"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Piccolo mondo moderno

Ralph e Ruth Erskine: Lådan, Lissma 

Alberto Pireddu

English abstract
Da Lissma a Drottningholm, sperimentazioni sull’abitare

La casa di Erskine, Lådan. Vista esterna del retro con la legnaia e Erskine, Fotografia di autore sconosciuto, 1941-1942, Arkitektur- och designcentrum, ArkDes.

Interno della casa di Erskine, Lådan. Ralph Erskine vicino al camino, 1942, Fotografia di autore sconosciuto, 1941-1942, Arkitektur- och designcentrum, ArkDes.

Interno della casa di Erskine, Lådan. Erskine è seduto alla sua scrivania, Fotografia di autore sconosciuto, 1942, Arkitektur- och designcentrum, ArkDes.

Sofisticata e moderna, anche se isolata in un paesaggio sublime e selvaggio, la casa di Ralph e Ruth Erskine sorgeva su un declivio boscoso nei pressi di Lissma (municipalità di Huddinge), a sud di Stoccolma. Immersa in una natura incontaminata, appena ‘addomesticata’ da sentieri, piccole arnie e orti su terrazzamenti, essa si elevava su un basamento di pietra che la proteggeva da un contatto diretto con il suolo, sfiorando la terra solo in corrispondenza del lato di ingresso. Una complessa carpenteria di travi, montanti e pannelli di legno ne costituiva l’involucro: le pareti erano coibentate e resistenti all’acqua, il tetto, leggermente in pendenza, era ventilato e dotato di un rivestimento impermeabile (Richards, Pevsner, Lancaster, Cronin Hastings 1947, 204).

La casa aveva una superficie utile di poco superiore ai venti metri quadrati e una altezza di circa due metri. Al suo interno, un unico vano era suddiviso in due ambienti distinti da un monumentale doppio camino di pietra, utilizzabile anche all’esterno, dove la sua robusta muratura era ingentilita da un motivo floreale stilizzato: da un lato la cucina e dall’altro una zona che era insieme soggiorno, camera da letto e studio. La flessibilità di quest’ultima era garantita da un apposito disegno dell’arredo, che prevedeva un tavolo da lavoro ribaltabile e un letto matrimoniale che poteva essere sollevato sino al soffitto tramite un sistema di cavi e pulegge e, all’occorrenza, ripiegato a formare un divano dinanzi al focolare. Sul lato nord una robusta armadiatura, che raccoglieva tra l’altro i disegni di Ralph arrotolati e ordinati in prossimità del suo scrittoio, contribuiva all’ottimizzazione degli spazi e al comfort termico dell’interno. Essa inquadrava la porta di accesso, ricavata nella profondità di un portico utilizzabile come deposito per la legna, con i tronchi disposti perpendicolarmente alla facciata a costituire una ulteriore barriera all’umidità e alle rigidissime temperature degli inverni svedesi. A sud, una grande vetrata si apriva su una loggia che, durante l’estate, poteva essere abitata, divenendo una vera e propria stanza en plein air. A est, infine, una finestra orizzontale accoglieva la tenue luce del mattino.

Il fuoco e il paesaggio esterno erano i protagonisti di questo straordinario progetto. Il primo raccoglieva la famiglia intorno al camino di pietra, dotato di un elaborato sistema di diffusione del calore tramite tubi in ceramica e di un meccanismo di ricircolo dell’aria che consentiva ai fumi di essere espulsi dopo aver contribuito ulteriormente al riscaldamento del corpo della casa (Richards, Pevsner, Lancaster, Cronin Hastings 1947, 204). Il secondo, invece, si trasformava in una necessaria estensione del limitatissimo spazio coperto: un luogo dove raccogliere il cibo o attingere l’acqua del pozzo e dove trovare un riparo per i servizi igienici, dal momento che il rifugio non era dotato di bagno.

Lådan (letteralmente “la scatola”) fu costruita tra il 1941 e il 1942 da Ralph e Ruth, pare con l’aiuto di un giovane profugo danese, Aage Rosenvold – che in seguito sarebbe entrato come socio nello studio – su un terreno messo gratuitamente a disposizione da un amico agricoltore all’interno del proprio podere. Si utilizzarono le pietre e il legno del bosco insieme a materiali di recupero, come i mattoni provenienti da una vecchia fornace in disuso (Collymore [1982] 1986, 57). I coniugi vi abitarono fino al 1946, quando si trasferirono nell’isola di Drottningholm, sul lago di Mälaren, alla periferia occidentale di Stoccolma. Da allora il piccolo cottage divenne un rifugio per le vacanze, finché non si deteriorò e fu abbandonato (Lapuerta 2008, 58).

I disegni a matita – in pianta, prospetto e sezione – e le eleganti prospettive restituiscono appieno la forza straordinaria di questa magnetica scatola isolata dal mondo, dettagliandone gli aspetti più tecnici, la relazione con la topografia dell’intorno e i particolari dell’arredo, dalle forme della cucina agli oggetti più minuti e personali come gli strumenti musicali, i libri e le piante. Due schizzi iniziali rivelano l’esistenza di una prima versione del progetto, poi abbandonata probabilmente per questioni economiche, nella quale la casa era distribuita su due livelli con una scala segreta, nascosta negli armadi a muro, che consentiva l’accesso a una zona notte indipendente (Lapuerta 2008, 64).

Le fotografie dell’epoca lasciano intuire frammenti della vita privata degli Erskine: la raccolta della legna, il lavoro di Ralph allo scrittoio, l’accensione del fuoco, il riunirsi della famiglia dinanzi al camino o il riposo della coppia sulla veranda durante la bella stagione. Gli scatti attuali, relativi alla fedele ricostruzione di Lådan sull’isola di Lovön, con la quale si volle celebrare il settantacinquesimo anno di Ralph nel 1989, ci consentono per contro di apprezzare le calde tonalità dell’interno – il chiarore del legno che tutto riveste, il grigio-fumo del focolare, il bianco delle sedie e dei tavoli – e la forza di quel rosso, sulle pareti esterne minori, che fu scelto non per imitare ma per rammemorare il colore dei mattoni locali, troppo costosi per poter essere adoperati.

Come ha giustamente notato Antón Capitel, questa opera è lontana dall’archetipo della capanna primitiva, nel quale si è spesso individuata la genesi dell’architettura, anche se potrebbe essere considerata “una versión moderna de ‘la casa de Adán en el paraíso’” (Capitel 2005, 73). Lo stacco da terra, la forma scatolare, l’assottigliarsi delle pareti in corrispondenza del pronao d’ingresso e della loggia, quasi a voler enfatizzare la leggerezza del volume, e il tetto (inclinato quanto basta per garantire la caduta della neve) erano tutti dettagli che esprimevano una precisa scelta linguistica.

La struttura portante si ispirava al sistema del balloon frame americano, adattato alle possibilità offerte dalla tecnologia svedese dell’epoca: a terra quattro travi portanti della lunghezza di sei metri si incastravano con tredici travi disposte perpendicolarmente; la struttura verticale era composta da sette montanti sulle pareti nord e sud e da cinque su quelle est e ovest, questi ultimi irrigiditi da tre elementi orizzontali; il tetto replicava la struttura del solaio inferiore, con l’eccezione di una trave, soppressa per far posto al camino (Lapuerta 2008, 60-64). Pertanto, non sorprenda se, nel cogliere la potenza dell’idea e del messaggio di questa piccola ‘capanna’, la si associa qui alla descrizione che Ernesto Nathan Rogers fece della sua casa sognata, affidandola alle Confessioni di un anonimo sulle pagine di “Domus” significativamente in quello stesso, cupo, 1942:

Cresce dal suolo come una pianta ed è tuttavia sovrana sulla natura, prepotente orma d’uomo. Un pezzo di terra in basso, e in alto un pezzo di cielo: tra gli infiniti fiori, qualcuno profuma solo per me e, nella notte, un quadrato di stelle – tra le infinite – per me s’accende. Muta volto la mia casa al volgere delle stagioni; muta le fronde rinnovellandosi ad ogni primavera; d’estate ha la frescura dei boschi; colorata d'autunno, si lascia ammantare d’inverno dalla neve e sotto germina la mia famiglia in attesa del sole. Le pareti siano limiti al mondo esterno, non ostacoli: s’aprano tutte al di fuori, si chiudano, si socchiudano, occhi con palpebre e ciglia o, forse, pori che l’universo respirino e gli umori nocivi trasudino. La mia casa è un corpo, come il mio corpo, custodia ai dolori e alle gioie, accanto al tuo confine. Incompenetrabili corpi. […] non eterna chiedo che sia la mia casa, ma, come un abbraccio, chiusa (Rogers 1942).

Durante l’inverno, Lådan si chiudeva su sé stessa, proteggendosi a nord grazie ai tronchi di legna accatastati per il fuoco e rinforzando le aperture – pur dotate di doppi e tripli vetri – con materiali isolanti applicati sul lato esterno. Con l’arrivo dell’estate, il ‘guscio’ si apriva e la vita si spostava prevalentemente all’esterno: lo stesso divano/letto veniva orientato non più verso il camino ma verso la grande vetrata della loggia, i tronchi erano assenti e la facciata con l’ingresso, spogliata di ogni ‘ornamento’, rivelava la propria (vera) composizione (Lapuerta 2008, 58-60). La casa mediterranea e la casa dell’uomo del nord accomunate dal metaforico “aprirsi” a una nuova (auspicata) condizione del vivere.

Salutato da Richards, Pevsner, Lancaster e Cronin Hastings – in un celebre articolo pubblicato su “The Architectural Review” – come uno dei primissimi paradigmi del New Empiricism svedese, insieme alla casa di Sven Markelius a Kevinge e alla casa di Stüre Frölen nei Nasby Palace Gardens, il rifugio di Lissma era, in realtà, una architettura moderna in una condizione privilegiata e irripetibile. Essa ‘abitava’ letteralmente il paesaggio, traendone persino parte del sostentamento per la famiglia: il cibo degli orti e l’acqua della fonte. Il suo spazio era, per dirla con Martin Heidegger, “una libera donazione dei luoghi” (Heidegger [1969] 1979, 25).

Dopo il trasferimento alle porte di Stoccolma, Ralph trasformò una vecchia chiatta di cabotaggio del Tamigi, La Verona – trasportata da Londra con un rocambolesco viaggio attraverso il Mare del Nord – in una suggestiva estensione del proprio studio. Attraccata in prossimità della sua casa e capace di ospitare, oltre a dodici postazioni di lavoro, anche un piccolo bar, al sopraggiungere dell’estate la barca raggiungeva puntualmente Rågö, presso Nyköping, dando vita a una singolare esperienza di lavoro-vacanza che coinvolgeva tutti gli architetti e le rispettive famiglie (Collymore [1982] 1986, 59-62). Una tavola ricca di bellissimi disegni riassume il significato di questa operazione, quasi un divertissement per l’intero equipaggio, mentre alcune foto ritraggono Ralph e Ruth al timone, il gruppo al lavoro, le vele sullo sfondo del cielo e di orizzonti lontani.

La costruzione della casa-studio di Drottningholm rappresentò, infine, un momento cruciale di riflessione intorno all’abitare, condensando molte delle idee maturate fino ad allora dai suoi autori: sulla prefabbricazione, sul controllo climatico, sul rapporto con il paesaggio esterno (González de Canales 2005, 88). Suddivisa in tre volumi distinti (la residenza vera e propria, lo studio e il garage) disposti intorno a un piccolo giardino centrale, essa reinterpretava le costruzioni tradizionali dell’isola, generalmente composte da un corpo principale e alcuni annessi (Collymore [1982] 1986, 162). La struttura in calcestruzzo si concludeva con una doppia copertura, pensata per garantire un migliore isolamento termico: una volta ribassata protetta da una doppia falda in lamiera ondulata. Il camino sospeso al centro del grande e luminoso soggiorno a doppia altezza era il cuore del volume dell’abitazione, la cui sofisticata composizione articolava gli spazi della vita domestica su due livelli principali.

Ruth e Ralph

Interno della casa di Erskine, Lådan. La coppia Erskine con un bambino accanto al camino, Fotografia di autore sconosciuto, 1942, Arkitektur- och designcentrum, ArkDes.

Interno della casa di Erskine, Lådan. Ralph Erskine con un bambino seduto sul letto, Fotografia di autore sconosciuto, 1942, Arkitektur- och designcentrum, ArkDes.

La casa di Erskine, Lådan. Periodo di costruzione. Ruth Erskine, Fotografia di autore sconosciuto, 1942, Arkitektur- och designcentrum, ArkDes.

Ralph Erskine, Lådan. Pianta, prospetti, sezioni. 15/11/1941, Arkitektur- och designcentrum, ArkDes.

La letteratura sugli Erskine e sulla loro prima casa svedese si sofferma a lungo sulla singolare biografia di Ralph: le origini inglesi, l’educazione secondo gli ideali del fabianesimo, la frequentazione della Friends’ School di Saffron Walden, una scuola quacchera non lontana da Cambridge, gli studi presso il Regent Street Polytechnic di Londra, la cui facoltà di architettura era allora diretta da Thornton White, l’amicizia con Gordon Cullen, il viaggio verso la Svezia nel maggio del 1939, le iniziali difficoltà lavorative nel paese straniero.

Molto più scarse, invece, sono le notizie riguardanti la sua compagna, Ruth Monica Francis Erskine. Di lei sappiamo solo che conobbe Ralph durante gli anni della scuola a Saffron Walden, che lo raggiunse in Svezia nel mese di agosto di quello stesso 1939 e che i due si sposarono due settimane dopo l’arrivo di lei, presso l’ufficio anagrafe del Rådhus (Egelius 1977). Chi era davvero Ruth? Che ruolo svolse nella vita dell’architetto e, in particolare, nella costruzione della casa a Lissma?

Antón Capitel le attribuì un ruolo stereotipato di sposa e di madre, scrivendo a proposito di Lådan: “È vero, però, che la casetta, come si addice a una casa coniugale, è predisposta ad accogliere le inclinazioni di entrambi i coniugi: se il marito si ostinava a lavorare, forse la moglie si dilettava a cucinare quando non si occupava del bambino” (Capitel 2005, 76). Di tutt’altro tono è il ritratto delineato da Mats Egelius, autore tra l’altro di una importante monografia sull’opera di Erskine, che restituì una figura ben più ricca di sfumature e di informazioni, affermando che:

Ruth completa suo marito: sembrano una coppia ideale. Quando lui è stressato, lei è rilassata, sempre al suo fianco con lealtà, mantenendo una casa accogliente e ospitale. Prima di trasferirsi in Svezia, Ruth si era formata come segretaria e ha sempre saputo dare una mano in ufficio nei momenti di bisogno – ancora oggi si occupa di tutta la loro corrispondenza personale. Lei ritiene il suo ruolo di laica all’interno della squadra marito/moglie molto importante, enfatizzando il punto di vista dell’utente con intuizioni pragmatiche nell’atmosfera talvolta forzatamente intellettuale dell’ufficio. Quando i figli erano piccoli, ha sempre dato loro la priorità, proprio come la madre di Ralph, che era rimasta casalinga nonostante fosse stata una delle prime donne laureate all’università (Egelius 1977, 759).

Charles Jencks, nell’introdurre il numero doppio di “Architectural Design” curato da Egelius nel 1977, confermò il ruolo attivo di Ruth, ricordando un aneddoto relativo al progetto e alla costruzione del Byker Wall di Newcastle, uno dei muri abitati più lunghi del mondo:

Quando il progetto di Byker era agli inizi ed Erskine doveva conquistare la fiducia dei suoi clienti della classe operaia, lui e sua moglie Ruth iniziarono a vendere piante fuori dall’ufficio, un modo ovvio per instaurare amicizie nel paese dei piccoli giardini. ‘Le donne sognavano di vedere fiori fuori dalle loro finestre’ fu una delle lezioni apprese da quell’esperienza, da cui derivano gli innumerevoli vasi di fiori e i giovani alberi, circondati e protetti da spazi semi-privati. Oggi, infatti, a Byker si rimane colpiti da quanto verde ci sia, dai roseti selvatici e incolti, dalla crescita rigogliosa di arbusti riottosi che, in pochi anni, addolcirà ulteriormente questo progetto municipale (Jencks 1977, 753).

Nel 1984 fu fondata la Ruth and Ralph Erskine Nordic Foundation che, a partire dal 1998, assegna un importante premio di architettura – il Ruth and Ralph Erskine’s Nordic Stipend Fund – a chi contribuisca alla costruzione di edifici caratterizzati da una forte componente sociale. Significativamente, sia nella denominazione della Fondazione che del Premio, il nome di lei, venuta a mancare proprio nel 1998, precede quello di lui.

Le fonti concordano nell’affermare che la giovane donna contribuì alla costruzione della piccola casa nel bosco. Diversi elementi lasciano però immaginare che il suo ruolo sia andato oltre la semplice collaborazione materiale durante il cantiere. Innanzitutto, occorre ricordare che, in quel freddo inverno tra il 1941 e il 1942, entrambi erano giovanissimi e inesperti, stranieri in una terra di ghiaccio. Pertanto, è possibile ipotizzare che la definizione di un programma tanto singolare sia stata frutto di una riflessione condivisa, anticipatrice di una comunione d’intenti e di un progetto di vita insieme, che avrebbe trovato piena conferma ne La Verona e nella casa di Drottningholm. Autocostruzione e autosufficienza come espressione di una vita ispirata a principi di austerità, semplicità ed essenzialità, oltre che come risposta a una condizione di extra-ordinaria necessità.

D’altro canto, sia Peter Collymore che Mats Egelius hanno evidenziato l’attitudine di Ralph all’ascolto dell’altro; una disposizione che non poteva non trovare conferma nel rapporto privato con l’amatissima Ruth:

L’atmosfera che si respira nello studio di Erskine – scrisse il primo – riflette la personalità dell'architetto, si discute sugli argomenti più vari in modo estremamente libero mentre si prende il tè attorno al tavolo della cucina, e tutto ciò, in un certo senso, assomiglia a una riunione di quaccheri in cui i partecipanti parlano quando lo desiderano e dove non esiste una ‘struttura’ per la discussione (Collymore [1982] 1986, 65).

Lådan era un rifugio dal mondo e dalle privazioni della guerra: una oasi di pace e riservatezza, lontana persino dai servizi essenziali che, durante l’inverno, potevano essere raggiunti soltanto con gli sci o una slitta trainata da un cavallo (Collymore [1982] 1986, 59). Nel descriverne lo splendido isolamento, Francisco Gonzalez de Canales evocò il celebre Proemio del Decameron di Giovanni Boccaccio, nel quale – durante la Peste Nera che colpì l’Europa nel XIV secolo – una giovane donna prese l’iniziativa di radunare un gruppo di amici, sette donne e tre uomini, per ritirarsi in una villa fuori Firenze e tentare una possibilità di salvezza, trascorrendo il tempo secondo regole condivise che contemplavano, tra l’altro, il racconto quotidiano di una novella.

Di fronte alla caduta dei grandi ordini – scrisse de Canales –, l’arte dell’appartenenza reciproca può essere ricostruita solo a partire da piccoli ordini. Gli Erskine, gli Eames e, successivamente, gli Smithson si ritirarono anch’essi alle porte della città, in un padiglione dall’apparenza effimera, nel tentativo di rigenerare i legami che permettessero loro di ristrutturare l’abitare umano. Come Boccaccio, intuirono che il nuovo ordine delle loro vite si sarebbe formato nel piccolo, nel quotidiano, nella reciproca appartenenza tra l’uomo, la natura e i ricordi (González de Canales 2005, 82).

Il riferimento era, ovviamente, alla Case Study House No. 8 di Charles e Ray Eames, alla periferia di Los Angeles, meglio nota come Eames House, e all’Upper Lawn Solar Pavilion Folly di Alison e Peter Smithson all’interno della tenuta di Fonthill, nel Wiltshire, sud-ovest dell'Inghilterra: celebri icone di una altrettanto riconosciuta vita di coppia. Nel caso degli Erskine, è probabile che la casa sia servita anche a rinsaldare l’appartenenza reciproca tra i giovani coniugi, alla loro prima esperienza di convivenza dopo il viaggio di nozze in barca a vela e il ritorno a una realtà difficile, segnata dalla mancanza di lavoro.

Dinanzi a una esperienza così irripetibile, una domanda sorge spontanea: se non avesse avuto accanto una campagna, e se quella compagna non avesse posseduto la determinazione che in tanti hanno riconosciuto essere uno dei tratti fondamentali del carattere di Ruth, Ralph avrebbe mai costruito per sé un rifugio così singolare, quasi alla ricerca di una modernità eroica con la quale attendere non già la fine della peste, ma quella non meno drammatica della Guerra?

Riferimenti bibliografici
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English abstract

The small house near Lissma, built by Ralph and Ruth Erskine between 1941 and 1942, is nestled in unspoiled nature: gathered around a large stone fireplace in winter, it would then open up to the surrounding landscape in the warmer seasons. Almost a modern version of the “Adam’s house in paradise”, Lådan was far from the archetype of the primitive hut: the raised structure, the box-like form, the thinning of the walls at the entrance area and the veranda – as if to emphasize the lightness of the volume – and the roof (angled just enough to ensure snow would slide off) were all details that expressed a precise architectural language.This essay proposes a reflection on Ruth’s role in the conception of this extraordinary ‘refuge’, beyond her well-documented practical collaboration during the construction phase. It is suggested that the definition of such a singular program resulted from a shared reflection – an anticipation of a union of intentions and a life together – which would later find full expression in the unique episode of La Verona and in the house at Drottningholm.

keywords | Ruth Erskine; Ralph Erskine; Swedish Modernism; New Empiricism

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Alberto Pireddu, Piccolo mondo moderno. Ralph e Ruth Erskine: Lådan, Lissma (1941-1942), “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025.