Genere e rivoluzione domestica
L’architettura di Rudolph Schindler e Pauline Gibling a Kings Road
Alberto Ghezzi y Alvarez
English abstract
1 | Rudolph M. Schindler, Interno della camera/studio di Pauline Gibling, fotografia, Kings Road, Los Angeles, ca. 1922, R.M. Schindler papers, Architecture and Design Collection, Art, Design & Architecture Museum; University of California, Santa Barbara.
Numerose ricerche recenti forniscono sostegno alla tesi secondo cui la Schindler-Chace House[*] sia l’esito di un impegno progettuale congiunto tra Pauline Gibling (1893–1977) e Rudolph Schindler (1887–1953). Essa viene considerata l’opera prima dell’architetto viennese, sintesi tra la sua formazione alla Wagnerschule, la frequentazione di Adolf Loos e l’esperienza maturata alla ‘corte’ di Frank Lloyd Wright. Tuttavia, la critica ha riservato crescente attenzione al ruolo di Pauline nella radicale articolazione spaziale della casa (Smith, Mudford 2001; Hines 2019; Marcucci 2022). Pauline Gibling intrattenne infatti intensi dibattiti con importanti figure della scena intellettuale statunitense, ridefinendo il ruolo del nucleo familiare come paradigma sociale. L’intreccio tra riflessione politica e progetto suggerisce che lo spazio della Schindler House incarni la sua Weltanschauung tradotta in forma architettonica: una visione di famiglia lontana dalle convenzioni patriarcali, che ha dato vita a un’opera in cui alla ricerca compositiva si accompagna una profonda riflessione sull’unità domestica. L’esibizione onesta dei materiali e la riduzione all’essenziale della sintassi formale divennero manifesto della volontà di eliminare le sovrastrutture dell’abitare borghese. A Kings Road, la ‘liberazione della pianta’ si tradusse in una liberazione dei costumi abitativi, in piena coerenza con la visione del mondo auspicata da Pauline.
Pauline Gibling come intellettuale pubblico
La figura di Pauline Gibling come animatrice culturale è stata spesso ignorata, nonostante il provato protagonismo nella scena californiana della prima metà del XX secolo. Attivista politica e musicologa, nonché critica di architettura, è stata spesso ridotta al ruolo di ‘musa’ e amante di personaggi illustri (tra cui spicca, oltre a Schindler, John Cage, con cui ebbe un breve affaire). In realtà, Pauline Gibling fu una pensatrice di grande impatto, e la sua parabola politica conobbe numerosi passaggi significativi. Durante i suoi studi di musica allo Smith College di Northampton, Massachusetts, rimase profondamente colpita da una conferenza di Jane Addams (1860-1935), pioniera del femminismo americano e fondatrice della Hull House a Chicago, una casa di assistenza attenta all’educazione dei bambini migranti. Pauline decise di seguirla, offrendo il proprio contributo come insegnante di musica. L’esperienza con i più deboli e la frequentazione come ricercatrice alla Chicago School of Civics and Philanthropy (poi Graduate School of Social Service Administration) rafforzarono le sue convinzioni socialiste e libertarie, portandola ad essere detenuta brevemente nel 1915 a seguito della partecipazione a un picchetto sindacale.
L’incontro con Rudolph Schindler avvenne nel 1918, durante la prima americana della Suite Scita di Prokofiev alla Orchestra Hall di Chicago. L’architetto collaborava già con Wright allo studio di Oak Park, dopo varie tribolazioni seguite al suo approdo negli Stati Uniti. I due si sposarono nel 1919, scegliendo fin da subito mantenere una reciproca indipendenza. Vissero tra lo studio di Wright e alloggi temporanei in affitto, finché non furono invitati dal Maestro a soggiornare a Taliesin. Durante la loro convivenza in Wisconsin, Gibling e Schindler maturarono un profondo interesse per le idee marxiste e accolsero con entusiasmo la Rivoluzione d’Ottobre. Il fatto è testimoniato dal saluto alla coppia in una lettera di Wright a Schindler, durante il suo soggiorno a Tokyo per seguire il cantiere dell’Imperial Hotel: “I trust the Bolshevik meetings continue. My regards to the Aide Bolshevik. She is happy and reasonably contented I hope”(Hines 2019, 44).
Pauline scrisse anche una lettera al candidato presidenziale socialista Eugene V. Debs (1855-1926), incarcerato a causa del suo antimilitarismo. In essa allegò la traduzione (con l’aiuto del marito) di una delle ultime lettere scritte da Rosa Luxemburg a Sonia Liebknecht dal carcere. Il testo le era probabilmente giunto attraverso Die Fackel, rivista viennese diretta da Karl Kraus, amico intimo del mentore di Schindler, Adolf Loos. La lettera fu pubblicata sulla rivista socialista americana The Liberator, rendendo così Gibling autrice del principale omaggio d’oltreoceano ai fondatori della Lega Spartachista assassinati dai Freikorps (Crosse 2013).
Negli anni ’30 curò un settimanale di sinistra, il Carmelite, punto di riferimento per l’intellighenzia progressista della California. Fu anche redattrice del giornale d’opinione Dune Forum, dai cui articoli emerse la propria transizione ideologica da un socialismo più o meno riformista a un comunismo rivoluzionario. Dopo la separazione (1927) e il divorzio (1940) da Schindler, si iscrisse al Partito Comunista Americano, per poi abbandonarlo a causa di divergenze ideologiche. Per la sua militanza fu segnalata al Comitato per le Attività Antiamericane, riuscendo a evitare conseguenze grazie a una battuta sferzante:“Yes, I was a member, but they threw me out” (Hines 2019, 71). Come già menzionato, fu anche una prolifica critica d’arte e architettura.
Nel 1930 organizzò un’esposizione presso la UCLA, dedicata ai principali architetti modernisti della California meridionale, tra cui Richard Neutra, lo stesso Schindler, Frank Lloyd Wright e suo figlio Lloyd Wright, J. R. Davidson, Kem Weber e Jock Peters. Come riportato da Thomas S. Hines, Gibling partecipò attivamente al dibattito sulla nuova architettura:
Based upon the principle that form follows function, Pauline argued in the exhibition brochure, influenced by the work of Louis Sullivan and of Frank Lloyd Wright, and by the logic of the machine age, modern architecture strongly tends toward a structural integration, a freedom from applied decoration, a reduction of forms to their essence. In the Los Angeles Times, art critic Arthur Millier noted that the exhibition was not of a school of modern architecture, but represents the work of thinking artists, each trying to design creatively for the present age […] They swim upstream and are men of ideas and ideals (Hines 2019, 66).
Il proprio interesse per l’architettura moderna non fu solamente formale, bensì rivoluzionario, nell’idea che il nuovo linguaggio fosse un motore di trasformazione tanto sociale quanto estetica del mondo. La mostra anticipò di due anni la celebre International Style di Johnson e Hitchcock al MoMA (1932), da cui Rudolph Schindler fu escluso, ritardando il suo riconoscimento e la sua fortuna critica nel pantheon della modernità.
Il coinvolgimento di Pauline nella sinistra californiana e il suo interesse per femminismo e cooperazione comunitaria non rimasero solo presupposti teorici. Essi trovarono una forma tangibile nella struttura della Kings Road House. L’assenza di una camera padronale e la presenza di studi individuali rispecchiavano un modello di coabitazione post-borghese, in cui la soggettività artistica e politica di ciascun individuo (donna o uomo) potesse trovare un riscontro nell’organizzazione dello spazio. Inoltre, il suo provato interesse per gli aspetti programmatici dell’architettura moderna contribuì al processo di ideazione della casa. Tale processo ha una storia documentata, in cui il suo contributo è facilmente leggibile tra le righe.
Genesi della Schindler-Chace House
2 | Alberto Ghezzi y Alvarez, Ridisegno e schema distributivo della Schindler-Chace House. A destra: organizzazione degli ‘studi’ riproponendo le iniziali dei componenti delle due famiglie così come rappresentate dalle piante di progetto originali: R.M.S. (Rudolph Michael Schindler); S.P.G. (Sophie Pauline Gibling); M.D.C. (Marian Da Camara Chace); C.B.C. (Clyde Burgess Chace). Al centro, in grigio, la cucina comune, 2025.
Il periodo trascorso a Taliesin accentuò, in entrambi gli Schindler, l’attrazione per una vita comunitaria in cui arte, semplicità rurale e rapporto con l’ambiente naturale potessero confluire in un progetto abitativo. Fu in questo contesto che maturò l’idea di costruire una dimora che incarnasse tali principi. L’opportunità si presentò quando Frank Lloyd Wright affidò a Rudolph Schindler la supervisione dei cantieri delle sue grandi ville hollywoodiane. Questo spostamento determinò la scelta di Los Angeles come luogo in cui realizzare il desiderio di una casa indipendente e di uno studio in cui esercitare liberamente la professione. Schindler meditò infatti di affrancarsi da Wright alla luce di alcune riflessioni teoriche già presenti in nuce in alcuni scritti del 1912: egli era interessato a una architettura che utilizzasse ‘lo spazio come materia prima’, e la ricerca di Wright sui textile blocks fu causa di un crescente disincanto. Secondo Schindler, la raffinata poetica spaziale del maestro americano stava regredendo verso un decorativismo scultoreo. In altre parole, scultura più che architettura (Sheine 2001, 80). Inoltre, una volta in California sviluppò una solida amicizia con Irving Gill, la cui visione progettuale disadorna meglio si sposava con la propria sensibilità. Gill aveva perfezionato la tecnica costruttiva del tilt-slab, che prevedeva la prefabbricazione a terra di pareti in calcestruzzo, da sollevare e montare in opera dopo l’indurimento.
Nell’estate del 1921, Marian Da Camara Chace (1892–1978), amica intima di Pauline Schindler dai tempi dello Smith College, e il marito ingegnere Clyde Burgess Chace (1891-1991) si trasferirono a Los Angeles. Fu proprio nello studio di Gill che Clyde Chace trovò impiego come disegnatore e imprenditore edile. In occasione di una convivenza campestre a Yosemite durata varie settimane (1921), immersi nella natura e lontani dal logorio della vita quotidiana, i Chace-Schindler scelsero di stabilirsi definitivamente a Los Angeles, convivendo in una casa-studio ispirata allo spirito di libertà già sperimentato a Taliesin. Il lotto scelto confinava con la Kings Road, in una West Hollywood ancora parzialmente inedificata. Dato il cursus politico di Gibling, risulta improbabile ritenere del tutto passivo il suo ruolo nella definizione spaziale della casa:
The fact that Schindler and Pauline, both before and during their marriage, kept current with progressive ideas about the modern life circulating between Europe and America provided an underlying intellectual context. […] They debated the latest theories about social reform, education, and psychoanalysis; and they adopted, not always consistently, philosophies that promoted healthy diet, exercise, and even the wearing of soft, unstructured clothing (Smith, Mudford 2001, 19).
Per quanto riguarda la famiglia Chace, non pare vi fosse una effettiva partecipazione nella progettazione della casa, ad eccezione del prezioso contatto di Clyde per le tecniche costruttive di Irving Gill.
L’utilizzo delle pareti inclinate in calcestruzzo alla Gill permisero di configurare una pianta libera in cui i muri fungevano sia da struttura portante che da elementi di definizione dello spazio, rendendo superfluo l’utilizzo di una maglia regolare di pilastri, o un qualsiasi altro dispositivo che avrebbe potuto intralciare una libera disposizione delle unità spaziali. In questo senso, la tecnica permise di astrarre in modo ancora più radicale le ricerche sulla “rottura della scatola” di Wright, a loro volta mediate dalla fluidità dell’architettura domestica giapponese. A partire da questa libertà, si potè pensare di mettere in discussione le configurazioni fino ad allora considerate per una abitazione bifamiliare. La tecnica e il linguaggio scoperti da Rudolph potevano ora servire la causa delle idee radicali di Pauline.
Schindler descrisse l’abitazione come un cooperative dwelling: non un mero affiancamento di due case borghesi, bensì un’aggregazione di volumi a L disposti in modo da garantire flessibilità d’uso grazie all’arredo mobile. Ogni unità, chiamata “studio”, era dedicata a un singolo individuo, e aveva accesso diretto a una porzione di giardino. I servizi (bagno, ripostiglio) erano comuni a due membri della stessa famiglia. Nella pianta più rappresentativa, disegnata da Schindler, compaiono le iniziali di ciascun membro della famiglia in corrispondenza degli spazi assegnati, inclusa una dependance-studio per gli ospiti, parte integrante della composizione aggregativa [Fig. 2]. Ogni studio era pensato come l’unione di due fronti: una “schiena” protetta da pareti in calcestruzzo prefabbricato (tilt-slab), e un lato aperto verso giardino, con pannelli scorrevoli in vetro o tessuto e telai in sequoia rossa. Il clima mite della California rese possibile persino il dormire esposti alle intemperie, in verande collocate sul solaio di copertura: delle follies di chiara ascendenza nipponica che ribadivano il desiderio radicale di fondere l’abitare con la natura naturans [Figg. 3-8].
3 | Veduta di un dormitorio sul solaio di copertura. Fonte: 20th Century Architecture.
4 | Le docce con tubature a vista, fotografia. Fonte: 20th Century Architecture.
5 | La cucina comune, fotografia. Fonte: 20th Century Architecture.
Altro aspetto degno di rilievo è la poetica costruttiva esplicitata dal progetto: il fatto che Schindler condividesse con i suoi maestri Loos e Wright “una disincantata visione della civiltà industriale” (De Maio 2013, 298) spiega le scelte materiche, lontane tanto dalle logiche di adulazione della macchina che dalla volontà di pura astrazione trascendente. L’utilizzo di materiali ed elementi non rifiniti rispondeva all’idea di eliminare qualsiasi comfort non essenziale. La casa, anche grazie al mobilio facilmente spostabile, disegnato dallo stesso Schindler, era quasi intesa come una abitazione nomade, un “ritorno alla terra” in cui a un certo primitivismo si univa la sensibilità moderna del mostrare le cose nella loro essenza (Norberg-Schulz [2000] 2009, 30). Ad esempio, le tubature delle docce furono lasciate a vista sullo sfondo del cemento grezzo, anticipando di tre decenni l’estetica brutalista degli Smithson nella scuola di Hunstanton [Fig. 4].
L’idea di studi separati rappresentò quindi per gli Schindler una concezione di famiglia intesa come gruppo di individui indipendenti con obiettivi comuni. Ogni abitante della casa di Kings Road era visto come artista della propria vita, libero di esprimerla attraverso la flessibilità dello spazio. L’unico ambiente realmente condiviso era la cucina [Fig. 5], sebbene ogni studio fosse dotato di camino e ripostiglio, permettendo così anche un’indipendenza nel preparare i pasti. Questa veniva quindi pensata come cuore conviviale della casa. La configurazione spaziale, che privilegiava l’autonomia individuale e una convivialità non gerarchica, sembrò rispecchiare una consapevole messa in discussione del modello familiare tradizionale. Tale consapevolezza potrebbe essere derivata dallo studio degli scritti di Friedrich Engels sull’origine della famiglia borghese ed il suo eventuale superamento.
6 | Rudolph Schindler, Pauline Gibling e i coniugi Chace di fronte alla casa, fotografia. Fonte: 20th Century Architecture.
7 | Veduta della casa dalla corte della famiglia Schindler, fotografia, Kings Road, Los Angeles, 2019. Fonte: Wikimedia Commons.
L’origine della famiglia a Kings Road
Considerando gli interessi politici e culturali di Pauline Gibling, appare plausibile che fosse a conoscenza delle teorie di Friedrich Engels sull’origine e la funzione della famiglia nella società. In L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (Der Ursprung der Familie, des Privateigenthums und des Staats, 1884), Engels definì la famiglia borghese nucleare monogamica come uno strumento funzionale alla trasmissione ereditaria del capitale e al controllo patriarcale della sessualità e del lavoro femminile (Engels [1884] 2019). Con l'affermarsi della famiglia monogamica si consolidò un assetto incentrato sul dominio maschile, finalizzato a garantire una discendenza certa. In questo contesto, la donna venne relegata a una condizione subordinata, ridotta a strumento di riproduzione e assoggettata ai desideri dell’uomo. Si tratta della prima forma di organizzazione familiare fondata non su presupposti naturali, ma su basi economiche: espressione diretta della transizione dalla proprietà collettiva originaria alla proprietà privata. Lo sviluppo del capitalismo non fece che esacerbare questo tipo di relazione, in cui la donna veniva vista come grado più alto nella servitù domestica, alla stregua di qualsiasi altro tipo di proprietà del marito. La gestione della casa, da faccenda comunitaria in cui le donne erano partecipi e artefici, divenne faccenda privata al di fuori dei meccanismi di produzione della società.
L’architettura delle abitazioni sovente tenne fede a questa visione del mondo, e specialmente nelle case borghesi i ruoli furono sempre debitamente distinti, con una camera coniugale che rappresentasse l’atto dominatorio dell’uomo sulla donna. Lo studio, spesso destinato al piano superiore della casa, era lo spazio in cui l’uomo potesse esercitare il negotium. Il focolare domestico era quindi l’unico ambiente destinato unicamente alla donna e allo sviluppo della sua (apparente) libertà (Hayden 1981, 13-17). Persino nella moderna Villa Müller di Adolf Loos (1930), gli spazi venivano distintamente designati come maschili o femminili, a seconda che fossero destinati a lui o a sua moglie, Lina. Il trattamento materico e l’arredamento di questi ambienti rispecchiavano idealmente questa distinzione (Colomina, 1994, p. 164).
La casa di Kings Road si distacca da questo paradigma, non solo rifiutando la camera padronale come centro simbolico del potere maschile, ma configurandosi come un insieme di unità egualitarie e fluide, aperte alla cooperazione e alla creatività individuale. Agendo per negazione, le studio-rooms eliminarono qualsiasi confine tra ruoli di genere e rinforzarono l’idea engelsiana secondo cui la famiglia nucleare non sia naturale ma storicamente determinata, quindi decostruibile attraverso lo spazio.Anche il concetto di focolare venne riformulato. Ogni unità dispone di un camino, eliminando la necessità di un unico centro ideale della casa. La cucina, invece di essere spazio subalterno, si fa luogo conviviale. Schindler e Gibling attuarono (il primo d’accordo con la propria poetica di un’architettura puramente spaziale) una negazione fisica della casa borghese; aiutati dalla tecnica costruttiva, catturarono il vuoto in una pianta libera concepita come fluida interpretazione di una famiglia emancipata dagli schemi rigidi imposti dal sistema.
La dimora di Kings Road, unione di individualità, riscrive il senso della monogamia rappresentandone la vera realizzazione. Engels si chiese infatti se nella futura società socialista la monogamia, sorta da cause economiche, potesse scomparire al venir meno di queste cause, rispondendo con l’idea che al contrario sarebbe stata praticata completamente e genuinamente, senza vincoli legati al capitale. Una monogamia spontanea, basata sul desiderio di stare insieme e sull’individualità cooperativa. Ogni persona (indipendentemente dal genere) disponeva di uno studio autonomo, senza stanze padronali né gerarchie spaziali. L’architettura si fece così veicolo di una visione libertaria, egualitaria e artistica della convivenza, in cui la comunità non è data dai legami di sangue, ma da una scelta condivisa. L’utopia architettonica si scontrò tuttavia con i limiti storici della propria condizione di partenza: un esperimento radicale situato, inevitabilmente, all’interno di un sistema che ne avrebbe presto riassorbito la carica eversiva.
8 | Assonometria isometrica della Schindler House, disegno, 1969, Historic American Building Survey; Library of Congress HABS CAL,19-LOSAN,68.
Progetto e utopia
Si potrebbe osservare che la Schindler House, pur radicale nella sua impostazione, non abbia prodotto una vera rivoluzione tipologica. Rimase infatti un’opera concepita da e per una élite borghese. Pauline, Rudolph e i Chace facevano parte di una classe privilegiata: seppur legati ad una scena progressista e pur avendo trasformato la loro casa in un eremo di rivoluzionari, il loro progetto rimase iscritto nell’America capitalista dei ruggenti anni ’20. Ciononostante, risulta interessante menzionare la vivace scena che la utilizzò come scenografia: la casa degli Schindler fu infatti per anni un luogo attraversato da una vivace comunità artistica e intellettuale. Concerti, performance di danza e letture di poesia ne animarono gli spazi, attirando figure di spicco della scena culturale losangelina, attratte tanto dall’architettura quanto dallo stile di vita che essa rifletteva. Tra i frequentatori abituali (e talvolta residenti temporanei) si contano Frank Lloyd Wright e i suoi collaboratori, gli architetti J.R. Davidson e Kem Weber, il fotografo Edward Weston, i compositori John Cage e Henry Cowell, lo scrittore Theodore Dreiser, il danzatore John Bovingdon e Galka Scheyer, la mercante d’arte che introdusse negli Stati Uniti il gruppo dei “Blue Four” Feininger, Jawlensky, Kandinsky e Klee.
Anche in virtù dell’attività politica di Pauline, la casa si trasformò nel centro dell’intellighenzia progressista di Los Angeles, spesso ospitando anche figure politiche di area socialista e comunista (come lo scrittore e politico Upton Sinclair), in una West Coast non ancora intaccata dalle febbri della Red Scare. Questo non bastò a trasformarla in un’effettiva anticipazione degli stilemi abitativi propri dell’élite losangelina dei decenni successivi, ormai privi di qualsiasi connotazione politica. I progetti residenziali dell’amico-rivale Richard Neutra (peraltro inquilino della Schindler House, insieme all’insofferente moglie Dione) ne ripresero alcuni elementi spaziali, ma pienamente inseriti nelle logiche produttive dell’industria, lontani dalla sintesi romantica e ideologica costruita dal connazionale.
A Los Angeles, “città delle tre ecologie” (naturale, infrastrutturale, sociale), così come definita da Reyner Banham, il clima favorevole e l’apertura culturale resero possibile una sperimentazione unica sullo spazio domestico. Dalla Schindler House alle Case Study Houses promosse da John Entenza negli anni ’40, corre un filo rosso che ha trasformato la villa losangelina in un vero laboratorio della modernità. Tale continuità finì tuttavia per snaturare l’archetipo originario della Schindler House, svuotato di ogni contenuto radicale e ridotto a una pura scelta estetica da parte della classe dominante. Questa traslazione segnò la perdita della tensione tra forma e visione del mondo che aveva animato l’opera, contribuendo anche a ritardarne il riconoscimento critico, come dimostra l’esclusione dalla mostra sull’International Style del 1932.Come altre realizzazioni, il suo destino fu quello di essere assorbita da quella ideologia, prodotto ultimo del sistema che possiede i mezzi di produzione: essa divenne un’icona estetica del capitalismo che intendeva contrastare.
A questa lettura di ascendenza tafuriana, esplicata da Alberto Samonà nel suo contributo Architettura e politica (Samonà 1976, 16) si potrebbe aggiungere una critica ancora più feroce, quella di Hannes Meyer, architetto marxista ortodosso, che dieci anni dopo la costruzione della villa scrisse:
La concezione liberale dell’affrancamento della donna dalla schiavitù dei fornelli’ non muta i termini della sua posizione in seno alla società moderna […]. I propagandisti della collettivizzazione dell’economia domestica borghese definiscono il loro procedimento come un ‘progresso sociale’. Ma che razza di progresso sociale è questo se, nel migliore dei casi, favorisce soltanto una piccola cerchia di famiglie borghesi […]? (Meyer [1932] 1969, 125).
Ciononostante, la forza della casa Schindler risiede nell’essere un raro esempio di sintesi tra concezione formale e visione del mondo, nonostante la necessaria rinuncia che ogni oggetto-architettura compie nei confronti della realtà sociale. A differenza di altri capolavori della modernità, essa tenta di decostruire una sovrastruttura senza piegarsi intenzionalmente alle esigenze della classe dominante per generare nuovi risultati formali. È un frammento di poesia, forse solo sussurrata, una “sostanza di cose sperate” – per dirla con Persico – che Pauline Gibling Schindler volle rendere concreta grazie alla bravura del marito, trasformando un lotto di Kings Road, a Los Angeles, in un pezzo di utopia, dove i vincoli della famiglia tradizionale potessero dissolversi nell’aria.
Nota
[*] In alcune pubblicazioni, tra cui (Gebhard 1972), il cognome dei co-committenti della Schindler-Chace House appare nella forma "Chase", con la "s" finale. Tale grafia, tuttavia, risulta erronea. La forma corretta è Chace, con la "c", come attestano fonti archivistiche primarie (Schindler Papers, UCLA Special Collections) e corrispondenza diretta tra R. M. Schindler e Clyde Chace. La medesima grafia è adottata nella letteratura più recente e filologicamente accurata, tra cui (Smith, Mudford 2001). In questo lavoro si adotta la forma Chace, in coerenza con i dati storici documentati.
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- Adams 1996
English abstract
Challenging the bourgeois ideal of the nuclear family, the Schindler-Chace House (1922) emerges as an architectural experiment shaped by Rudolph Schindler and his companion Pauline Gibling as a political and cultural vision. Pauline envisioned a space that dissolves traditional domestic hierarchies, fostering individual autonomy within a communal structure. Influenced probably by Marxist thought and feminist activism, her role transcends that of muse or patron, embodying architecture as critique. By reimagining family and domesticity through spatial innovation, Kings Road prefigures egalitarian models of coexistence that respond to Engels’ diagnosis of the family as a patriarchal and economic construct.
keywords | Pauline Gibling Schindler; Rudolph Schindler; Schindler-Chace House; Domestic space; Family; Engels; Modern architecture; Gender; California modernism.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Alberto Ghezzi y Alvarez, Genere e rivoluzione domestica. L’architettura di Rudolph Schindler e Pauline Gibling a Kings Road, “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025.
Per citare questo articolo / To cite this article: Alberto Ghezzi y Alvarez, Genere e rivoluzione domestica. L’architettura di Rudolph Schindler e Pauline Gibling a Kings Road, “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio 2025, pp. xx-yy | PDF dell’articolo (con link quando è disponibile il PDF)