"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Lo Stökli di Flora Ruchat-Roncati e Leonardo Zanier

Carlo Toson e Christian Toson

English abstract

1 | Flora Ruchat-Roncati e Leo Zanier a Udine (2005, foto C. Toson)

Lo Stökli è forse la vicenda più rappresentativa del lavoro in comune di Flora Ruchat Roncati (1937-2012), architetto, e Leonardo Zanier (1935-2017), sindacalista e poeta. Flora Ruchat-Roncati aveva conosciuto Leonardo a Zurigo alla fine degli anni Sessanta, negli ambienti culturali di sinistra: Flora si era già distinta nel mondo internazionale dell’architettura, era allieva di Rino Tami, e aveva realizzato i Bagni di Bellinzona e altre opere in Ticino con Ivo Trümpy e Aurelio Galfetti, diventando un protagonista di quella che in seguito sarà chiamata la Tendenza ticinese (cfr. Albrecht, Davidovici 2017); Leo si era dedicato a un’intensa attività politica come sindacalista e attivista per i diritti degli emigranti italiani, unita a una parallela carriera come poeta, pubblicando sulle stesse tematiche libri importanti per la letteratura friulana come Libers… di scugnî lâ (Liberi… di doversene andare, 1964). Il sodalizio fra Leo e Flora comincia con la condivisione di una sensibilità sociale e politica, con particolare attenzione al tema della casa. Oltre alle esperienze svizzere, la coppia aveva trascorso un periodo professionale in Italia, dove Flora aveva progettato e realizzato grandi complessi di edilizia popolare per il Consorzio Abitcoop e il CoLaSiderTa a Taranto e Roma. Leo aveva anche coinvolto l’ETH di Zurigo, del quale Flora era la prima donna a essere nominata professore nel 1979, a elaborare un vero e proprio progetto di riqualificazione territoriale per la Carnia, terra d’origine di Leo dalla quale era dovuto emigrare prima in Marocco e poi in Svizzera. Insieme ad altri studenti e docenti, come il prof. Dolf Schnebli, avevano elaborato un piano di riconversione territoriale che coinvolgeva tutte le attività delle comunità superstiti alle grandi ondate di emigrazione e al terremoto del 1976; il lavoro di rinnovamento e ricucitura non riguardava solo l’ambiente, naturale e costruito, ma anche le relazioni tra le persone, il recupero e la salvaguardia della storia e delle tradizioni locali. Il progetto venne denominato in seguito Albergo Diffuso.

L’idea dello Stökli nasce all’inizio del 1992, a Riva San Vitale, nella casa di famiglia di Flora che era diventata anche la casa di Leo. Si trattava di un complesso dove vivevano anche altri inquilini amici di Flora: era stato oggetto di diversi esperimenti progettuali che Flora aveva attuato per permettere alla casa di conservarsi, esprimersi e amplificarsi.

Nel giardino c’era uno spazio stretto tra il muro di confine con la chiesa e il rio Bolletta. Leo si era aggirato per anni in quell’angolo di giardino disordinato, tra noccioli, ortiche giganti, cespugli di more e sambuchi e cianfrusaglie lasciate dal precedente affittuario. Si intravedeva, nel mezzo, qualche manufatto murario, che come diceva Leo, “che fosse importante si capiva, ma bisognava indovinarlo, coperto com’era di muschi, rampicanti, muffe” (Zanier 1997, 27). Che cosa fosse in origine resta ancora oggi un mistero: l’acqua del rio entrava al suo interno tramite un’apertura, qualcuno sosteneva fosse un lavatoio, altri una specie di vasca per le trote. Leo e Flora, di comune accordo, decisero che quel luogo fosse adatto per creare uno spazio personale per Leo, una sorta di casa per il poeta, subito associato al tipo vernacolare svizzero dello Stökli.

Lo Stökli consiste in una sorta di residenza annessa alla fattoria principale, dove andava a vivere l’anziana coppia di contadini una volta ceduta al figlio la gestione del maso. Si tratta di una pratica legata all’istituto del “maso-chiuso” tipico dell’Alto Adige, una vera e propria forma di organizzazione del territorio, il fondamento stesso di una struttura socioeconomica che nel tempo ha modellato il paesaggio agrario, verso la quale Leo aveva una sincera ammirazione e che considerava “civilissima” (Zanier 1997, 22). Leo guardava con ammirazione alla cultura svizzera, specialmente nel rapporto fra sviluppo economico e conservazione della storia e della cultura dei luoghi. Anche per il progetto dell’Albergo Diffuso dichiarava che gli svizzeri avevano già accumulato una buona esperienza nella contaminazione tra il mondo rurale e il nascente turismo dal quale si era sviluppato l’agriturismo, quello vero (Zanier, [1997] 2008, 21).

Nello Stökli i contadini “in pensione”si dedicavano ai lavori meno pesanti, alla cura dell’orto e degli animali da cortile, lasciando le attività legate alla produzione agricola vera e propria, più faticose, alla nuova generazione: “Insomma, si tratta di entrare nella ‘terza età’ ridimensionare il campo d’azione, prepararsi a lasciare ‘baracca e burattini’ iniziare un nuovo ciclo, l’ultimo, non è faccenda semplice” (Zanier 1997, 22). Da qui l’associazione con il piccolo rifugio per Leo sulla riva del rio Bolletta, uno spazio fisico dove mettere in ordine i propri pensieri, dove potersi rifugiare e trovare pace: “La questione concreta, per tutti, diventa l’utilità razionale e pratica di prepararsi convenientemente ad arredare per tempo il proprio privatissimo Stökli mentale, non per questo meno reale. Arredarlo come? Metterci dentro cosa?” (Zanier 1997, 22). Leo vedeva nell’idea dello Stökli uno spazio mentale, oltre che fisico, dove trovare rifugio spirituale.

Le richieste funzionali erano semplici: uno spazio per scrivere e riposare, un cucinino, un bagno, un laboratorio per lavorare con le mani, uno spazio per stare all’esterno, dei limiti per garantire la privacy rispetto al resto del complesso. A questo punto entra in gioco la mano di Flora, che trasforma in architettura questi pensieri. Come diceva Leo,passare dalle poesie ai fatti, dalle parole ai sassi” (Zanier 1997, 22)Liberando il luogo da rovi e sterpaglie si rivela uno spazio magico e una piccola costruzione con grossi muri di pietra, realizzata con antica arte e grande sensibilità estetica. Inizia la progettazione: il rigore di Flora, la poesia e le suggestioni di Leo si fondono in qualcosa di unico. I frammenti di muro si ricompongono recuperando le pietre angolari scolpite, testimonianza dell’arte degli scalpellini ticinesi nel mondo. Questa attenzione alla sostanza storica esistente è un punto molto forte del legame tra il poeta e l’architetto, e pare ci sia una duplice influenza quando Flora nel suo articolo cita:

A Roma, nel tempietto di San Giovanni in Oleo, c’è un’acquasantiera di marmo d’Arzo. Oltre che delle ricerche raffinate di Francesco Castelli, alias Borromini, il restauratore/la ‘macchia vecchia’ racconta di tagliapietre, stuccatori, gessini, veri professionisti che, lasciando il paese per sopravvivere, si trascinavano appresso la loro pietra e di sicuro il loro scalpello, conoscenza e mestiere (Ruchat-Roncati 1996, 37).

La pietra di per sé è portatrice di racconto, e origine del progetto, come per Les Pierres sauvages di Fernand Pouillon, un libro che entrambi amavano. Per Leo era testimonianza della storia del mondo, e portatrice di valore morale.

Beata semplicità di un sasso, Che riassume la storia del mondo. […] Ma allora perché noi dovremmo voler semplificare tutto: essere o venir costretti a essere: solo bosniaci croati e ortodossi, oppure solo bosniaci serbi e cattolici, oppure solo ancora bosniaci ‘turchi’ e mussulmani? (Zanier 2001).

Per Flora la pietra del giardino di Riva è materiale vivo e da valorizzare per il progetto. Leo di quei cantonali diceva, molto similmente a Flora: “Due dei pilastri-spallette, quelli verso il cortile, non finiscono a spigolo, ma, attraverso una elaborata e barocca modanatura, diventano una semicolonna. Raffinatezza costruttiva comacina che si innesta anche nel rurale” (Zanier 1997, 24). Il progetto parte quindi da quelle tracce, da quei segni di pietra, fissi nel disegno, intorno ai quali si fabbrica il nuovo spazio. Flora, ricordando la precedente copertura in travi, completa e collega la costruzione con una struttura di pareti e tetto in legno, realizzate nel modo più semplice possibile. Il ritaglio di spazio ricavato tra i muri e il torrente diventa “il più piccolo cortile del mondo”, un trapezio di neppure un metro quadrato ma sufficiente per stare seduti in due, in contemplazione, all’ombra degli alberi che crescono sulla sponda opposta, della grande parete del Monte Generoso. In quel cortiletto si raggiunge il massimo dell’intimità, sotto la panca ci sarebbe dovuto essere lo spazio per custodire le loro ceneri. “L’ultima spiaggia” usava chiamarla Flora.

2 | Progetto dello Stökli, pubblicato su “Controspazio” n.6, 1996.

Oltre al lavoro di ricucitura delle parti esistenti, c’è anche un lungo e nuovissimo muro di calcestruzzo, vero manifesto di un’architettura contemporanea, che non concede nulla alle tentazioni vernacolari. Questo muro, che Leo ironicamente diceva essere accuratamente “modulorato in tutto”, perfettamente disegnato nei suoi vuoti e pieni, rientranze e spessori, separa nettamente lo Stökli dal giardino comune della casa, definisce un cortile davanti all’ingresso, dove si trova un grande tavolo per gli ospiti, e stabilisce il limite entro il quale si sviluppa il microcosmo dello Stökli. Flora non rinunciava mai a mettere un segno netto e forte. La dialettica all’interno della coppia Flora-Leo rifletteva da un lato il rigore della scuola svizzera nella lettura e interpretazione degli insediamenti e delle tipologie, dall’altra le inevitabili, diverse declinazioni, dovute alle particolari vicende della storia interpretata da Leo: come nello Stökli, così anche nelle numerose case carniche che avevano restaurato insieme. Nella casa carnica del Sei-Settecento ogni elemento corrispondeva a una funzione precisa che comunque non era mai soltanto di tipo funzionale, ma conteneva valori simbolici radicati e permanenti. Il rigore compositivo di una facciata cedeva sovente il passo a una necessità contingente. Il pendio richiedeva adattamento. Il lavoro agricolo richiedeva spazi diversi, ma oltre a questo, le case “penzas e liseras come un cjant” (dense e leggere come un canto, Zanier [1964] 1998, 22) erano portatrici di qualcosa di più. Queste le posizioni di partenza che, durante le lunghissime discussioni, si stemperavano le une dentro le altre producendo qualcosa di nuovo che apparteneva ad entrambi. È forse possibile rileggere gli echi di questo confronto in un importante articolo scritto da Flora nel 1993, la capanna d’Adamo è in Paradiso, e quella di Eva?, pubblicato su “Controspazio” nel 1996 (Ruchat-Roncati 1996, 36-37). Il testo è una riflessione sul rapporto fra abitazione, storia e architettura. Ad esempio scrive che:

L’architettura, intesa nella sua ampia accezione di produzione edilizia connotata da una qualità diffusa, tutta da definire, individua nella residenza l’impegno ad organizzare e connotare lo spazio del privato quotidiano: funzione che si differenzia, nel corso della storia, non tanto nella specificità dei bisogni – che sono sempre gli stessi – quanto nel modo di soddisfarli e nei valori culturali che ad essi si attribuiscono (Ruchat-Roncati 1996, 36).

È possibile che l’esperienza con la cultura di Leo in Carnia, con la casa carnica, così diversa da quella svizzera, eppure così simile per funzioni, abbia contribuito alla formazione di questo pensiero? Flora cita diversi esempi nell’articolo, da Berlino a Taranto, dalla domus romana al tempietto di San Giovanni in Oleo, ma mai le case di Maranzanis. Flora nei suoi progetti cercava di mantenere come sempre una rotta chiara e coerente. Leo rivendicava il diritto all’imprevisto, alla dissonanza, allo scarto di lato, alle possibilità sempre diverse.

L’archetipo suggerisce una sorta di propensione ad acquisire la soluzione come fatto naturale, simbiosi tra luogo, cultura e natura, ciò che in effetti per il moltiplicarsi dei parametri e per l’assenza del rapporto diretto tra bisogni e soddisfazioni degli stessi, rende il gioco estremamente sofisticato, complesso, al limite astratto (Ruchat-Roncati 1996, 37).

Il rudere dello Stökli poteva essere considerato un archetipo nella concezione che Flora dava a questa parola. Nella sua forma di manufatto vago nella funzione e non finito era un caso perfetto sul quale sperimentare un’architettura che si inserisse in quello spazio di pensiero fra la funzione e la soddisfazione della stessa. Più che una certa aderenza a un disegno mai esistito, Flora restava coerente alle logiche costruttive degli edifici, dalle tecniche per costruire i muri alle sofisticate carpenterie lignee. Leo si preoccupava che l’architettura si trasformasse in vita per l’edificio, anche entrando in contrasto con la pulizia del disegno. Spesso argomentava: “un contadino si sarebbe preoccupato del fatto che è asimmetrico?”.

In questo senso, il luogo vissuto dal poeta era materiale di progetto tanto quanto le preesistenze, il muro di confine, o il rio Bolletta. Leo ha scelto e elencato con minuzia e particolari le piante da inserire, dalle belles de nuit alle olea fragrans, alla vigna, poi ha portato grossi sassi nel torrente a manipolare il flusso dell’acqua, per farne sentire ancora più forte la presenza. L’evento, in forma di suono, diventa parte dello spazio, e lo spazio è il luogo dove l’evento si manifesta. Le parole si trasformano in pietre e le pietre in parole.

Sull’importanza dell’evento nella creazione dello spazio, un piccolo aneddoto potrebbe aiutare a sintetizzare il modo in cui Flora e Leo lavoravano alle loro case. Nel 2009 il tetto della casa natale di Leo era stato bruciato da un incendio e doveva essere ricostruito. I tetti delle case carniche sono molto ripidi e coperti da tegole piane in cotto, ma come avviene in questi casi, era stato provvisoriamente coperto con dei teli impermeabili.

Arrivano, via mail, le foto della casa di Maranzanis impacchettata per darle un tetto provvisorio al posto di quello distrutto dall’incendio. L’associazione che s’impone è Christo e tutti i suoi arditi e temporanei impacchettamenti, package. (Zanier 2009, 79)

Disegno del tetto della Casa di Pasca con la disposizione delle tegole colorate

Il poeta aveva la capacità di leggere anche l’evento più piccolo e strano in una cornice più ampia, riducendo la distanza, e quindi valorizzandola, con i grandi movimenti di arte contemporanea, come gli allestimenti di Christo o Rauschenberg. Anche in questo senso il tema della casa era importante, perché diventava uno spazio in piccolo per una riflessione serena sui grandi temi: lo Stökli e le politiche di amministrazione del territorio, lo Stökli e il passaggio generazionale, la pietra scolpita e l’emigrazione, il tetto bruciato e il rapporto fra evento e storia. Il carattere provvisorio del cantiere gli piaceva, e aveva anche maturato, insieme a Flora, l’idea provocatoria di chiamare lo stesso Rauschenberg, loro conoscente, a firmare una bici legata sul terrazzo della sua casa con il tetto impacchettato. Ma poi, come sempre, la suggestione restava solo ironia:

Ma l’inverno depone neve e pioggia sui teloni, pesi che lo affaticano, lo sfiancano, e in certi punti lo afflosciano. Decidiamo che è meglio, appena arriva la primavera, passare al tetto definitivo. […] Così è successo: ora il tetto, coperto a squame, in tegole carniche, svetta lì maestoso. […] Ma in mezzo a quelle rosso-ruggine, è stato inserito un dettaglio significante: altre tegole, di egual fattura, smaltate in verde o in blu, che disegnano delle parabole a descrivere il percorso speculare nel cielo del sole e della luna…inventato e disegnato da Flora (Zanier 2009, 79).

Le tegole smaltate in verde e azzurro sono prerogativa dei tetti signorili nelle case carniche, e venivano usate con parsimonia per alcune parti decorative. Flora ha voluto riprendere questa pratica, disegnando percorso sul tetto che riprendeva il cammino del Sole e della Luna descritto da Gianbattista Vico. Un disegno visibile solamente dalle alture vicine. Per una volta Flora era diventata il poeta, e Leo l’architetto che metteva ordine al progetto.

Riferimenti bibliografici
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    K. Albrecht, I. Davidovici, Konzept Convivium. Architektur als Netzwerk, in Flora Ruchat-Roncati Architektur im Netzwerk, “werk, bauen+wohnen”, 12, 2017. 
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    P. Heady, Il popolo duro. Rivalità, empatia e struttura sociale in una valle alpina, Udine 2001.
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    R. Hollenstein, Grosse Tessiner Architektin – Zum Tod von Flora Ruchat-Roncati, “Neue Zürcher Zeitung”, 252, 2012, 32.
  • Maffioletti, Navone, Toson 2018
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    F. Ruchat-Roncati, La capanna d’Adamo è in Paradiso, e quella di Eva?, “Controspazio” 6, 1996, 36-37.
  • Ruchat-Roncati, Navone 2022
    F. Ruchat-Roncati, N. Navone (a cura di), Memoria e trasformazione, scritti e conversazioni su architettura e territorio, Bellinzona 2022.
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    L. Zanier, Libers...di scugnî lâ, [Ovaro 1964], Roma 1998.
  • Zanier 1997
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  • Zanier 1998
    L. Zanier, Stöckli, in P. Carrard, D. Geissbühler, S. Giraudi (a cura di), Flora Ruchat-Roncati, Zürich 1998, 23-30.
  • Zanier 2001
    L. Zanier, Una semplice pietra di Faido, “Agorà”, ottobre 2001.
  • Zanier 2007
    L. Zanier, Licôf, Poesie 1991-1995, Udine 2007.
  • Zanier 2009
    L. Zanier, Christo e Rauschenberg, in Cantîrs, Udine, 2009, 76-79.
  • Zara, Zerbi 2022
    A. Zara, S. Zerbi, Lo Stöckli: un microcosmo, “Espazium”, 12-09-2022.
English abstract

This contribution explores the creative interaction between Flora Ruchat-Roncati (1937-2012), architect and professor at ETH and Leonardo Zanier (1935-2017), political activist and poet. The focus is on the Stökli that was built in Flora’s house in Riva San Vitale as the poet’s house for Leo, that takes the name from the traditional Swiss dwelling where elder people move after they pass the entalied farm to their heirs. Flora’s Stökli is talored around the memories and suggestions by Leo, and thus is a materialised reflection over their shared sensibility. Existing stones, memories of a larger history, and modern insertions, are a testimony on how a project can be the product of a thinking couple, were often roles are exchanged. 

keywords | Stökli; Flora Ruchat-Roncati; Leonardo Zanier; Carnia.

Per citare questo articolo / To cite this article: Carlo Toson, Christian Toson, Lo Stökli di Flora Ruchat-Roncati e Leonardo Zanier, “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025.