Una coppia tra arte e architettura
1 | Ritratto di Mauricio Pezo e Sofia von Ellrichshausen, 2022
2 | Pezo von Ellrichshausen, 71809161013 (Interior no 020 – dalla serie Exterior), olio su tela, 180 x 240 cm, 2016
Il nome Pezo von Ellrichshausen suona ‘ad arte’ come quello di una sola persona e rappresenta efficacemente quel tutt’uno indivisibile che sono Mauricio Pezo e Sofia von Ellrichshausen [Fig. 1]. Pare impossibile, nel loro caso, separare la vita privata dalla vita lavorativa ed è inutile cercare di capire se esistano, e quali siano, i rispettivi ruoli: “noi” è l’unico pronome ammesso. È ciò che emerge dal colloquio a distanza avuto con gli architetti prima della stesura di questo testo, che sviluppa e approfondisce alcuni temi suggeriti dal contenuto di quella conversazione.
Mauricio Pezo (1973) è nato e ha studiato nel Cile meridionale; Sofia von Ellrichshausen (1976) proviene dalla regione argentina della Patagonia e ha studiato a Buenos Aires. Il loro incontro è tanto fortuito quanto fortunato: si conoscono a Buenos Aires durante un evento culturale quando Sofia è ancora studentessa, mentre Pezo, già laureato, partecipa in veste di architetto. Di lì a poco, nel 2002, fondano insieme uno studio “di arte e di architettura” – a sottolineare quanto la compresenza dei due ambiti rappresenti una costante nella loro produzione.
Già nel 2001 Sofia e Pezo danno vita al Movimiento Artista del Sur che firma, fra i diversi interventi, alcune installazioni urbane – Operaciones Instantáneas – miranti a offrire una lettura del reale “con todas sus restricciones y con todas sus potencialidades” (Pezo 2005). È significativo che siano gli stessi autori ad affermare il valore astratto di queste iniziali prove di dialogo col contesto, segni silenziosi in ascolto della vita urbana che non vogliono offrire alcuna spiegazione, imporre alcun significato, ma attendono piuttosto la risposta creativa di chi in essi si imbatte: “Por eso no me interesan las obras estridentes. Ni las obras que exijan demasiada atención. Prefiero que la obra actúe como indicio” (Pezo 2005). Ma il silenzio di tali installazioni, seppure definite dagli autori “tautologiche”, è tutt’altro che neutrale o asettico, rappresentando il tentativo di ‘misurare’ lo spazio quotidianamente vissuto attraverso l’accumulo, la ripetizione e la sottolineatura di elementi comuni o di scarsa importanza: come avviene nell’opera Color Circular che sposta l’attenzione sul mondo sotterraneo delle fognature, quale manifestazione parallela, invisibile e secondaria del più nobile organismo urbano di superficie. Ecco che la trascurabile perfezione circolare dei chiusini viene invece palesata dalle tinte accese di una nuova verniciatura, diventando un’imprevista e originale misura dello spazio urbano.
Anche dopo essere sbocciati nella loro attività professionale di architetti, Pezo von Ellrichshausen hanno continuato a dedicarsi all’arte, specialmente nella forma grafica e pittorica, cui assegnano valore di prefigurazione, commento e formulazione teorica rispetto al progetto di architettura. Disegni e dipinti, rigorosamente firmati in coppia a prescindere da chi sia l’esecutore o l’esecutrice materiale, sono parte integrante della produzione architettonica e oscillano fra astrattismo e figurativismo. La serie Exterior del 2016 raccoglie dipinti a olio di grande formato (180x240 cm), ognuno raffigurante una porzione enigmatica di spazio fatto di pochi ed essenziali elementi: un muro, un pilastro, una porta, uno spigolo, un gradino, sempre investiti da una luce surreale, hopperiana [Fig. 2]. Talvolta sullo sfondo compare un orizzonte che non sappiamo se di acqua o di terra. Il colore, a differenza della loro architettura generalmente monocroma, qui agisce da protagonista nel distinguere le diverse superfici e dare risalto alla tridimensionalità del soggetto. Tutti insieme i quadri formano una serie astratta che è una sorta di catalogo non finito delle infinite possibilità spaziali. Il principio della serialità, che ricorre in numerose altre opere, è, come vedremo, strettamente connesso a una precisa idea di architettura.
Talvolta la loro arte è invece maggiormente figurativa nel delineare il rapporto dell’edificio progettato col contesto. Anche in questo caso luce e colori mantengono una valenza drammatica che è all’origine dell’intensità emotiva delle scene [Figg. 3-4]. Pezzi di una serie in divenire possono essere considerate anche le opere di architettura, battezzate ognuna con un nome di quattro lettere scritte in maiuscolo. Durante gli oltre venti anni di attività professionale, l’architettura residenziale occupa da sempre un posto privilegiato nella produzione della coppia cileno-argentina, che ha realizzato prevalentemente case unifamiliari. Fra queste, tre sono dimore destinate a loro stessi: POLI, CIEN e LUNA. La prima è sia casa di vacanza che centro culturale, mentre le restanti due sono state concepite come case studio e residenze principali. Per il loro carattere di dimora permanente, si è scelto di indagare CIEN e LUNA come architetture-manifesto di un’idea di abitare.
Infine, è utile ricordare l’impegno didattico di Pezo von Ellrichshausen – Harvard, Berkeley, Yale, Cornell sono fra le università dove hanno insegnato – e la loro attitudine alla teoresi che si nutre dell’interesse per la filosofia e si manifesta con chiarezza negli scritti come pensiero sì destrutturante, ma finalizzato alla ricostruzione di un ‘sistema’ compositivo di tipo razionale. Peraltro, Pezo sta attualmente svolgendo una tesi di dottorato in filosofia incentrata sull’opera di Niccolò Cusano.
CIEN
Casa CIEN (2008-2011), la seconda in ordine cronologico delle residenze personali, viene realizzata dopo almeno cinque esperienze pregresse nel campo della progettazione di residenze monofamiliari. “Cien” – cento – è la quota sopra il livello del mare alla quale sorge questa casa situata sul fianco di una collina gremita di cipressi ai margini della città di Concepción, nella regione del Bío Bío (Cile) [Figg. 5-6]. Si potrebbe descrivere l’edificio come una torre a pianta quadrata innestata su di un basamento [Fig. 7], oppure, cambiando punto di vista, come un prisma rettangolare formato da tre moduli cubici di lato 6 m, uno dei quali sviluppato in altezza per ulteriori 14 m [Figg. 8-9]. La prima è una descrizione di ordine tipologico, la seconda di ordine geometrico; eppure, in nessun caso si riesce a cogliere a pieno il senso di questa architettura che sfugge a ogni tentativo di definizione. In effetti, la torre e il suo ‘piede’ sono di difficile inquadramento dal punto di vista tipologico, così come lo è la relazione tra le parti, ancorché considerata nell’ottica di una reiterazione o giustapposizione dello stesso elemento di base: il cubo 6x6x6. È certo che il connubio di precisione geometrica – una “obsesión geométrica” (Fernández-Galiano 2017, 3) – e di vaghezza tipologica genera una perturbante ambivalenza in grado di moltiplicare i livelli di lettura di questo edificio che è insieme fortezza, pilastro, misteriosa rovina o, per astrazione, albero con le sue radici.
Il modulo planimetrico di base è un quadrato suddiviso in quattro parti secondo uno schema a croce asimmetrica, da cui hanno origine due spazi a pianta quadrata di diverse dimensioni e due spazi uguali a pianta rettangolare. Nello zoccolo posto alla base – dove il piano inferiore è destinato ad ambienti di lavoro manuale, mentre il superiore contiene quelli di soggiorno – la ripetizione del modulo suddiviso in settori produce una sequenza ritmica del tipo ABAB e individua una fascia longitudinale dove trovano collocazione i servizi e i collegamenti verticali [Figg. 10-11]. Nel grande spazio di soggiorno, esteso all’intero piano, la scansione dei setti murari corrisponde a un lieve cambio di quota fra un ambiente e l’altro producendo una enfilade discendente in direzione ovest, nella quale si susseguono: cucina, stanza da pranzo e soggiorno [Figg. 12-14]. A questo livello si giunge scendendo per una scala, intagliata nello zoccolo, che parte dalla quota stradale [Figg. 15].
Nella torre, lo schema planimetrico quadripartito viene interpretato ai vari livelli in modo diverso con minime variazioni. Il primo piano serve come ingresso ‘pubblico’, ma anche come ambiente di scambio fra i collegamenti verticali, ovvero tra due scale elicoidali: una privata che congiunge i primi quattro livelli della casa, e l’altra, pubblica, che copre lo sviluppo della torre nei suoi cinque piani, senza interessare il secondo dove si trova la camera da letto, che così rimane esclusa dal percorso di salita verso lo studio. Superiormente si dispongono gli ambienti dell’atelier, il più elevato dei quali ospita gli studioli di Pezo e Sofia [Fig. 16], collocati ciascuno all’interno di una nicchia e dotati di propria finestra: soluzione che, per parsimonia formale e integrazione reciproca di spazio e arredi, rimanda alla semplicità compiuta delle celle monastiche. Man mano che si sale, la vocazione degli ambienti si fa quindi più ‘speculativa’. Il basamento, a contatto con la terra, è destinato alla ‘vita activa’, mentre la torre, cercando l’altezza, si consacra alla ‘vita contemplativa’ [Figg. 17-18]. In tal modo le due parti che compongono il sistema, all’apparenza inconciliabili secondo i canoni tipologici, trovano ragione di coesistere.
Nel quartiere di ville e villette ove sorge, Casa CIEN rappresenta un’evidente eccezione, lontana dall’immagine della tipica residenza borghese ancorché moderna, e più vicina a quella di un opificio, al cui carattere concorre, oltre alla forma, il cemento armato a vista composto da strati di ugual misura con finitura scabra. All’interno di questo impaginato regolare, le finestre quadrate di dimensioni varie si dispongono secondo necessità, noncuranti della regola suggerita dal ritmo dei ricorsi, anzi talvolta a questi accavallandosi come se fossero state realizzate a costruzione ultimata. Anche in questo caso gli architetti preferiscono deviare dal solco della regola. All’interno, i sottili listelli lignei di colore bianco che rivestono la muratura ricordano le casseforme, facendo ‘sentire’ la presenza del calcestruzzo retrostante. Alle pareti, opere d’arte di loro produzione.
LUNA
Pezo von Ellrichshausen realizzano la terza casa dal 2018 al 2021 nella località di Santa Lucía Alto, all’interno di un terreno di 120 ettari per la maggior parte occupato da boschi. L’area si trova ai piedi delle Ande, a 150 km da Concepción [Figg. 19-20]. Sebbene l’edificio abbia un accentuato sviluppo orizzontale, è impostato sullo stesso schema geometrico del modulo base di Casa CIEN. Ma qui il quadrato quadripartito ha tutt'altra estensione misurando 75x75 m [Figg. 21-23]. L’applicazione dello stesso schema a una situazione diversa per contesto paesistico e dimensione dell’intervento è sintomatica di un approccio compositivo del tutto peculiare, fondato sul concetto di “formato”, termine col quale gli architetti non intendono né la forma né il tipo, ma un embrione di possibili sviluppi in senso unicamente dimensionale. In sostanza, lo stesso “formato” può dare esito a configurazioni diverse a seconda di come viene interpretato nelle tre dimensioni: lo schema quadripartito di Casa CIEN può quindi diventare una torre se ne viene privilegiata l’altezza, o un sistema di corti se l’ampiezza prevale sull’altezza. “Un formato es tal vez nada más que un delicado y casi invisible trazado. Es el marco para un campo de acción, un contorno figura” (Pezo von Ellrichshausen 2016, 42).
Casa LUNA è dunque un vasto quadrato nel quale il vuoto prevale sul pieno [Fig. 24]. La parte costruita consta, infatti, dei soli ‘contorni’ della figura, ottenuti dalla ripetizione del modulo 5x5 m. Gli esili bracci di questo sistema che guarda al modello del “chiostro”, come dichiarato da Pezo von Ellrichshausen in una relazione tecnica non datata, accolgono spazi interni e spazi esterni coperti; inoltre, racchiudono quattro distinte corti: “an elongated one following the natural terrain together with the sunrise and sunset; another long one facing north totally flat and with a water stream that connects two triangular ends; a non-directional one filled with a circular flower garden and one more thrice its size and holding a pond and some old trees”. La figura, orientata secondo i punti cardinali, recinge una porzione di terreno digradante da est a ovest; ciò determina la presenza di un solo piano dove il terreno è più alto e di due piani dove è più basso [Figg. 25-26-27].
Il cortile maggiore [Fig. 28] deriva le proprie misure dal diametro della “medialuna” – il recinto dei tori nella tradizione rurale cilena – dando il nome all’edificio. Tuttavia, come spiegano gli architetti nel nostro colloquio, la sua misura di circa 45 m è anche una distanza limite rispetto a ciò che si può definire una “relazione di intimità”, superata la quale si perde il contatto visivo e vocale tra due persone che stanno alle estremità opposte dello stesso spazio. Ciò dimostra la precisione ‘topologica’ che guida il progetto nella ricerca della coerenza tra misure della forma e misure esistenziali.
Per conciliare esigenze di privacy e di vita comunitaria, il complesso, per quanto unitario, viene suddiviso in almeno tre ‘sezioni’ funzionali: due zone abitative e l’atelier – non contando le dodici parti nelle quali l’edificio è interrotto strutturalmente dai giunti sismici. Per chi arriva da nord, dove giunge la strada, l’edificio si presenta come un lungo muro basso che guadagna altezza nella direzione in cui scende il terreno. Nel punto più alto, corrispondente allo spigolo del recinto, l’angolo è scavato da un’esedra che accoglie il visitatore e conduce all’appartamento principale [Fig. 29], organizzato intorno al cortile quadrato minore. I rimanenti lati del piccolo chiostro ospitano un altro appartamento e una loggia [Fig. 30]. Lo studio e i connessi ambienti espositivi sono collocati intorno ai cortili rettangolari [Figg. 31-36], mentre un’ulteriore e più appartata zona abitativa trova spazio nel braccio est. Gli spazi che occupano in successione i bracci dei chiostri danno vita a una simbolica e misteriosa topografia che realizza un microcosmo sottratto ai rumori del mondo. Tra gli ambienti, spiccano un poetico focolare dal carattere sacro e insieme rurale [Fig. 37], e una biblioteca ‘pensile’, cioè sollevata da terra, riconoscibile come inserto cilindrico, che pare alludere all’idea di un serbatoio di risorse intellettuali. Proprio la biblioteca [Figg. 38-39], situata strategicamente fuori dalla zona domestica e perciò disponibile a tutti gli abitanti di questo luogo, definisce la casa come una residenza comunitaria.
Per rendere fluida la distribuzione dei percorsi, all’incrocio dei bracci intermedi è posta una scala elicoidale che riconnette verticalmente le diverse parti dell’edificio e si manifesta in tutta la sua evidenza di perno distributivo. Da notare è la cura certosina dedicata al disegno della copertura che rende l’alternarsi di pieni e vuoti una esplicitazione, quasi ‘musicale’, della scansione modulare dell’impianto. Come per Casa CIEN, il riferimento tipologico è ambiguo. Se i complessi claustrali si strutturano gerarchicamente rispetto al volume della chiesa e seguono regole precise nella distribuzione, affidata in genere ai colonnati che circondano le corti, qui le gerarchie e le distinzioni sono pressoché annullate e la distribuzione avviene non perimetralmente ma all’interno dei bracci. Nondimeno l’atmosfera è quella del monastero, cioè di un’architettura plasmata da una ‘regola’. Sono gli stessi architetti a richiamare, durante il colloquio, il testo di Giorgio Agamben Altissima Povertà, che tratta del progetto politico cenobita fondato sulla coincidenza di vita e forma (Agamben, 2011). Scandita dalla sequenza ritmata delle diverse e molteplici funzioni che ‘elencano’ le abitudini del vivere quotidiano, la casa-recinto si conforma all’esistenza di questa coppia ‘autarchica’, che trova al proprio interno le risorse pratiche e intellettuali necessarie alla conduzione dell’attività professionale. Con comprensibile orgoglio Pezo e Sofia dichiarano l’esiguità numerica della squadra di lavoro, formata da Pezo, Sofia e qualche occasionale collaboratore.
Distillazione estrema del convento corbusiano di La Tourette, a sua volta filtrato attraverso la trasposizione cilena operata da Emilio Duhart nella sede della CEPAL (Comisión Económica para América Latina y el Caribe) a Santiago, il recinto di Casa LUNA è un segno archetipico, tanto è essenziale. Per questo forse, nonostante l’ampiezza dell’impianto generale, l’architettura risulta silenziosa, in completo ascolto dei cicli naturali dei quali si fa teatro. Appena affiorante dal terreno – questa la sensazione generata dalle proporzioni dell’edificio – il suo silenzio è anche quello di un’architettura interrotta: sorta di sostruzione in attesa del completamento superiore e, come tale, pervasa dal fascino della promessa che qualcosa può ancora accadere.
Coincidentia oppositorum
Fernando Pérez Oyarzún ha scritto che “el trabajo de Pezo von Ellrichshausen, deliberadamente a caballo entre la arquitectura y el arte, exhibe una condición fronteriza” (Pérez Oyarzún 2017, 6). Tale condizione “di confine” può essere intesa anche come predisposizione alla compresenza di aspetti molteplici e contraddittori, ovvero a una coincidentia oppositorum – locuzione coniata da Niccolò Cusano per esprimere la complessa e inafferrabile natura divina – trasferita sul piano della composizione architettonica. Se le contraddizioni non spaventano Pezo von Ellrichshausen, propensi anzi a considerarle un antidoto alla prevedibilità della norma, la distanza dal canone è sempre perfettamente calibrata in modo da conservare un plausibile equilibrio tra fedeltà e tradimento.
Questo tratto caratteristico del loro operare, che si manifesta sotto varie forme, può essere definito come un’attitudine all’ossimoro. Prendiamo, ad esempio, la serie pittorica Finite Format_04 [Fig. 40], che esplicita le potenzialità generative del cosiddetto “formato” all’origine di Casa CIEN. Le molteplici variabili di uno stesso principio geometrico sono messe a sistema in forma di tabella, ovvero di matrice iconografica potenzialmente infinita, che tuttavia, per ovvie ragioni, consta di un numero finito di configurazioni. Non si può fare a meno di ravvisare, in tale procedimento, la ricerca di un Tutto morfologico attraverso quella che Borges chiama “enumerazione, sia pure parziale, d’un insieme infinito” (Borges [1949] 2015, 165). La “vertigine della lista”, come recita il titolo di un libro di Umberto Eco, consiste infatti nel desiderio di approssimare l’infinito per mezzo del finito. Proprio le parole di Eco aiutano a cogliere il senso delle variazioni morfologiche contenute nella serie Finite Format: “Nella misura in cui una lista caratterizza una serie per quanto difforme di oggetti come appartenenti allo stesso contesto o visti dallo stesso punto di vista [...], essa conferisce ordine, e dunque un accenno di forma, a un insieme altrimenti disordinato” (Eco 2009, 131). I singoli elementi della serie non hanno tra loro alcuna parentela tipologica, eppure diventano una ‘famiglia’ non solo per la comune discendenza da uno stesso principio, ma in quanto ognuno è specifica manifestazione della Forma, intesa come idea assoluta, come concetto filosofico. Il ‘generale’, ovvero la serie, finisce così per dare senso al ‘particolare’, ovvero al singolo elemento, che in tal modo non è più disgiunto o irrelato rispetto agli altri. Finite Format è dunque una sorta di borgesiano “Aleph” dove le finite possibilità combinatorie rappresentano le infinite sfaccettature della Forma.
Un altro aspetto felicemente contraddittorio riguarda ciò che possiamo nominare “ruvida perfezione”. Si tratta di una ricercata precisione geometrica che si traduce in schemi planimetrici e volumetrici coincidenti con forme pure, di immediata lettura: una precisione che tuttavia non si esaurisce in sé stessa, ma accoglie le sollecitazioni provenienti dal contesto e soprattutto si accompagna a una presa di distanza dal canone della disciplina, col risultato di introdurre un principio di ‘corruzione’ che libera e vivifica la compiutezza originaria. “La forma costruita non può essere un’idea platonica – sostengono gli architetti durante la conversazione – ma è piuttosto un accordo fra diversi fattori. La possiamo immaginare al centro di un triangolo ai cui vertici si trovano: contesto, programma funzionale, costruzione”. Nel farsi costruzione, l’incontro della forma con la realtà e le sue insanabili contraddizioni innesca un poetico “conflitto fra astrazione e vita” (Fernández-Galiano 2017, 3), fra intenzionalità e imprevisto (Pezo von Ellrichshausen 2018, 22), che è all’origine di una salvifica ‘ruvidezza’. Byung-Chul Han contrappone l’“estetica della levigatezza” all’“estetica della ferita” (Han [2015] 2022, 25-51): la prima, scevra da ogni negatività, è consolatoria, accondiscendente, ma anche pornografica; la seconda accoglie le contraddizioni del reale e genera turbamento in virtù dell’enigma che custodisce. Più di altre opere di Pezo von Ellrichshausen, le case a loro stessi destinate sono ‘ruvide’, poco compiacenti e dense di contenuto simbolico. Del resto, non c’è niente di più intimamente contraddittorio del simbolico, che unisce ciò che la ragione tende a separare.
Una tale ‘ruvidezza’, che si manifesta concretamente anche nelle scabre superfici di cemento armato – materiale d’elezione in Cile per stringenti ragioni sismiche –, è resa possibile soltanto da un fine approccio intellettuale al progetto, capace di coniugare consapevolezza artigiana e pensiero filosofico. Il tema della ‘ruvidezza’ è connesso anche a quella essenzialità archetipica caratteristica in particolare di Casa CIEN e di Casa LUNA, che rimanda inequivocabilmente a un ‘abitare’ arcaico, fatto di puro spazio – quattro muri e un tetto – in connessione panteistica con la natura, anche quando il contesto è di tipo urbano. Ciò introduce il terzo ed ultimo ossimoro che chiameremo “arcaica modernità” prendendo in prestito un concetto espresso da Giorgio Agamben. “Solo chi percepisce nel più moderno e recente gli indici e le segnature dell’arcaico può essere contemporaneo. Arcaico significa: prossimo all’arké, cioè all’origine. Ma l’origine non è situata soltanto in un passato cronologico: essa è contemporanea al divenire storico e non cessa di operare in questo, come l’embrione continua ad agire nei tessuti dell’organismo maturo e il bambino nella vita psichica dell’adulto” (Agamben 2020, 20-21).
Nell’aderire al proprio tempo prendendone lucidamente le distanze, l’architettura di Pezo von Ellrichshausen scandaglia ciò che di primitivo, autentico ed essenziale può riemergere dal profondo a fecondare il presente, e lo fa in virtù di un continuo interrogarsi sulla condizione umana in rapporto alla natura e all’ordine dell’Universo.
Galleria
3 | Pezo von Ellrichshausen, CIEN House, 2009-2011.
4 | Pezo von Ellrichshausen, LUNA House, 2020.
5 | Casa CIEN, Planimetria generale ©Pezo von Ellrichshausen.
6 | Casa CIEN, Veduta nel contesto, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
7 | Casa CIEN, Il sistema torre-basamento, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
8 | Casa CIEN, Modello sezionato in cartone ondulato, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
9 | Casa CIEN, Piante di tutti i livelli ©Pezo von Ellrichshausen.
10 | Casa CIEN, Sezioni e prospetti ©Pezo von Ellrichshausen.
11 | Casa CIEN, Dettaglio planimetrico del soggiorno (base) e degli studioli (torre) ©Pezo von Ellrichshausen.
12 | Casa CIEN, L’enfilade degradante di stanze formanti il soggiorno, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
13 | Casa CIEN, L’enfilade degradante di stanze formanti il soggiorno, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
14 | Casa CIEN, L’enfilade degradante di stanze formanti il soggiorno, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
15 | Casa CIEN, La scala nel basamento, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
16 | Casa CIEN, Studioli di Pezo e Sofia, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
17 | Casa CIEN, Studioli di Pezo e Sofia, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
18 | Casa CIEN, Stanza di lavoro all’interno della torre, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
19 | Casa LUNA, Planimetria generale ©Pezo von Ellrichshausen.
10 | Casa LUNA, Veduta dall’alto, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
21 | Casa LUNA, Pianta del piano 0 ©Pezo von Ellrichshausen.
22 | Casa LUNA, Pianta del piano +1 ©Pezo von Ellrichshausen.
23 | Casa LUNA, Pianta delle coperture ©Pezo von Ellrichshausen.
24 | Casa LUNA, Assonometria planimetrica ©Pezo von Ellrichshausen.
25 | Casa LUNA, Sezioni ©Pezo von Ellrichshausen.
26 | Casa LUNA, Sezioni ©Pezo von Ellrichshausen.
27 | Casa LUNA, Esterno della casa e il suo prospetto schiacciato, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
28 | Casa LUNA, Il chiostro quadrato maggiore con lo specchio d’acqua circolare, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
29 | Casa LUNA, Interno dell'appartamento principale: le scale elicoidali contenute in un pilastro cilindrico conducono al piano delle camere, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
30 | Casa LUNA, La loggia che separa il chiostro quadrato minore da quello rettangolare, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
31 | Casa LUNA, Il cortile rettangolare e le vasche d’acqua triangolari, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
32 | Casa LUNA, Gli spazi dell’atelier e delle sale espositive, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
33 | Casa LUNA, Gli spazi dell’atelier e delle sale espositive, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
34 | Casa LUNA, Gli spazi dell’atelier e delle sale espositive, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
35 | Casa LUNA, Gli spazi dell’atelier e delle sale espositive, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
36 | Casa LUNA, Gli spazi dell’atelier e delle sale espositive, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
37 | Casa LUNA, Stanza del focolare, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
38 |Casa LUNA, Il volume cilindrico della biblioteca, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
4 | Casa LUNA, Interno della biblioteca, foto ©Pezo von Ellrichshausen.
40 | Pezo von Ellrichshausen, Finite Format_04, Chicago 2017 (dettaglio dell’installazione).
Riferimenti bibliografici
- Agamben 2011
G. Agamben, Altissima povertà. Regole monastiche e forma di vita, Vicenza 2011. - Agamben 2020
G. Agamben, Che cos’è il contemporaneo?, Arcore 2020. - Borges [1949 ]2015
J.L. Borges, L’Aleph [El Aleph, Buenos Aires, 1949], trad. it. di F. Tentori Montalto, Milano 2015. - Eco 2009
U. Eco, Vertigine della lista, Milano 2009. - Fernández-Galiano 2017
L. Fernández-Galiano, La enfermedad geométrica, in Pezo von Ellrichshausen. Geometric Abstraction, “AV Monographs” 199 (2017), 3. - Han [2015] 2022
B.-C. Han, La salvezza del bello [Die Errettung des Schönen, Frankfurt am Main 2015], trad. it. di V. Tamaro, Milano 2019. - Pérez Oyarzún 2017
F. Pérez Oyarzún, Notas Fronteriza, in Pezo von Ellrichshausen. Geometric Abstraction, “AV Monographs” 199 (2017), 3-15. - Pezo 2005
M. Pezo, Operaciones Instantáneas, “Bifurcaciones” (31 Gennaio 2005). - Pezo von Ellrichshausen 2016
Pezo von Ellrichshausen, Spatial structure, Copenhagen 2016. - Pezo von Ellrichshausen 2018
Pezo von Ellrichshausen, Naïve intention, Chicago, New York, Barcelona 2018. - Pezo von Ellrichshausen s. d.
Pezo von Ellrichshausen, relazione tecnica diffusa dagli autori, senza data.
English abstract
The home-studios designed as their own personal abodes by the Chilean-Argentinean couple Pezo von Ellrichshausen are a fulfilled expression of their marked aptitude for theoresis, which is nourished by their interest in philosophy as their writings clearly show. CIEN and LUNA Houses — a tower and a courtyard — spring from a sophisticated geometric precision that leads to simple planimetric and volumetric schemes based on pure forms. This precision however welcomes the solicitations coming from the context and, above all, is associated with a distancing from the discipline's canon, which results in the introduction of a 'corruption' principle that liberates and enlivens the original completeness. The result is an architecture devoted to the co-presence of multiple and contradictory aspects, the ground of a coincidentia oppositorum transferred to design.
keywords | Chile; architectural design; architecture theory; Pezo von Ellrichshausen; home-studios.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Francesca Mugnai, Modernità arcaica. Le case studio di Pezo von Ellrichshausen, “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025.