“L’abitazione del nostro tempo non esiste ancora”
Lilly Reich e Ludwig Mies van der Rohe (1927-1931)
Giulia Conti
English abstract
W. Lotz, Kritik der Bauausstellung, “Die Form” 6/1 (gennaio 1931), copertina e pp. 214-215. Heidelberger historische Bestände.
È il 1931 quando a Berlino, negli spazi della Halle II tra le Ausstellungshallen am Kaiserdamm, viene inaugurata la mostra del Deutscher Werkbund Die Wohnung unserer Zeit (9 maggio – 2 agosto 1931), con l’obiettivo di individuare modalità e soluzioni architettoniche che avrebbero contribuito a definire ‘L’abitazione del nostro tempo’.
Le intenzioni della mostra, così come nelle parole di Mies van der Rohe riportate da Wilhelm Lotz nel numero di gennaio della rivista Die Form (Lotz 1931, 241), sono chiare: “L’alloggio del nostro tempo non esiste ancora. Invece le mutate condizioni di vita esigono la sua realizzazione. La premessa di questa realizzazione è l’individuazione chiara delle reali esigenze abitative. Questo sarà uno dei principali compiti dell’esposizione” (Mies van der Rohe [in Lotz 1931] 2010, 72). Alla nomina di Mies van der Rohe a direttore artistico per l’esposizione, si affiancava tuttavia la presenza di Lilly Reich nel palinsesto di esperti invitati (Günther 1988, 25), la cui ricerca nel campo allestitivo confermava da tempo come “più di una coincidenza che il suo [riferito a Mies] interessamento verso l’arredamento e il progetto di allestimento fosse iniziato nello stesso anno [il 1926-27] in cui era iniziata anche la sua relazione personale con Lilly Reich” (Glaeser 1977, 10).
È infatti a partire dal 1926, anno in cui Lilly Reich cura il progetto di allestimento e l’organizzazione generale della mostra Von der Faser zum Gewebe (Dalla fibra al tessuto) organizzata per la Fiera di Francoforte, e dove per la prima volta, sulla scia dell’esperienza maturata nel campo della vetrinistica e all’interno della direzione del Deutscher Werkbund, sceglie “il materiale e il processo come ragione architettonica del proprio allestimento, […] archetipo per tutte le sue mostre future” (McQuaid 1996, 21), che i due progettisti iniziano a condividere le loro ricerche indipendenti, concluse infine nel 1938 con la partenza di Mies van der Rohe per gli Stati Uniti. Sarà proprio negli anni immediatamente successivi, attraverso la ‘prova’ condivisa di ricerche indipendente nei progetti di allestimento del 1927 per Stoccarda e, ancora una volta, Berlino, che i rinnovati esiti della compartecipata sperimentazione architettonica daranno avvio a un intenso intervallo temporale entro cui rintracciare riflessioni e tentativi costruiti condivisi, ad anticipare l’immediato precipitato dei successivi anni Trenta.
Die Wohnung. Stoccarda, 23 luglio – 9 ottobre 1927
Glasraum in der Gewerbehalle auf der Werkbundausstellung “Die Wohnung” Stuttgart 1927, “Die Form” 3/4 (aprile 1928), copertina e pp. 114/117. Heidelberger historische Bestände.
L’occasione allestitiva berlinese scandiva quindi temporalmente un intervallo di quattro anni dalle tematiche che lo stesso Werkbund, sotto la guida della più recente elezione di Mies van der Rohe a vicepresidente, aveva proposto di indagare in chiave espositiva nell’edizione della mostra Die Wohnung del 1927 a Stoccarda (23 luglio – 9 ottobre 1927). Rispondendo al quesito “Wie Wohnen?” (“Come vivremo?”), e al di là del più noto insediamento del Weissenhofsiedlung (Mies van der Rohe 1912), l’occasione degli ultimi anni Venti aveva rappresentato un momento significativo per la sperimentazione architettonico-allestitiva del tempo come un “anno di grande consapevolezza” (Mies van der Rohe [1959] 2010, 184) che gli architetti chiamati a partecipare avevano avuto modo di maturare allora come nell’immediato seguito: per Mies van der Rohe il definitivo avvicinamento al progetto dell’effimero e dell’allestimento, con il disegno del Linoleumaraum (Sala del linoleum) e del Glasraum (Sala del vetro) all’interno della Gewerbehalle nel centro di Stoccarda, per Reich la prima occasione fino ad allora entro cui riflettere direttamente sull’architettura e il progetto costruito, nella definizione, come unica progettista tra gli architetti invitati, degli interni dell’appartamento al piano primo del blocco abitativo progettato da Mies van der Rohe per l’insediamento del Weissenhofsiedlung sulla collina di Killesberg.
Pur nell’affidamento a Lilly Reich dell’organizzazione e allestimento della selezione principale di prodotti legati alla produzione industriale tedesca all’interno dell’ampio spazio della Halle I nella Gewerbehalle, è nel progetto della costellazione di spazi a questa satelliti, condotto dalla stessa nello scambio con Mies van der Rohe, che si possono rintracciare quelle evidenze eloquenti per una ricerca condivisa di risposta alle rinnovate condizioni per costruire lo spazio, sia questo per allestire o per abitare.
La Halle V, il Linoleumraum, riservata al linoleum prodotto dalla Deutsche-Werke A-G, occupava una tra le sale minori dell’edificio principale. Privo di qualsiasi addizione architettonica, lo spazio venne allestito con le stesse porzioni di materiale contestualmente esposto, in pianta e in alzato: con l’obiettivo di mostrare le diversificazioni che il linoleum era in grado di assumere nella produzione e nelle modalità d’impiego all’interno di un possibile spazio abitativo, lo stesso piano di calpestio venne rivestito nel medesimo materiale scongiurandone soluzioni di continuità, a dimostrare come il prodotto e la sua ricaduta applicativa non fossero solo ‘portati in mostra’ ma partecipassero all’effettiva costruzione dello spazio. Similmente, il Glasraum o la Halle IV progettata su commissione della Verein Deutscher Spiegelglastfabriken, che “Mies disegnò con Lilly Reich, […] esplorava il potenziale di un nuovo materiale per realizzare un nuovo tipo di edificio con un rinnovato paradigma formale e strutturale. […] La Sala del vetro dimostrava il potenziale non solo delle lastre di vetro ma dell’architettura del vetro in quanto tale. Disposta come una serie di ambienti vagamente domestici esperiti lungo una sequenza complessa, aveva pareti coincidenti con lastre di vetro autoportanti: chiaro, acidato, grigio e verde. […] Allo stesso tempo questi materiali erano essi stessi di una profondità e di una matericità così minime da essere quasi pure superfici, astrazioni” (Mertins 2001, 128).
La sala, che a partire dagli elaborati di progetto avrebbe avuto dimensioni complessive pari a 12,50m x 16,70m, ospitava un vestibolo di ingresso, il soggiorno, la sala da pranzo e lo studio. Confermando alcune delle soluzioni progettuali adottate per la sala precedente, la definizione di ciascuno spazio veniva affidata alle partizioni leggere vetrate e secondo una logica compositiva che operava per slittamenti perpendicolari e paralleli rispetto al perimetro precostituito, ai quali il rivestimento in linoleum del pavimento rispondeva attraverso una caratterizzazione materica e cromatica in pianta. Seppur il movimento all’interno dello spazio del Glasraum rispondesse a una percorrenza unidirezionale, le variazioni ritmiche, definite a partire dallo slittamento delle superfici verticali e nell’abbandono di uno schema in pianta che rintracciasse simmetrie bilateriali, contribuivano a scandire le velocità di percorrenza all’interno dello spazio, anticipando le soluzioni adottate per il progetto immediatamente successivo agli esiti di Stoccarda, e in particolare rispetto alla compiuta traduzione della spazialità accennata in una sua tangibile ricaduta costruita quale sarà il Padiglione tedesco a Barcellona (1929).
Die Mode der Dame. Berlino, 21 settembre – 16 ottobre 1927
Mies van der Rohe, “Cahiers d’Art. Bulletin mensuel d'actualité artistique” 1 (1928), copertina e pp. 35/38. Bibliothèque nationale de France.
In seguito alla ricezione della mostra Die Wohnung, è la Verein Deutscher Seidenweberein A-G ad affidare a Ludwig Mies van der Rohe e Lilly Reich il progetto di un allestimento per la fiera Die Mode der Dame (La moda della donna) a Berlino (21 settembre – 16 ottobre 1927). Con grande probabilità, nonostante il consolidato riconoscimento internazionale nel panorama allestitivo raggiunto, la commissione per il Cafè Samt und Seide (Caffè di velluto e seta) venne promossa da Hermann Lange e Josef Esters, amministratori delegati dell’azienda tessile Verseidag A-G di Krefel per i quali Mies van der Rohe stava infatti completando i progetti per le rispettive case Lange ed Esters (Lange 2011, 71). Progettato attraverso il disegno di “pareti di fondo rivestite in seta, bilanciate cromaticamente, lineari e con curvature, che definiscono varie stanze più piccole e più grandi che si compenetrano l’una nell’altra, [il progetto per il Cafè Samt und Seide] permetteva al visitatore di apprezzare con calma le pareti laterali che costituiscono supporti espositivi” (AA.VV. 1928, 317). Occupando lo spazio più ampio all’interno della Haus der Deutschen Funkindustrie, la pianta del Cafè era composta da superfici tessili colorate in velluto e seta, sospese attraverso tubi d’acciaio verso il pavimento da diverse altezze su una superficie complessiva di circa 17,50x17,50 m. Due tra queste terminavano con una curvatura a semicerchio – similmente al segno semicircolare adottato in seguito a Brno e Barcellona, oltre al segno sinuoso adottato per il progetto della casa per Ulrich Lange (1937) –, gli altri scandivano il ritmo in senso longitudinale e trasversale in direzione parallela e perpendicolare tra loro.
Mies van der Rohes Reichspavillon in Barcelona, “Die Form” 16/4 (1929), copertina e pp. 423/429. Heidelberger historische Bestände.
Intese come una consapevole discesa verso l’affinamento della logica compositiva adottata solo qualche mese prima a Stoccarda, le partizioni atettoniche tessili apparivano come superfici smaterializzate, la cui eterogeneità materica limitata all’impiego di soli due materiali, il velluto e la seta, dialogava efficacemente con i gradi di trasparenza e luminosità, nonché con le tonalità suggerite: arancione, rosso e nero per i velluti pesanti e meno brillanti, grigio-argento, oro, nero e giallo-limone per le sete (Johnson 1947, 50).
La sperimentazione allestitiva di Berlino costituì un momento significativo all’interno del panorama espositivo contemporaneo: negli anni successivi, Mies van der Rohe e Reich approfondiranno la riflessione compositiva promossa fino a questo punto, declinando tuttavia spesso le partizioni atettoniche in traduzioni verso materiali più solidi rispetto al tessuto. Risulta difficile non riconoscere in Lilly Reich il primo significativo esito architettonico di una riflessione sul tessile perseguita ormai da circa trent’anni e appare chiaro che il suo contributo progettuale abbia inevitabilmente acquisito un peso primario in relazione alla conoscenza e modalità d’impiego del materiale stesso.
Sono quindi i progetti per l’Esposizione Internazionale di Barcellona del 1929, il Seidenraum (Sala della seta) e il più noto Padiglione tedesco, a coincidere con le successive sperimentazioni progettuali condivise in cui lo strumento tessile precipita in rinnovati esiti allestitivi costruiti. È infine il progetto per Villa Tugendhat a Brno, terminata nel 1930, a consolidare lo scambio progettuale tra Lilly Reich e Mies van der Rohe per il progetto d’architettura, nel dialogo sincronico che le partizioni tessili di definizione dello spazio interno, in corrispondenza del soggiorno, costruiscono con il manufatto architettonico “contenente”. Le stesse recuperano la logica compositiva che la stessa Reich aveva adottato qualche anno prima a Stoccarda nella costruzione dello spazio domestico per un appartamento, al primo piano, del sistema abitativo progettato da Mies van der Rohe per l’insediamento del Weissenhofsiedlung. Nel caso della Villa Tugendhat tuttavia gli schermi tessili non sono utilizzati nelle camere da letto o negli spogliatoi, ma nelle aree più pubbliche dell’abitare. A Brno il tendaggio non chiude per escludere l’intimità: costruisce uno spazio interno a un interno già definito, recuperando la metafora della “tenda” che da un lato, nella lettura di Marianne Eggler, collima con una possibile risemantizzazione moderna dell’operato di Karl-Friedrich Schinkel, a sua volta dedotto dalle esperienze architettoniche militari di Charles Percier and Pierre-Frarnçois-Léonard Fontaine (Eggler 2009, 80-81), e dall’altro evoca la più nota reinterpretazione della ricerca teorica sull’arte tessile nella definizione del recinto come elemento “dell’arte del costruire” riportata in Der Stil da Gottfried Semper. È ancora nel 1928 che Mies van der Rohe interviene alla conferenza Voraussetzungen baukünstlerischen Schaffens (Prerequisiti per il lavoro di architetto) di Berlino esplorando il tema dell’edificio “pelle e ossa” e riferendosi al riparo primitivo indiano ed eschimese (Neumeyer 1991, 117-118) eleggendoli a manufatti architettonici in grado di rispondere “in tutto e per tutto alle esigenze degli abitanti. Questo è tutto ciò che chiediamo per noi stessi. Solo i mezzi che sono del nostro tempo” (Neumeyer 1991, 117-118).
Piante del progetto di Ludwig Mies van der Rohe per il sistema abitativo al Weissenhofsiedlung (Stoccarda, 1927). Lo spazio interno dell’appartamento contrassegnato dal numero “8” viene progettato da Lilly Reich. Lo spogliatoio, sul lato ovest dell’appartamento, è definito dal vano adiacente attraverso una partizione tessile.
Die Wohnung unserer Zeit. Berlino, 9 maggio – 2 agosto 1931
W. Lotz, Die Halle II auf der Bauausstellung, “Die Form” 6/1 (gennaio 1931), copertina e pp. 242/245. Heidelberger historische Bestände.
Recuperando procedure e meccanismi adottati a Stoccarda e Berlino, nonché rintracciabili nei successivi progetti di Barcellona e Brno, il progetto di allestimento della Halle II per l’edizione Die Wohnung unserer Zeit (L’abitazione del nostro tempo) immaginava gli esiti della produzione industriale tedesca e le sperimentazioni architettoniche su due livelli all’interno della Halle II: al primo piano, in corrispondenza della balconata perimetrale, era stato progettato l’allestimento per i settori dedicati ai prodotti dell’industria manifatturiera tedesca, suddivisi in dieci sezioni che raccoglievano tessuti, vernici, tappezzerie, tappeti, carte da parati, legni, marmi, vetri, mobili e orologi; al piano terra, le sperimentazioni costruite che i progettisti invitati a contribuire – tra questi Walter Gropius, Hans e Wassili Luckhardt, Marcel Breuer, Ludwig Hilberseimer, gli stessi Ludwig Mies van der Rohe e Lilly Reich – avevano saputo tradurre in prototipi di abitazioni o progetti di interni in scala reale, occupavano l’intera superficie.
Planimetria dell’allestimento, al piano terra sulla sinistra, al primo piano della balconata sulla destra, per la mostra Die Wohnung unserer Zeit di Berlino (1931).
Lilly Reich, occupandosi del più esteso incarico ricevuto fino ad allora, si dedicò personalmente a cinque progetti all’interno del più ampio allestimento e cura della mostra: il disegno della Materialienschau (mostra dei materiali) in corrispondenza del piano superiore dell’edificio e dell’allestimento per gli arredamenti prodotti dalla ditta Wertheim – una costellazione di oggetti che compartecipano alla composizione dell’interstizio del corridoio tra la balconata e il perimetro del piano superiore –, il progetto di una coppia di appartamenti, rispettivamente di trentacinque e cinquantatré metri quadri, all’interno del blocco abitativo progettato da Christian Hacker, Max Wiederanders, Robert Vorhölzer e Walther Schmidt, – all’interno dei quali progetterà un appartamento anche Josef Albers – e della “Casa al piano terra” (Erdgeschoßhauses).
È proprio quest’ultimo progetto a rappresentare un significativo esito costruito all’interno della riflessione architettonica della sua progettista, indipendente e in concerto con Mies van der Rohe. È ancora questo progetto a essere tuttavia spesso rappresentato, sin dalle prime pubblicazioni del Werkbund, come un intervento autonomo, indipendente rispetto a un disegno planimetrico che diversamente restituisce il dialogo con il più prossimo modello della “Casa per una coppia senza figli” di Mies van der Rohe. Un segno lineare, corrispondente a un elemento atettonico che interroga la soglia tra interno ed esterno dei due progetti, esplicita desideri e limiti, intenzioni riconosciute o distrattamente ignorate, della collaborazione tra i due progettisti. È nella tensione innescata a partire dallo slittamento, in corrispondenza di un oggetto in grado di concentrare quella densità spaziale che Paul Rudolph rintracciava nelle partizioni che scandiscono lo spazio del Padiglione tedesco a Barcellona (Rudolph 2003), che si consolida il precipitato delle riflessioni spaziali scambiate da Reich e Mies van der Rohe fino ad allora.
Planimetria del progetto per la “Casa per una coppia senza figli” di Ludwig Mies van der Rohe e per la “Casa al piano terra” di Lilly Reich alla mostra Die Wohnung unserer Zeit di Berlino (1931).
Il progetto dei due volumi funziona come unicum all’interno del quale riconoscere gli esiti costruiti delle indipendenti ricerche condotte dai due progettisti fino ad allora e la loro “preferenza per una composizione bilanciata” (Riley, Bergdoll 2001, 343). Le due sperimentazioni abitative, progettate come possibili abitazioni personali, indipendenti e comunicanti (Lizondo-Sevilla, Domingo-Calabuig 2025, 93), rintracciano uno spazio condiviso in corrispondenza della corte esterna delimitata da una partizione ribassata rispetto alla copertura dell’intervento di Mies van der Rohe, e senza ruolo strutturale, che si protende dal soggiorno dell’abitazione verso quello del progetto di Reich, o viceversa. Le soluzioni compositive adottate nel disegno della planimetria sono scandite dal ritmo degli slittamenti perpendicolari e paralleli delle partizioni leggere, in grado di definire gli spazi di soggiorno, camere da letto e servizi al di sotto della copertura appoggiata su pilastri a sezione circolare, e secondo i movimenti consentiti rispetto a una griglia modulare di circa 1,15m x 1,15 per una superficie complessiva in pianta, al di sotto del solaio superiore, vicina ai 48,30m x 23,00. È lo stesso modulo, esteso lungo quella partizione di quasi 36,00m che diversamente per l’abitazione di Reich collima con l’estradosso della copertura, a dimensionare in pianta anche lo spazio dell’abitazione a questo prospiciente. Laddove le partizioni atettoniche di Mies van der Rohe scandiscono gli spazi nella definizione di una complessiva superficie planimetrica indivisa, centrifughe nel costruire anche il sistema esterno, nella pianta della “Casa al piano terra” le stesse spazializzano l’interno secondo una direzione e un moto di percorrenza interna tuttavia ancora troppo vincolati al suo rigido perimetro.
Due volumi, dalle dimensioni di 20,70m x 9,20 e 9,20m x 11,50 si intersecano tra loro, senza apparente variazione altimetrica, disattendendo le potenzialità compositive della ‘giunzione’ angolare attraverso il disegno di un vuoto: un sistema di corridoi che conduce contemporaneamente, senza gerarchie spaziali, alle stanze da letto, al soggiorno e alla cucina. Un unico setto dal disegno a ‘L’ posizionato in corrispondenza dell’asse mediano del volume maggiore scandisce – seppur definendo forse in maniera ancora troppo rigida due luoghi eguali nel peso spaziale – il movimento attraverso gli spazi che si susseguono in sequenza. È proprio in corrispondenza della soglia che anticipa al dispiegarsi dei lunghi corridoi che viene disegnata una coppia di tendaggi di colore scuro – gli stessi condivisi con il progetto di Mies van der Rohe – appesi a un profilo tubolare su cui liberamente slittano, dialogando a distanza con le superfici tessili intessute da Alen Müller come già accadeva per l’appartamento progettato dalla stessa Reich all’interno del blocco abitativo di Mies van der Rohe a Stoccarda.
Per quanto sia indubbio che gli esiti architettonici del progetto di Lilly Reich non suggeriscano ancora il consapevole esercizio e la misurata applicazione di una riflessione compositiva tradotta a fini progettuali rispetto al manufatto costruito a poca distanza, il parere della critica dell’epoca ne aveva tuttavia già individuato le potenzialità espressive in fatto di costruzione. Se infatti “con Mies van der Rohe lo spazio diventa un lusso […] Il pensiero dei possibili costi di costruzione fa palpitare il cuore […] Nell’appartamento di Lilly Reich si riconoscono le stesse intenzioni e gli stessi effetti su una scala più modesta, ma qui gli ambienti sono ancora più definitivi e più saldamente delineati” (Völckers 1931, 270). L’apparente carattere dei progetti di Reich, “allegro senza clamore, accogliente senza false comodità” (Günther 1988, 44) riconfermava tuttavia le intenzioni manifestate dalla progettista sin dal suo primo progetto architettonico realizzato in occasione della mostra Die Frau in Haus und Beruf (La donna a casa e al lavoro) nel 1912: per l’“Appartamento per lavoratore” (Arbeiterwohnung) il disegno degli interni era tale che “il colore e il tipo di mobili erano volontariamente gli stessi in modo che, qualora diminuiscano le dimensioni delle stanze, i mobili possano essere posizionati uno sotto l’altro”, e l’intero progetto era stato guidato dalla “semplicità, dall’economia e dalla praticità” (Reich 1912, 102).
Nelle generale critica da parte del pubblico rispetto all’immagine decisamente lontana dalle direzioni di ricerca verso un tipo di alloggio proletario rappresentata dalle due abitazioni (Lotz 1931), e nel condividere la posizione di Wilhelm Lotz secondo cui il progetto di Reich e di Mies van der Rohe si configurasse tuttavia come una sperimentazione duplice intorno al ruolo dell’architetto e al nuovo carattere dello spazio dell’abitare in quanto tale, i progetti riflettevano “i vincoli economici e le condizioni costruttive contingenti [lasciando emergere] la tensione tra realtà economica e la figura dell'architetto, che tenta di rappresentare le esigenze umane su basi reali, […] e in cui l’essere umano diventa misura dello spazio” (Ivi, 247). È nell’introversione del progetto di Reich, nella sua scala, e nel pragmatismo di un atteggiamento progettuale in grado di ‘pesare’, per la ricaduta costruita, ricerca teorica ed esito pratico, che si può quindi ricercare la misura per dimensionare il suo contributo, non solo a Berlino, nella ricerca del suo più noto collaboratore.
È nella necessità di recuperare le originarie intenzioni progettuali, nella lettura delle convergenti indicazioni dimensionali e nella comprensione di una condivisa, e tuttavia indipendente, traduzione spaziale di un linguaggio architettonico maturato fino ad allora, e in continuo affinamento fino al termine della collaborazione tra i due progettisti, che la coppia di abitazioni presentata qui a Berlino appare infine come occasione emblematica – e problematica nella sua ricezione pubblica come progetti indipendenti – all’interno del complessivo scenario entro cui Ludwig Mies van der Rohe e Lilly Reich operano in concerto per più di dieci anni. Gli esiti eterogenei, in termini architettonici, ammettono e confermano tuttavia la consolidata emancipazione e il consapevole contributo di quest’ultima nei confronti del suo collaboratore maschile, nella comprensione fattuale delle dinamiche legate allo spazio domestico entro cui far “emergere le reali necessità della vita quotidiana e sradicare le false pretese del vivere” (Blomeier 1949, 107), nell’alveo di una comune ricerca, seppur inevitabilmente riconosciutale, allora come oggi, solo parzialmente.
L’indagine intorno alla definizione del carattere e alle rinnovate soluzioni spaziali che avrebbero definito “l’abitazione del tempo” continuerà, per i due progettisti, nell’oscillazione tra esiti architettonici costruiti – Casa Modlinger (1930-31), Casa Lemke (1934) e Casa Wolf (1934-35) –, sperimentazioni allestitive – la mostra Deutsches Volk-Deutsche Arbeit (1934-35) e la Reichsausstellung der deutschen Textil- und Bekleidungswirtschaft (1937) a Berlino, e la Exposition international des arts et techniques appliques a la vie moderne (1937) a Parigi –, e insegnamento, all’interno e all’esterno della scuola del Bauhaus, all’interno della quale Reich, su indicazione di Mies van der Rohe, rappresenterà la direzione del laboratorio di tessitura fino alla sua chiusura. Le vicende berlinesi suggeriscono gli interrogativi e confermano l’impossibilità di isolare le singole tracce all’interno di un progetto a quattro mani, sollevando un’ulteriore domanda a margine del progetto d’architettura: “Chi ha idea di come si troverà la strada verso una nuova forma?” (Reich 1922, 9).
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English abstract
The 1931 exhibition Die Wohnung unserer Zeit, held in Berlin under the artistic direction of Ludwig Mies van der Rohe, marked a pivotal moment in the discourse on modern dwelling. Central to this event was the significant yet often overlooked contribution of Lilly Reich, whose involvement extended from curatorial work to architectural experimentation. Between 1927 and 1931, the collaborative engagement between Reich and Mies van der Rohe developed through a sequence of exhibition projects – from Die Wohnung in Stuttgart to the Café Samt und Seide in Berlin – revealing an evolving spatial and material language. Projects such as the Glasraum and Linoleumraum demonstrate a shared interest in redefining architectural space through material continuity, transparency, and movement, while simultaneously highlighting Reich’s deep expertise in exhibition design and her autonomous design vocabulary. The 1931 Berlin exhibition culminated in the realisation of two adjacent dwelling prototypes: the “House at the Ground Floor”, attributed to Reich, and the “House for a childless Couple” by Mies van der Rohe. These constructions articulated a common spatial grammar based on modular grids, atectonic partitions, and the exploration of thresholds between interior and exterior, revealing both convergence and distinction in their design approaches. This intersection of collaborative and individual authorship challenges traditional architectural historiography, positioning Lilly Reich not as an auxiliary figure, but as a key contributor to the formulation of modern domestic space. Her work, grounded in decades of experience with fabrics, interiors, and exhibition settings, translates a coherent design language defined by spatial clarity, material economy, and an architectural intelligence developed across disciplinary contexts. The works from this period embody a complex and evolving dialogue that shaped the architectural response to the question: what is the dwelling of our time?
keywords | Mies van der Rohe; Lilly Reich; International Style; Stuttgart; Berlin.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Giulia Conti, “L’abitazione del nostro tempo non esiste ancora”. Lilly Reich e Ludwig Mies van der Rohe (1927-1931), “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025.
Per citare questo articolo / To cite this article: Giulia Conti, “L’abitazione del nostro tempo non esiste ancora”. Lilly Reich e Ludwig Mies van der Rohe (1927-1931), “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025, pp. xx-yy | PDF dell’articolo (con link quando è disponibile il PDF)