"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Robert Venturi e Denise Scott Brown: A Domestic Manifesto

Rosa Sessa

English abstract

1 | Vanna Venturi House, fronte principale, in una foto dell’inizio degli anni Sessanta. Fonte archivistica: VSB Collection, Architectural Archives of the University of Pennsylvania, by the gift of Robert Venturi and Denise Scott Brown.

Introduzione

Se gli itinerari formativi internazionali di Robert Venturi (Philadelphia, 1925-2018) e Denise Scott Brown (Nkana, 1931) sono considerati dalla comunità di studiosi alla base del loro approccio eclettico fondato su analisi, comparazione e interpretazione di modelli e riferimenti diversi (Costanzo 2016; Grahn 2022; Sessa 2020), le modalità del loro primo incontro raccontano molto degli interessi e delle battaglie meno note della coppia, e che pure risultano essenziali per una comprensione più profonda del loro approccio progettuale, della metodologia compositiva, e della loro opera.

Venturi e Scott Brown si incontrano per la prima volta nel 1960 durante un acceso dibattito accademico riguardante la demolizione, o meno, di un edificio storico della University of Pennsylvania: la biblioteca d’arte progettata nel 1891 dall’architetto di età vittoriana originario di Philadelphia Frank Furness (1839-1912). Oggi la Furness Library è uno degli edifici più iconici e amati del campus, ma nel corso degli anni Cinquanta venne ad essere gradualmente percepita solo come un ingombrante lascito di uno stile architettonico, il Late Victorian, che in quel momento storico era non solo vittima di sfortuna critica, ma anche oggetto di feroci sostituzioni in ogni angolo di Philadelphia. In luogo del suo pesante bugnato, delle colonne tozze, delle decorazioni in terracotta prefabbricate, e della sua riconoscibile mole in arenaria rossa, la direzione dell’Università avrebbe preferito sostituire la biblioteca con un edificio leggero, modernista, nell’International Style che in quel periodo era apprezzato e replicato sia per i grattacieli delle corporation sia per i nuovi edifici universitari di cui si stavano dotando i campus da una costa all’altra del Paese.

Ma il dibattito universitario organizzato alla University of Pennsylvania, che si prevedeva accondiscendente nei confronti delle decisioni suggerite dall’alto, si fa sorprendentemente sempre più infiammato. L’ala dei conservatori diviene più numerosa e convincente e in particolare nel gruppo spicca una giovane studiosa dai capelli rossi, recentemente laureata alla scuola di architettura dell’ateneo. Quando prende la parola con il suo forte accento sudafricano, animosamente elenca le ragioni in difesa di un monumento irriproducibile e che intende salvare dalla damnatio memoriae di cui erano già caduti vittima molti edifici tardo ottocenteschi in città.

Dopo la riunione, Denise Scott Brown è avvicinata e congratulata da molti, e tra questi c’è il giovane docente della scuola di architettura Robert Venturi. Da quel primo incontro i due iniziano un fitto dialogo che li porterà da subito a collaborare ai reciproci corsi di insegnamento tenuti alla University of Pennsylvania, fino a lavorare insieme ai loro primi progetti di ricerca e progettazione e dal 1967, anno che coincide con il loro matrimonio, a ufficializzare la collaborazione di Scott Brown come architetta e pianificatrice nello studio Venturi & Rauch.

Nel corso della loro carriera professionale lunga oltre cinquant’anni, Venturi e Scott Brown si sono misurati con ogni scala del progetto, dagli oggetti di design, all’allestimento espositivo, al progetto di edifici per privati e enti pubblici, fino a interi piani urbani. All’interno della variegata opera del duo, il progetto domestico attraversa ininterrotto il mezzo secolo di attività della coppia, eppure non c’è dubbio che il momento di maggiore approfondimento di temi legati alla casa e all’abitare coincida con il loro primo decennio di collaborazione. In quegli anni, all’assenza di grandi committenze fa da contraltare un decisivo impegno nella docenza e nella definizione di una teoria architettonica originale in grado di superare gli aspetti più riduttivi e problematici dell’ortodossia modernista. Nel breve arco di tempo che va dalla scrittura e pubblicazione di Complexity and Contradiction in Architecture (1966) e Learning from Las Vegas (1972), il lavoro su progetti domestici, sia realizzati sia rimasti su carta, emerge come il ponte ideale tra le sperimentazioni teoriche e la simultanea verifica compositiva.

La casa per la madre

The inside spaces […] correspond to the complexities inherent in the domestic program
as well as to some whimsies not inappropriate to an individual house.
Robert Venturi, Complexity and Contradiction in Architecture 

Il primo progetto realizzato dal giovane Robert Venturi è una piccola casa per una committente affatto speciale: sua madre. Rimasta vedova del marito Roberto Carlo nel 1959, è Vanna Luisi Venturi ad acquistare nello stesso anno un lotto edificabile a Chestnut Hill, ricco sobborgo residenziale a nord-ovest della città di Philadelphia. Figlia di immigrati provenienti dalla provincia di Foggia, Vanna è una donna volitiva, autodidatta nel campo delle arti e interlocutrice privilegiata del figlio.

La richiesta di un progetto a Robert nasconde molto di più che il desiderio di vivere in una casa comoda e rispondente alle esigenze della più ristretta famiglia. Vanna Venturi, appassionata di architettura, aveva seguito con passione e interesse la formazione d’eccellenza del figlio, prima studente alla Princeton University (1944-1950), poi borsista della prestigiosa American Academy in Rome (1954-1956), oltre che giovane collaboratore di numerosi architetti anche molto noti, tra cui Louis Kahn in città e Elieel Saarinen in Michigan. In un momento decisivo della carriera di un architetto come è quello iniziale, affidare il progetto della propria residenza al figlio significava aiutarlo a emergere nel difficile e affollato panorama professionale cittadino. Vanna impone quindi a Bob solo un limite di budget, ma non una scadenza temporale: il suo intento è quello di incoraggiare il figlio a costruire un piccolo edificio che possa valere come un autentico e riconoscibile manifesto progettuale.

Venturi accoglie l’invito della madre e impiega per la sola fase progettuale ben quattro anni (1959-1963), a cui si aggiunge un ulteriore anno per la costruzione. In contemporanea, Venturi è docente di corsi di teoria alla University of Pennsylvania ed è impegnato nella scrittura di quello che sarà il suo libro più noto e influente, Complexity and Contradiction in Architecture, volume che sarà pubblicato dal MoMA di New York nel 1966. In questo periodo di profonda riflessione e attività creativa, le contaminazioni tra l’elaborazione teorica e le operazioni compositive legate all’evoluzione della casa sono evidenti e si rincorrono tra testo e progetto. Nel capitolo 11 di Complexity and Contradiction in Architecture, significativamente Venturi apre la descrizione della residenza della madre con la seguente definizione: “This building recognizes complexities and contradictions” (Venturi, 1966 (1977), 118). Riprendendo nell’incipit gli esatti termini del titolo, Venturi intende legare indissolubilmente il suo primo progetto giovanile al processo teorico che in quegli stessi anni sta mettendo a punto. Teoria e progetto vanno quindi per Venturi di pari passo, e ogni scelta progettuale della casa sembra supportare questo assunto.

Nei sei schemi compositivi che faticosamente realizza in quattro anni, Venturi si allontana gradualmente dai suoi riferimenti giovanili, Louis Kahn e Ernesto Nathan Rogers in primis, per esplorare soluzioni progettuali innovative, pienamente coerenti con le posizioni teoriche che proprio in quegli anni sta affinando attraverso le sue lezioni e i suoi scritti.

La casa è realizzata con due piani fuori terra e uno scantinato, impiegando un sistema costruttivo misto in muratura prefabbricata a blocchi e profilati in acciaio. La facciata principale, più ampia del volume retrostante, distorce la ricercata simmetria “palladiana” (Venturi, 1966 (1977), 118), così come definita da Venturi, e manipola l’archetipo del progetto domestico per eccellenza [Fig. 1]: un prospetto liscio con tetto a falde, un comignolo pronunciato, un vano d’ingresso profondo e centrale, e ampie finestre coerenti con le funzioni che nelle stanze vi si svolgono. Una casa a forma di casa o, come scriverà l’autore venticinque anni più tardi, “an elemental house, like a child’s drawing of a house” (in Schwarz, 1992, 37). Cosa poteva esserci di più provocatorio in un periodo storico ancora intento a celebrare la purezza delle scatole di cristallo dell’International Style? Come elaborato da Neil Levine:

In this process of returning to the idea of making a façade that would be singular thing, […] Venturi soon came to the realization that he was transgressing a fundamental principle of Modernism. Instead of considering the building in isolation and designing it uniquely from the inside out, Venturi had reversed the process to take both sides into account […] in order to create a sense of continuity with the suburban environment. […] Historical representation had to do with his search for a more contextual architecture (Levine 1989, 56-58).

Il primo progetto domestico di Venturi gioca con dimensioni e proporzioni, alludendo al manierismo. Anticipa le ricerche sul simbolismo e distorce e adatta gli elementi mettendoli in relazione complessa tra loro. Rompe con la tradizione e nello stesso tempo la celebra, cercando una continuità autentica con il contesto in cui si inserisce. Una serie di dicotomie – anzi, di contraddizioni – che resteranno al centro di ogni progetto domestico successivo.

La casa per sé

These crowded things mean I can sit here and have happy memories,
or be reminded of what to talk about.
Denise Scott Brown, Interview: Denise Scott Brown on the Signs and Symbols for Living

2 | Vanna Venturi House, stanza superiore, in una foto dell’inizio degli anni Sessanta. Fonte archivistica: VSB Collection, Architectural Archives of the University of Pennsylvania, by the gift of Robert Venturi and Denise Scott Brown.

Denise Scott Brown e Robert Venturi trascorrono il primo anno di matrimonio ospiti a casa della madre dell’architetto. Vanna dorme nella camera da letto del pian terreno, mentre l’ampia stanza con bagno del piano superiore, una volta occupata dal solo figlio, è ora lo spazio riservato alla giovane coppia. Una finestra ad arco d’influenza palladiana buca interamente la parete che dalla camera dà accesso alla terrazza [Fig. 2].

Dopo pochi mesi la convivenza con Vanna, pur felice, è destinata a concludersi. Venturi e Scott Brown si trasferiscono in uno degli appartamenti della Society Hill Towers, complesso modernista di tre grattacieli progettati da I.M. Pei (1917-2019) e completati nel 1964 nel quartiere di Society Hill a Center City a Philadelphia, lungo le rive del fiume Delaware. La nuova residenza della coppia permette ai due architetti di raggiungere facilmente in pochi minuti a piedi lo studio professionale, a quella data ancora localizzato a South Street.

Dopo pochi anni trascorsi al centro della città, Venturi e Scott Brown decidono di mettersi alla ricerca di una nuova casa nei tranquilli quartieri residenziali che coronano Philadelphia verso nord. Intanto la famiglia si allarga con l’arrivo del figlio James, nato nel 1971, evento che sposta la ricerca con più convinzione verso una tipica residenza unifamiliare statunitense a due piani, circondata dal giardino e con un comodo spazio di parcheggio antistante l’ingresso.

A cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta la coppia professionale Venturi e Scott Brown sta emergendo nel panorama architettonico statunitense non solo grazie alle loro pubblicazioni e ai loro apprezzati corsi universitari, ma anche grazie ai sempre più numerosi e noti progetti di residenze unifamiliari lungo la East Coast degli Stati Uniti, come ad esempio la Lieb House completata lungo le spiagge del New Jersey nel 1969 e le Trubeck e Wislocki Houses costruite su un’isola in Massachusetts nel 1971. Eppure, curiosamente, per la costruzione della loro residenza privata i due architetti non disegnano un progetto ex novo, sintesi e manifesto delle loro idee sul progetto domestico elaborate proprio in quegli stessi anni, ma rivolgono la propria attenzione verso un edificio già costruito.

Nel 1972 Venturi e Scott Brown acquistano la prima casa visitata nel corso delle loro ricerca, e cioè una residenza storica lungo la Wissahickon Avenue, in un’area di grande pregio naturalistico a nord-ovest di Philadelphia. Nello stesso periodo anche lo studio viene rilocalizzato in un edificio preesistente nel quartiere settentrionale di Manayunk, un ex fabbricato industriale riqualificato a soli cinque minuti di automobile dalla nuova abitazione.

Il giardino della residenza si fonde con la natura del parco della Wissahickon Valley e le altre ville già presenti nell’area sono poste a grande distanza dai confini del lotto e schermate da alti alberi. La casa aveva già da tempo attirato l’attenzione di Venturi e Scott Brown: gli architetti erano rimasti affascinati dalle forme inconsuete dell’edificio nel quartiere, dalle linee curiosamente Art Nouveau della copertura e dell’abbaino curvilineo in dialogo con numerosi altri dettagli di chiara derivazione europea. È Denise Scott Brown, che pure in Inghilterra e in Italia si era formata, a decidere per tutta la famiglia:

That’s the first thing we saw. […] So I said to Bob, “I can’t believe this; it’s an Art Nouveau house in America.” Because I hadn’t seen even one here (Scott Brown, 2019).

La nuova casa della famiglia Venturi Scott Brown, destinata a diventare il loro indirizzo definitivo, è un edificio costruito nel 1907. Il progetto è dell’architetto originario di Philadelphia Milton Bennet Medary (1864-1929), collaboratore del più noto Frank Miles Day (1861-1918) con il quale progetta l’edificio della Huston Hall nel campus della University of Pennsylvania nel 1894. Da Day, che aveva viaggiato a lungo in Europa e aveva anche lavorato in Inghilterra, Medary eredita un notevole interesse per le forme del progetto europeo, in particolare per i dettagli dei disegni residenziali di case inglesi, francesi e tedesche. Il risultato sono progetti eclettici che fondono insieme una concezione domestica statunitense con un approccio compositivo e decorativo di derivazione europea.

È proprio questo il caso della residenza a Wissahickon Avenue scelta dai Venturi: la casa, che originariamente era progettata per committenti tedeschi, residenti ininterrotti dal 1907 al 1970 [Fig. 3], si allontana dalle tipiche forme vernacolari americane. In sé, l’edificio rappresenta un unicum a Philadelphia: è definito in stile Art Nouveau dal suo progettista Medary, ma in realtà l’edificio presenta contaminazioni tra diversi linguaggi europei e modelli spaziali ibridi già presenti in Pennsylvania.

3 | Foto dei proprietari originari della casa dal 1907 al 1970, collezionisti d’arte e mecenati d’origine tedesca. Fonte archivistica: VSB Collection, Architectural Archives of the University of Pennsylvania, by the gift of Robert Venturi and Denise Scott Brown.
4 | La residenza privata di Venturi e Scott Brown a Wissahickon. Fonte archivistica: VSB Collection, Architectural Archives of the University of Pennsylvania, by the gift of Robert Venturi and Denise Scott Brown.

La casa è una residenza a due piani il cui volume compatto è articolato da tre imponenti comignoli e due bow-window curvi che affacciano sul giardino retrostante, a cui corrispondono due terrazzini con balaustra al piano superiore [Fig. 4]. Come per gli esterni, anche gli interni presentano riferimenti ai modelli di cottage inglesi simili a quelli pubblicati nel 1904 a Berlino da Hermann Muthesius nel volume Das Englische Haus. La pesante scala lignea all’ingresso riporta alla mente modelli Arts&Crafts, mentre finestre in vetro piombato colorato e i pavimenti in cotto rivitalizzati da inserti in ceramica vivacizzano con cromie sempre diverse gli ambienti domestici.

Negli interni, Venturi e Scott Brown rispettano l’articolazione spaziale e gli elementi fissi, ma giocano con le finiture delle pareti e ricercano il contrasto con elementi d’arredo di diverse epoche e stili [Fig. 5]. Innanzitutto, Venturi e Scott Brown scelgono numerosi stencil per le decorazioni delle pareti. Bob acquista i modelli in diversi negozi di New York e poi organizza dei workshop dedicati all’ornamento insieme agli studenti e ai giovani collaboratori dello studio. La fase di decorazione manuale delle pareti, ogni stanza diversa dall’altra, impiega un intero anno. Per gli ornamenti dei soffitti, invece, restano quelli originali degli anni Venti.

La camera da pranzo è uno degli ambienti più iconici e narrativi della casa: si rispetta la preesistenza di una credenza in vetro e legno incassata nella parete curva che si oppone al bow-window, a cui viene abbinato un ampio tavolo, sedie di epoche diverse coperte da libri, decorazioni parietali con elementi vegetali e un fregio dipinto con stencil che corona in alto lo spazio. La sala da pranzo è eletta dalla coppia a pantheon domestico celebrativo degli architetti e degli artisti da loro maggiormente apprezzati. Tra i nomi che si rincorrono nel fregio si leggono infatti Soane, Le Corbusier, Borromini, Lutyens, Beethoven. Ironicamente, anche i nomi di Venturi e Scott Brown sono presenti, ma resi quasi illeggibili perché interrotti dalla bucatura delle finestre [Figg. 6, 7].

5 | Interno della residenza privata di Venturi e Scott Brown a Wissahickon. Fonte archivistica: VSB Collection, Architectural Archives of the University of Pennsylvania, by the gift of Robert Venturi and Denise Scott Brown.

6, 7 | La sala da pranzo della residenza privata di Venturi e Scott Brown a Wissahickon. Fonte archivistica: VSB Collection, Architectural Archives of the University of Pennsylvania, by the gift of Robert Venturi and Denise Scott Brown.

Per la scelta dei singoli arredi, Denise Scott Brown conferma in un’intervista del 2019 la sensazione che si ha una volta entrati: ogni pezzo è il frammento significativo di un racconto più ampio, ha un’origine geografica e storica diversa che narra le vicende di vita della coppia, e il riassemblaggio e la messa in dialogo tra di loro dona nuovo significato alle camere della residenza, già intrise di un carattere unico [Fig. 8]. Convivono quindi arredi e oggetti in stile Art Déco, neon Pop Art posti a mo’ di soprammobili, lampade e vasi Art Nouveau, in un discorso polifonico ininterrotto che avvolge entrambi i piani dell’abitazione. Il divano posto di fronte al camino del salotto principale proviene dal Traymore Hotel, un grande albergo originariamente localizzato ad Atlantic City, New Jersey, demolito nel 1972. Il progetto del divano era stato esposto per la prima volta nell’“Esposizione internazionale di arti decorative” di Parigi del 1925, ma Venturi e Scott Brown riescono ad acquistarlo all’asta per soli 20 dollari.

A smorzare le forme eleganti del divano principale e delle altre sedute dei salotti sono numerosi cuscini di grandi dimensioni che riproducono Batman, Wonder Woman e altri supereroi. Può sembrare un gesto da interpretare in chiave Pop, con fantasie magari disegnate dagli stessi progettisti, ma è Denise Scott Brown che in diverse interviste chiarisce di aver acquistato i pezzi dal catalogo di camerette per bambini per 8 dollari l’uno.

Anche i quadri alle pareti raccontano di un approccio eclettico e della volontà di mettere in dialogo diversi autori e stili. Nella parete laterale al camino principale spicca Standard Station (1966) di Ed Ruscha (1937), nella sala da pranzo campeggia Liz (1963) di Andy Warhol (1928-1987), mentre il secondo salotto accoglie un’incisione romana di Giambattista Piranesi posta accanto a un’opera di Roy Lichtenstein (1923-1997).

Attraverso la ridecorazione e l’arredo di una casa preesistente, Venturi e Scott Brown comunicano l’intenzione di abitare una tradizione cittadina ibrida in se stessa, risignificandola e fornendo una nuova storia contemporanea all’edificio. Il progetto per la casa per sé parla, quindi, di devozione per la storia e di libertà di espressione. Di accordi ricercati e di contrasti spontanei. Di un ordine difficile, e per questo vitale.

8 | Il secondo salotto della residenza privata di Venturi e Scott Brown a Wissahickon. Fonte archivistica: VSB Collection, Architectural Archives of the University of Pennsylvania, by the gift of Robert Venturi and Denise Scott Brown.

Conclusioni

La casa per sé, libera dai vincoli imposti dai committenti, è spesso per gli architetti il luogo privilegiato di sperimentazioni e innovazioni spaziali e di linguaggio. Nelle decine di progetti di abitazioni unifamiliari e plurifamiliari progettate da Venturi e Scott Brown, la coppia ha sempre messo al centro i bisogni e i desideri dei clienti, oltre a una interpretazione attenta del contesto, sia socio-culturale sia architettonico e urbano dell’intorno. Eppure, questi due aspetti così profondi e empatici nei confronti del progetto, dell’ambiente e di chi lo vive, sono stati dalla critica di architettura sempre minimizzati, se non deliberatamente omessi.

Dei loro progetti domestici più noti, ovvero la casa per la madre Vanna Venturi e la residenza multipiano per anziani della Guild House, entrambi edifici completati a Philadelphia nella prima metà degli anni Sessanta, la critica ha proposto una lettura letteralmente superficiale. Soffermandosi su una descrizione bidimensionale delle facciate – senza dubbio iconiche e simboliche, e il luogo più eloquente di contatto tra l’edificio e il suo intorno – si è messo in secondo piano sia l’attenta articolazione volumetrica, sia la non banale spazialità degli interni.

Anche le altre tipologie progettuali affrontate dalla coppia non hanno goduto di una più profonda analisi architettonica, né di una accurata descrizione del loro inserimento nel contesto, tema invece molto caro a Venturi e Scott Brown e sempre sviluppato nel loro lavoro. Se si escludono pochi attenti interpreti della loro opera, e nello specifico gli studi di Stanislaus von Moos, David Brownlee e David De Long, si potrebbe affermare che la vasta e complessa produzione architettonica e urbana del duo attenda ancora di essere riscoperta e affrontata con serietà di metodo e genuino interesse per il loro approccio progettuale e la loro metodologia compositiva.

La scelta di una casa per sé non direttamente progettata dagli architetti che la abitano si inserisce, allora, in una dimensione di senso più profonda e significativa. Da una coppia creativa dedita alla progettazione di edifici ‘parlanti’, in comunicazione diretta e spesso ironica con i proprietari e lo spazio urbano circostante, ci si sarebbe certamente aspettati un progetto domestico personale altrettanto concentrato sulla comunicazione delle facciate, come una billboard personalissima e originale in grado di significare uno shed banale e ordinario.

E invece, Venturi e Scott Brown ci sorprendono ancora, andando in tutt’altra direzione. Per la loro residenza privata i due architetti hanno cercato, e infine scelto, un’abitazione preesistente, in grado di narrare un pezzo unico della storia della città in cui hanno deciso di lavorare e vivere, ovvero il passato di migrazioni e contaminazioni di modelli diversi che ha caratterizzato tanto l’architettura quanto lo sviluppo urbano di Philadelphia: una scelta di risignificazione di una residenza già carica di passato che gli architetti decidono di sublimare attraverso operazioni progettuali rispettose dell’edificio, ma non timide né mute.

Una decisione che apparentemente stupisce, e che invece risulta in sorprendente coerenza con la formazione itinerante di Venturi e Scott Brown, con la loro sensibilità nei confronti del patrimonio e i loro sforzi interpretativi della tradizione e del contesto ibrido delle città. D’altra parte, Bob e Denise si erano conosciuti in quell’ormai celebre dibattito universitario del 1960, in difesa e elevazione, sin dal primo momento insieme, dell’eredità artistica e architettonica del luogo.

Si ringraziano Francesca Sisci e William Whitaker per la collaborazione alle ricerche iconografiche in archivio, utili per il reperimento delle immagini 3-8. 

Riferimenti bibliografici
English abstract

A small villa inspired by Art Nouveau and Arts&Crafts, built in 1907 on the northern outskirts of Philadelphia; an eclectic decor in dialogue with contemporary works of art and books scattered everywhere; a wallpaper frieze that celebrates the names of artists and runs emphatically along the walls of the dining room. If the home of a couple of architects can be interpreted as their own design manifesto, the most intimate and perhaps the most sincere, the residence of Robert Venturi and Denise Scott Brown well represents their particular methodological approach, and not only to composition. First and foremost, it celebrates a design that is new, courageous, ironic, and free from prejudice, yet always aware of the pre-existing historical heritage: a recurring theme in many of the couple's works, but still little investigated by the literature dedicated to their oeuvre. Surrounded by a residential neighborhood immersed in greenery, the house fits into an American domestic tradition that hybridizes European influences with local styles, and with which Venturi and Scott Brown are not afraid to engage. The interior is an explosion of furniture, decorative details, Pop Art masterpieces, and everyday objects collected from all over the world, representing an ode to the personality and many interests of its inhabitants. This multiplicity of objects and styles enters into direct relation with the original terracotta and majolica floor, the stained glass windows, and the heavy wooden staircase of Arts&Crafts derivation. A chromatic, material, morphological, and diachronic polyphony that recalls the accumulation of ideas and the reinterpretation of models and references – themes dear to the two designers. The house speaks of devotion to history and freedom of expression, of sought-after harmonies and spontaneous contrasts, of an impossible order, and for this reason, vital.

keywords | Domestic projects; Vanna Venturi House; Reuse of pre-existing buildings; Robert Venturi; Denise Scott Brown.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Rosa Sessa, Robert Venturi e Denise Scott Brown: A Domestic Manifesto, “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025.