (1957) sarà trasferito per ragione di spazio in città, nella contrada di Venice. E Charles sarà immortalato sotto l’alta finestra che illuminava il tavolo di lavoro nel mezzo di una curiosa installazione di cubi. La loggia, alta e stretta è sempre popolata di amici (per lo più imprenditori nel settore design) e di bimbi che giocano con le loro invenzioni.

Nel film House After Five Years of Living, by Charles and Ray Eames 1955, (musiche di Elmer Berstein), linee in sequenza raccontano la struttura della casa e il suo mascheramento. Nessuna cinepresa o macchina a mano (alla maniera di un Pier Paolo Pasolini) attraversa lo spazio. Il film si compone per slide. La casa narrata per astratti frammenti, la vista del mare attraverso gli alberi. Schegge della facciata: vetri e cemento su cui si stagliano intriganti immagini; rigorose geometrie incorniciano le morbide tende accanto le linee dei serramenti. Un dentro e un fuori, annientati i confini grazie agli effetti della doppia esposizione. Il tutto pare sospeso tra natura e arte, tra luce e ombre. Immagini astratte si alternano a immagini iperrealistiche di vasi di vetro, di candelabri, di strani animali, di vasi in coccio con i fiori tanto amati da Ray, a disvelare il suo animo in simbiosi con la natura. Sono quadri, nature morte, oggetti etnici, oggetti primitivi disposti a terra per essere fotografati.

Nello studio un apparente caos: cineprese, pizze, negativi srotolati si confondono con gli strumenti del lavoro dell’architetto, il dettaglio della scala elicoidale e i prototipi delle loro ormai vendutissime sedie. LA CASA è un unicum, uno spazio autoreferenziale, un modello non ripetibile (non avrà infattii successo l’iterarsi degli stessi principi nel progetto per la casa dell’amico Billy Wilder). Scrive Entenza che la Eames house è un tentativo di affermare un’idea più che un modello architettonico codificato” (Neuhart, Neuhart 1994, 49), una IDEA che solo Ray e Charles potevano abitare.

Galleria

3 | Schizzo dell’area.

4 | Cantiere. Il muro di sostruzione della collina.

5 | Cantiere. Lo scheletro in acciaio divorato dagli eucalipti.

6 | Cantiere. Lo scheletro in acciaio divorato dagli eucalipti.

7 | Cantiere. Lo scheletro in acciaio divorato dagli eucalipti.

8 | Cantiere. Ray e Charles sullo scheletro in acciaio.

9 | La loggia verso il mare.

10 | Gli eucalipti come brise soleil.

11 | Geometrie della facciata.

12 | Il soggiorno a doppia altezza.

13 | Le capriate della copertura.

14 – 15 | Rigorose geometrie:trasparenza e opacità nella camera da letto.

16 | Annullato il confine tra il dentro e il fuori.

17 | L’affaccio della camera sul soggiorno, l’enfilade di aperture che attraversa gli spazi.

18 | Dopo il trasloco dello studio.

19 | La casa Eames vista dalla casa Entenza.

Le immagini sono tratte dalla rivista “Arts&Architecture” (febbraio, maggio, dicembre del 1949) e dal volume: J. Shulman, E. A. T. Smith, Case Study Houses (The Complete CSH Program 1945–1966) [2002], a cura di P. Goessel, Köln 2021.

Riferimenti bibliografici
  • Arts & Architecture 1945a
    Announcing the “case study” house program, “Arts & Architecture” (January 1945).
  • Arts & Architecture 1945b
    Case study houses #8 and #9, “Arts & Architecture” (December 1945).
  • Arts & Architecture 1949a
    “Arts & Architecture” (February 1949).
  • Arts & Architecture 1949b
    “Arts & Architecture” (May 1949).
  • Arts & Architecture 1949c
    “Arts & Architecture” (December 1949).
  • De Conti 2016
    M. De Conti, Il cinema degli Eames, “Living Corriere”, marzo 2016 [consultato in marzo 2025].
  • Frampton 2002
    K. Frampton, Capolavori dellarchitettura americana. La casa del XX secolo, Milano 2002.
  • Koenig 2015
    G. Koenig, Eames, Köln 2015.
  • McCoy 1962
    E. McCoy, Modern California Houses: Case Study Houses 1945–1962, New York 1962.
  • Neuhart, Neuhart 1994
    M. Neuhart, J. Neuhart, Eames House, Berlin 1994.
  • Shulman, Smith [2002] 2021
    J. Shulman, E. A. T. Smith, Case Study Houses (The Complete CSH Program 1945–1966) [2002], a cura di P. Goessel, Köln 2021.
  • Steele 1994
    J. Steele, Eames House: Charles and Ray Eames, London 1994. 
Sitografia:
English abstract

Charles and Ray Eames shape their home-studio within the context of the Case Study Houses program, merging architecture, design, and cinematic language into a unique and unrepeatable work. Located in Pacific Palisades, the Eames House takes form as an “inhabited scene,” where the steel and glass structure enters into dialogue with the landscape and becomes a frame for a continuous visual narrative. Their experience in photography and cinema—Ray as a set designer, Charles as an image experimenter—deeply influences the spatial conception: light, transparency, and framing construct an architectural narration made of sequences, fades, and double exposures. The house is both a cinematic set and a place of representation, where each object becomes part of a silent direction. The interiors, fluid and layered, reflect both Eastern and modernist aesthetics, while the glassed loggia becomes a theatrical backdrop framing the ocean. In the film House After Five Years, the Eameses present the home through visual fragments, evoking a suspended time between art and nature. Living thus becomes an artistic gesture, a performative act and poetic construction, where the camera does not observe from outside but participates in the life of the house. The work stands as a synthesis of a design philosophy that transcends architecture to embrace narrative, imagination, and the visual culture of the 20th century.

keywords | Eames House; Case Study Houses; California modernism.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Maria Grazia Eccheli, Abitare la messa in scena. Eames, Entenza e la Eames House, “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025.