1 | Casa-studio in Via Augusta, Eva Prats e Ricardo Flores all’interno dei nuovi ambienti adiacenti alla casa. Fotografia di Juan Rodríguez, 2021, Courtesy Flores & Prats.
La casa di Flores e Prats a Barcellona è un appartamento preesistente nel quale gli architetti hanno operato minime trasformazioni e che possiamo tuttavia considerare un manifesto del loro lavoro, perché racconta del particolare rapporto che intrattengono con ciò che esiste, con il tempo e la memoria. Eva Prats e Ricardo Flores si sono conosciuti nello studio di Enric Miralles e hanno poi deciso di vivere e lavorare insieme, fondando il proprio studio nel 1998. Un “caso singular”, come lo descrive Miguel Adrià, in cui le individualità si sommano invece di elidersi, e le riflessioni del maestro si inverano senza ripeterne i linguaggi:
La estirpe mirallesca a la que pertenecen los pone en el camino de los alquimistas. Es sabido que algunos de los ungidos se quedaron por el camino circense haciendo malabarismos, y otros convertidos en meros relatores de las hazanas que vieron o les contaron; pero Flores e Prats siguieron trabajando en su proprio laboratorio para construir su versión del humo y de las burbujas. […] Flores & Prats redundan hasta con sus apellidos, aun cuando dan cuenta de su riqueza de orígenes y lenguas sin reducirla al mínimo común múltiplo, como sucede con tantas sumas que sólo restan. Flores & Prats son una de esas pocas parejas que se complementan, que añaden, que sonrien, que transpiran complicidades, que se sienten mutuamente reconocidos, que se quieren y admiran, que proyectan en la línea de los Peter y Alison Smithson o los Denise Scott-Brown y Robert Venturi, más que en el empalagoso linaje de Charles y Ray Eames o de Tod Williams y Billie Tsien. […] Un universo tan intimo que ya es global (Flores, Prats, Adrià 2014, 9).
Lo studio Flores & Prats dedica molto tempo all’elaborazione di ogni opera e persegue una dimensione della professione che si confronta costantemente con l’indagine sul senso del proprio operare. Entrambi affiancano all’attività professionale una costante attività didattica e di ricerca[*]. Al centro di questa riflessione intrecciata fra teoria e pratica sta il disegno a mano, non tanto come strumento tecnico, ma come forma del pensiero allo stesso tempo intuitiva e dubitante. Eva Prats sostiene che il suo obiettivo come docente è trasmettere il valore del disegno a mano “como forma de pensar” perché “a través de la acción de dibujar a mano, la conexión entre la mano y la mente es más rápida e intuitiva. La mano no te pregunta por medidas o direcciones, uno decide por proporción en relación con algo más” (Prats [2015] 2023, 12-13). Disegnando a mano possiamo tracciare segni e forme in proporzione a ciò che già è sul foglio. Inoltre, come sottolinea l’architetto catalano, l’azione di disegnare a mano permette agli studenti di appropriarsi dell’intenzionalità dei segni come strumento di comunicazione, in antitesi alla ricezione passiva dell’enorme massa di dati e informazioni grafiche fornita da alcuni software di mappatura, che spesso si rivelano come linee già presenti nei loro disegni “pero que no pertenecen a sus pensamientos” (Prats [2015] 2023, 12).
Nei grandi fogli dei laboratori progettuali di Flores e Prats, come in quelli distesi sui tavoli del loro studio incontriamo “el proceso a la vista” (Flores, Prats, Adrià 2014, 28): vengono intenzionalmente mostrate le prove, i ripensamenti stratificati nei livelli di spolvero sovrapposti e le aggiunte di parti di contesto, selezionate come riferimenti elettivi, perché permettono di inseguire il filo del pensiero progettuale e mettere in discussione il processo creativo.
Nuestro pensamiento no es lineal y el dibujo debe adaptarse a los saltos que surgen durante el proceso. EI dibujo debería ayudamos a pensar, en lugar de a eliminar posibilidades. Cuando aparecen múltiples opciones, el dibujo debe dejarnos dudar. Al trabajar sin borrar, pueden agregarse nuevas opciones en un nuevo papel de calco y permitir así que todo el proceso quede a la vista.Tener dudas dibujadas alrededor de la mesa de trabajo permite la convivencia de diferentes pensamientos sobre una misma cosa. Un papel de calco superpuesto a otro suma diferentes ideas sobre el mismo tema; nuestro pensamiento fija y superpone dudas y posibilidades. No hay una opción absoluta, sino un debate de opiniones para dibujar. La duda está en la mesa de trabajo como elemento para avanzar (Prats [2015] 2023, 13).
La tesi di dottorato di Ricardo Flores, dedicata alla casa “la Ricarda” di Antoni Bonet, afferma attraverso la ricerca lo stesso valore attribuito al disegno “como manera de observar y de pensar”, teso a superare quella “distancia con el objeto original” che spesso caratterizza il racconto critico dell’architettura.
En mi caso, dibujar la casa fue una manera de ponerme en movimiento, de comenzar a verla a través de dibujarla, usando el dibujo como forma de pensar la tesis. Así, a partir de sucesivas visitas a dibujarla, fui fijándola en grandes hojas de papel que permitieran hacer caber todas estas cualidades dentro, acercando la intensidad de la casa al observador. Los planos hechos para la tesis explican una realidad distinta a la que muestran las publicaciones de La Ricarda: su dimensión física y constructiva, y la estudian como objeto cultural que existe, que está ahí y se puede medir, tocar y visitar para aprender de él, “metiéndonos dentro” de la casa (Flores 2016, 482).
Questo modo di intendere il disegno a mano è qualcosa di più che una scelta di stile. Ci parla di come i due architetti intendono il progetto, del loro interesse per le fisicità che accompagna il disegno e per l’esercizio di un pensiero dubitante, che porta ogni scelta alla prova della realtà, ammette la contaminazione delle idee e il cambio di rotta. La forza generatrice del progetto, allora, non proviene da un’imprecisata ispirazione creativa, ma dal continuo dialogo con il reale, che si fonda sull’esercizio e sulla memoria ‘muscolare’ del progettista che osserva, ascolta e disegna. Si tratta così, tornando a Miralles, di guardare “a izquierda y a derecha (sin gafas)” (Miralles [1987] 2021), lasciando le strade della ragione analitica, per scoprire nuovi e imprevedibili punti di vista sulle cose che già esistono e attendono di essere riconosciute e poste al centro della narrazione. Se infatti esistono due tipi di esplorazioni – quella dell’esploratore della superficie, che percorre grandi territori, e quella dell’esploratore in profondità, che conosce poche cose, molto intensamente – l’uso che Flores e Prats fanno del disegno ci parla del secondo tipo di esplorazione, che è piuttosto una ‘perforazione’. L’ormai celebre croissant sezionato da Eva Prats su richiesta di Enric Miralles – per un gioco serissimo, nato dalla sua passione per i croissant, secondo quanto racconta nel memoir “Tardes de dibujo” (Prats 2023) – era già una prova sufficiente di questa capacità, che è anche un desiderio, di entrare in profondità dentro le cose. Nello stesso testo, Eva parla della sua fascinazione per la “libertad aparente” dei disegni di Miralles e Pinós, durante i pomeriggi di lavoro nel loro studio, frequentato già dai primi anni dell’università, e li porta in relazione con l’aspetto giocoso dei disegni di Joan Mirò, amico del nonno, che vegliavano i suoi pomeriggi di disegno nell’infanzia. Chiunque conosca il piacere del disegno non può che riconoscerlo fra le righe di Eva. Nel racconto di questi pomeriggi trapela il ludos e la passione per cui non c’è nessuna distanza possibile fra vita, disegno e mestiere.
2 | “How to layout a croissant”. Piante e sezioni, disegno di Eva Prats, 1991, Courtesy Flores & Prats.
3 | Hotel Nuevo Triunfo, Barcelona. Planimetria dello stato di fatto, 1999-2000. Disegno di Tanja Dietsch, Courtesy Flores & Prats.
La Casa in Via Augusta. Trovare, scegliere, accostare
Al confronto con le case costruite per sé da architetti come Joze Plecnik e Luis Barragan – scolpite sul rituale quotidiano dell’autore o concepite come luoghi di ritiro – o, ancora, se comparata ai prototipi idealmente riproducibili dell’abitare disegnati da coppie di architetti come gli Eames, tanto la casa quanto lo studio di Flores e Prats manifestano una scelta radicalmente diversa: sono luoghi stratificati e aperti, in cui la storia della famiglia si intreccia con quella della città di Barcellona. La vita quotidiana e il lavoro dei due architetti si svolgono all’interno di edifici preesistenti e raccontano la relazione profonda che Eva e Ricardo vogliono mantenere con la città dove lei è cresciuta e dove entrambi si sono formati. Si potrebbe argomentare che questa strada era stata già percorsa dal comune maestro, ma non è qui l’atmosfera di un antico palazzo, con frammenti di affreschi settecenteschi e spazi inusitati, della casa di Miralles e Tagliabue al Barrio Gotico. Flores e Prats hanno scelto altre storie, partendo dal carattere e dalla collocazione degli edifici, e sembrano inseguire piuttosto un fascino dell’ordinario, che si misura con la singolarità dell’esperienze.
Lo studio è in Carrer Trafalgar, sul limite fra la città vecchia e l’Eixample, mentre la casa è posta poco al di sopra dell’Avenida Diagonal, dove la maglia dell’Eixample lambisce il preesistente villaggio di Gràcia e inizia a dissolversi. Qui, l’andamento sinuoso dell’antica via romana Augusta introduce un elemento irrazionale nella serrata maglia ortogonale della città, percorrendo, forse, la traccia di una linea di displuvio delle acque, oggi suggerita dalla presenza di grandi alberi. A pochi passi da Casa Vicens – la prima casa costruita da Gaudì – e dagli interni fortemente espressivi del Giardinetto e del Flash Flash di Correa e Milà, radicati nell’immaginario urbano di Barcellona, si apre il mondo ibrido e colorato di Flores e Prats. Eva e Ricardo hanno scelto la propria casa passando in motocicletta per la Via Augusta, affascinati dal particolare edificio alto sette piani, costruito negli anni ’30 dall’architetto e urbanista Manuel Sánchez Arcas, che incarna quell’architettura borghese progressista, dal carattere decisamente urbano, che ‘avvicina’ i luoghi geograficamente distanti delle loro infanzie: per Ricardo l’architettura della sua città natale, Buenos Aires, per Eva la casa del nonno Joan Prats, a Barcellona.
Gli infissi verde menta, i balconi arrotondati, l’alto volume del piano terra con l’ingresso per le auto accanto a quello pedonale, incorniciati da una grande vetrata in ferro e vetro dello stesso colore; e poi il cuore dell’edificio – la scala illuminata dall’alto, che si avvolge attorno a una cavità sinuosa, e la ringhiera in ferro decorata da motivi floreali che nasconde l’ascensore – mettono in scena una felice convivenza tra l’entusiasmo per la tecnica e una dimensione artigianale della costruzione che non rinuncia alla decorazione.
4-6 | Casa in Via Augusta, Lo spazio dell’ingresso e la scala. Fotografie di Juan Rodríguez, 2021, Courtesy Flores & Prats.
La casa assume il tipo di alloggio borghese diffuso nelle maggiori città capitali, con l’ingresso sul corridoio ombroso che, come un canale ottico, termina sui due lati con grandi stanze luminose. Sul lato della strada affacciano gli ambienti del giorno con tre grandi aperture scandite dal ritmo verticale degli infissi. La vista è mediata dalle veneziane traforate, che posso essere spinte verso l’esterno per lasciare passare l’aria, e introducono nell’appartamento una luce vibrante e mutevole.
Molti dei quadri e delle incisioni che stavano nella casa del nonno di Eva, si incontrano qui con oggetti e arredi di epoche e provenienze diverse: tappeti, grandi specchi dalle cornici intagliate, vasi argentini con becco di pinguino – uno bianco per l’acqua, uno nero per il vino – molte luci “Ph5” di Henningsen in diversi colori e alcune presenze enigmatiche, come il rinoceronte in cuoio scuro che, al termine del corridoio, si riflette nelle ceramiche esagonali. La pavimentazione lucida, composta di piccoli elementi trasporta dentro l’alloggio una luce acquosa.
7-9 | Casa in Via Augusta, Corridoio di ingresso nell’appartamento e cucina. Fotografie di Juan Rodríguez, 2021, Courtesy Flores & Prats.
10 | Casa in Via Augusta, “mesa de cerezo para el te”. Fotografia di Juan Rodríguez, 2021, Courtesy Flores & Prats.
11, 12 | Casa in Via Augusta, vista della sala. Fotografie di Juan Rodríguez, 2021, Courtesy Flores & Prats.
13 | Casa-studio in Via Augusta, nuovi ambienti. Fotografia di Juan Rodríguez, 2021, Courtesy Flores & Prats.
La casa di Flores e Prats è un luogo di accumulo di ricordi e figure d’affezione che si sommano ai fantasmi già presenti nel luogo. Non è uno scrigno chiuso e introverso, ma una personale e affollata galleria, dove sono esposte memorie e passioni, con disposizioni solo apparentemente casuali. Tutto è leggero, sospeso, in movimento. La casa non è pensata per l’ozio contemplativo: lo dicono chiaramente sedie, poltrone e divani iconici – le Swan di Fritz Hansen, le Tulip di Saarinen, le Butterfly disegnate da Antoni Bonet, un paio di La Fonda degli Eames, la sedia formica di Jacobsen – che non invitano a guardare la televisione, ma a conversare, se infatti, come dice Eva, “guardan las formas” (Martínez Nebot 2014, 63).
I minimi interventi realizzati dai due architetti sono perlopiù mobili disegnati su misura per adattarsi alle diverse parti della casa o pensati per inserirsi fra questa folla di personaggi scelti: le librerie di legno iroko, semplicissime come gli scaffali di una bottega, che accolgono i libri più intimi e permettono di agganciare e sospendere piccoli quadri, alcuni armadi e un grande tavolo – la “mesa de cerezo para el te” – originariamente ideato per una coppia di avvocati che, disposto vicino alla finestra, introduce l’ingresso nelle stanze del giorno.
La cucina è forse il luogo in cui diventa più radicale l’esibizione della vita accumulata nella casa. È un ambiente frugale che potrebbe apparire in contrasto con il prezioso patrimonio culturale custodito nelle stanze principali. La disposizione è dettata dal piano di marmo preesistente, allargato con un nuovo piano dello stesso marmo, che lascia sospeso il lavandino con le tubazioni a vista. Attorno ai fuochi, gli architetti hanno disegnato due cassetti per lato, in legno, che seguono le curve del marmo. Lasciate le giunzioni di scorrimento a vista, i mobili sono sospesi e lasciano libero il ‘piede’ della stanza, perché Eva non ama gli armadi chiusi fino a terra “como faldones que esconden las piernas” (Martínez Nebot 2014, 64). In alto, la cappa è schermata da un pannello di vetro retinato che era già presente ed è stato restaurato. Padelle, mestoli e coperchi sono appesi a quattro lunghe barre di acciaio che attraversano la stanza in lunghezza e ci riportano all’esibizione del rituale legato al cibo, così centrale nelle opere dell’amico artista Antoni Miralda. Un omaggio che diventa esplicito nel frigorifero con gli scomparti a vista. Siamo agli antipodi del minimalismo, all’interno di un microcosmo ricco e sovrabbondante, dove convivono personaggi altisonanti e ordinari con accordi sorprendenti, e la qualità dell’abitare nasce da un confronto serrato con ciò che già esiste, in dialogo con oggetti, storie e memorie che continuano a stratificarsi nel tempo.
The “as found” [is] where the art is in the picking up, turning over and puttingwith...[…] Thus the “as found” was a new seeing of the ordinary, an openness as to how prosaic “things” could re-energise our inventive activity (Smithson, Smithson 1990).
La particolare osservazione dell’“as found” che permea l’alloggio di Eva e Ricardo ci riporta all’affinità elettiva con gli Smithson, che prosegue nell’amicizia con la figlia Soraya, e si ritrova estremizzata nell’appartamento attiguo, acquistato dalla coppia attorno al 2019: uno spazio da ristrutturare, adattato provvisoriamente a studio durante il lockdown, che è ancora oggi oggetto di ‘discussione’. Potrebbe essere annesso alla casa, o continuare a esistere come rovina viva ancora aperta a molteplici possibilità di trasformazione. Questa giocosa convivenza con l’esistente è uno degli aspetti specifici e più fertili del lavoro di Flores e Prats che, partendo dalla loro casa, è possibile ripercorrere nello spazio e nel tempo della loro città.
14 | Casa-studio in Via Augusta, studio del colore di Eva Prats, 2021, Courtesy Flores & Prats.
15 | Casa-studio in Via Augusta, disegno di Nina Andreatta, colori di Eva Prats, 2021, Courtesy Flores & Prats.
Barcellona, “As found”
We are intcrested in the idea of imperfection as an attitude in our work, and this has to do with our interest in the city, in accepting different phases, and in thinking that our work is part of a longer series of hands that are touching the city. […] in the same way we think that our work should be inside a longer time, it is not something that has to be clean and new, but disolved into something that is already there, that exists before we arrive to the site. […] in a way it is a very old way of doing things… (Flores, Prats 2007, 35).
Percorrendo lo straordinario asse della Diagonal fino al suo limite estremo a sud ovest, si arriva al margine della città, quasi alla foce del Llobregat, dove Bofill ha costruito l’utopia di un abitare comunitario scritto in rossi intonaci e brillanti ceramiche. A pochi passi da Walden 7, troviamo la fabbrica di tessuti tessili che ha segnato, attorno al 2000, l’ingresso di Flores e Prats nel mondo del riuso o, per dirla con le parole dei due architetti, ne “la disciplina de lo esistente” (Flores, Prats, Adrià 2014, 146). Una maschera di lamiere ondulate colorate di rosso e di giallo riveste, senza davvero nascondere, la congiunzione dei capannoni preesistenti con il notevole ampliamento del magazzino della Yutes Textiles (che ne triplica i volumi).
I due proprietari della piccola azienda di tessuti erano fermamente convinti della necessità di limitare le distruzioni, gli smaltimenti, gli scarti e conservare quanto più possibile dell’esistente, non solo per una questione ecologica e morale, ma per il vincolo emotivo che riconoscevano nell’edificio, come incunabolo di ricordi. È stata questa decisione dei committenti che, secondo quanto sostiene Eva (Prats 2019), ha introdotto lo studio in una nuova fase di sperimentazione, più attenta all’impiego di elementi preesistenti, dopo anni di lavoro su temi e scale di lavoro diverse. La composizione a partire da riferimenti condivisi e memorie costruite insieme nei viaggi dei due architetti è costante nel lavoro dello studio. Un caso eclatante è l’Edificio 111 a Terrassa che, dopo aver confrontato il bugnato teso di Palazzo Rucellai e la forza plastica del basamento di Palazzo Pitti, riprende le forme composte del bugnato di Palazzo Strozzi. Tutte ipotesi osservate e misurate durante un viaggio in Italia centrale, intrapreso per ‘rubare’ il segreto di edifici affacciati su grandi spazi vuoti, dai palazzi fiorentini, alle rocche di Francesco di Giorgio Martini, che traguardano gli ampi orizzonti del Montefeltro. Ma, accanto ai riferimenti appresi dalla storia dell’architettura, nei lavori di Flores e Prats su edifici preesistenti, emerge anche un interesse più immediato, fisico e materico all’impiego di elementi, spesso di nessun valore economico (come la porta industriale all’ingresso della Nave Yutes), che vengono smontati e ricollocati in sede o in altre parti della struttura, come si ricollocano affreschi o elementi preziosi.
Le nuove cortine di facciata sono disegnate come una composizione di scampoli di tessuto. L’utilizzo di un materiale dichiaratamente industriale come la lamiera ondulata viene qui piegato alla costruzione di una composizione fortemente artigianale: più che una maschera, ci appare come un vestito cucito sulle forme del corpo, che si ritaglia in corrispondenza di aperture nuove o vecchi infissi riposizionati, e si solleva con due ali leggere in corrispondenza del primo nucleo dell’edificio per scoprire le aperture e mostrare la sua genesi. In sommità, la salita alla copertura voluta dagli imprenditori come spazio di gioco disegna una sorta di ‘testa’, dove la cortina metallica si piega per rivestire l’ascensore, seguita dalla vertiginosa scala in ferro. La salita dinamica dei fronti sull’angolo, nel suo avvitarsi verso l’alto, compone un gesto di saluto al gigante rosso di Bofill.
16 | Yutes warehouse in Sant Just, Barcelona, assonometria a colori. Disegno di Eva Prats, 2005, Courtesy Flores & Prats.
17 | Yutes warehouse in Sant Just, Barcelona, facciata del fronte di accesso. Fotografia di Hisao Suzuki, Courtesy Flores & Prats.
18 | Yutes warehouse in Sant Just, Barcelona, vista aerea con Walden 7 sullo sfondo. Courtesy Flores & Prats.
Al capo opposto della città, dove l’Avenida Diagonal attraversa il quartiere di Poblenou i due architetti nel 2011 hanno vinto il concorso per la realizzazione della Sala Beckett. Si trattava di realizzare una nuova ‘casa’ per il centro internazionale di drammaturgia diretto da Toni Casares, con spazi per la scuola e sale per le rappresentazioni aperte al pubblico, in luogo dell’edificio abbandonato della cooperativa operaia Pau i Justícia. L’edificio non era vincolato e poteva essere interamente distrutto, ma rappresentava una storia importante della vita pubblica della città, che il progetto presentato da Flores e Prats – pur molto ridimensionato e ripensato dal concorso alla realizzazione – mostrava, fin dall’inizio, il desiderio di conservare. Lo studio ha dedicato tre mesi di lavoro per disegnare ogni porta, ogni finestra, ogni scala, balaustra, pavimentazione, decorazione di stucco, fino a comporre un inventario di oltre cento pagine, dove gli elementi costruttivi sono riprodotti, accostati alla stessa scala e colorati come in un ‘bestiario’. Un lavoro paziente, che ha nobilitato oggetti e finiture comuni, e ha persuaso l’impresa di costruzioni a prestare la cura necessaria per conservare questi elementi considerati di nessun valore, fino a rompere le murature per smontare stucchi e porte senza perdere le cornici.
19 | 44 Porte e 35 Finestre per la Nuova Sala Beckett. Flores & Prats con Agustina Bersier, Mariela Allievi, Judith Casas e 15-L FILMS, 2019, Courtesy Flores & Prats.
Sappiamo quanto sia più economico, in spese ed energie, buttare l’esistente e ripartire da zero, specialmente quando il cantiere parte e tutte le presenze colorate dell’inventario escono di scena. Ma il progetto di Flores e Prats torna ad intrecciare gli elementi preesistenti come soglie e decorazioni, attorno alla nuova vita dell’edificio. E, come ha affermato Lahuerta, ci spinge a chiederci “perché il concetto di patrimonio deve essere associato a qualcosa di prestigioso e monumentale?” (Lahuerta 2017). Non è certo secondaria la presenza di un committente che, già durante i primi sopralluoghi, ripeteva ai concorrenti: “abbiamo bisogno di questi fantasmi”, “esto nos sirve!” Eppure sembra essere proprio il tempo del disegno, che i due architetti hanno posto alla base della propria “disciplina” di lavoro, la chiave per osservare e ricomporre giocosamente la presenza del passato dentro la nuova vita dell’edificio, attraverso un fare progettuale che mantiene il processo aperto a continue contaminazioni.
Dibujar el tiempo. Trabajar en edificios antiguos tiene la ventaja de no haber participado en su creación, y asì poder jugar el papel de observador. El trabajo comienza observando cosas que han hecho otros. Observar dibujando, registrarlo todo. En el Museo de los Molinos de Palma, la mirada oscilaba constantemente desde esa construccion hacia la obra de Carlo Scarpa, una influencia inmediata en esos primeros años de trabajo. Sin embargo, sí el la obra de Scarpa los diferentes momentos históricos por los que pasa el edificio, se definen y separan para que el visitante los pueda reconocer y pueda reconstruir su evolución histórica, poco a poco comenzamos a ser críticos con esa actitud, pensando que la separación del resultado en tiempos identificables lo fragmentaba todo demasíado, y la cantidad de detalles preciosos competían por captar la atención del ojo del observador. Comenzamos a pensar entonces que preferíamos una experiencia más subconsciente al recorrer el edificio, que el resultado fuera más disuelto, más parecido a aquella suma discreta y calmada que es la ruina cuando se presenta como tal, que nos espera paciente y en silencio para que la valoremos. Esa ruina, que describe el paso del tiempo en los rastros que han ido quedando a la vista, no separa sus tiempos, sino que los une y convierte el edificio en un palimpsesto. Aceptar la suma de historia encontrada en un edificio existente es una disciplina, es aceptar el fantasma que està presente en toda la vida de un edificio como la cualidad física que el tiempo otorga a las cosas (Flores, Prats, Adrià 2014, 146).
Il corpo centrale della nuova Sala Beckett unisce percettivamente spazi e tempi dell’edificio. La scala, che saturava il corpo centrale della cooperativa, viene spostata sul margine destro – dove si svolge attorno alla parete e si protende come un pulpito nelle pause tra le rampe – per lasciare libero il passaggio che dalla biglietteria conduce alla Sala de Baix. Lo spazio si apre in altezza con gli svuotamenti curvilinei che permettono di traguardare il primo piano. La lunga prospettiva è ritmata dalle puntualizzazioni che emergono o scavano le due pareti: le profonde (e comode) sedute in legno, le scritte frammentarie della cooperativa, i gessi dei soffitti rimontati a parete, le porte su stanze che non sono più… e, sulla sinistra, l’arco scenico di un teatrino dove la sinuosa poltrona di velluto, rossa come pareti e pavimento dell’intera nicchia, permette di sedersi a guardare chi passa e chi sale. L’ingresso della luce e la salita della scala si legano in un unico e intenso momento narrativo dove si ricrea quell’impressione piranesiana di rovina attraversata dalla luce, che penetra attraverso i crolli dei solai. L’atmosfera misteriosa perde qui ogni connotazione tragica e lo spazio è pervaso di un ottimismo difficile da descrivere, che si può sperimentare passando qualche tempo al suo interno, fra le molte persone che passano, gli studenti di teatro che mangiano sul grande sedile rosso, i bambini che giocano, i giovani architetti che fotografano.
Nel ‘comedor’, nei camerini, come nella piccola corte è impossibile capire cosa c’era e cosa è stato aggiunto, senza confrontare fotografie, piani e sezioni. Gli spazi della Beckett hanno quell’aria straordinaria di luoghi senza tempo, dove gli architetti hanno saputo inserire nuove figure e nuovi spazi senza dire l’inizio e la fine del proprio intervento. Quello che appare come il naturale svolgimento di forme, materiali e colori eterogenei di un edificio stratificato è in realtà il frutto di un lento lavoro di accettazione, appropriazione e ricucitura, costruito attraverso raffinati dispositivi scenici. Il progetto mette in scena e lega fra loro storie diverse, che si sommano senza cancellarsi a vicenda, come le diverse storie che compongono questa singolare coppia di architetti. Così anche la casa di Flores e Prats, come i loro progetti, esprime il desiderio e la capacità di amare qualcosa che è stato iniziato da altri, di inserirsi nella storia e lasciare l’opera aperta, per abitare il lusso del tempo.
20 | Sala Beckett, pianta del piano terra, stato di fatto al 2013 e progetto realizzato al 2016. Courtesy Flores & Prats.
21 | Sala Beckett, sezioni trasversali, stato di fatto al 2013 e progetto realizzato al 2016. Courtesy Flores & Prats.
22 | Sala Beckett, pianta e sezione della scala principale. Disegno di Inès Martinel, Courtesy Flores & Prats.
23 | Sala Beckett, spazio di ingresso. Fotografia di Adrià Goula, Courtesy Flores & Prats.
24 | Sala Beckett, lucernario al piano secondo. Fotografia di Adrià Goula, Courtesy Flores & Prats.
25 | Sala Beckett, vista da Carrer de Pere IV. Fotografia di Adrià Goula, Courtesy Flores & Prats.
Nota
[*] Eva Prats ha conseguito il dottorato in Architettura presso la Royal Melbourne Institute of Technology (RMIT) nel 2019 con la tesi dal titolo To observe with the client, to draw with the existing. Three cases of architecture dealing with the As-Found. Ricardo Flores ha conseguito il dottorato presso l’ETSAB nel 2016 con la tesi La Ricarda House by Antonio Bonet Castellana. A Formalized Territory. Entrambi hanno insegnato presso numerose scuole fra cui: l’ETSAB di Barcellona, l’ETH di Zurigo e la Kingston University di Londra. Eva Prats è attualmente professoressa presso l’Accademia di Architettura di Mendrisio.
Riferimenti bibliografici
- Archives Universum 2022
Flores & Prats, “Archives Universum” 1 (2022). - Flores 2016
R. Flores, Casa La Ricarda de Antonio Bonet Castellana. Un territorio formalizado, Tesis Doctoral, Director de Tesis Antonio Armesto Aira, Universitat Politècnica de Catalunya, Escola Tècnica Superior d’Arquitectura de Barcelona, Departament de Projectes Arquitectònics, Barcelona, 2016. - Flores, Prats 2007
R. Flores, E. Prats, Falten und verdichten, “S AM” 1 (2007), 35-39. - Flores, Prats, Adrià 2014
R. Flores, E. Prats, M. Adrià (ed. por), Pensando a mano. La arquitectura de Flores & Prats, Culiacan 2014. - Flores, Prats 2023
R. Flores, E. Prats, Dibujar sin borrar y otros ensayos, Barcelona 2023. - Lahuerta 2017
J. José Lahuerta, Residua. Obbligo e invenzione: un’opera recente di Flores & Prats, “Casabella” 875-876 (2017). - Martínez Nebot 2014
A. Martínez Nebot, Un romance urbano en Barcelona, “El País semanal” 1951 (2014), 62-65. - Miralles [1987] 2021
E. Miralles, Fantasia muscolar: cosas vistas a izquierda y derecha (sin gafas), vol. III [Barcelona 1987], Madrid 2021. - Prats 2019
E. Prats, To observe with the client, to draw with the existing. Three cases of architecture dealing with the as-found, Thesis by Eva Prats, PhD by practice at RMIT: Royal Melbourne Institute of Technology, 2019. - Prats [2015] 2023
E. Prats, Sobre el dibujo a mano [On Drawing by Hand, “Atlantis. Magazine for Urbanism & Landscape Architecture” October 2015], in R. Flores, E. Prats, Dibujar sin borrar y otros ensayos, Barcelona 2023, 11-15. - Prats 2023
E. Prats, Tardes de dibujo, in R. Flores, E. Prats, Dibujar sin borrar y otros ensayos, Barcelona 2023, 82-93. - Smithson, Smithson 1990
A. Smithson, P. Smithson, The 'As Found' and the 'Found', in D. Robbins (ed.), The Independent Group: Postwar Britain and the Aesthetics of Plenty, Cambridge (Mass.) 1990, 201-202.
English abstract
The home-studio of architects Eva Prats and Ricardo Flores in Barcelona stands as a manifesto of their design poetics. Far from any formal idealism, the house embodies a way of inhabiting time, welcoming the layered presence of memory – from the intimate scale of domestic life to the broader relationship with the city. This article retraces the couple’s story and their working method, which revolves around drawing by hand as a form of thought that is at once intuitive and questioning. The studio’s focus on the built environment as a temporal and stratified condition is explored through a selection of adaptive reuse projects carried out in Barcelona over the past two decades – from Yutes Textiles to Sala Beckett. These projects reveal how architectural design can act as a tool for unveiling and enhancing what already exists, bringing forgotten or overlooked elements back to the center of attention.
keywords | Flores & Prats; Drawing by hand; Inhabiting time; Stratification; Design process; Old and new; Reconstruction; Adaptive reuse; Barcellona.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Claudia Cavallo, Abitare il tempo. La casa di Flores e Prats a Barcellona, “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025.
Per citare questo articolo / To cite this article: Claudia Cavallo, Abitare il tempo. La casa di Flores e Prats a Barcellona, “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025, pp. xx-yy | PDF dell’articolo (con link quando è disponibile il PDF)