Bottero+Riva, la casa nella casa
L’opera e il suo continuo operare*
Annalisa de Curtis
English abstract
1| Via Paravia 37, Milano, foto di A. de Curtis.
Se “la parola è metà di chi parla e metà di chi ascolta” (de Montaigne [1588] 2012), l’opera è qui l’espressione sia di chi la progetta, sia di chi la abita trasformandola.
Una coppia di appartamenti in via Paravia 37, a Milano, dal 1967 viene abitata da due illustri coppie: i progettisti della casa a proprietà suddivise di definettiana memoria – Bianca Bottero, Umberto Riva – abitano l’ultimo piano con le loro famiglie [Fig. 1]. I rispettivi compagni – Giovanni Raboni e Maria Bottero, sorella di Bianca – scriveranno i saggi forse più belli della letteratura dedicata all’opera di Umberto Riva, evidenziando la sua straordinaria contemporaneità. La moglie Maria svela lo “sperimentalismo di Riva” (Bottero 1989), fatto di “tante tappe [...] di una sola, infinita esplorazione [...], nel senso più vasto e profondo del termine, poetica” (Raboni 1997), come suggerisce l’amico poeta, cogliendo nel titolo del suo saggio l’essenza dell’indagine e della proposta nell’opera di Riva: “al di là della forma”. Raboni e Riva sono differentemente poeti; l’uno delle parole, l’altro delle forme; entrambi generatori di una particolare acustica e visione della pratica artistica. Il poeta di parole, Raboni, ha delegato completamente ogni scelta nel progettare il loro appartamento, ma in qualche modo lo commenta in quel saggio, rivolgendosi non solo al lavoro pittorico di Riva, ma anche a quello architettonico. Al contrario, Riva, il ‘poeta’ delle forme, è ‘colui che fa, crea, inventa, compone’ e nei loro appartamenti sembra essere intervenuto totalmente. Bianca e Maria Bottero sono architetti, capaci di divenire continuamente attivatrici di ricerca e di contemporaneità, anche attraverso l’insegnamento accademico.
L’edificio di via Paravia 37 nasce da una cooperativa che riunisce due gruppi: uno intorno al presidente e un altro intorno ai progettisti. Quest’ultimo è composto da un nucleo di proprietari poeti, tra cui, oltre a Giovanni Raboni, Vittorio Sereni e Bartolo Cattafi. Attraversando i due appartamenti al settimo piano, si rintracciano storie parallele e interessi diversi, a partire dalla forma. Un appartamento ha la volta; l’altro no, per scelta. Uno privilegia la sintesi delle forme suggerite dalla costruzione; l’altro è una continua esperienza estetica che si dilata nei dettagli. Chi ha più figli – Bianca e Giovanni – riceve il beneficio dell’appartamento più grande, col soffitto a volta [Figg. 2, 3]. Maria e Umberto vivranno nell’appartamento di fronte, dove il progetto oggi continua a mantenere attive le appassionate ragioni pittoriche e plastiche, piuttosto che quelle immediatamente pratiche; l’aspetto della fruizione ha ceduto il passo all’entusiasmo dello sperimentalismo e della totale condivisione dell’ambiente [Figg. 4, 5].
2, 3 | Appartamento di Bianca, con la volta, foto di A. de Curtis.
4, 5 | Appartamento di Maria, riflessioni pittoriche, foto di A. de Curtis.
Entrambe queste ‘case nella casa’ vengono orientate dal ‘poeta/pittore’ attraverso “indicatori di percorsi” più che spazi dello stare. Risonanze più che stanze. Questi “indicatori di percorsi” – suggeriva Umberto parlando delle sue forme architettoniche – rintracciano le stesse dinamiche, modalità, risonanze e rimandi della sua opera di pittore. Per entrambi gli alloggi e per l’intero edificio, questo approccio ‘oltre la forma’ resta operante, nonostante i differenti ruoli. Bianca e Maria tutt’ora accolgono con continua meraviglia l’incessante operare proprio dell’autentica pratica artistica di Umberto: riconoscono nei suoi indicatori quelle intuizioni capaci di ‘guardar dentro, mostrando’. La sua esperienza visionaria rende le due sorelle in principio osservatrici, apparentemente deleganti rispetto alle decisioni progettuali.
Nei due appartamenti, i co-progettisti rivelano le differenti specificità espresse per la progettazione e la realizzazione dell’intero edificio. Umberto Riva prosegue la sua ricerca sull’autonomia del segno, nell’incessante dialogo col paesaggio, che nasce dall’interno, e viene ben descritto dal suo amico e vicino di casa, come “un dato essenziale e intimamente caratterizzante [...] nella sfera di una visibilità assolutamente non antropomorfica e tuttavia perfettamente naturale” (Raboni, 1997). Bianca Bottero accompagna le scelte dei condomini negli interni e gli aspetti costruttivi insieme all’ingegner Grasselli – fratello di una compagna di università di Maria Bottero – e racconta di come Umberto battagliasse per proporre materiali e soluzioni agli inquilini degli altri appartamenti, per andare “al di là della forma”, utilizzando il pavimento in ardesia lucida nera, con cui si costruivano di solito i tetti; evitando le piastrelle nei bagni per dare loro – a causa delle ridotte dimensioni – la dignità di una stanza unitamente al respiro del viaggio, come avveniva per le cabine delle navi (quando le navi non erano edifici, ma si confrontavano con la mobilità dell’acqua e del viaggio). Non sempre vi riusciva: c’era chi voleva il marmo, chi il parquet e chi piastrelle decorative nei bagni. Materiali staccati dall’esperienza poetico-narrativa suggerita dal disegno di quegli alloggi. Il risultato, disallineato all’intelligenza sensibile del progetto, convertiva l’invenzione architettonica in semplice alloggio: non opere che continuano a ‘operare’, bensì appartamenti conclusi, definiti nei loro metri quadri. Per fortuna Bianca si occupa di fare alcuni interni ad altri condomini, con notevoli risultati, purtroppo non documentati.
Un’altra battaglia condominiale è stata fatta per la scala, in cemento armato. I gradini vengono realizzati nello stesso cemento lucido del piano di lavoro che si trova nel suo appartamento, a tutt’oggi sostanzialmente perfetto, ma per gli inquilini il cemento era disdicevole: non riuscivano a vedere l’uso che Umberto ne faceva, volevano i marmi, anche nei pavimenti dell’atrio. Il luminoso, piccolissimo ma dilatato atrio, con pavimento in gomma, è portatore, nella uggiosa Milano, dell’idea – quindi dei materiali – da lui promossa, e risulta tutt’ora validissimo [Fig. 6]: nei suoi riflessi, ogni materia – noi compresi, quando lo attraversiamo – si dilata. Il suo progetto è portatore di cordialità nel passaggio tra la strada e la proprietà, in una mediazione in cui i riflessi del giardino, della città e dell’atrio [Figg. 7, 8] giocano un ruolo di intermediazione straordinaria. Senza trinceramenti o barriere, li fronteggia presentandosi attraverso magistrali amplificazioni, grazie alla risoluzione rasserenante offerta dai tondi, tra inaspettati specchi, basamenti di lampade che si relazionano con le bucature degli affacci e maniglie che giocano con la serratura [Figg. 9, 10].
6-8 | i riflessi dell’atrio, foto di A. de Curtis.
9, 10 | Le forme del tondo, tra basamenti, bucature, maniglie (e specchi), foto di A. de Curtis.
Proseguiamo l’avventura poetica: un’altra bucatura, schermata solo sin dove occorre, disegna la porta di ingresso, permettendo di accedere dal marciapiedi al primo interno [Figg. 11], dove una soglia orienta da – o verso – il giardino e i box, oppure gli appartamenti. Il giardino prevede con lungimiranza un gruppo di tigli e un boschetto di platani, più alti, che mutano il paesaggio e gli stessi affacci in modo differente ad ogni piano [Fig. 12] e ad ogni stagione. Si accede all’atrio verso gli appartamenti, attraverso luci speciali [Figg. 13, 14] che orientano le soglie e i pianerottoli, tutti differenti. In uscita, come ovunque accade nell’edificio, la stessa luce portatrice di interno entra in relazione con una doppia bucatura che inquadra frammenti dell’esterno; dislivelli ci riportano di fronte all’atrio passante, manifestato con due porte in vetro; due lampade inquadrano colori e atmosfere che formano lo spazio e il tempo dell’attesa, mentre una fenditura inquadra in primavera un’eruzione di giallo rappresentata dalla forsizia e, mentre si aspetta l’ascensore, un tiglio ci riporta alla presenza del silenzioso ma eloquente giardino condominiale. La tentazione di fare le scale, avvolgenti, vince sempre; permette di raggiungere i pianerottoli dai tondi colorati, attraversando una galleria verticale di opere pittoriche. I tondi dipinti, mai decorativi, sono illuminati come un interno d’artista, o dalla luce accesa la sera, o dalla luce naturale che filtra dal corpo scala. Anticipano che qui lo sfondo, ovunque, è un progetto di paesaggio e partecipa dell’opera.
11 | Le forme del tondo, tra basamenti, bucature, maniglie (e specchi), foto di A. de Curtis.
12 | Il cemento e i tigli in primavera, foto di A. de Curtis.
13, 14 | “Dire luce” tra soglie e pianerottoli, foto di A. de Curtis.
15, 16 | Lampade Metafora e esemplare unico, foto di A. de Curtis.
Bianca disegna il suo appartamento beneficiando dell’intuizione poetico-spaziale di Umberto; entrambe le Bottero utilizzano le sue lampade [Fig. 15, 16]: invenzioni di assemblaggi di elementi in serie [Figg. 17, 18], industriali, generatori dei prototipi di alcune delle lampade di Fontana Arte come la Dilem e l’eco della E63 [Figg. 19, 20, 21, 22] risuonano nell’ingresso [Fig. 23], nell’atrio e nei pianerottoli e nella stessa forma che disegna il davanzale-bow window nell’appartamento di Maria [Fig. 17]. In questo contesto e da questo modo di vivere il paesaggio, dall’interno, nasce l’intero edificio, esterno compreso. Preziosi “frammenti di un insegnamento sconosciuto” (Uspenskij [1949] 1976) sono offerti da Riva: tutto è progetto, tutto è paesaggio; anche le lampade, ben lontane dall’essere semplici oggetti di design, autoriferiti. Bianca poi, nel suo appartamento [Figg. 24, 25], si esercita in bucature attivate insieme alla preziosa manovalanza, scavando utili nicchie, scuretti a terra e carabottini gettati in opera, in modo differente rispetto all’appartamento di Maria [Figg. 26, 27]. Il ricordo della maison Jaoul attraversa l’immaginario di Bianca, insieme alle bianche piastrelle scelte per il suo appartamento.
17-19 | Invenzioni e assemblaggi, foto di A. de Curtis.
20-22 | Lampade Dilem, E63 e l’invenzione dell’ingresso, foto di A. de Curtis.
23 | Lampade Dilem, E63 e l’invenzione dell’ingresso, foto di M. Piazza.
24, 25 | Appartamento di Bianca, foto di A. de Curtis.
26, 27 | Appartamento di Maria, foto di A. de Curtis.
L’appartamento di Bianca [Fig. 28a] era formato da una passerella che attraversava uno spazio vuoto, divenendo generatrice dello studio e di una camera con cabina-bagno sul soppalco; due camere in fondo al volume; all’ingresso i servizi. Sino a quando una dei tre figli ha voluto la stanza da sola. Allora, alla fine degli anni ’70, con l’aiuto del figlio Lazzaro – divenuto nel frattempo architetto – Bianca addomestica questo spazio di totale condivisione, modificando la ‘crudeltà dello spazio continuo’, troppo astratto e generatore di scomodità familiari e di vitali scelte [Fig. 28b]. Bianca recupera alcuni vuoti a doppia altezza: da un lato copre la cucina e dall’altro genera una stanza, estendendo con doghe in legno il soppalco – in corrispondenza della chiusura per la camera in più, dedicata alla figlia – offrendo così al piano superiore uno studiolo per lei [Fig. 29]. Chiudendo con una libreria la passerella oltre il semplice parapetto in muratura, placa l’aspetto aggressivo di questo unico vuoto – consapevolezza che giunge solo a posteriori, dall’esperienza. Bianca taglierà quindi la parte finale della libreria e la utilizzerà spostandola a colmare un altro vuoto impressionante: quello della scaletta che raggiunge il soppalco voltato con un corrimano tubolare.
28 | Ridisegno del settimo piano, Giuditta Nacamulli.
29, 30 | Appartamento di Bianca: studiolo e parete luminosa verso il soggiorno, foto di A. de Curtis.
31, 32 | Appartamento di Maria: l’incessante riflessione tra interno ed esterno, foto di A. de Curtis.
Questa casa rivela la trasformazione avvenuta nel tempo [Fig. 30], in parallelo con la trasformazione delle storie familiari: da una posizione progettuale inizialmente astratta, senza difese nei confronti delle relazioni, all’agio di luoghi dedicati ad ognuno. Tutto veniva compensato e viene tuttora amplificato dalla potenza luminosa, illuminante e riflettente, propria delle opere di Umberto. L’uso della luce nei suoi lavori – ovunque –, la priorità nell’indagarla al pari della morfologia, non solo negli affacci, ma nell’uso e nell’impatto sui e dei materiali, si potrebbe sintetizzare nella altrettanto poetica forma “dire luce” (Zambrano 2013). Le lampade dialogano con la luce naturale [Fig. 31], con le bucature, oltre che con le materie sperimentate nell’interno: in relazione alle aperture, alle finestre, le lampade intervengono quando la luce naturale viene a calare. E la casa si trasforma: assume un’altra qualità; l’incessante riflessione tra interno ed esterno muta [Fig. 32]; e il dialogo col paesaggio, anche dell’interno, continua, in forma differente. Maria racconta, con la luce negli occhi, di incontrare la luna nei luoghi e momenti più disparati all’interno della casa.
Il progetto dell’intero edificio nasce come un sistema di differenti ‘illuminanti’ interni, generatore degli esterni, giardino compreso. All’interno dedicato ai box, si accede da una rampa, che appartiene ad un altro sistema: quello delle aperture per la copertura che diviene tetto-giardino, con memorie lecorbuseriane e della Land Art [Fig. 33]. Il progetto della luce offre scorci inaspettati dell’edificio stesso, sia dal piano dei box, sia dall’alto della balconata degli alloggi dell’ultimo piano, con le bucature che muovono il cielo all’interno dell’appartamento. La balconata di lecorbuseriana memoria, sembra ritrarsi però dal divenire stanza all’aperto come nell’Unitè d’habitation. Dai sopraluce appare ora una fetta di cielo, ora un rampicante [Fig. 34]; le piante che vivono la balconata per riparare dal sole, si estendono dalla verticale all’orizzontale. Questa balconata-quasi loggia, che offre delle sedute all’interno, diviene praticabile solo a tratti, offrendo più che altro un coronamento all’edificio; come uno scuretto urbano.
33 | Il tetto-giardino dall’appartamento di Maria, foto di A. de Curtis.
34 | Appartamento di Maria: una fetta di cielo, un rampicante e un oblò sulla città, foto di A. de Curtis.
35 | La balconata come coronamento e l’affronto formale del condominio vicino, foto di A. de Curtis.
Lasciandosi trasportare dall’avventura spaziale che l’intero edificio e i suoi interni generatori offrono, non solo a chi li abita, ma anche alla periferia milanese in cui si radica, promuovendo possibili suggerimenti, attivatori di tessuto anche urbano, si osserva come il regolamento edilizio prevedesse – come per l’edificio accanto – che la copertura potesse essere estesa all’intero volume; la volta avrebbe potuto coprire entrambi gli appartamenti dei progettisti; ma Umberto, per sua esigenza estetica, ha deciso che il tetto finisse con un taglio netto, lasciando libera l’altra metà dell’edificio verso il giardino. Quante volte in architettura si rintraccia il coraggio di privilegiare la “legittimità della forma” (de Curtis 2015) rispetto a cubatura in più?
I due edifici accostati raccontano anche questa differenza: un volume fatto di pieni e di vuoti stereometrici da un lato, e dall’altro, un fabbricato non edificante – come accade sovente all’edilizia – che, da qualche anno, presenta l’affronto formale di due piani in più [Fig. 35]. Esaminando un altro edificio vicino, che condivide l’affaccio sul giardino, si nota come mentre là si riconosce l’ingombro del garage, a partire dalla sua rampa verso i box, qui la rampa è fatta dello stesso colore della terra, e viene percepita ben oltre il suo aspetto funzionale, come atto poetico; ponendosi non perpendicolare alla strada, ma sul fianco, sembra difendere lo spazio del giardino dalla strada, mettendo in evidenza il tetto dei box che diviene suolo (de Curtis 2015) come accade ogni volta, negli amati sovvertimenti di Umberto, il più eloquente dei quali resta quello dello Sperone del Guasco. Il progetto per la piazza davanti alla cattedrale di Ancona trasforma il suolo in tetto per la città – promuovendo non solo un museo al di sotto, ma anche l’aspetto simbolico offerto alla piazza e al suo modo per accedervi.
Il poeta di forme dilata in un’indecifrabile interscalarità adimensionale luoghi dell’esterno che diventano esperienza interiore, non solo estetica; la potenza del paesaggio dell’interno viene affrontata con la consapevolezza e la responsabilità degli specifici ambiti disciplinari, propri della pratica artistica che, ovunque, il lavoro dell’architettura può rappresentare. Il continuo coraggio di ri-conoscere ogni occasione è proprio di Umberto – e dei maestri; a volte rimane incompreso. La committenza ecclesiastica gli chiederà una variante per il progetto in Ancona. E lui si rifiuterà di procedere, perdendo il lavoro, pur di non offendere un luogo – peraltro sacro – che la sua visione poteva restituire attraverso un’esperienza simbolica, oltre che multidisciplinare e, di nuovo, multiscalare. L’ostinazione da parte della committenza di voler portare sin sulla piazza, quindi davanti alla cattedrale, i pullman dei pellegrini, a prescindere dall’oltraggio da inferire a questo luogo e a ciò che rappresenta – compreso l’affaccio sulla città, sul mare e al cielo – ha sottratto la possibilità di una “facciata verso il cielo” – come suggerirebbe Kahn – per questo luogo e città speciali (de Curtis 2015).
Non è dissimile l’attitudine con cui in via Paravia il tetto del garage mette in moto una serie di bucature nel suolo rivisitando l’idea del tetto-giardino, che riuniva tutti i bambini della zona – nonostante l’ampiezza dello spazio aperto a disposizione fosse pari a quella dei condomini vicini. Oggi si nota come la sostituzione impropria – in termini di materiale, formato, colore e qualità – delle piastrelle di ingresso al giardino, possa contribuire a spostare l’intervento rispetto a questo suo privilegiare il visivo. C’era sempre una visione, ben oltre la funzione, a orientare le sue “forme dell’uso” (de Curtis 2004). Un altro esempio è il ruolo della recinzione che, divenendo sostegno al pergolato, protegge, definendolo, un giardinetto privato per l’appartamento al piano rialzato, più esposto. L’alloggio dell’attuale amministratrice, figlia del presidente della cooperativa, in modo naturale prevede un appezzamento di terreno [Fig. 36] che è diventato una stanza verde, ennesima invenzione e restituzione rispetto al consueto disagio del piano rialzato. Questo aspetto di sensibilità verso il paesaggio in senso ampio, di entusiasmo estetico, di ‘panorama’, di ‘visione del tutto’, permea dal basso all’alto e viceversa ogni parte e il loro intero. Per quanto riguarda l’intero, la balconata – così come la volta – diviene sostanzialmente coronamento, privilegiando il progetto urbano dell’edificio: Umberto, in quanto architetto e pittore, non sembra concedere abitabilità all’esterno privato dei due appartamenti.
In via Paravia si sperimentano le preoccupazioni visive, piuttosto che quelle funzionali, anche nell’appartamento più grande – quello voltato – formato dalla semplicità dell’invenzione strutturale. Forma e struttura tendono a coincidere nella loro eloquenza. Per quanto riguarda la parte – il dettaglio –, l’appartamento più piccolo – in termini di metri quadrati, non di esperienza – offre una molteplicità di soluzioni che tendono ad amplificare lo spazio permettendo di soffermarsi; e l’esperienza si dilata. La “carica di inquietudine vitale e di sostanziale non componibilità [...] è quella di una lotta che continuamente [...] si ripropone e che [...] a vari livelli di intensità e necessità, fedelmente, disperatamente, poeticamente rivive e testimonia: la lotta per conquistare non la libertà, che è un'impraticabile e insulsa astrazione, ma parti minime e tangibili, particelle, particole di libertà concreta” (Raboni 1997) [Figg. 37, 38, 39]. La risoluzione successiva dello spazio piuttosto elementare dell’appartamento di Bianca, dato dalla volta e dalla sua altezza, ha permesso di generare lo studio che si rivolge a sud [Fig. 40].
36 | Stanze di verde, foto di A. de Curtis.
37-39 | Appartamento di Maria: profondità del plafone, il pluviale blu e lo spessore rosso, foto di A. de Curtis.
40 | Appartamento di Bianca: affaccio a sud sul tetto, foto di A. de Curtis.
Al momento dell’ideazione e della realizzazione dell’edificio, entrambi i co-progettisti hanno quindi un compagno o una compagna che li guidano occupandosi di pratiche artistiche: uno, risonante poeta; l’altra, unica, visionaria redattrice della rivista “Zodiac” dopo la morte di Olivetti e della sua grandiosa impronta. Una decina di numeri, di cui Maria è l’unica responsabile, la assorbe completamente nel lavoro in redazione, coinvolgendo Umberto in alcune copertine, sino al 1974, quando Quaroni – allora preside a Reggio Calabria – le affida un incarico di docenza. Contemporaneamente insegnerà a Venezia e al Politecnico di Milano e si occuperà della rivista “Comunità”. I suoi apporti di visionaria architetto portatrice di occasioni straordinarie – compresa l’indimenticabile mostra di Umberto su Kiesler alla Triennale – non ricevono sempre la dovuta accoglienza. Forse, come il suo ex-sposo, è precorritrice dei tempi, che la vedono però ora foriera di visioni scritte, di straordinaria ampiezza e contemporaneità.
La parola – come il segno – oggi è ancora per metà di chi parla – scrivendo o disegnando – e di chi ascolta? E chi ascolta? Il fraintendimento su cosa sia invenzione oggi – come la sua confusione con la moda che non corrisponde alla contemporaneità e alle sue urgenze – preoccupa chi scrive e chi ha contribuito con le sue opere a questa scrittura. La contemporaneità – valore tendenzialmente incompreso – è l’indice di risonanza delle due coppie. Coppie per una parte di vita, coppie per una parte della professione.
Bianca, in università, attiverà un laboratorio di costruzione dell’architettura, forse anche per l’esperienza fatta nel seguire proprio gli aspetti costruttivi della sua speciale casa nella casa. Così, spalleggiava il poeta di forme nei dettagli (tantissimi), nel disegno dei cementi, nella scelta degli interruttori di serie, industriali, sino alla scelta dello sciacquone: nulla era consueto, tutto da sperimentare. Bianca e Maria sono entrate al Politecnico nel pieno della rivoluzione sessantottina. Forse anche questo è il motivo per cui le loro partecipazioni intervengono non in forma immediatamente autoriale, ma in compimento d’opera, riconoscendo e valorizzando quel continuo incessante operare che permette ancora oggi di non dare un’età, sia alle intuizioni fondanti provenienti da Umberto, sia a chi tuttora le abita. Bianca e Maria [Figg. 41, 42] parlano sostanzialmente in unisono delle intuizioni di Umberto: raccontano di come egli “vedesse già quello che sarebbe stato opportuno; era impossibile non dargli ragione; era capace di intuire questioni fondanti il progetto, potenziando quanto di valore c’era”. Forse perché si sentiva sostanzialmente pittore, forse perché – come tutti i maestri – in quanto architetto, privilegiava la luce, le relazioni tra le cose, Umberto, attraverso l’intuizione dello spazio pluridimensionale, attivava un laboratorio d’artista dove nulla si conclude, come nelle opere d’arte; ogni dettaglio e l’insieme aprono a una differente visione, sia nello spazio, sia nel tempo, grazie alla luce naturale.
Il mondo del pittore è un mondo visibile, nient’altro che visibile, un mondo quasi folle, perché è completo e parziale allo stesso tempo. La pittura risveglia, porta all’estrema potenza un delirio che è la visione stessa, perché vedere è avere distanza, e la pittura estende questo bizzarro possesso a tutti gli aspetti dell’Essere, che devono in qualche modo farsi visibili per entrare in lei [... la pittura, che donando] esistenza visibile a ciò che la visione profana crede invisibile, fa in modo che non ci occorra un ‘senso muscolare’ per avere la voluminosità del mondo (Merleau-Ponty 1989).
41, 42 | Bianca e Maria Bottero, foto di A. de Curtis.
43, 44 | Appartamento di Bianca: sala da pranzo e soppalco, foto di A. de Curtis.
Nel proseguire l’opera di Umberto, le due sorelle si occupano delle persone che fruiranno e vivranno quegli spazi, che restano testimoni della continua formazione di un’opera aperta: pur essendo portato a compimento ogni dettaglio, nulla è finito. Ed ecco allora che Bianca, accogliendo l’intuizione di Umberto per realizzare il suo appartamento, lo lascia visibilmente più essenziale [Figg. 43, 44]. La stessa struttura scandisce trasversalmente il primo settore – originariamente lo spazio dei servizi con la cucina e un bagno –, dove Bianca deciderà in seguito di realizzare la camera e lo spazio aggiunto sul soppalco; il secondo settore, dove predomina il soggiorno con la scala e il pranzo; e un ultimo settore, composto dalle camere e da un bagno, dove apre un lucernario.
Da Maria invece, non c’è visibilità di trama portante, oltre a un pilastro tondo che fa spazio nel cielo, amplificando in modo percettivo la scala dimensionale del piccolo – in termini di metri quadri – ingresso; da qui, è un susseguirsi di scoperte. Grazie ai lecorbuseriani “casiers standard” nelle varianti a parete muraria, grazie alle solette di cemento che sovvertono l’idea di stanza come luogo chiuso e amplificano quella dello stare, e grazie alle pareti finestrate, dove anche il giardino del distante piano terra si fa presente, Umberto rende protagonista la luce, e il soffitto – unico dipinto – orienta uno spazio unitario. Si indugia ovunque come su un’opera d’arte, senza il disagio dell’enigma dell’interpretazione, ma avvolti o semplicemente circondati dalla cura e dal dettaglio capace di dilatare; che sia una lampada, o una piccola finestra costruita come bucatura del cielo che diffonde luce al pavimento o, nel caso delle sottili alte finestre, che la riflette, rendendo luminoso il plafone-quadro sospeso; ovunque compaiono riflessi; rimbalzano durante le differenti ore del giorno e della notte, quando la luna fa capolino all’improvviso. La vegetazione sostituisce le tende dove c’è necessità di oscurare; un balcone non c’è e il poeta di forme talvolta sembra costringerci all’interno; anche il bellissimo tavolo in cemento decide dove possiamo sostare.
Da pittore, l’aspetto visivo resta l’urgenza; come il pittore, fa le tele e non se ne occupa. Ma anche i suoi clienti sono speciali: si emozionano davanti alle sue/loro case e vi vivono nutrendosi continuamente di un’opera, ben oltre l’abitare un alloggio. Così, da artista, non sembrava considerare – nella professione – la società contemporanea, le istituzioni. In sintesi, in Umberto non c’è sovrastruttura. C’è la coincidenza non solo della struttura e della forma, ma della struttura intesa come essenza; anche la struttura dei materiali, della forma, delle finiture; c’è la cura, ovunque. Ben oltre un gesto progettuale e costruttivo definitivo, la poetica in questi alloggi svela la cura nel progetto di ogni dettaglio; una poetica accolta e portata avanti dalle due attuali proprietarie. L’abitarlo sembra ora nutrirle, dopo aver dato agio alla complessità della quotidianità, svelando l’importanza delle piccole strategie di cambiamento e adattamento, aggiungendo un sapere pratico alle riviane “indicazioni di percorso”, con soluzioni inedite e poetiche.
Gli appartamenti sembrano proseguire il loro essere luoghi di cura; la cura di ogni dettaglio comprende la scelta di materiali estremamente economici, parte di una estetica anche in questo caso, libera da sovrastrutture, da ruoli. “I modi del progetto sono i soliti: una pacata economia di mezzi, semplicità, efficacia; nuovi come sempre, i segni e le forme perché l’architettura di Riva rifiuta manierismi” (Cellini 1993). Materie, da Maria, che con le loro differenti plissettature giocano con luci e ombre; e la generosità del tempo dedicato alla formazione del progetto. Nuove relazioni vengono messe in atto grazie alle messe a punto compiute dalle due sorelle per i rispettivi differenti appartamenti. La contemporaneità espressa attraverso queste due case nella casa sta nella diffusa unità di intenti e nella straordinaria organicità progettuale che mai può essere scissa in ambiti tematici o funzionali, separando l’interno dall’esterno, rendendo i prototipi nati lì, oggetti o arredi di design, esportabili ovunque. La parte e il tutto diventano paesaggio, dall’interno all’esterno. La natura fa il resto. La contemporaneità è così un punto di vista sull’architettura dell’interno, come generatrice e manifestazione del cosiddetto esterno. Questo modo si riscontra nella storia dell’architettura da Le Corbusier, a Kahn, a Kiesler, ma anche a Aalto, a Fehn, a Siza, a Zumthor, a Holl, a garantire quella qualità di visione che parte appunto dalla qualità dell’architettura dell’interno, capace di nutrire anche l’essere umano che la abita.
45-49 | Appartamento di Maria: foto di archivio con nicchia e sequenza della modifica, foto di A. de Curtis.
Ora come allora [Figg. 45, 46, 47, 48, 49] gli appartamenti si offrono con grande generosità a chi li attraversa: si offrono come paesaggi dell’interno, dove il dentro e il fuori si nutrono reciprocamente; entrano nella continua relazione che la natura, col suo susseguirsi di differenti luci – comprese quelle della notte o dell’esplosione cromatica della primavera o del silenzio apparente dell’inverno che libera il campo alla vista della città – continua a offrire, nell’esigenza di dare un senso alla facciata, dove lo spazio del cemento si dispone a comprendere il pannello dedicato ai serramenti. Umberto non voleva la banalità – l’assenza di pensiero –; neppure della finestra e del muro che subisce le bucature. Di nuovo, la coerenza. Quindi la deliberata assenza di sovrastrutture. E la struttura in cemento accoglie serramenti totali. Ampie vetrate, con domestiche mensole, riportano l'esteso orizzonte e il vertiginoso affaccio, all’uso della cucina o di altri spazi [Figg. 50, 51], dove un piano di appoggio e l’incessante modificazione della luce [Figg. 52, 53, 54] incontra il plafone [Figg. 55, 56], il pavimento o le corrugate pareti, sia negli spazi comuni [Fig. 57], sia nelle varianti dei “casiers”, determinando la nostra stessa narrazione come strategia di conoscenza, con tutto il sapere e il sapore possibili. Sapienza.
50, 51 | Appartamento di Maria: le mensole riportano l’orizzonte alla casa nella casa, foto di A. de Curtis.
52-54 | Appartamento di Maria: ingresso vibrante, foto di A. de Curtis.
55, 56 | Appartamento di Bianca, foto di A. de Curtis.
57 | Appartamento di Maria, foto di A. de Curtis.
A partire dai due appartamenti dell’ultimo piano, si riassume qui, da un lato, il contributo di Umberto Riva per entrambi gli appartamenti nella ricerca della legittimità della forma, tra l’autonomia del segno e il dialogo col paesaggio; e dall’altro quello differente di Bianca e di Maria Bottero, nell’altrettanto fondamentale cura delle relazioni. La co-autrice del progetto permette al suo appartamento di parlare il linguaggio sintetico dell’eloquenza costruttiva. L’ex-moglie del poeta di forme dà luogo, anche grazie ai suoi lavori nelle riviste e alle sue ricerche e scritture, a un processo cumulativo e trasformativo che fa parlare gli interni, dando loro vita. Arredi fatti solo nei telai di pregiato noce, ma per la maggior parte del – considerato povero – pitch-pine, o della nobiltà del cemento, svelato nelle sue differenti possibilità: dall’attenzione al cassero, alla sua lucidatura – come è accaduto per il piano realizzato gettandolo direttamente in opera, improvvisandolo con le maestranze; o dalla faesite, con diverse dimensioni e ordini di plissettatura; e dagli angoli ottusi. Si rincorrono in una studiatissima e risonante, poetica e pittorica infrastruttura di usi nel quotidiano. Ecco che da Bianca e Maria nasce la prosecuzione del progetto: l’empatia con lo spazio. La tormentata ricerca di aperture, la coercizione di spazi non banali, lo sperimentalismo, la continuità, i movimenti, i giunti di Umberto, vengono alchemicamente sciolti nella fruizione attraverso l’empatia con lo spazio. L'essenziale della forma risponde all’autonomia del segno; via che pochi oggi cercano, e ancor meno riescono a praticare, considerata la tendenza verso differenti assemblaggi autoreferenziali.
L’intervento qui è pratica artistica; è architettura che si fa paesaggio, quindi involontaria, trasformativa esperienza vitale. La risonanza empatica e l’esperienza estetica producono forme originali, tra l’affermazione dell’autonomia del proprio segno e la dipendenza generativa dal contesto originario. La bellezza resta una domanda di paesaggio. Non di episodi senza sintassi. Il paesaggio dell’interno diviene quello spazio capace di interrogare il corpo che lo attraversa. Il paesaggio, silenziosamente suggerito dall’innesto promosso da Bianca e Maria Bottero, nato dalle intuizioni di percorso di Umberto Riva, diviene proprietà emergente, momento di connessione tra mondo interno e mondo esterno; dell’edificio, degli appartamenti, di chi li vive. Nel progetto di traduzione dei luoghi in paesaggi, percezione e azione tendono a coincidere: è agendo e muovendoci in un luogo che lo percepiamo; e gli attribuiamo significato. Per questo per le differenti co-autrici si parla di innesto: intendendolo come rielaborazione di quel che già esiste. Può quindi questo modo essere considerato come il fondamento di un progetto ri-conoscente. La forma, quindi, è necessario saperla aspettare. Una forma che sembra sia sempre stata lì, ma allo stesso tempo una forma che resta incessantemente capace di rigenerarsi, ridisegnando il contesto che si esprime ogni volta in modo inedito, come la prima volta; un modo che permette la complessità della forma, capace di emergere nel momento dell’incontro tra il progetto originario e l’originalità che le co-autrici continuano a promuovere. Per questo, il progetto ri-conoscente resta incessantemente contemporaneo.
*Grazie alla “scolpita allegria” di Bianca (cfr. il primo premio ricevuto da Giovanni Raboni al liceo Parini con la poesia “a Bianca”) e all’insaziabile, generatrice curiosità di Maria.
Riferimenti bibliografici
- Bottero 1989
M. Bottero, Lo sperimentalismo di Riva, in Umberto Riva: Album di Disegni, “I Quaderni di Lotus” 10 (1989), 99. - Cellini 1993
F. Cellini, Quattro progetti esemplari di restauro urbano, in Umberto Riva. Sistemazioni urbane, Roma 1993, 11. - de Curtis 2004
A. de Curtis, L’ospitalità dell’architettura, Milano 2004, 171. - de Curtis 2015
A. de Curtis, Figurazione. Alla ricerca della forma. Dialoghi con Umberto Riva, Milano 2015, 149. - de Montaigne [1588] 2012
M. de Montaigne, Saggi [Essais, Bordeaux 1588], traduzione di F. Garavini e A. Tournon, Milano 2012. - Morpurgo 1999
G. Morpurgo, Sottsass/Riva: visage et âme, “Mégalopole” 20" (1999), 76-83. - Raboni 1997
G. Raboni, Al di là della forma, in B. Danese, M. Romanelli, J. Vodoz (a cura di), Umberto Riva: muovendo dalla pittura, Milano 1997, 6-9. - Uspenskij [1949] 1976
P.D. Uspenskij, Frammenti di un insegnamento sconosciuto [In Search of the Miraculous. Fragments of an Unknown Teaching, New York 1949], trad. it. di H. Thomasson, Roma 1976. - Zambrano 2013
M. Zambrano, Dire luce. Scritti sulla pittura, traduzione di C. Ferrucci, Milano 2013. - Merleau-Ponty [1964] 1989
M. Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito [L'Œil et l'esprit, 1964], a cura di A. Sordini, Milano 1989, 23.
English abstract
Two flats on the top floor in via Paravia 37 in Milan have been inhabited by the illustrious designers of the building and their families since 1967. Starting with the form, parallel stories can be traced across this floor. One flat has a vault; the other does not, by architectural choice. One favours the synthesis of forms that coincide with the structure; the other is a continuous aesthetic experience that expands in detail. Both projects favoured passionate pictorial and plastic reasons over fruition, preferring the enthusiasm of total sharing. At first, Riva’s visionary experience made Bottero an observer. She has accompanied the choices of the building’s inhabitants in the interiors to propose materials and solutions that go “beyond form” itself, converting invention into simple accommodation; these are not works that continue to ‘operate’, but finished flats. Bottero’s flat initially consisted of a walkway through an empty space with the rooms at the end. The ‘cruelty of continuous space’ prompted Bottero to reclaim the double-height voids, covering the kitchen, generating a room and a study above it on the upper floor. The project of light offers unexpected glimpses that move the sky within the flat. Bottero has introduced comforts to the people who use and experience her flat, which remains a witness to the continuous formation of an open work: although every detail is complete, nothing is finished. Beauty remains a question of interior landscape, which speaks to the body that passes through it. The landscape silently suggested by the graft promoted by Bottero arises from the intuitions of Riva’s path and becomes a moment of connection between the inner and outer worlds. Grafting is understood here as the reworking of what already exists. It provides the basis for a project that recognizes and enables the incessantly contemporary.
keywords | Umberto Riva; Bianca Bottero; Architectural detail; Material experimentation; Architectural light; Artistic practice.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Annalisa de Curtis, Bottero+Riva, la casa nella casa. L’opera e il suo continuo operare, “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025.
Per citare questo articolo / To cite this article: Annalisa de Curtis, Bottero+Riva, la casa nella casa. L’opera e il suo continuo operare, “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025, pp. xx-yy | PDF dell’articolo (con link quando è disponibile il PDF)