"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

L’interno della forma aperta

Oltre la casa-capanna di Zofia e Oskar Hansen a Szumin

Guido Morpurgo

English abstract

Il nostro lavoro era in realtà solo intuitivo all'inizio, ma da un certo punto in poi […] non abbiamo accettato nulla che non implementasse uno degli elementi della Forma Aperta.
[…] La nostra avventura con la Forma Aperta non è stata casuale. Spesso l'artista dice – come Nietzsche – “non vai da nessuna parte, vai verso di me”.
Io non stavo andando in quella direzione, avevo un'idea. E ho realizzato questa idea, a seconda della scala.
Oskar Hansen[1]

 

Oskar e Zofia Hansen nella cucina-pranzo dell’appartamento di Via Sędziowska a Varsavia (1950-55). Zofia and Oskar Hansen Archive. Courtesy of Igor Hansen.

I. Pour revenir aux sources, on devait aller en sens inverse[2]

Fluidità spaziale contro rigidezza geometrica, asimmetria vs. simmetria, incommensurabile vs. misurabile: è grazie alla tensione tra questi opposti che il piccolo edificio realizzato dal 1968 nella campagna di Szumin[3] da Oskar e Zofia Hansen solidifica la quintessenza del loro modo di intendere il significato e gli scopi dell’architettura e, con essi, di ridefinire la figura stessa dell’architetto entro un’idea di “umanesimo radicale” (Ockman 2014).

Problematicamente conteso tra interno ed esterno, il grande tetto in legno separato dal suolo da una sottile linea d’ombra protegge un volume abitabile dall’articolazione inattesa. Condensando i risultati di un’incessante ricerca sperimentale, la casa propone in termini critici il significato d’uso e i valori plastici, proporzionali e materici della forma dello spazio domestico, dei suoi confini e delle sue dimensioni.

Il progetto ‘in divenire’ elaborato dalla coppia di architetti polacchi per la loro chałupa si basa su una sorta di ‘griglia geometrica mobile’ soggetta a nuove codificazioni e sviluppi futuri, che assume il valore di concreta sintesi delle convinzioni e delle prerogative disciplinari da essi maturate a partire dal 1956 (Gola 2005). Con la casa di Szumin gli Hansen pongono in primo luogo una questione di fondo: come affrontare sul piano metodologico il rapporto tra architettura e temporalità, tra progetto come atto di sintesi risolto in sé stesso e l’indeterminatezza dei suoi possibili sviluppi futuri. Questo tema è proposto tramite una “Krytyka wobec modernizmu” (Zahorska 1926), un radicale riesame dell’eredità del Moderno all’interno di un’idea che pur affondando le proprie radici nel Novecento cerca di trasporle oltre il Novecento stesso, sia tramite il ricorso a un programma progettuale pensato come un “campo di possibilità” (Eco 1962, 8), sia grazie a una declinazione ulteriore che non era stata esplicitamente espressa nei progetti elaborati precedentemente. In particolare, gli Hansen affrontano in maniera inaspettata il delicato tema del rapporto con la storia, emblematicamente rappresentato dalle case tradizionali polacche in legno, radicate nel paesaggio rurale. È questa una forma di rielaborazione della memoria costruttiva locale in cui “Il ritorno alle origini implica sempre un ripensamento di ciò che si fa per tradizione, un tentativo di ridare un valore alle azioni quotidiane, oppure, semplicemente, un richiamo a una sanzione naturale […] al rinnovarsi per una stagione” (Rykwert [1972] 1991)[4].

Nella loro piccola autocostruzione gli architetti polacchi esprimono pertanto una critica operante alla rigidità dei prototipi realizzati dal Movimento Moderno, contrapponendo a quelle che considerano assiomatiche “forme chiuse” la processualità della “Forma Aperta”, condizione di compiutezza transitoria, che con la sua propria declinazione scalare rappresenta, a loro avviso, il risultato di una progettualità metodologicamente ‘in flusso’, estesa nel tempo per integrare modifiche ed estensioni introdotte dagli utilizzatori. Nell’idea degli Hansen, gli utilizzatori diventeranno, così, essi stessi progettisti e potranno pertanto introdurre mutazioni nel codice formale e nei modi d’uso della propria abitazione, secondo una linea evolutiva che potrà essere diversa rispetto a quella originaria.

Il limite primo di questa impostazione radicale è rappresentato dal fatto che, nel caso specifico, gli abitanti dell’edificio sono gli architetti stessi e che, di conseguenza, essi posseggono gli strumenti culturali e disciplinari idonei per proiettare questo processo progettuale in direzioni controllate e coerenti con le caratteristiche geometriche, distributive, materiche e linguistiche del loro progetto originario, senza quindi rischiare di comprometterne le prerogative morfologiche e di alterarne l’identità architettonica.

Del resto, è proprio in virtù di questo approccio ideologico basato su una visione intrinsecamente processuale dell’architettura, che è stato possibile, da parte di diversi studiosi, identificare nella casa di Szumin l’emblema del concetto di “Forma Otwarta” (Kędziorek, Ronduda 2014, 232-247; Kędziorek, Springer 2014; Wielocha, Kędziorek 2016, 248-254) compiutamente realizzato in un’opera-manifesto, in cui “the subject gains a level of agency and self-reflection through interaction with, or completion of, a transformable object or apparatus” (Scott 2014).

II. “Hollow stones”: piani e superfici, tetraedri e paraboloidi

Gli studi effettuati primariamente da autori polacchi intorno agli Hansen e alla loro articolata produzione artistica esprimono, peraltro, anche l’esito di una necessità: identificare nella casa di Szumin, sospesa tra i territori dell’architettura e delle altre arti, un caso-studio che non fosse limitato alla sfera teorica o al contesto delle arti visive, frequentato in particolare da Oskar Hansen, che sono svincolate dalle necessità d’uso.

Ciò vale anche per l’ambito dimostrativo degli allestimenti sperimentali progettati dalla coppia di architetti tra gli anni ‘50 e ‘70. Per quanto questi ultimi costituiscano una parte essenziale dell’opera degli Hansen, sia per la messa a punto e l’enunciazione delle loro categorie teoretiche, sia sotto al profilo della rappresentazione dei nuovi programmi culturali e costruttivi per la ricostruzione della Polonia del Socialismo reale, questo ambito era per sua natura vincolato alla propria intrinseca condizione di transitorietà, rendendo di difficile misurazione la sua tenuta concettuale e formale sulla distanza temporale (Fudala 2014; Jezowska 2018).

La ricerca morfologica compiuta dagli Hansen è intrecciata con una serie di sperimentazioni compiute precedentemente in Europa e rielaborate di recente da alcuni artisti contemporanei. Le ricadute di queste ricerche nel progetto della casa di Szumin sono molteplici e andrebbero confrontate con alcune sperimentazioni compiute negli stessi anni in altri contesti. I temi principali di queste ricerche si possono provvisoriamente riassumere in tre filoni paralleli e al contempo intersecati.

Il primo di essi è rappresentato dai progetti basati sul principio della scomposizione analitica della forma “chiusa” e dalla sua ricomposizione sintetica per piani ortogonali. Qui il debito verso le avanguardie è esplicito, specialmente verso le sculture architetturali di Katarzyna Kobro (Ockman 2014), come nel caso della mostra allestita da Oskar Hansen con Krzysztof Meisner nel ridotto del Teatr Wielki (Teatro Nazionale dell’Opera) di Varsavia nel 1957, dove il rapporto con la preesistenza neoclassica è misurato da un sistema di travi-espositori a sezione quadrata che solcano il grande spazio trasfigurandolo secondo un intento fortemente astrattivo. Appartiene a questo gruppo di allestimenti quello realizzato con Jolanta Owidzka (co-curatrice) per la Sezione della Polonia della 12a Triennale di Milano (1960), dove le ricerche formali polacche in architettura e nel disegno del prodotto industriale erano state rappresentate attraverso una serie di pannelli quadrati sospesi in verticale e orizzontale che fungevano da espositori e definivano la spazialità ortogonale della mostra. L’allestimento integrava al suo interno il modello al vero di un appartamento-tipo che interpretava il tema dell’esposizione internazionale dal titolo “La casa e la scuola” (Santini 1960, 36).

Un ulteriore filone di sperimentazioni riguarda l’utilizzo di due ulteriori linee di ricerca che implicano addentellati topologici. Innanzitutto, l’utilizzo di telai tetraedrici che tracciano sinopie di forme aperte nello spazio, come nel caso dell’allestimento progettato da Oskar Hansen per la sua personale di opere d’arte plastica, realizzato presso il Salon Po Prostu di Varsavia nel 1957, il cui programma iconografico sembrava simbolicamente vertere sulla liberazione delle forme plastiche dell’arte dai vincoli della gravità[5].

La ricerca sull’articolazione di forme tetraedriche che si sviluppano nello spazio trova una serie di antecedenti nelle sperimentazioni compiute da Giuseppe Pagano nell’elegante costruzione reticolare sospesa nella sala d’ingresso della “Mostra della produzione in serie” della 7a Triennale di Milano del 1940 (di cui Hansen rielabora in parte anche la grafica del manifesto in occasione della 12a Triennale), così come nella celebre Konstruktion di Max Bill del 1939, esposta nella mostra Konkrete Kunst alla Kunsthalle di Basilea nel 1944 (von Moos 2004).

Rispetto al tema della costruzione organizzata per tetraedri, un ulteriore rimando – peraltro inevitabile vista la partecipazione di Oskar Hansen al Team X – è alle ricerche svolte negli stessi anni da Louis I. Kahn per i solai a cassettoni dell’estensione della Yale Art Gallery (1953) e in particolare per la “City Tower” di Philadelphia (1953-57) (Juarez 2000) progettata con Anne Tyng: “In Gothic times, architects built in solid stones. Now we can build with hollow stones […] The desire to express voids positively in the design of structure is evidenced by the growing interest and work in the development of space frames” (Kahn 1953).

Come noto, Anne Tyng aveva già avviato una sua ricerca personale su questo tema costruttivo-espressivo, di cui sono testimonianze la sequenza di coperture piramidali della Bath House del Jewish Community Centre di Trenton (con Louis I. Kahn, New Jersey 1954-59), la Walworth Tyng House di Cambridge a sezione pentagonale (Maryland 1951-53), il teso volume cubico-tetraedrico della Clever House di Cherry Hill (New Jersey 1957-62) e la sopraelevazione del suo appartamento di Fitler Square a Philadelphia (1964-67), realizzata con una sequenza di “beam boxes” ruotate sulla diagonale. In una nota immagine dell’interno dell’abitazione dell’architetto Tyng è visibile il modello, appeso al soffitto, di una struttura reticolare su base tetraedrica, simile a quelle precedentemente richiamate, comprese quelle progettate negli stessi anni dagli Hansen.

L’eredità di questo filone sondato dalla coppia di architetti polacchi ha avuto un effetto di lunga gittata su alcune ricerche plastiche recenti. È questo il caso di quelle svolte da Jarosław Kozakiewicz, architetto-scultore, la cui ‘costruzione’ dal titolo “Anarkitekton 29,7 mq” è stata presentata alla Galeria Zachęta di Varsavia nel 2017 nel contesto della sua personale dal titolo Subiektywne mikrokosmologie. Nonostante nelle intenzioni dell’autore l’opera fosse un omaggio a Gordon Matta-Clark, essa rivela, a parere di chi scrive, l’appartenenza a una linea di ricerca morfologica che Oskar Hansen mutua dalle avanguardie e rielabora in forma autonoma, in particolare attraverso l’opera che espone nella citata mostra del 1957 al Salon Po Prostu. Nell’Anarkitecton come in altre costruzioni di Kozakiewicz, la connessione tra spazio e corporeità sembra richiamare l’idea hanseniana di umanesimo radicale condensata nell’inviluppo spaziale della casa-capanna di Szumin (Rykwert 2017; Crowley 2017).

L’approccio ‘topologico’ che gli Hansen sviluppano tra la fine degli anni ’60 e gli anni ‘70 si declina in un’ulteriore serie di architetture per l’esporre: le coperture costituite dalla moltiplicazione di moduli ultraleggeri a paraboloide iperbolico sostenuti da pennoni metallici dei Padiglioni della Polonia. Le strutture progettate dagli Hansen con Lech Tomaszewski vennero realizzate per le esposizioni internazionali sulla produzione agricola di Izmir (1955) e São Paulo (1959). Questo tema progettuale si esaurisce nella tensostruttura del Padiglione della Musica Contemporanea per il Festival di Varsavia (1958, non realizzato). Tuttavia, nonostante la vita relativamente breve della cosiddetta “Struttura HT” (Hansen-Tomaszewski) questa serie di esperimenti architettonico-scultorei che sembra rielaborare in termini matematico-spaziali il principio semperiano dell’origine tessile dell’architettura tramite il tema della copertura primigenia, troverà nella casa-capanna una nuova declinazione. A Szumin la figura piana del triangolo e il suo sviluppo volumetrico nel tetraedro si solidificano nei telai incrociati attraverso cui sono disegnati i contorni formali di una “pietra scavata” per abitare: un “Negativo attivo”.

III. L’interno come “Negativo attivo”

La dimensione sperimentale della “Forma Aperta” e la sua intrinseca porosità che preludono all’organizzazione interna della casa di Szumin assumono una declinazione particolare nell’ambito dei progetti d’interni. Ne sono testimonianze significative, tra le altre, il progetto preliminare per il rinnovo del Teatro Studio di Varsavia (1972) organizzato secondo una sequenza di piani paralleli ad altezze variabili, sui quali sono disposti oggetti di valore morfologico che formano microambienti in cui organizzare le rappresentazioni e, in particolare, lo studio sperimentale allestito per la Radio Polacca (1962). Questo micro-intervento di particolare intensità è giocato sull’inserimento in una stanza di dimensioni limitate (circa 6 x 7 m) di uno spazio basato sul principio del “Negativo attivo”: un involucro definito da telai che inquadrano lo spazio attraverso vuoti, dispiegandovi una sorta di sinopia di forma o di inviluppo formale. Questo sistema di telai di acciaio autoportanti fissi e pivotanti sull’asse orizzontale era disegnato su misura per poter orientare a piacimento le apparecchiature, che potevano in tal modo esservi liberamente collocate mediante una ‘composizione’ combinatoria, basata su moduli ripetuti. I telai disegnati dagli Hansen formavano così una sorta di spazio-contenuto o ‘scatola aperta’ virtualmente cubica, sviluppata su base di circa 3 m di lato e ruotata di 45° rispetto all’asse dell’ambiente. La stanza-contenitore dell’edificio preesistente nella quale è stata collocata la ‘scatola aperta’ era stata trasfigurata mediante il suo rivestimento con una sorta di ‘fodera tecnica’ che ne avvolgeva le pareti. L’involucro era completato da un complicato controsoffitto, variamente articolato da pannelli che ne ribassavano alcune parti e formavano degli inattesi sfondati. La fodera ‘tecnica’ comprendeva contro-pareti attrezzate con fasce di lamiera perforata e piegata a U, conformate in tal guisa sia per garantire l’isolamento acustico, sia per poter essere utilizzate come superfici attrezzate, dotate di supporti per cavi e altri oggetti tecnici.

Questo sistema tridimensionale di negativi di forma dal carattere quasi scultoreo, descritto da telai d’acciaio ad assetto variabile, sembrava declinare sul piano dell’uso gli apparati didattici realizzati da Oskar Hansen per il suo Studio di Solidi e Piani, basati sul principio del “Negativo attivo”. Questa idea di sovvertimento del rapporto tra solido e spazio, tra vuoti e pieni era stato emblematicamente rappresentato nel progetto di espansione della Galeria Zachęta (1958)[6] che ne aveva anticipato le tre componenti primarie.

La prima di esse riguarda il ruolo morfologico della gabbia strutturale come telaio dimensionale e sistema strutturale di riferimento per la libera composizione spaziale dell’interno.

La seconda coincide con il tema del contenitore che regola le geometrie del contenuto permettendone la trasformabilità sulla base di un codice variamente declinabile che non è solo distributivo e funzionale, ma intrinsecamente figurativo.

Infine, la sintesi della forma intesa come “Negativo attivo” tramite l’utilizzo di profili anziché di piani e solidi, ovvero degli elementi costruttivi ridotti a vettori con cui tracciare i contorni di quella stessa “forma aperta”.

I medesimi principi costitutivi della forma architettonica, della sua ‘ossatura’ e, con essa, della sua figurazione convergono nella casa di Szumin, riproponendo una questione di fondo sull’opera degli Hansen: la difficoltà di tracciare un confine netto tra l’architettura e le altre arti, tra uso e figurazione, tra spazio abitabile e sua esperienza estetica.

L’idea di costituire degli elementi di valore scultoreo per sperimentare l’articolazione dei rapporti figurali tra piani, solidi e vuoti basati sul principio della loro mutua variabilità geometrica, quindi del loro reciproco bilanciamento spaziale, come accennato, era stata messa a punto da Oskar Hansen per elaborare alcuni dispositivi didattici per i suoi studenti dell’Accademia di Belle Arti. Questi “apparati” consentivano di effettuare esercizi ritmici e compositivi tridimensionali, affinché gli studenti potessero verificare i rapporti elementari intercorrenti tra peso e leggerezza mediante la movimentazione delle unità scultoree che, se ruotate sullo stesso piano verticale, ricomponevano una superficie unitaria. Alcuni di questi telai in legno in cui sono incernierati pannelli rettangolari della medesima misura ma variamente colorati sono presenti anche nella casa di Szumin, dove vennero utilizzati negli anni ’90 durante i workshop estivi organizzati per gli studenti della BAS-Bergen Arkitekthøgskole di Svein Hatløy[7]. La casa degli Hansen assume pertanto un ulteriore significato: quello di essere, in ultima istanza, un’architettura metamorfica, la cui valenza didattica è una condizione intrinseca alla sua cifra sperimentale di “opera aperta”, programmaticamente disponibile a divenire essa stessa un “apparato” didattico.

L’interesse rappresentato dall’insieme dei progetti degli Hansen, che convergono nella costruzione di Szumin a partire dallo studio sperimentale per la Polskie Radio, consiste nel loro essere casi-studio significativi sul piano della ricerca di un diverso rapporto con la tecnica, quest’ultimo rielaborato in termini morfologici per garantire l’unità di un’opera - la sua coerenza formale - che per sua natura è ridotta all’essenziale mediante l’articolazione dello spazio abitabile tramite telai ritmici. In particolare, è attraverso le connessioni tra sviluppo plastico, geometria e misura in ragione delle caratteristiche del materiale impiegato – il nitore formale che l’acciaio permette di raggiungere a livello costruttivo; la libertà compositiva rappresentata dalle combinazioni tra profili in legno giuntati; la fluidità plastica dei getti di béton brut – che gli Hansen raggiungono la condizione di forte caratterizzazione materica dei loro progetti. Nonostante le differenze di contesto e d’uso, questo modo di declinare il legame tra forma e tecnica assume specifico valore metodologico per il processo progettuale ‘in divenire’ degli Hansen, chiaramente leggibile nella casa di Szumin dove assume speciale valenza sul piano del rapporto tra composizione e scomposizione della forma.

Il fondamento metodologico che lega i telai incrociati della casa di Szumin, quelli ortogonali dello studio sperimentale per la Radio Polacca e la duplicità bidimensionale e spaziale degli apparati per gli esercizi compositivi elementari, trova riscontri nelle rispettive morfologie, che sono basate sulla libertà nell’articolazione dei pieni e dei vuoti secondo il principio del “Negativo attivo”. Questa stessa relazione tra i diversi pesi e ruoli che assumono gli elementi compositivi è leggibile a Szumin. La casa è essa stessa un telaio entro il quale gli elementi che definiscono gli spazi – piani orizzontali rappresentati dagli arredi e verticali-obliqui definiti dall’involucro rispetto al reticolo spaziale virtualmente cubico di base – assumono configurazioni inattese e non immediatamente riconducibili all’inviluppo spaziale originario, analogamente a quanto accade nell’emblematico interno dello studio sperimentale per la Radio polacca.

La ricerca morfologica che soggiace a questi casi-studio evidenzia altresì una componente essenziale, presente in particolare nel laboratorio creativo di Oskar Hansen all’Akademia Sztuk Pięknych w Warszawie: l’importanza della dimensione didattica come attività pratico-teorica e di trasmissione dell’esperienza. La ‘didattica della forma’ è infatti per Oskar Hansen lo strumento principale con cui verificare la propria metodologia di analisi e sviluppo di un’idea di progetto che pone al proprio centro il problema formale e il suo intrinseco valore figurativo, simbolico e d’uso (Gola 2014, 263-267).

Si è già accennato al fatto che negli studi effettuati sul contributo degli Hansen non sembra sia stato fino ad ora affrontato il rapporto tra i contenuti dello “spatial manifesto of the Open Form” (Wielocha, Kędziorek 2016) e il modo con cui esso – seppur coerentemente con i propri presupposti metodologici – è declinato a Szumin in relazione al tema della tradizione.

Le principali ragioni di questa lacuna critica risiedono, probabilmente, sia nella difficoltà rappresentata dalla mancanza di un nesso tra i presupposti culturali e gli esiti formali del Movimento Moderno in Polonia con la dimensione delle costruzioni vernacolari, sia nel fatto che il tema delle relazioni con la storia e la tradizione non rientra, sul piano teoretico, tra le categorie hanseniane.

In realtà, le connessioni tra modernità e storia permeano la ricerca degli Hansen sul piano della pratica del progetto, specialmente rispetto al tema dell’abitazione nelle sue diverse declinazioni scalari. È un esempio significativo di questa attitudine l’elaborazione del concetto di “Linear Continuous System” (Hansen 1973) affrontato da Oskar Hansen nella citata relazione al CIAM di Otterlo, che nell’Europa della ricostruzione rappresenta un Wendepunkt[8] come risposta al problema dei “Grandi numeri”, problema che assumeva speciale pregnanza a Varsavia e, più in generale, nella Polonia del Socialismo reale in termini di fabbisogno di abitazioni sociali. Il modello “LCS” raccoglieva innanzitutto le indicazioni di metodo provenienti dagli incontri del Team X – in particolare quello di Urbino organizzato nel 1966 da Giancarlo De Carlo nel quale Oskar Hansen è invitato – come nel caso dei progetti del gruppo di Candilis per le università di Bochum e di Brema (1960) (Smithson, Smithson 1968, 9). Al contempo viene elaborata da parte degli Hansen una rilettura del principio insediativo dei tradizionali villaggi lineari polacchi, nella fattispecie quelli della regione di Suwałki[9] che, al di là degli echi dell’idea marxista della “comunità naturale”, senza classi, non si basa sulla concentrazione dell’abitato intorno a un nucleo, ma sulla sequenza spaziale di quartieri allineati lungo un asse che attraversa il territorio, costruendo così un sistema di connessioni antropogeografiche a scala ampia.

Questa tesi di matrice funzionalista è anche il risultato dell’interpolazione tra i modelli discussi dal Team X con alcune prefigurazioni precedenti, in particolare lo schema dei tracciati lineari per “Varsavia funzionale” (1933-34) disegnato da Jan Chmielewski e Szymon Syrkus e il principio di articolazione dei territori dell’Europa orientale secondo aree di gravitazione o “località centrali” teorizzato da Walter Christaller (1941) (Szczerski 2014).

Il principio del Linear Continuous System ha avuto delle ricadute indirette sulla casa-manifesto degli Hansen, in cui la concezione dell’architettura come condizione spaziale in divenire si esprime anche attraverso una riconsiderazione non mimetica di quella stessa tradizione insediativa lineare dei villaggi rurali polacchi. Quest’ultimo aspetto meriterebbe uno studio dedicato, rappresentando il piccolo edificio di Szumin un’indicazione di metodo su come riorganizzare un modello insediativo non semplicemente alternativo alla città ma, in ultima analisi, radicalmente anti-urbano.

La dichiarazione ideologica condensata nella casa di vacanza degli Hansen, dove si invera segnatamente nei termini di ‘capanna primigenia’, esprime un paradosso: “Pour revenir aux sources, on devait aller en sens inverse” (Daumaul 1952). La ricongiunzione con le radici tradizionali locali avviene mediante la loro rielaborazione con strumenti derivati dall’esperienza del Movimento Moderno, riorganizzati su un piano metodologico nuovo. È una ricerca progettuale che sembra in prima istanza effettuata attraverso una peculiare forma di “regionalismo critico” (Frampton 1983). Tuttavia, a uno sguardo più attento essa appare, al contrario, l’esito dello sviluppo in termini radicali di una visione proiettiva interna alla tesi della “Forma Otwarta”. Ciò che gli Hansen tentano di stabilire sul piano metodologico sono nuove condizioni di compatibilità tra modernità e tradizione regionale sulla base di un terreno comune tra architettonica e scultura. Ciò avvalendosi, in special modo, della strumentazione operativa e della ricerca plastica delle sperimentazioni condotte negli anni Venti e Trenta dall’avanguardia artistica polacca. Gli aspetti neo-regionalisti che gli Hansen probabilmente ereditano dagli insegnamenti ricevuti dall’architetto Romuald Gutt all’Accademia di Belle Arti di Varsavia sono declinati in via sperimentale lavorando sul rapporto tra spazi svuotati e reciprocamente definiti come contorni di forma, tramite le qualità materiche primigenie del legno, dei mattoni e del cemento. Questa sorta di fusione tra regionalismo e “Forma Aperta” trova nella costruzione solo apparentemente semplice di Szumin una sintesi radicale del significato originario di architettura: “i pezzi di legno eretti perpendicolarmente ci hanno dato l’idea delle colonne. I pezzi orizzontali che li sormontano ci hanno dato l’idea degli architravi. Infine, i pezzi inclinati che formano il tetto ci hanno dato l’idea dei frontoni […]” (Laugier 1753, 2).

Ma la ‘capanna’ degli Hansen, contesa tra fragilità e lunga durata, è in realtà un oggetto più complesso. È innanzitutto una costruzione che evoca un’appartenenza alla tradizione costruttiva delle case in legno (di montagna in particolare), sulla quale è stata sviluppata in Polonia una letteratura disciplinare specifica[10]. Il sofisticato montaggio di archetipi rurali polacchi (ma anche norvegesi) è rielaborato tramite la declinazione che la tesi processuale di “Forma Otwarta” trova nelle antecedenti sperimentazioni compiute da altre celebri coppie di artisti polacchi innovatori. Da quelle scultoree-pittoriche costruttiviste dello “unizm” (“unismo” o “espace uniste”) prodotte nel corso degli anni Venti e Trenta dal duo degli “a.r.” (artisti rivoluzionari) Katarzyna Kobro-Władysław Strzeminski, all’impegno operante verso nuovi modelli abitativi di sintesi dell’architettura sociale elaborati da Barbara e Stanisław Brukalscy per il quartiere operaio di Zoliborz a Varsavia, fino al “Preliminarsz Architektury” (programma preliminare per l’architettura)[11] presentato da Szymon Syrkus nelle pagine del primo numero della rivista “Praesens” (1926-30), testata di matrice cost[uttivista ideata insieme alla moglie Helena, figura quest’ultima che ricoprirà diversi ruoli nell’ambito degli ultimi CIAM (Roguska 1996)[12].

La casa di Szumin rappresenta pertanto il frutto di una posizione culturale, di una scelta di campo scaturita dalle interazioni interne all’intenso sostrato dell’ambiente artistico polacco, oltre che dalla reciprocità tra la figura poliedrica e ‘onnivora’ di Oskar Nikolai Hansen, legato all’ambiente architettonico e artistico internazionale, e la pragmatica razionalità di Zofia Aleksandra Garlińska.

L’enigmatico codice interno della chałupa degli Hansen è quindi il risultato di istanze e posizioni distanti, rappresentate dalla rilettura critica della storia delle costruzioni in legno dei villaggi rurali polacchi caratterizzate da grandi tetti a falde fortemente inclinate – che a Szumin sembrano originare dal suolo – oltre che dalla memoria del Costruttivismo come forma di sintesi spaziale, tradotta nei piani-pareti che articolano gli spazi del piano terreno in ragione delle necessità di fondare l’intervento nel suolo.

Questo problematico rapporto tra tradizione e modernità si invera nella compresenza di ragioni spaziali complementari: il sistema di eventi plastici prodotti dal gioco tra i piani ortogonali di calcestruzzo a vista a contatto con il terreno, celati dalla grande copertura inclinata, controbilancia la fragile struttura in legno a incastro che intelaia l’inviluppo del volume architettonico interno, proiettandosi idealmente verso il paesaggio rurale della Contea di Węgrów.

Il tema posto dagli Hansen attraverso la costruzione in itinere del loro manifesto spaziale assumeva anche un significato politico, essendo l’edificio realizzato nella fase immediatamente successiva al completamento della ricostruzione di Varsavia che, come noto, era stata sistematicamente rasa al suolo poco più di vent’anni prima secondo un vero e proprio progetto di distruzione totale, portato a termine dai nazisti in seguito alle rivolte del biennio 1943-44 (Morpurgo 2019; Morpurgo 2017).

La difficile eredità rappresentata dagli esiti devastanti dell’occupazione nazista della Polonia e l’utilizzo dei suoi territori orientali per impiantarvi una vera e propria geografia di campi di sterminio e di concentramento, rappresenta un tema che Zofia e Oskar Hansen affrontano con il loro gruppo[13] attraverso un progetto paradigmatico. Esso costituisce la premessa metodologica e artistica probabilmente più completa e ‘risolta’ della loro complessiva vicenda architettonica e, più in generale, artistica: il progetto presentato al concorso internazionale per il Memoriale di Auschwitz-Birkenau (1957-58)[14]. La prima versione verte sulla sistemazione dell’area dei due grandi impianti di sterminio in rovina collocati sulla testata della cosiddetta Judenrampe mediante la loro ricollocazione entro una gigantesca piattaforma che li fa emergere come scavi archeologici. In questo contributo si pubblicano alcune fotografie inedite del grande modello costruito per rappresentare una variante di questa prima proposta in cui la piattaforma appare ruotata rispetto all’asse della Judenrampe. Il progetto è basato su un’idea di misura e di astrazione necessaria per massimizzare l’impatto delle rovine e della loro tragica intensità in rapporto alla precisione dei contorni che isolano le immani impronte cruciformi dei due principali impianti di sterminio di Birkenau. La qualità proiettiva di questo modello – totale nella sua radicalità formale e materica – rimane, a parere di chi scrive, un risultato tra i più alti raggiunti dalla cultura disciplinare della Memoria dei campi, risultato puntualmente disatteso dal progetto realizzato di ben diversa qualità concettuale, formale e linguistica.

Nella seconda versione del progetto degli Hansen, una piattaforma lineare denominata “The Road” larga 40 metri e sollevata dal suolo ‘intoccabile’ del campo, seziona Birkenau in diagonale rompendone la rigida geometria ortogonale e collocando l’ingresso a nord del cancello principale. I resti delle baracche intercettati dalla “strada” sono in essa integrati tramite appositi scavi che le rimisurano come sepolture, fino a raggiungere l’area dei due complessi di sterminio distrutti (i crematori II e III) sovvertendone l’assetto. In tal modo gli Hansen compiono un gesto dal valore simbolico radicale: la cosiddetta Judenrampe – spazio cruciale dell’ingresso nel meccanismo di distruzione di massa di Birkenau – non sarebbe mai più stata percorribile.

Il principio della “Forma Aperta” è qui tradotto nella spazialità dirompente di un “Contro-Memoriale” (Murawska-Muthesius 2014), espressione di una critica radicale alla monumentalizzazione di Birkenau, critica che si proponeva di scardinare la cristallizzazione e la ritualizzazione della Memoria tramite il suo uso e abuso politico, che già si era consolidato su entrambi i versanti della cosiddetta ‘cortina di ferro’.

Il grande segno diagonale proposto dagli Hansen non aveva pertanto nessuna intenzione pacificatoria, così come non si proponeva di esprimere alcun giudizio o commento sul significato del luogo, rappresentato dalle proprie rovine. Il progetto si offriva come possibilità di condensare nella sua spazialità la misura stessa del tempo della Memoria dello sterminio, un attraversamento di valore spaziale per riconnettere il presente con l’inevitabile processo di rinaturalizzazione che il campo stava già attraversando. Il progetto poneva la questione della riconoscibilità futura del sito suggerendo una modalità non ricostruttiva e priva di intenti conservativi, ma facendo perno sulla sua valenza di forma simbolica. Attraverso questo progetto gli Hansen proponevano che le rovine di Birkenau potessero ammettere riconfigurazioni introdotte dalle generazioni future, dimostrativamente pre-formalizzate attraverso una serie di sofisticati montaggi fotografici solarizzati ‘in divenire’, anticipazioni del processo con cui proiettare il disfacimento del campo verso nuove configurazioni.

Il principio della “Forma Aperta” quale processo ‘evolutivo’ di ri-codificazione simbolica di Birkenau determinata dai visitatori nel corso del tempo, venne rappresentato con una serie di elaborati di straordinaria qualità: disegni colorati e modelli materici dall’aspetto quasi ‘archeologico’. Questo sofisticato e ‘organico’ apparato di rappresentazione del progetto, di particolare efficacia comunicativa, trova corrispondenza nell’idea di monumento espressa da Oskar Hansen l’anno successivo alla conclusione del concorso, durante il congresso CIAM di Otterlo:

Monuments […] are passive toward changes in time. The moment they are born become antiques. […] Closed Form – [is] the decision taken in my name – I am standing next to the process. There is no way to find your identity here – your own self. One cannot find one’s own self there. All these are somebody else’s memories, feelings” […] right now we are able to begin the creation of a new organic art of our time, art that is compositionally based on Open Form […] We will walk through it, and not around it […] (Hansen 1959), (Hansen [1959] 2014).

L’idea della “Forma Otwarta” è qui enunciata sulla scorta di un esperimento basato, in ultima analisi, su una radicale idea di astrazione, aspetto che soggiace al lavoro degli Hansen come condizione interna al progetto di architettura che, in quanto tale, può solo in parte essere declinabile in opere risolte nella concretezza del costruire in virtù del suo essere il risultato dell’intreccio tra nuovi significati e codici formali.

Rispetto al tema dell’abitazione, rappresentano esempi dei limiti interni al processo di traduzione dell’idea di “Forma Aperta” sul piano concreto gli interventi di edilizia sociale realizzati dagli Hansen sulla traccia della loro idea di “Sistema Lineare Continuo” (1968-72) a cui si è accennato, in particolare, gli edifici di abitazioni popolari costruite con l’utilizzo della tecnica della prefabbricazione. Appartengono a questo filone di progetti i quartieri di Varsavia Rakowiec WSM (1958), Osedle Słowackiego (1960-66), Przyczółek Grochowski (1963) e a Lublino il quartiere Juliusz Słowacki (1961-66). In questi interventi la rigidità del palinsesto tipologico degli alloggi sembra contraddire la reale possibilità di variarne gli interni nel corso della vita dei loro utilizzatori. Nella genealogia specifica di questi progetti, quello che sembra più interessante sotto al profilo della sua connessione con la tesi della “Forma Otwarta” resta la compagine ‘tessile’ del Proyecto Experimental de Vivienda (PREVI) per 10.000 abitanti a Lima (1969-1972) in parte realizzato in collaborazione con l’architetto norvegese Svein Hatløy, nel quale “The dwelling was not to be conceived as a fixed unit but as a structure with a circle of evolution” (Hansen 1970).

IV. Da via Sędziowska a Szumin: spazio e ideologia della “Forma Aperta”

L’interno che gli Hansen realizzano come loro abitazione dal 1950 in un edificio in linea di ulica Sędziowska, nel quartiere varsaviano di Ochota, rappresenta la premessa metodologica di molte delle soluzioni che gli architetti adotteranno a Szumin, ulteriore prova del fatto che per essi è innanzitutto l’interno a determinare la cifra spaziale del volume abitabile.

Dotato di un preesistente Raumplan al piano d’ingresso, l’appartamento di Ochota assume specifico interesse a seguito delle modifiche effettuate dai due architetti nel 1955, con la formazione di un soppalco sorretto da un telaio strutturale costituito da semplici elementi lignei realizzato per ospitare un piccolo studio. La riorganizzazione dell’appartamento su due livelli viene realizzata in virtù del suo essere stato concepito fin dall’origine come uno spazio unitario, rendendo così possibile ridistribuire i microambienti d’uso originari – soggiorno-cucina-camera – nella nuova articolazione abitazione/lavoro. Come appare evidente nella sezione trasversale in scala 1:20 del progetto del 1955, i microambienti che compongono l’appartamento sono stati identificati e collegati tra loro anche grazie all’uso di elementi cromaticamente rilevanti, come ad esempio la banda orizzontale dipinta su una parete che, come una sorta di basso continuo, attraversa l’intera sezione dell’area giorno dell’appartamento. La banda orizzontale è un elemento di valore semantico che gli Hansen useranno anche a Szumin per assegnare significato direzionale al muro di cemento armato che, delimitando il portico della fronte principale, risvolta sul portoncino che dà accesso allo spazio passante coperto.

Grazie all’inserimento di una ripida scala in legno con alzate libere (poi rieditata a Szumin) e semplici colonne anch’esse in legno a sezione quadrata, il soppalco che ospita lo studio e una stanza a esso collegata prosegue nell’ampia altana esterna ricavata al di sopra della copertura. In tal modo l’altana diviene una stanza all’aperto che cambia inaspettatamente la spazialità dei due ambienti del soppalco, il primo aperto e il secondo chiuso. Nella parte del soppalco che si affaccia sulla zona giorno, l’inserimento di un grande serramento obliquo suddiviso in riquadri regolari, smaterializza la travatura della falda del tetto grazie all’incidenza costante della luce. Attraverso questa tessitura spaziale giocata sul rapporto negativo/positivo la copertura è virtualmente trasformata in un telaio che inquadra il monotono frammento urbano del distretto di Ochota in cui è collocato l’edificio, trasfigurandolo. La forte inclinazione del tetto permette inoltre di imprimere tensione plastica all’area a doppia altezza su cui si affaccia il soppalco, spazio la cui continuità è rimarcata dal rivestimento con fodere di legno che si estende sull’intera parete, unendo così zona giorno e soppalco.

Ma nonostante le risonanze e le trasposizioni di soluzioni specifiche dell’appartamento di ulica Sędziowska e quelle utilizzate per articolare gli spazi della casa-capanna di Szumin – tra i quali il ruolo-chiave degli arredi come indicatori di percorso ed elementi di definizione dei vari microambienti – l’abitazione varsaviana si distingue da quella di campagna per alcune sue specificità di ordine metodologico, prima ancora che formale.

Innanzitutto, differentemente dalla casa di Szumin, nell’interno di Ochota prevale l’asciuttezza con cui gli architetti-abitanti decidono di valorizzare le qualità materiche e cromatiche del legno. Inoltre, in questo loro primo appartamento sono evidenti alcuni debiti verso il Le Corbusier dell’Unité d’Habitation di Marsiglia (1946-52), opera che Oskar Hansen aveva peraltro criticato come emblema della “forma chiusa” durante il VII congresso CIAM di Bergamo (1949). È nello specifico il serramento dotato di soglia-panca in legno del piano d’ingresso (zona giorno) che, marcando il passaggio con la loggia, rielabora il serramento scomponibile che a Marsiglia media l’affaccio della zona giorno a doppia altezza verso l’esterno. Anche l’articolazione dell’infisso della stanza ricavata sul soppalco tramite pannelli pieni e vuoti dichiara la propria derivazione dai codici formali di Le Corbusier e Pierre Janneret, di cui Oskar Hansen fu collaboratore a Parigi alla fine degli anni ’40. Tuttavia, nell’appartamento di via Sędziowska l’infisso è disegnato in guisa di vera e propria parete organizzata, manifestando così una prossimità figurativa con gli “apparati” realizzati da Oskar Hansen per gli “esercizi ritmici” dei suoi studenti. Quest’ultimo aspetto rivela la presenza di una componente da considerare con attenzione nella lettura delle opere della coppia di architetti: il valore pedagogico del loro approccio compositivo. Esso si rivela nell’intento didattico di favorire una condizione di trasferibilità sia metodologica, sia formale di quelle stesse opere, non in quanto modelli da ripetere, ma come principi spaziali aperti a possibili sviluppi e rielaborazioni. È questo un approccio che Oskar Hansen esprime nella progettazione architettonica, così come nelle altre pratiche artistiche, le stesse che frequenta fin da quando era studente, grazie all’incontro con Henry Moore e a quello con Picasso, ma specialmente tramite l’apprendistato da pittore nello studio di Fernand Léger.

V. Le altre arti nell’architettura di Szumin[15]

La rigidità dei reticoli di ordinamento dello spazio legati alle regole della composizione, così come la concezione assiale degli allineamenti seguiti sulla base dei tracciati regolatori lecorbuseriani, sono riferimenti compositivi che gli Hansen inizialmente assumono, ma integrandoli o contraddicendone le prerogative mediante l’introduzione di elementi diversi basati sull’idea processuale della “Forma Aperta”. Questo atteggiamento a cui si è già accennato utilizza i materiali della composizione innanzitutto sovvertendo il rapporto univoco tra negativo e positivo. Lo strumento a cui gli architetti affidano il ruolo di figura spaziale con cui rielaborare la dialettica tra pieno e vuoto è il telaio formato dall’inviluppo di piani vuoti e pieni, in cui è la coincidenza tra forma e struttura ad essere sublimata come principio comune a una serie di sperimentazioni plastiche che, come si è detto, assumono speciale rilevanza negli interni e negli allestimenti.

La “Forma Aperta” eredita dal Movimento Moderno la condizione di progetto incompiuto, ma è anche una costruzione ideologica in sé per sé, in quanto rappresenta un ‘non finito’ e, in quanto tale, è soggetta a possibili sviluppi futuri o, al contrario, a rimanere una processualità interrotta. Una forma irrisolta è altresì destinata a essere tradita attraverso successive manomissioni prive di progettualità, quindi a essere disfatta e perduta. Quest’ultimo aspetto sembra in realtà essere ammesso dagli Hansen come possibilità interna al processo stesso, sovvertendo così uno dei fondamenti che gli architetti hanno da sempre cercato di riconfermare attraverso le loro opere: la dimensione di stabilità e durata. Le transeunti opere degli Hansen sembrano voler dimostrare il contrario: la fluidità delle forme aperte ammette al proprio interno il principio della temporalità come condizione stessa del progetto. Nell’opera degli Hansen nulla di ciò che hanno realizzato sembra sia destinato a permanere. Sotto questo aspetto la casa di Szumin rappresenta un’eccezione che contraddice la sua intrinseca condizione di fragilità.

I riferimenti e le conseguenze di questo diverso atteggiamento intellettuale nei confronti delle metodologie progettuali del moderno sono rintracciabili nella sequenza di opere e progetti che, a seconda dei casi – interni, allestimenti di mostre o di padiglioni espositivi – sono alternativamente disegnati dagli Hansen per piani ortogonali oppure mediante costruzioni sviluppate su base tetraedrica, così come tramite volumi curvilinei sviluppati sulla base di geometrie non euclidee.

La tensione tra negativo e positivo, tra superfici solide e tessili, tra materiali leggeri e ‘tettonici’, fragili e permanenti, descrive una sorta di microcosmo morfologico che la casa di Szumin introietta, declinandolo in una serie di soluzioni di dettaglio e microambienti definiti da soluzioni spaziali peculiari come i mobili integrati nelle pareti e nella struttura. Esse sono basate sul rapporto tra il riempire e lo svuotare che, oltre a ed essere in continuità con gli apparati didattici di Oskar Hansen, come si è già detto, sembrano prossime ad alcune ricerche ad esse contemporanee svolte in contesti strutturalmente diversi, come nel caso delle Anarchitectures di Gordon Matta-Clark.

VI. Tettonica della transitorietà: le case degli Hansen a Szumin

Essendo l’edificio di Szumin l’esito di un processo progettuale trentennale che l’ha reso un laboratorio per la sperimentazione di soluzioni e revisioni del suo intrinseco programma d’uso, se ne può tentare la rilettura attraverso quello stesso flusso di interventi, modifiche e integrazioni, avanzando l’idea che in realtà a Szumin gli Hansen – Zofia, Oskar e Igor – abbiano progettato per loro stessi non una, ma diverse case.

Il nucleo primario di questa serie di progetti per case-capanne è stato originariamente basato su un programma decisamente più contenuto rispetto al progetto realizzato. Ciò è testimoniato dalla collezione di disegni originali inediti, non datati, acquisiti dal Muzeum Stuki Nowoczesnej w Warszawie (Museo d’Arte Moderna di Varsavia) grazie a Igor Hansen nei primi mesi del 2025, insieme a elaborati di svariati progetti, molti dei quali non realizzati.

La serie di sette disegni – una planimetria, una pianta e cinque prospetti – che qui si pubblica per la prima volta, è composta da elaborati realizzati in almeno due diversi momenti e rappresentano tre diverse versioni del progetto.

Gli studi dei prospetti sono riferiti a due diverse soluzioni. I primi tre prospetti descrivono un edificio leggermente ridotto rispetto a quello realizzato, distribuito su un solo piano, con un piccolo soppalco per la zona notte dotato di una finestra, limitato alla porzione apicale della falda principale della copertura. La figura primigenia del grande tetto anticipa quella della soluzione realizzata, ma in forma asimmetrica. Il muro di cemento armato o, semplicemente, di mattoni, è qui integrato nell’edificio svolgendo il ruolo di elemento tettonico-strutturale. L’atmosfera generale è quella di uno chalet di montagna che non denuncia alcuna appartenenza a una tradizione locale specifica, il cui volume è sostanzialmente suddiviso in attacco a terra e sviluppo verticale definito dalla sagoma del tetto. Tuttavia, l’articolazione delle aperture e in particolare della sezione orizzontale, che separa il basamento in muratura dallo sviluppo ligneo del volume superiore, prefigura alcune soluzioni adottate successivamente, imprimendo alla dimensione ordinaria dell’edificio un’articolazione plastica inattesa che sposta lo chalet su di un piano figurativo di derivazione neoplastica. Il risultato di questo innesto tra codici linguistici opposti è una sorta di ‘tipo mutante’ la cui irrisolutezza è condizione del suo stesso ulteriore sviluppo.

L’ulteriore versione del progetto è infatti una sorta di estensione su due livelli di quella precedente, ma secondo direzioni più prossime al progetto realizzato. Qui la casa-capanna è rappresentata da due prospetti disegnati a schizzo con la stessa tecnica e grafia (matita e pennarelli colorati su lucido), quindi molto probabilmente nel medesimo periodo (1966-67?), che ne descrivono l’inviluppo entro un nuovo assetto in cui il tetto è ancora asimmetrico. Nel prospetto della fronte principale, che, in linea con la versione primigenia, è rivolta a ovest anziché a sud come è quella realizzata, il rapporto con il giardino è mediato da una piccola collina artificiale in luogo dello scavo della fossa tecnica che appare nella prima versione. Questo elemento assume così il valore paesaggistico di contrappunto con il prospetto a capanna dell’edificio, in cui gli Hansen descrivono eventuali prolungamenti delle falde verso il terreno, anticipando la soluzione adottata nella versione costruita. L’edificio è ancora una scatola in muratura, ma lo scavo del porticato al piano terreno e gli studi sulle aperture disposte liberamente nella tessitura dei prospetti sono indizi di una tensione scompositiva che troverà un esito efficace sul piano linguistico e materico nell’opera costruita, che risulta ruotata di 90° a sud rispetto alle prime due soluzioni. Una nota aggiuntiva riguarda la posizione della stufa che in entrambe le soluzioni preliminari è collocata sul lato sud. Questo dettaglio rappresenta anch’esso un indizio circa il cambiamento radicale di direzione assunta dal progetto successivamente, in quanto, nonostante non siano per ora state trovate le piante di queste due prime versioni, dall’analisi degli studi dei prospetti delle prime versioni risulta chiara l’impostazione dell’edificio come scatola in muratura su cui appoggia una parte in elevazione a struttura lignea, mentre la soluzione distributiva dell’opera costruita ruota intorno alla stufa, che programmaticamente è collocata nel centro dell’abitazione.

In ultima analisi, nonostante le ricorrenze tipologiche, linguistiche e la presenza di alcuni temi progettuali che si ritroveranno nella soluzione costruita – la grande copertura a falde variamente sollevata tramite riseghe, il porticato, l’articolazione delle aperture e il rapporto con il giardino – le prime due versioni della casa-capanna di Szumin sono rappresentazioni di un edificio ‘ordinario’ che è stato strutturalmente trasfigurato nella versione successiva. Ciò anche a causa di una evidente condizione di diversità strutturale nel metodo progettuale seguito dagli Hansen per le due diverse case di Szumin (le prime due e quella definitiva). Nelle prime versioni prevale l’idea della forma chiusa, sostanzialmente definita come oggetto risolto in sé stesso, mentre l’opera costruita è, al contrario, un’opera aperta a successive modifiche e integrazioni: le due piante inedite di cui si è detto ne sono testimonianza. Esse rappresentano l’esito di una processualità morfologica non casuale, ma chiaramente intenzionale, in cui il controllo spaziale e geometrico garantisce l’organicità dell’esito finale, la sua interna coerenza metodologica con la matrice spaziale, strutturale, distributiva e linguistica iniziale. Tale esito è con ogni evidenza ben lontano dall’oggetto-chalet, essendo la casa una figura spaziale sintetica, una sorta di proun abitabile, che declina la sua interna carica astrattiva in una dimensione ‘calda’, empatica, in una parola, domestica.

Le piante inedite, entrambe del piano terreno, rappresentano lo stato finale dell’opera, rivelando una caratteristica morfologica essenziale di questo progetto: l’articolazione interna degli spazi suddivisa nei diversi interventi realizzati nel corso del tempo è contenuta entro una figura complessiva rettangolare che riconduce a unità le varie aggiunte ed estensioni.

Il rettangolo in cui sono inscritti i diversi volumi assomiglia a un proun, come si è detto, la cui forza astrattiva viene contraddetta dalla minuzia con cui sono disegnati il giardino, le alberature e le essenze vegetali arboree e orticole che sono tutte precisamente nominate da Oskar Hansen grazie alla sua nota competenza botanica. Nella planimetria generale in scala 1:200 è tracciata la distribuzione interna dell’edificio che rivela il principio di ordinamento descritto dalla pianta-proun: due corridoi aperti e dotati di copertura posizionati sui lati est e ovest riconnettono lo spazio primario della casa con gli spazi ‘serviti’ variamente disposti all’intorno.

La seconda pianta, anch’essa disegnata a mano libera in scala 1:200, rivela l’impostazione planimetrica originaria della casa di Szumin secondo un principio di ordinamento essenziale. La pianta della casa è un quadrato di circa 7,20 metri di lato, definito da tre allineamenti di altrettante sottili colonne di legno (15 centimetri circa) di forma diversa: i primi due allineamenti da nord sono costituiti da colonne a base quadrata, mentre quello del fronte principale (sud-ovest), in vista, è costituito da due tronchi d’albero completi di corteccia e un fusto squadrato. Non è la prima volta che in Polonia un architetto moderno rielabora il motivo vernacolare della colonna-tronco attualizzandone la ragione costruttiva-strutturale come elemento compositivo. È il caso dell’“Interno di casa di villeggiatura” che gli architetti Jozef Bogusławski e Konstanty Danko allestirono nel padiglione polacco dell’Exposition Internationale des Arts et Techniques dans la Vie Moderne di Parigi del 1937: le colonne portanti che inquadravano lo spazio simmetrico del soggiorno erano dei sottili tronchi d’albero. Questo atteggiamento riconducibile al modernismo moderato polacco, si inquadra in quello che è stato definito “nuovo regionalismo”, una delle anime della ricerca in architettura nella Polonia degli anni Trenta del Novecento[16].

La pianta quadrata della casa degli Hansen è quindi concepita come una sorta di plan libre, basata su una griglia primigenia che ha consentito ai progettisti di gestire senza vincoli strutturali lo sviluppo del volume architettonico coperto dal grande tetto. Nella fattispecie, l’organizzazione spaziale muove dall’interno o, meglio, dal programmatico superamento del principio di divisione netta tra interno ed esterno. L’articolazione libera – sostanzialmente priva di divisori – del piano terreno è infatti l’esito di una scelta preordinata circa la natura stessa dello spazio abitabile: un vuoto ‘scavato’ nello spazio definito dal grande tetto a falde, per metà chiuso da serramenti e pareti e per metà aperto a formare un ampio spazio vuoto di transizione tra la dimensione pubblica della strada sterrata prospiciente l’edificio e quella privata dell’abitazione. Gli elementi architettonici che definiscono questa forma spaziale a ‘L’ contrapposte, contesa tra interno ed esterno, sono tre. Essi richiamano il principio di “predominio della superficie sulla forma”[17] delle avanguardie polacche degli anni Venti: il tavolo in legno per metà appeso (all’interno) e per metà in appoggio che attraversa, letteralmente, il serramento posizionato tra la sala da pranzo e l’area di transizione; il piano di cemento armato sospeso tra due setti di cemento armato a vista entrambi posizionati nello stesso spazio di transizione tra interno/esterno e, infine, il muro di confine anch’esso in cemento a vista che con il suo sviluppo poligonale separa il portico ricavato lungo la fronte principale dell’edificio, marcando la rastrematura del lotto in corrispondenza della sua porzione terminale.

Il primo elemento, il tavolo di legno, sospeso all’interno per evitare l’ingombro delle gambe, è costituito da due travi longitudinali parallele (larghezza 95 centimetri circa) e da profili a sezione rettangolare su ogni estremità che consentono di affrancarlo all’impalcato del primo piano. La porzione mediana è in appoggio sulla parete sud-est del volume abitabile. Le due parti del tavolo, interna ed esterna, hanno uno sviluppo di circa due metri ciascuna (quella esterna è leggermente più estesa). Le travi sono realizzate con profili di legno a ‘C’, probabilmente di recupero, che sorreggono un piano costituito da fodere da parquet affiancate, in appoggio sulle travi correnti. Essendo le fodere dipinte di bianco su un solo lato, la superficie del tavolo può essere organizzata combinando liberamente strisce bianche o color legno, un modo per declinare in una forma d’uso il principio compositivo degli apparati didattici utilizzati da Oskar Hansen all’Accademia di Belle Arti di Varsavia. Il tavolo a doghe richiama in particolare quelli che Hansen definiva “apparati per gli esercizi sul ritmo”. Questi telai in legno verticali spessi circa 3 centimetri e profondi circa 20-25 centimetri sono attraversati verticalmente da stanghe a sezione cilindrica che incardinano dei rettangoli sovrapposti spessi 1 centimetro circa. Dipinti di bianco, nero (positivo-negativo) e altri colori, le tavolette possono pertanto essere ruotate a piacimento, trasformando l’originaria superficie della scatola-scultura in sorprendenti eventi plastici variamente articolati. Nell’area di transizione della casa di Szumin ve ne sono due caratterizzati da tinte sfumate. Sono “Esercizi di composizione” che Hansen aveva appositamente costruito per la propria mostra personale tenutasi nel 1986 presso il museo dell’Accademia di Belle Arti di Varsavia[18].

In quanto costruzione spaziale fatta di piani, il lungo tavolo rettangolare intorno al quale è organizzato lo spazio del piano terreno sembra evocare quelli disegnati dal pittore costruttivista Henryk Stażewski per un padiglione espositivo (1931)[19], che avevano il ruolo di definire gli spazi evitando il ricorso a pareti divisorie, e quelli estensibili e variamente ricombinabili, da ufficio, progettati da Bohdan Lachert tra il 1926 e il 1927[20].

Il secondo elemento costituito da piani ortogonali è il banco in cemento armato sorretto da due setti rettangolari che, orientato parallelamente al tavolo da pranzo (nord-sud), è collocato nello spazio di transizione ad ‘L’, compreso tra la zona di ingresso dalla strada – a cui si accede ortogonalmente rispetto alla fronte della casa-capanna – e l’ingresso vero e proprio all’area interna. Questo elemento rappresenta un piano da lavoro (al di sotto veniva raccolta la legna per la stufa) ma anche elemento strutturale che sostiene una trave di legno che presenta una luce di oltre 7,5 m necessaria per conferire stabilità al primo piano. Il rapporto tra setti in cemento armato e trave è risolto con selle ricavate nella parte apicale dei setti stessi, che pertanto costituiscono un doppio incastro anziché un appoggio semplice. Questa soluzione è emblematica del tema costruttivo di valore plastico che nella casa ricorre a varie scale, dall’involucro ai serramenti, dagli arredi fissi a quelli mobili: il principio del giunto come evento spaziale.

L’ultimo elemento, il muro di cemento armato (1 x 2,40 metri circa), è in realtà la prima costruzione realizzata insieme al telaio in legno dell’edificio (1968-1970). Privo di qualsivoglia ruolo strutturale, il muro esprime la propria identità tettonica in contrappunto con la fragilità della struttura in legno della casa. La sua superficie ne testimonia il processo costruttivo (sono leggibili le impronte delle fodere impresse nel cemento dalle casseforme), il suo appartenere alla tecnica moderna, alla sua intrinseca libertà plastica e, come si è detto, al suo valore simbolico: dividere l’interno dall’esterno sulla fronte pubblica dell’edificio. La sua posizione arretrata di circa 1,20 metri dall’allineamento delle colonne-tronchi a formare un piccolo portico è stata definita anche in funzione di contrasto all’azione dei venti, sulla base di un attento studio preliminare. Il muro termina a filo della sagoma del primigenio telaio portante dell’edificio, individuando così la posizione ortogonale del portello in legno che dà accesso all’ampio spazio passante interno di circa 2,5 x 4,5 m, finestrato sul fianco sud-ovest con un serramento a banda continua ritagliato nella falda del tetto. L’ingresso immette nello spazio passante a ‘L’ permettendo al contempo di uscire nel giardino, sul lato opposto.

È evidente che la scelta di articolare la transizione dalla strada all’ingresso del volume interno mediante un grande spazio d’ombra – lo spazio-soglia o passante– riflette le intenzioni iniziali degli autori: costruire una casa per le vacanze la cui ‘vocazione stagionale’ trova corrispondenza nella necessità di ripararsi dal sole (l’ingresso è orientato a sud-est) formando una grande intercapedine aperta su più lati (quattro in totale) in modo da consentire una ventilazione costante, quindi riducendo la temperatura all’interno dell’abitazione. Il muro in cemento armato reca una banda bianca orizzontale a mezza altezza, come in via Sędziowska, che risvoltando sul portello perpendicolare accompagna i visitatori verso l’ingresso, altrimenti non immediatamente visibile dalla strada. Il fronte principale è altresì caratterizzato da un altro elemento, un sottile piano orizzontale (circa 30 centimetri) sostenuto dai piccoli plinti cubici che staccano dal suolo le colonne in legno (centrale ed est) per proteggerle dall’umidità. La panca così formata è un altro richiamo alla tradizione regionale, essendo un elemento ricorrente nelle costruzioni rurali che viene offerto ai passanti per riposare durante i lunghi tragitti a piedi lungo i sentieri che attraversano la campagna.

Il valore di pausa e ansa del piccolo porticato ricavato sul fronte dell’edificio è rimarcato dalla piega diagonale del muro in cemento armato in corrispondenza dell’asse perimetrale est, che oltre a dare valore plastico al sottile diaframma, permette allo stesso di raggiungere il confine di proprietà e proseguire – con un successivo angolo aperto di direzione opposta – sulla traccia della curvatura che conclude l’area del lotto. È in tal modo che il muro assume il valore paesaggistico di bassa linea d’orizzonte (1,85 metri circa) che segna il limes tra natura e artificio.

L’articolazione del volume abitabile è basata sull’idea di definirne gli usi all’interno di un unico spazio fluido, indiviso, che si sviluppa senza soluzione di continuità su entrambi i piani. L’architettura dell’interno è un “sensore di spazi” (Riva 1999) che formando microambienti delimitati dagli arredi integrati nelle pareti, come nel caso del tavolo da pranzo, assume valore strutturante nell’organizzazione spaziale.

La superficie originaria del piano terreno è uno spazio in sequenza che origina dal piccolo ingresso (circa 1 x 1,60 m) che, dotato di un finestrino affacciato sul fianco ovest dell’edificio verso il giardino, media la connessione tra lo spazio-soglia e l’interno dell’abitazione. L’accesso a questa ‘cabina di decompressione’ avviene attraverso due porte di 60 cm di larghezza, determinando così un netto salto di scala tra l’ampiezza dell’area di transizione al di sotto della copertura e i microambienti domestici. Lo spazio abitabile del piano terreno è organizzato all’intorno di una stufa foderata di piastrelle rettangolari bianche che delimita la piccola cucina ‘da barca’ al servizio della contigua sala da pranzo su cui si affaccia direttamente. La cucina è illuminata da una grande apertura ricavata nella falda del ripidissimo tetto.

La scala a rampa unica aperta sull’ambiente del piano terreno raggiunge quello superiore che è suddiviso in due ambienti: uno spazio rettangolare di arrivo a duplice altezza, illuminato da una finestra alta trapezoidale ricavata appena al di sotto dell’intradosso della copertura e dalla tesa fenêtre en longueur con vetri scorrevoli senza infisso, alla cui base si sviluppa un arredo a mensola triangolare, integrato nella parete, metà tavolo e metà contenitore. Quest’ultimo assume il ruolo di indicatore di percorso e di elemento risolutore della forma del piccolo ambiente – una stanza-studiolo aperta – di cui contraddice l’ortogonalità sagomandone la spazialità della sua parte terminale. Perpendicolarmente, un piccolo disimpegno, affacciato sul piano inferiore e marcato dal volume in mattoni a vista del camino collegato alla stufa-cucina tradizionale, costituisce lo spazio di collegamento con l’ambiente principale (5,25 x 7,20 m) localizzato nella parte nord-est della casa-capanna, utilizzato dagli Hansen come soggiorno-letto, illuminato da un sistema di aperture simmetrico a quello del primo ambiente.

Nella casa di Szumin il principio della “Forma Aperta” è stato applicato da Oskar, Zofia e dal figlio ingegnere Igor Hansen con piccole estensioni fino al 1996. Senza determinare modifiche sostanziali allo spazio primigenio, è stato aggiunto al contorno dello spigolo nord-est uno spazio a ‘L’ che contiene alcuni piccoli ambienti resi necessari dalla nascita dei figli, di servizio e tecnici. Il volume aggiuntivo realizzato a più riprese presenta una sezione variabile da 2,5 a circa 2 metri sul lato nord, dove sono ricavate tre piccole stanze e un bagno, e circa 1,80 metri sul lato sud: le misure esprimono la gerarchia degli spazi legata ai loro usi.

La trasformazione dell’edificio in residenza permanente (1991) ha reso necessario coibentare la copertura con pannelli di fibra, schermando la struttura in vista del tetto, con il conseguente netto ridimensionamento della percezione del principio di programmatica coincidenza tra struttura e forma, che rappresentava uno degli aspetti più riusciti del progetto originario. Altre integrazioni hanno riguardato la costruzione di una rimessa per un’automobile nella parte nord dell’area prospiciente l’edificio e una doppia copertura piana di collegamento tra i diversi volumi di cui si compone l’edificio che riconducono le varie addizioni alla forma rettangolare del proun di cui si è detto. Un piccolo capanno per il giardinaggio è stato localizzato nella parte mediana del terreno insieme ad altri piccoli interventi.

Nonostante la qualità intrinseca raggiunta mediante l’unità compositiva e linguistica che misteriosamente lega e rende organici interventi di natura e scala diversa realizzati nel corso del tempo, le varie modifiche hanno nell’insieme inciso sulla percezione complessiva dell’opera in termini di fragilità e provvisorietà, al limite dell’informale, come se la grammatica morfologica su cui si basa il progetto dell’edificio fosse l’esito di un programma iconografico permeato da istanze sperimentali provenienti dalle avanguardie, specificamente tramite i legami tra astrazione e creazione non figurativa prodotte dall’“interazione del colore”[21] e dal ricorso a forme geometriche essenziali. Tuttavia, la casa di Szumin è lontana dall’essere un episodio figurativo: è architettura proiettata nel flusso nel tempo, “Forma Aperta” portata al suo estremo limite, all’origine stessa della “casa dell’uomo”, fino alla sua autodissoluzione nel paesaggio monodimensionale della campagna di Szumin.

È così che la casa-capanna profondamente Moderna di Oskar e Zofia Hansen esprime la memoria materiale di una Polonia remota e radicata nel territorio, apparendo ora “più antic[a] dell’Egitto, antecedente alle profezie e alle piramidi”[22].

Ringraziamenti

Desidero ringraziare Tomasz Fudala e Maciej Harland-Parzidlo del Museo d’Arte Moderna di Varsavia per il loro fondamentale supporto durante le ricerche effettuate presso gli archivi del Museo. La loro profonda conoscenza disciplinare e documentale dell’opera degli Hansen, insieme alla competenza, generosità e pazienza con cui mi hanno aiutato nelle ricerche e consentito di utilizzare materiali inediti, sono state esemplari.
Devo un ringraziamento a Katarzyna Jankowska-Cieślik e a Joanna Kania del Museo dell’Accademia di Belle Arti di Varsavia per aver concesso l‘utilizzo delle immagini originali degli Apparati didattici utilizzati dagli studenti di Oskar Hansen nel suo studio all’interno dell’Accademia.
Ringrazio il fotografo Jan Smaga insieme alla Galleria Foksal di Varsavia per avermi permesso l’utilizzo delle immagini della casa di Szumin.
Voglio ringraziare Antonella D’Aulerio dell’Archivio Progetti dell’Università Iuav di Venezia per la sua solerzia nel trovare alcuni materiali utili a questo studio.

Acknowledgements

I would like to thank Tomasz Fudala and Maciej Harland-Parzidlo of the Museum of Modern Art in Warsaw for their fundamental support during my research in the Museum's archives. Their profound disciplinary and documentary knowledge of Hansen's work, together with the competence, generosity and patience with which they helped me research and allowed me to use previously unpublished materials, were exemplary.
I owe thanks to Katarzyna Jankowska-Cieślik and Joanna Kania of the Museum of the Academy of Fine Arts in Warsaw for allowing the use of the original images of the teaching apparatus used by Oskar Hansen's students in his studio at the Academy.
I would like to thank the photographer Jan Smaga, together with the Foksal Gallery in Warsaw, for allowing me to use the images of Szumin's house.
I nees to thank Antonella D'Aulerio from the Project Archive of the Iuav University of Venice for her diligence in finding some useful materials for this study.

Galleria
Disegni Szumin

1 | Schizzo su lucido della planimetria generale (piano di copertura) del lotto degli Hansen a Szumin, s.d., scala originale 1:200. Il disegno sembrerebbe essere stato elaborato da Oskar Hansen. La casa è descritta nella sua versione finale, quindi lo schizzo dovrebbe essere stato prodotto negli anni ’90. Questa possibilità è avvalorata dal fatto che i piccoli rettangoli sparsi nel giardino riportano nomi di persone, probabilmente la posizione delle opere degli studenti della BAS-Bergen Arkitekthøgskole di Svein Hatløy con cui Oskar Hansen organizzò a Szumin una scuola estiva negli anni ’90. Queste attività sono documentate da una raccolta di diapositive a colori 24x36 depositate presso l’archivio del Museum of Modern Art in Warsaw, che riportano la dicitura originale del laboratorio che le ha sviluppate: “Schraders Fotoservice Trondheim”. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

2 | Porzione di uno schizzo su lucido della planimetria generale del lotto della casa di Szumin, che rappresenta la pianta del piano terreno, s.d., scala originale 1:200. Essendo la casa descritta nella sua versione finale, lo schizzo dovrebbe risalire agli anni ’90. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

3 | Schizzo di studio su lucido di un prospetto della prima versione della casa di Szumin, s.d. Il piccolo edificio era stato inizialmente progettato dagli Hansen come un corpo di fabbrica costituito da un appoggio a terra in muratura e uno sviluppo in legno per il piano primo. Quest’ultimo era probabilmente limitato alla sola stanza da letto ubicata nella parte più alta della copertura. Quest’ultima, a differenza della soluzione costruita, era stata prevista asimmetrica. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

4 | Schizzo di studio su lucido del prospetto principale (ovest?) della seconda versione della casa di Szumin, s.d. Come nella prima versione, la posizione del camino spostato su un lato differisce dal progetto realizzato in cui il blocco stufa-cucina è collocato in posizione semicentrale. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

5 | Schizzo di studio su lucido del prospetto opposto a quello d’ingresso (est?) per la seconda versione della casa di Szumin, s.d. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

6 | Schizzo di studio su lucido del prospetto (nord?) della seconda versione della casa di Szumin, s.d. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

7 | Schizzo di studio su lucido del prospetto (ovest?) della terza versione della casa di Szumin, s.d. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

Foto Szumin

1 | Il fronte dell’edificio verso la strada, caratterizzato dalla loggia formata dall’arretramento del muro di cemento armato. Foto: Jakub Certowicz. Courtesy of the Museum of Modern Art in Warsaw.

2 | Il piccolo portico attraversato dalla barra bianca che segna il muro di cemento armato e risvolta sul portello d’ingresso nello spazio passante coperto. Foto: Jan Smaga. Courtesy of the Artist and Foksal Gallery Foundation, Warsaw.

3 | Vista dello spazio-soglia passante nel punto d’ingresso dalla strada. Sulla sinistra, uno degli apparati didattici per gli esercizi di composizione costruiti da Oskar Hansen per il corso all’Accademia di Belle Arti di Varsavia. Foto: Jan Smaga. Courtesy of the Artist and Foksal Gallery Foundation, Warsaw.

4 | Lo spazio passante a ‘L’ visto dall’ingresso. Sulla destra, un apparato didattico di Oskar Hansen appeso alla struttura di cemento armato della legnaia. Foto: Jan Smaga. Courtesy of the Artist and Foksal Gallery Foundation, Warsaw.

5 | Il tavolo da pranzo che attraversa il serramento della zona giorno sembra ribaltare sul piano orizzontale il principio compositivo per unità minime ricombinabili degli apparati didattici ideati da Oskar Hansen. Foto: Jan Smaga. Courtesy of the Artist and Foksal Gallery Foundation, Warsaw.

6 | L’intensa spazialità della zona giorno è definita dalla composizione per piani e assi ortogonali che formano il volume interno e dall’espressività dai materiali: la loro ‘verità’ è l’esito della coincidenza tra forma e struttura. Foto: Jan Smaga. Courtesy of the Artist and Foksal Gallery Foundation, Warsaw.

7 | Il lungo tavolo passante (circa 4.5 mt) con il piano composto da moduli ricombinabili non è un arredo ma un elemento di valore spaziale che definisce i confini tra diversi microambienti. Sospeso sulla zona giorno interna per evitare l’ingombro sul pavimento, integra una piccola libreria e una lampada lineare. Il sistema costruttivo a vista rivela come l’opera è stata costruita, la sua processualità, senza ricorsi a rivestimenti o finiture artefatte. Foto: Jakub Certowicz. Courtesy of the Museum of Modern Art in Warsaw.

8 | La piccola cucina è come ‘scavata’ nel volume della zona giorno. La continuità spaziale dell’interno è testimoniata dalle corrispondenze con gli elementi fondamentali che definiscono l’identità della piccola costruzione: il nucleo di mattoni del camino e il muro di cemento armato della loggia passante, riconoscibile sullo sfondo grazie alla banda bianca. Le categorie di interno ed esterno sono state ridefinite. Foto: Jan Smaga. Courtesy of the Artist and Foksal Gallery Foundation, Warsaw.

9 | Lo sbarco della scala al primo piano immette nel piccolo studio la cui forma è definita dall’arredo fisso triangolare, metà tavolo, metà contenitore. Il tavolo è parte della stratificazione dei piani che mediano il rapporto con il giardino attraverso la finestra in lunghezza con vetri scorrevoli, la cui nettezza formale è implementata dall’assenza di serramenti. Foto: Jakub Certowicz. Courtesy of the Museum of Modern Art in Warsaw.

10 | Dettaglio del tavolo-contenitore. L’articolazione dei profili in legno dà forma al complesso sistema di sviluppo del serramento trasformando la finestra in lunghezza in un sistema di parti che collaborano alla definizione di un’unità organica di valore morfologico. Foto: Jakub Certowicz. Courtesy of the Museum of Modern Art in Warsaw.

11 | Lo spazio-cannocchiale dell’area studio-notte al primo piano. La trasformazione della casa di vacanze a residenza ha reso necessaria la coibentazione della copertura, nascondendo così la struttura del tetto di cui restano a vista solo le travi passanti. Alcuni arredi provengono dall’appartamento in Via Sędziowska. Foto: Jakub Certowicz. Courtesy of the Museum of Modern Art in Warsaw.

12 | Nella parte nord la spazialità della stanza ad uso misto del primo piano è implementata da un artificio: il piccolo soppalco che permette di riporre oggetti stacca la parte interna dell’ambiente dalla fronte dell’edificio. In tal modo si rivela la qualità dell’ambiente passante attraverso la doppia altezza determinata dalla presenza della finestra trapezoidale apicale. La sua misura è dovuta alle due travi passanti. Foto: Jakub Certowicz. Courtesy of the Museum of Modern Art in Warsaw.

13 | Vista della fronte nord della casa-capanna dal volume a ‘L’ successivamente formato dagli Hansen per le stanze dei figli e i servizi annessi. L’idea della “Forma Aperta” è sviluppata in coerenza con le prerogative formali e linguistiche del nucleo iniziale. L’articolazione materica e cromatica delle superfici testimonia della continua ricerca degli Hansen verso nuove interconnessioni tra le spazialità dell’architettura e delle arti plastiche. Foto: Jakub Certowicz. Courtesy of the Museum of Modern Art in Warsaw.

14 | Il capanno degli attrezzi da giardinaggio non è trattato come un elemento autonomo essendo ancorato al volume principale tramite ina piccola copertura: piano sospeso nell’interspazio formato tra l’abitazione e il capanno stesso. Foto: Jan Smaga. Courtesy of the Artist and Foksal Gallery Foundation, Warsaw.

15 | Il legame tra la casa e il giardino, tra costruzione e ambiente naturale è il risultato di una processualità di lungo periodo che comprende anche alcuni micro-interventi che radicano la casa a suolo tramite in una sorta di piccola geografia volontaria. Foto: Jan Smaga. Courtesy of the Artist and Foksal Gallery Foundation, Warsaw.

16 | Il distacco del grande tetto tradizionale dal terreno è segnato da una profonda linea d’ombra. La massa plastica della costruzione è contrappuntata dagli svuotamenti puntuali determinati da alcune grandi aperture che portano luce naturale nella parte centrale della casa (il nucleo giorno-cucina). Foto: Jan Smaga. Courtesy of the Artist and Foksal Gallery Foundation, Warsaw.

17 | Vista notturna di dettaglio sull’area d’ingresso: la zona passante al di sotto della falda ovest del tetto che collega il punto d’ingresso dal porticato al giardino. Foto: Jan Smaga. Courtesy of the Artist and Foksal Gallery Foundation, Warsaw.

18 | Vista notturna dell’apertura realizzata nella falda est del tetto, in prossimità della piega del muro in cemento armato che segna il confine della casa sulla strada vicinale. L’apertura che rende possibile il passaggio dalla zona passante coperta al giardino su questo lato del lotto implementa l’articolazione plastica del volume costruito. Foto: Jan Smaga. Courtesy of the Artist and Foksal Gallery Foundation, Warsaw.

Disegni Sędziowska

1 |  Appartamento di Via Sędziowska a Varsavia (1950-55). Pianta della zona giorno, scala originale 1:20. Zofia and Oskar Hansen Archive. Courtesy of Igor Hansen.

2 | Appartamento di Via Sędziowska a Varsavia (1950-55). Pianta del soppalco, scala originale 1:20. Zofia and Oskar Hansen Archive. Courtesy of Igor Hansen.

3 | Appartamento di Via Sędziowska a Varsavia (1950-55). Sezione longitudinale A-A sul soggiorno e le camere disposte sui due livelli. Lo schema in alto a destra rappresenta l’idea della spazialità fluida in continuità tra i due livelli dell’abitazione e tra interno ed esterno alla base del progetto. Scala originale 1:20. Zofia and Oskar Hansen Archive. Courtesy of Igor Hansen.

4 | Appartamento di Via Sędziowska a Varsavia (1950-55). Sezione longitudinale B-B sulla scala e gli spazi di servizio disposti in sequenza attraverso un telaio in legno che li integra in un’unica struttura. Sul soppalco è visibile il piccolo studio in continuità con l’altana ricavata sopra alla copertura dell’edificio preesistente. Scala originale 1:20. Zofia and Oskar Hansen Archive. Courtesy of Igor Hansen.

Foto Sędziowska

1 | Appartamento di Via Sędziowska a Varsavia (1950-55). Lo spazio a doppia altezza della zona giorno con il grande serramento obliquo del piccolo studio sul soppalco. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

2 | Appartamento di Via Sędziowska a Varsavia (1950-55). La fluida spazialità dell’appartamento lo rende fruibile in maniera diversificata. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

3 | Appartamento di Via Sędziowska a Varsavia (1950-55). La zona pranzo con il tavolo fisso allungato che verrà rielaborato per la casa di Szumin. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

4 | Appartamento di Via Sędziowska a Varsavia (1950-55). Oskar e Zofia Hansen nella loro cucina-pranzo. Zofia and Oskar Hansen Archive. Courtesy of Igor Hansen.

5 | Appartamento di Via Sędziowska a Varsavia (1950-55). La scala interna diviene occasione per formare un microambiente passante, definito da pareti attrezzate fisse e spazi di archivio ricavati nell’intradosso del soppalco. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

6 | Appartamento di Via Sędziowska a Varsavia (1950-55). Sul soppalco lo studiolo aperto sulla zona a doppia altezza è parte di uno spazio in continuità con l’atelier di pittura visibile sullo sfondo. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

7 | Appartamento di Via Sędziowska a Varsavia (1950-55). L’atelier di pittura ricavato nel soppalco. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

Studio sperimentale

1 | Team di Oskar e Zofia Hansen, Studio sperimentale per la Radio Polacca, Varsavia 1962. Pianta. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

2 | Team di Oskar e Zofia Hansen, Studio sperimentale per la Radio Polacca, Varsavia 1962. Vista di uno dei telai ad assetto variabile che formano l’involucro interno dell’ambiente. Collection of Museum of Modern Art in Warsaw.

LSC

1 | Oskar Hansen e Svein Hatløy, Progetto per un quartiere di abitazioni sociali per 10.000 abitanti a Lima, 1969-1972. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

2 | Team di Oskar Hansen, “LSC - Linear Continuous System”, ideogramma della “Multifunctional Housing Zone Scale”, s.d. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

3 | Team di Oskar Hansen, modello di “LSC - Linear Continuous System” per la cintura urbana della regione di Masovia, 1968. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

4 | Oskar e Zofia Hansen, Quartiere di abitazioni sociali Juliusz Slowacki, Lublino. Progetto 1961, realizzazione 1963-1966. Zofia and Oskar Hansen Archive. Courtesy of Igor Hansen.

The Road

1 | Oskar e Zofia Hansen, Jerzy Jarnuszkiewicz, Julian Palka, Edmund Kupiecki, Lechslaw Rosinski, “The Road”, progetto di concorso per il Memoriale di Auschwitz-Birkenau, seconda versione, 1958. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

2 | Oskar e Zofia Hansen, Jerzy Jarnuszkiewicz, Julian Palka, Edmund Kupiecki, Lechslaw Rosinski, “The Road”, progetto di concorso per il Memoriale di Auschwitz-Birkenau. Modello in fase di lavorazione della prima versione con la piattaforma ruotata in diagonale, 1957. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

3 | Oskar e Zofia Hansen, Jerzy Jarnuszkiewicz, Julian Palka, Edmund Kupiecki, Lechslaw Rosinski, “The Road”, progetto di concorso per il Memoriale di Auschwitz-Birkenau. Modello in fase di lavorazione della prima versione con la piattaforma ruotata in diagonale, 1957. Vista ravvicinata in cui si distinguono la Judenrampe al centro e le rovine dei due immani impianti di sterminio II e III ‘ricollocati’ entro la piattaforma di progetto. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

4 | Oskar e Zofia Hansen, Jerzy Jarnuszkiewicz, Julian Palka, Edmund Kupiecki, Lechslaw Rosinski, “The Road”, progetto di concorso per il Memoriale di Auschwitz-Birkenau. Modello della prima versione con la piattaforma ruotata in diagonale, 1957. Dettaglio della piattaforma in corrispondenza delle rovine del Krematorium III. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

5 | Oskar e Zofia Hansen, Jerzy Jarnuszkiewicz, Julian Palka, Edmund Kupiecki, Lechslaw Rosinski, “The Road”, progetto di concorso per il Memoriale di Auschwitz-Birkenau. Modello della prima versione con la piattaforma ruotata in diagonale, 1957. Dettaglio dello scavo in cui viene ‘perimetrata’ la testata ovest della Judenrampe  con lo scavo del percorso per collegarla alle rovine degli impianti di sterminio II e III posizionate ai lati sud e nord. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

Allestimenti

1 | Oskar Hansen e Krzysztof Meisner, allestimento nel ridotto del Teatro Nazionale dell’Opera di Varsavia, 1957. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

2 | Oskar Hansen, allestimento della sua mostra personale nel Salon Po Prostu, Varsavia 1957. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

3 | Giuseppe Pagano, VII Triennale di Milano (1940), Mostra internazionale della produzione in serie. Prima sezione: Introduzione al concetto di "Serie".  Foto: Crimella. Lombardia Beni Culturali - SIRBeC scheda AFRLIMM - IMM-3u030-0004239

4 | Max Bill mostra una sua Konstruktion a Enrico Peressutti. Zurigo, 1939. La “costruzione” verrà esposta nella mostra Konkrete Kunst alla Kunsthalle di Basilea nel 1944. Archivio Progetti Iuav, Fondo Julia e Gianluigi Banfi (album di provini a contatto e negativi su pellicola); Item: 076305-174; Identificativo: IUAV UA 522383; ID gestionale: od_1.

5 | Oskar Hansen e Lech Tomaszewski, Padiglione Polacco alla Fiera Internazionale di Izmir, 1955. Dettaglio della copertura. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

Apparati didattici

1 | Studenti dello Studio di Oskar Hansen all’Accademia di Belle Arti di Varsavia impegnati negli esercizi di composizione elementare con gli apparati didattici “Rytm” per esercizi compositivi. Fotografo ignoto, fine anni ’50. Scansione da fotografia d'archivio della collezione del Muzeum Akademii Sztuk Pięknych w Warszawie (Museo dell’Accademia di Belle Arti di Varsavia), segnatura: MASP/arch. OH 8/3AMASP/arch. OH 8/3.

2 | Studenti nello studio di Oskar Hansen all’apparato per esercizi “Uczytelnienie dużej liczby elementów” (Lettura di un numero elevato di elementi). Fotografo ignoto, inizio anni ’60. Scansione da fotografia d'archivio della collezione del Muzeum Akademii Sztuk Pięknych w Warszawie (Museo dell’Accademia di Belle Arti di Varsavia), segnatura: MASP/arch.OH 14/4.

3, 4 | Apparato per esercizi elementari di composizione realizzato da Oskar Hansen per la casa di Szumin come appare in due diverse configurazioni. Gift of the Hansen family from the Archives of Zofia and Oskar Hansen. Collection of the Museum of Modern Art in Warsaw.

Note

[1] “Nasza praca właściwie tylko na samym początku była intuicyjna, ale od pewnego momentu, gdzieś od 1956, nie braliśmy do roboty nic, co nie realizowałoby któregoś z elementów Formy Otwartej. […] nasza przygoda z Formą Otwartą nie była przypadkowa. Często artysta powiada - jak Nietzsche - idziesz donikąd, idziesz ku mnie. Ja tak nie szedłem, ja miałem ideę. I tę ideę realizowałem, w zależności od skali”. Intervista con Joanna Mytkowska, riportata in J. Gola (a cura di), Ku Formie Otwarte, Foksal Gallery Foundation - Revolver, Warszawa 2005, 19, trad. it. a cura dell’autore.

[2] R. Daumal, Le Mont Analogue. Roman d’aventures alpines, non euclidiennes, et symboliquement authentiques, Paris [1955] 1981, 94.

[3] Szumin è una delle località di vacanza dei varsaviani, ubicata a circa 70 km a nord-est della capitale polacca, sulla sponda del ramo ovest del fiume Bug. L’edificio è stato realizzato tra il 1968 e il 1970 come abitazione estiva ed è stato successivamente integrato tra il 1975 e il 1985 attraverso alcuni nuovi piccoli volumi. Nel 1994 gli Hansen hanno lasciato il loro appartamento di via Sędziowska (Warszawa-Ochota) e si sono stabiliti a Szumin. Da allora la casa è stata utilizzata come residenza permanente con una nuova serie di adattamenti e piccole modifiche effettuate con la collaborazione del figlio Igor, ingegnere, tra il 1995 e il 2005, anno della morte di Oskar Hansen.

[4] J. Rykwert, La casa di Adamo in paradiso [1972], Milano 1991, 220. Il passaggio completo è il seguente: “Il ritorno alle origini è una costante dello sviluppo umano: in ciò l’architettura si conforma a tutte le altre attività umane. La capanna primitiva – la casa del primo uomo – è pertanto non a caso al centro degli interessi dei teorici, non a caso è l’ingrediente del mito e del rito. Il ritorno alle origini implica sempre un ripensamento di ciò che si fa per tradizione, un tentativo di ridare un valore alle azioni quotidiane, oppure, semplicemente, un richiamo a una sanzione naturale (o anche divina) al rinnovarsi per una stagione.”

[5] Po Prostu era un settimanale politico studentesco di Varsavia riorganizzato intorno al 1955 da un gruppo di giovani riformatori. La nuova linea editoriale ha subito diverse traversie a causa della mancata aderenza alle linee culturali del Partito Comunista Polacco. Può essere di un certo interesse rileggere i lineamenti della vicenda di Po Prostu riportati nel sito della Central Intelligence Agency dal titolo Observations on the Polish Student Journal Po Prostu: https://www.cia.gov/readingroom/document/cia-rdp80t00246a038700470001-1

[6] Progetto elaborato con Lech Tomaszewski e Stanislaw Zamecznik, tra i protagonisti della stagione degli allestimenti polacchi realizzati in Polonia ed Europa tra gli anni ’50 e ’70 del Novecento.

[7] Oskar Hansen (1922-2005) nato a Helsinki da padre norvegese è stato naturalizzato polacco a seguito del trasferimento della famiglia a Vilnius, allora parte della Polonia, dove Hansen compì i primi studi. La collaborazione tra Hansen e Hatløy (1940-2015) – fondatore della BAS-Bergen Arkitekthøgskole dove Oskar Hansen tenne alcune conferenze – è dovuta al fatto che Hatløy studiò con Hansen a Varsavia e si fece successivamente interprete della tesi della “Forma Aperta” in Norvegia. La sua abitazione in legno a Loddefjord (realizzata negli anni ’70) presenta prerogative morfologiche, spaziali, materiche, cromatiche e linguistiche (ad esempio le colonne-tronchi d’albero in vista che formano il telaio strutturale) che ne rivelano la prossimità con la casa di Szumin.

[8] “Punto di svolta” secondo la definizione proposta da Heinrich Klotz in Moderne und Postmoderne Architektur der Gegenwart, Braunschweig-Wiesbaden 1984. Riportato da Arjen Oosterman e Rob Dettingmeijer in L’incontro di Otterlo, in Gli ultimi CIAM, numero monografico di “Rassegna. Problemi di architettura dell’ambiente” 51 (1992), 82.

[9] Area territoriale a carattere rurale della Polonia nord-orientale, dislocata al confine con la Lituania.

[10] Si rimanda ad alcuni dei contributi sviluppati sia all’inizio che nella prima metà del secolo scorso, tra i quali quello fondamentale di Zygmunt Gloger, Budownictwo drzewne i wyroby z drzewa w dawnej Polsce, vol. 1, Warszawa 1907. In questo ampio studio (“Costruzioni e prodotti in legno nella Polonia antica dell'eminente storico ed etnografo Zygmunt Gloger 1845-1910) sono ordinati alfabeticamente (dalla A alla D) le costruzioni polacche tradizionali in legno, quali sinagoghe (in particolare quelle degli Shtetl), capanne, case, palazzi, campanili, chiese, e arredi dei diversi dipartimenti polacchi, incluso il Voivodato di Mazovia (regione di Varsavia) in cui è ubicato Szumin. Si vedano inoltre i volumi di Ignacy Tłoczek, Chałupy Polskie, Warszawa 1958 e Polskie budownictwo drewniane, Wrocław 1980. Rispetto a studi più recenti si rinvia in particolare a quelli compiuti da Grażyna Ruszczyk, Architektura drewniana w Polsce, Warszawa 2009 e Jerzy Czajkowski, Dom drewniany w Polsce. Tysiąc lat historii, Kraków 2011.

[11] Il “Preliminarsz Architektury” (a firma di Szymon Syrkus) pubblicato nel primo numero della rivista “Praesens. Kwartalnik Modernistów” (giugno 1926) intreccia una serie di dichiarazioni apparse nelle testate collegate alla rivista polacca: “ABC” (Basel), “L’Art d’Aujourd’hui” (Paris, ref. A. Morancé), “L’Architecture Vivante” (Paris, ref. I. Badovici), “7 Arts” (Bruxelles, P. e V. Bourgeois), De Stijl (Leyden, ref. T. van Doesburg), “L’effort Moderne” (Paris, ref. L. Rosenberg), “G” (Berlin, ref. H. Richter), “Ma” (Wien, ref. L. Kassák), “Mavo” (Tokyo), “Merz” (Hannover, ref. K. Schwitters), “Noi” (Roma, ref. E. Prampolini), “Pasmo” (Brno, ref. R. Černik), “Stavba” (Praha, ref. K. Teige). Il “programma preliminare per l’architettura” è introdotto da tre contributi programmatici. Il primo, di Kazimir Malévitch (tradotto in francese da Helena Syrkus), reca il titolo suprematista “L’univers conçu sans objet. (Fragments)” (1-2) che anticipa il Bauhausbücher 11 dal titolo Die gegenstandslose Welt pubblicato dallo stesso Malévitch l’anno successivo. Ad esso fanno seguito “Styl wspolczesności” (Stile contemporaneo) del pittore-scrittore Henryk Stażewski (2-3) e “Ku sztuce elementów (Verso un’arte degli elementi) di Théo van Doesburg (3). La conclusione a cui giunge Szymon Syrkus è una sorta di equazione in cui l’architettura e le altre arti possono insieme dare esiti compositivi innovativi per la costruzione insiemi residenziali e di carattere collettivo. Tale fondamento teorico accomunava i membri di “BLOK” (1924-26) a cui Szymon Syrkus aveva aderito nel 1925 insieme alla Kobro e ad altri artisti costruttivisti, suprematisti e cubisti che una volta sciolto il gruppo convergeranno in quello di “Praesens”. Si veda al proposito: D. Honisch, R. Oxenaar et al., Constructivism in Poland 1923-1936. BLOK, Praesens, a.r., Essen 1973. Oltre Szymon Syrkus e Helen Syrkus (che sarà presidente di una delle commissioni del congresso di Bergamo) facevano parte del gruppo di “Praesens” gli architetti Barbara e Stanislaw Brukalscy (anch’essi membri dei CIAM, autori del ‘crescent’ di case in cooperativa del quartiere razionalista di Zoliborz a Varsavia 1932-34 e progettisti della loro celebre villa urbana di ulica Niegolewskiego 8 nello stesso quartiere nel 1927-29); l’architetto parigino Bruno Elkouken; gli architetti Bohdan Lachert e Józef Szanajca (protagonisti con i Syrkus e i Brukalscy del razionalismo polacco - Lachert è stato anche il progettista principale della ricostruzione del quartiere di Muranów sulle rovine dell’ex Ghetto-grande di Varsavia); l’architetto Jozef Malinowski. Sul fronte degli artisti, oltre ai già menzionati Kartarzyna Kobro (scultrice) e Henryk Stażewski (pittore), aderirono al gruppo il pittore Jan Golus, il pittore e grafico Karol Kryński, il pittore e scenografo Aleksander Rafałowski, la pittrice e grafica costruttivista Maria Łucja Nicz-Borowiakowa, i pittori di Cracovia Romuald Kamil Witkowski e Kazimierz Podsadecki. Il n.1 di “Praesens” è stato ristampato nel 1994 a cura del Muzeum Sztuki w Łodzi (pubblicazione n. 156/94).

[12] Per un approfondimento di questo argomento si rinvia al numero Architettura e avanguardia in Polonia 1918-1939, “Rassegna. Problemi di architettura dell’ambiente”, 65 (1996), in particolare al fondamentale saggio di Jadwiga Roguska, Il moderno in Polonia: movimenti, temi, progetti, 14-25.

[13] Del team facevano parte lo scultore Jerzy Jarnuszkiewicz, il grafico Julian Pałka, il fotografo Edmund Kupiecki e l’artista Lechosław Rosiński. Per ulteriori approfondimenti si rimanda al volume di Charlotte Benton (a cura di), Figuration/Abstraction. Strategies for Public Sculpture in Europe 1945-1968, Aldershot 2004, probabilmente il primo studio concentrato sul ruolo dei Monumenti nell’Europa dell’est dopo la Seconda Guerra Mondiale, e il saggio di Katarzyna Murawska-Muthesius, Open Form, Public Sculpture and the Counter-Memorial, in A. Kędziorek, L. Ronduda (a cura di), Oskar Hansen Opening Modernism. On Open Form Architecture, Art and Didactics, cit., 199-211.

[14] La giuria del concorso era presieduta da Henry Moore, che Oskar Hansen, ancora studente, aveva incontrato nel suo studio di Perry Green nel 1949 e che, con il suo approccio innovatore rispetto al rapporto morfologico tra vuoti e pieni, tra positivo e negativo, fu uno dei riferimenti privilegiati per la costruzione della tesi della “Forma Aperta”. Come noto, il gruppo diretto dagli Hansen perse il concorso, probabilmente a causa del modo (opposto) di intendere il ruolo delle pratiche artistiche nell’interpretare il tema dello spazio pubblico che il progetto per Birkenau proponeva rispetto alle posizioni di Moore.

[15] Rielaborazione del titolo del volume di Joseph Rykwert, L’architettura e le altre arti, Milano 1993.

[16] Una foto dell’allestimento è pubblicata in A.K. Olszewski, Progetti marginali, in Architettura e avanguardia in Polonia 1918-1939, “Rassegna. Problemi di architettura dell’ambiente”, 65 (1996), 34. Complessivamente il padiglione della Polonia era caratterizzato da una serie di sofisticati interni completi di mobili e lampade disegnati su misura, abilmente collocati in equilibrio sul crinale conteso tra modernità e tradizione. Per un approfondimento della questione relativa al “nuovo regionalismo” polacco si rinvia a A.K. Olszewski, Nowa forma w architekturze polskiej 1900-1925. Teoria i praktyka (la nuova forma dell’architettura polacca 1900-1925. Teoria e pratica), Wrocław 1967.

[17] Frase dell’architetto Romuald Gutt – professore degli Hansen all’Accademia d’Arte di Varsavia – riportata da Andrzej K. Olszewski in Progetti marginali, cit., 31.

[18] Si veda il capitolo Art and open Form del volume di Aleksandra Kędziorek e Łukasz Ronduda (a cura di), Oskar Hansen Opening Modernism. On Open Form Architecture, Art and Didactics, Warszawa 2014, in particolare, le pagine 253-256. Nell’ultima è pubblicata una foto della mostra personale di Oskar Hansen nell’auditorium dell’Accademia di Belle Arti di Varsavia (“In the Circle of Open Form”, 1986) in cui le opere sono disposte nello spazio tramite tubi da impalcatura che evocano l’idea del telaio razionalista utilizzato come reticolo di commisurazione tra opere e ambiente.

[19] L’assonometria del piccolo padiglione che rappresenta un interno domestico costruttivista è pubblicata nel volume di Katarzyna Kobro e Władysław Strzemiński, Kompozycia przestreni. Obliczenia rytmu czasoprzestrzennego, Łódź 1931 e ripubblicata in Architettura e avanguardia in Polonia 1918-1939, numero monografico di “Rassegna. Problemi di architettura dell’ambiente” 65 (1996), 2.

[20] Le assonometrie di questi prototipi conservate nel Museo di Architettura di Breslavia, sono pubblicate in A.K. Olszewski, Progetti marginali, in (Architettura e avanguardia in Polonia 1918-1939), numero monografico di “Rassegna. Problemi di architettura dell’ambiente” 65 (1996), 30-31.

[21] J. Albers, Interaction of Color, New Haven 1963.

[22]  Traduzione dell’autore di un frammento del racconto di Jorge Luis Borges, Funes el memorioso [1942], in Id., Ficciones, Buenos Aires 1944.

Archivi consultati
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  • Lombardia Beni Culturali (Archivio online)
  • Foksal Gallery Foundation, Warsaw
  • Fondazione La Triennale di Milano (Archivio online)
  • Museum of the Academy of Fine Arts in Warsaw
  • Museum of Modern Art in Warsaw
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English abstract

Oskar and Zofia Hansen's house in the countryside of Szumin (70 km north-east of Warsaw) began as a holiday cabin (1967-68), becoming an all-year residence through a series of additions through the 1990s. The small building reflects the experimentalism that distinguishes the Polish architects and represents the synthesis of their research and beliefs. Their method developed into a working critique of the rigidity of ‘closed forms,’ the axiomatic prototypes of the Modern Movement in contrast with the ‘Open Form’ process. The latter is condensed in the idea that the architectural project represents, through its varieties of scale, a condition of openness that allows modifications introduced by the users over time.
The Szumin house, problematically suspended between architecture and the other arts, is the result of a critical reconsideration of the research of the Polish avant-garde as well as an outcome of Oskar Hansen's experiences in the studios of Pierre Jeanneret and Fernand Léger, his participation in the last CIAMs and militancy in Team X.  
Despite the socio-cultural limitations of Socialist Poland, the work of the Hansens developed in new directions linked to the international environment of architecture and the other plastic arts; theirs was an original and autonomous code.  The repercussions of this research in the design of the Szumin house and, before it, in the fluid space of the flat in Sędziowska Street (Warsaw, 1950-55) can provisionally be traced back to the different design fields tackled by the Hansens: the systems of linear neighborhoods linking dwelling and landscape and the manifesto-projects of fittings and interiors developed according to the principle of the ‘Active Negative’: a plastic envelope defined by frames that traces the boundaries of inhabitable space between solids and voids.

This abstract dimension of the ‘Open Form’ highlights the difficulty of drawing a clear boundary between architecture and the other arts, between use, form and figuration, between living space and morphological construction.

The morphological process of the Szumin house construction raises a further methodological issue, which seems to contradict the basis of the Hansens’ work: the attempt to establish conditions of compatibility between modernism and tradition based on common ground between architecture, construction and the plastic arts. This sort of fusion of regionalism and ‘Open Form’ finds in the hut-house a radical synthesis of the original meaning of architecture, in its being projected in the flow of time to the very origin of its meaning as ‘mankind's home’ and, ultimately, to its extreme limit: self-dissolution in the primeval landscape.
 

keywords | Oskar and Zofia Hansen; house; open form.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Guido Morpurgo, L’interno della forma aperta. oltre la casa-capanna di Zofia e Oskar Hansen a Szumin, “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025.