Cartografia di un genocidio
Intervista a Davide Piscitelli
a cura di Christian V.M. Garavello e Michela Maguolo
English abstract
Presentazione
Come rendere visibile e denunciabile un genocidio nell’epoca della massima pervasività delle tecnologie visive? A Gaza il rapporto tra visibile e invisibile è uno dei nodi centrali: i soldati israeliani documentano e ostentano le proprie azioni, filmandosi mentre devastano case e proprietà palestinesi e diffondendo i video sui social. La spettacolarizzazione della violenza e la sua incessante diffusione non producono automaticamente consapevolezza: al contrario, possono contribuire alla normalizzazione del crimine, trasformandolo in sfondo, in rumore di fondo destinato a scomparire dallo sguardo. Ma la questione non riguarda solo ciò che viene mostrato.
È imperativo e urgente tenere traccia, in termini conoscitivi e politici, dell’insieme di atti, decisioni, distruzioni che compongono un genocidio. È in questo orizzonte che si colloca il progetto A Cartography of Genocide realizzato dal collettivo londinese Forensic Architecture. Il gruppo prende sul serio la sfida dell’iperproduzione di immagini e informazioni, cercando di costruire un contro-dispositivo: una pratica investigativa e cartografica capace di dare forma, nel tempo e nello spazio, a ciò che altrimenti verrebbe disperso nella cronaca accelerata della violenza.
Forensic Architecture è un’agenzia investigativa multidisciplinare, composta da architetti, artisti, giornalisti, ricercatrici e ricercatori di varie formazioni, fondata e diretta da Eyal Weizman dal 2010, con sede al Goldsmiths College di Londra. Le indagini – commissionate da tribunali nazionali e internazionali, ONG, gruppi di attivisti, famiglie di vittime o avviate su iniziativa autonoma – si basano su diverse forme di analisi spaziale: cartografia interattiva, modellazione tridimensionale, addestramento di algoritmi di intelligenza artificiale, pratiche di situated testimony. Al centro vi sono violazioni dei diritti umani, crimini di guerra e crimini ambientali commessi da eserciti, corpi di polizia e grandi attori economici.
Uno dei cardini teorici e operativi dell’agenzia è il concetto di counterforensics: un rovesciamento dello sguardo forense, tradizionalmente esercitato dallo Stato sui cittadini, per indirizzarlo invece verso le istituzioni, i dispositivi militari, le infrastrutture dell’oppressione. Attraverso la open verification, Forensic Architecture lavora su materiali open source – reperiti online o comunque liberamente accessibili – e rende a sua volta pubbliche le proprie procedure, tramite rapporti, piattaforme digitali, workshop e una documentazione metodologica dettagliata. Ogni indagine diventa così non solo raccolta di prove, ma anche occasione per condividere strumenti e tecniche, in una prospettiva di emancipazione e di attivismo politico che passa attraverso le tecnologie e la pratica forense.
In questo contesto si colloca l’intervista a Davide Piscitelli, advanced researcher presso Forensic Architecture e coordinatore di A Cartography of Genocide. Piscitelli illustra la genesi e gli obiettivi del progetto, ma soprattutto le metodologie e i punti di vista che permettono di comprendere dall’interno che cosa significhi cartografare un genocidio. La piattaforma, costantemente aggiornata dal 13 ottobre 2023, organizza spazialmente materiali audio-video, testimonianze, comunicazioni ufficiali, ordini di evacuazione e dati eterogenei in rapporto diretto con il territorio della Striscia di Gaza. Come emerge chiaramente dall’intervista, il genocidio non risiede nella singolarità di un evento – la demolizione di un ospedale, la distruzione di una strada, lo sradicamento di un ulivo, l’esplosione di un’abitazione – ma nella correlazione sistematica di tutte queste azioni.
In questa prospettiva, la cartografia diventa lo strumento per tessere le relazioni tra gli episodi e contrastare l’anestesia percettiva prodotta dall’abbondanza di immagini. Ogni ospedale reso inservibile, ogni infrastruttura distrutta, ogni casa cancellata dal suolo appaiono sulla mappa come un nodo di una rete attentamente progettata per rendere invivibile e infine espellere la popolazione palestinese. Un dispositivo nato storicamente come strumento coloniale di controllo territoriale viene così contro-utilizzato: la cartografia, in questo caso, non è più tecnica di dominio, ma tentativo di dare forma a ciò che appare invisibile e indicibile, rendendo il genocidio descrivibile, argomentabile e opponibile sul piano politico e giuridico.
Christian V.M. Garavello, Michela Maguolo
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Cartografia di un genocidio
Christian Garavello, Michela Maguolo | Crediamo sia importante far capire come si svolge il lavoro investigativo di Forensic Architecture. Potresti spiegare il vostro metodo di lavoro e le tecnologie che usate?
Davide Piscitelli | Scegliamo la metodologia da adottare e la tecnologia da applicare in base alle esigenze del progetto specifico. Solitamente veniamo contattati da una comunità o una famiglia le quali ci sottopongono un caso e in base al tipo di indagine scegliamo la metodologia più adatta. Forensic Architecture si occupa prevalentemente di analisi spaziale: il suo obiettivo è la comprensione di come degli eventi si siano collocati nello spazio e nel tempo. Ogni caso è poi affrontato in maniera specifica. Generalmente lavoriamo con incidenti singoli o con successioni di incidenti, analizziamo il frame, la singola immagine, scrutiamo ogni dettaglio e poi procediamo alla ricostruzione dell’evento attraverso l’elaborazione di un modello digitale in grado di tenere assieme dati eterogenei quali immagini, memorie, testimonianze. In alcuni casi, il modello analitico diventa anche modello mnemonico che viene a sua volta corroborato da testimonianze e immagini satellitari. Nel caso del progetto A Cartography of Genocide, dove non un evento isolato era oggetto di indagine ma una serie di eventi correlati tra loro, la ricostruzione del singolo episodio, attraverso un modello digitale, era insufficiente; si è pertanto fatto ricorso alla cartografia sia come strumento di ricerca sia per “dare senso” (Weizman, Fuller, [2021] 2025) a un imponente flusso di informazioni e di violenza proveniente da Gaza. Di norma lavoriamo con prove visive e la comprensione dell’incidente non proviene mai da un solo elemento, ma è l’accumulo di diversi tipi di prove. Le tecniche di ricostruzione spaziale che abbiamo sviluppato negli anni ci consentono di comprendere l’incidente stesso non solo attraverso la lente umana, e quindi attraverso testimonianze scritte e orali, ma anche quella non umana: dal muro che registra l’esplosione di un ordigno, fino alla foglia che rivela l’uso di materiali inquinanti.
CG, MM | Parli di incidente, di evento o di serie di eventi. Vengono in mente le riflessioni di Paul Virilio sull’accident, che consiste non tanto nell’episodio accidentale, quello che Paul Valéry indicava come ciò per cui “la coscienza sussiste”, ma in quegli eventi provocati dall’uomo, frutto della tecnologia e di una volontà politica. A questi il filosofo francese riteneva necessario dedicare un museo. Eyal Weizman distingue tra incidente (accident) e episodio accidentale (incident), il primo ascrivibile all’ambito tecnologico, il secondo alle relazioni sociali (v. in questo stesso numero, La lunga durata di una frazione di secondo).
DP | La questione dell’incidente è molto interessante anche da un punto di vista linguistico. Tra inglese e italiano c’è una certa differenza. Come sapete, in inglese il termine non è collegato tanto al fatto incidentale, che accade per caso: ha quindi una connotazione diversa. In italiano io preferisco utilizzare il termine “evento”, per scongiurare appunto il rischio di far apparire qualcosa come casuale, quando in realtà dietro a ciò che accade vi è un’intenzionalità precisa. Il nostro lavoro è proprio la ricostruzione dell’intenzionalità dietro l’evento o, per meglio dire, la contro-costruzione di una narrativa che svela le intenzionalità nascoste.
CG, MM | Ritornando al vostro lavoro investigativo e all’acquisizione e analisi delle prove visive, si può affermare che ogni singolo elemento, ogni singola immagine è una potenziale porta d’ingresso per comprendere un contesto più ampio?
DP | L’evento non può essere compreso da un solo punto di vista; è necessario esaminarlo da ogni possibile angolazione. Il modello – lo spazio virtuale della ricostruzione - ci consente di navigare da un punto all’altro e scoprire angoli che all’inizio non erano chiari. Importanti sono a questo proposito le testimonianze situate che ci permettono di comprendere, attraverso l’uso del modello 3D per ricostruire la memoria di una testimone, alcuni aspetti che non erano accessibili o immediatamente comprensibili. Il nostro lavoro consiste nel comprendere cosa sia accaduto tra due frame di un video o tra due immagini. Cerchiamo di ricostruire ciò che è avvenuto in mezzo: l’evento che ha generato la trasformazione, lasciando tracce nello spazio e nel tempo.
CV, MM | Molto interessante notare come riusciate a lavorare nella tensione tra due frame, montando assieme materiali eterogenei. Andando invece più nel dettaglio dell’indagine su Gaza dove era necessario tenere assieme moltissimi layer diversi, come avete applicato questa metodologia di lavoro?
DP | Per Gaza, ci siamo mossi a un livello ulteriore. Infatti in quel caso, non si trattava più della richiesta di ricostruire un singolo evento da diverse prospettive, utilizzando diverse immagini o prove, ma della comprensione complessiva degli eventi che vanno a costituire la prova del genocidio. Il genocidio è la correlazione tra diverse violenze. La questione nel caso di Gaza e della Palestina riguarda il colonialismo di insediamento; è una questione prevalentemente architettonica e spaziale, e dunque, comprendere la violenza attraverso lo spazio è indispensabile per comprendere la violenza colonizzatrice. In questo senso la cartografia è lo strumento madre per questo tipo di analisi e correlazioni. La cartografia a sua volta è uno strumento di colonizzazione, e questo aspetto è fondamentale per tutta la nostra pratica che mira a contro-utilizzare strumenti che normalmente sono nelle mani di governi o società private, cioè di chi detiene effettivamente il potere (Weizman, [2017] 2021). Dunque, gli stessi strumenti che vengono utilizzati per opprimere, sono impiegati da noi per denunciare. In alcuni casi si tratta di strumenti accessibili a chiunque, strumenti pensati per il consumismo, votati alla spettacolarizzazione della vita, che vengono poi reingegnerizzati nel campo dei diritti umani. Faccio un esempio molto pratico: pensiamo a un qualsiasi software di video editing che generalmente è utilizzato per frammentare video e riassemblarli con il fine di creare un prodotto come, per esempio, una pubblicità o un film. L’uso che ne facciamo noi è completamente diverso. Utilizziamo la linea temporale del software per collocare frammenti di altri video o immagini così da ricostruire la temporalità dell’evento generale. E lo facciamo collocando nello spazio la sequenza temporale. Così è stato per l’esplosione di Beirut e per l’incendio della Grenfell Tower di Londra. In quest’ultimo caso si è proceduto a incrociare immagini e testimonianze: il fumo che usciva dalla torre è stato utilizzato come orologio, e in base alla posizione del fumo si poteva stabilire esattamente l’ora e la posizione dalla quale era stato registrato il video che stavamo analizzando. Con l’assemblaggio di centinaia di immagini abbiamo ricostruito la dinamica dell’incendio collegandovi anche le testimonianze degli abitanti della torre.
CG, MM | Ci hai spiegato il ruolo delle immagini, frame e video, hai accennato però anche a testimonianze orali o scritte. Che ruolo ha il lavoro con i testimoni nella vostra pratica?
DP | Le testimonianze sono fondamentali. Usiamo voci, suoni, le registrazioni quando disponibili. Possiamo dire che le immagini sono composte da pixel, e una certa quantità di pixel ci dà l’unità minima, ci consente di ricreare spazialmente l’evento. Ma la testimonianza ci conferma quanto rivelato dall’immagine o ci consente di capire cosa accade tra un’immagine e l’altra. Quando mancano immagini tra il prima e il dopo, le informazioni vengono integrate con le testimonianze orali. Pensiamo a un video nel quale si vede un certo veicolo solo prima e dopo un attacco, ma non i proiettili e quindi la traiettoria dei colpi: in questo caso le immagini satellitari che mostrano la posizione di mezzi militari a una certa distanza dal soggetto ci consentono di vedere il mezzo militare o il cratere prodotto da un’esplosione. È questo, per esempio, il caso dell’uccisione della piccola Hind Rajab a Gaza nel gennaio 2024. Attraverso le immagini abbiamo ricostruito l’auto, i fori dei proiettili e dunque le loro traiettorie; una volta definite le traiettorie dei proiettili, abbiamo cercato di ipotizzare le possibili posizioni del mezzo corazzato dal quale sono partiti i colpi. La distanza del corazzato dall’auto è stata invece ricavata dall’analisi delle tracce audio. Il primo momento è quando il proiettile colpisce l’auto, ricavabile dalla registrazione della telefonata tra la bambina e i paramedici. Il secondo momento è il muzzle blast, ovvero il suono del meccanismo che consente al proiettile di partire, che siamo riusciti a ottenere; dunque, calcolando la differenza tra questi due suoni (ventiquattro millisecondi) siamo stati in grado di capire che il mezzo blindato si trovava tra i dieci e i venti metri e con le ricostruzioni delle traiettorie dei proiettili si può avanzare un’ipotesi piuttosto accurata della posizione esatta del mezzo. Questo incrocio di elementi ci ha consentito di ricostruire l’evento anche senza prove visive della posizione del mezzo.
CG, MM | Nei vostri rapporti, in particolare quello legato al progetto A Cartography of Genocide spiegate in maniera molto accurata tutte le procedure di indagine, basate su un flusso di lavoro che si svolge in cinque fasi – raccolta, verifica, interpretazione, mappatura, analisi – per consentire un rigore investigativo necessario a una ricostruzione obiettiva degli eventi.
DP | L’investigazione è un atto politico, la prova è neutrale: noi lavoriamo su prove ma abbiamo una posizione politica. Il fatto stesso di investigare è un atto politico. Nel caso di Gaza, all’inizio del genocidio siamo stati tra i primi a prendere posizione e a rendere noto il nostro pensiero, il nostro sguardo su ciò che stava accadendo. Nel rapporto parliamo della metodologia, di come tutte le evidenze, tutte le prove che abbiamo raccolto (che siano video, testimonianze, immagini o report dei giornali) sono tutte verificate e abbiamo una metodologia specifica per ogni fase e per ogni caso per ottenere questo risultato. Nel caso di Gaza va specificato che il materiale è live, continua ad arrivare come un flusso, lo prendiamo dai social, da gruppi di Telegram, e nella maggior parte dei casi è pubblico. Può arrivarci direttamente dagli abitanti della Striscia con i quali siamo in contatto, perché una nostra unità investigativa è a Ramallah in Cisgiordania, inoltre ci sono molti ricercatori a Gaza che ci inviano materiali. La metodologia di verifica e l’affidabilità delle fonti sono certe, devono esserlo, perché quello che produciamo andrà poi alla Corte Internazionale di Giustizia su richiesta di un gruppo di avvocati sudafricani che ha promosso la causa per genocidio nei confronti di Israele. Il materiale su cui lavoriamo è spesso il medesimo che Israele impiega all’interno delle sue narrazioni oppure arriva da fonti che riteniamo attendibili ma che comunque sottoponiamo a verifica.
CG, MM | Le vostre metodologie di lavoro sembrano richiamare la pratica del gemello digitale molto in uso nei processi di digitalizzazione del territorio e sempre più diffuso nelle pratiche di mappatura e analisi. Il vostro lavoro che rapporto ha con questa metodologia di lavoro?
DP | Dipende dal significato e dal ruolo che vengono attribuiti al gemello digitale. Se lo si considera la rappresentazione virtuale di un oggetto, di un’entità fisica, realizzata attraverso la raccolta di dati provenienti dagli ambiti più diversi, da poter confrontare e far interagire tra loro e con altri modelli, possiamo dire che il nostro lavoro ricorre a questa tecnologia informatica. Ma molto spesso il gemello digitale è messo a punto per ragioni di conoscenza, sorveglianza e controllo e questo tipo di prassi e finalità ovviamente non ci appartiene. Il gemello digitale in questo caso cerca di essere una copia della realtà, un duplicato della realtà con la finalità del controllo. Da questa prospettiva escludo che il nostro lavoro sia configurabile come un gemello digitale, è invece un anti-gemello digitale. Il nostro è certamente un tentativo di comprensione senza alcuna finalità di controllo. Propongo un esempio pratico attraverso la piattaforma di Gaza. Vi sono quattro frame di un video in cui si vede un missile che colpisce un gruppo di tende palestinesi in una zona desertica. Il metodo di verifica ha inizio con la collocazione geografica dell’evento. Per geolocalizzare un evento si procede a raccogliere tutti i video e le informazioni legate al giorno, l’ora e la zona. In questo caso ci stiamo riferendo ad Al-Mawasi il 24 maggio 2024, una zona desertica a sud-ovest di Gaza dove la maggior parte della popolazione è stata sfollata. Il giorno dopo l’esplosione, è stato reso pubblico questo video, e noi lo abbiamo analizzato per le immagini. Una volta individuati elementi caratteristici nelle immagini che raccogliamo, le tende, una strada, degli alberi, il cratere, procediamo al confronto con immagini satellitari e da questo riusciamo a collocare le immagini di partenza nello spazio e nel tempo così da poterne verificare l’attendibilità e certificarle come attendibili.
1 | Geolocalizzazione di un video utilizzato come prova visiva inserito nella piattaforma. Attacco del 24 maggio 2024 ad Al-Mawasi (Forensic Architecture, A Cartography of Genocide: Israel’s Conduct in Gaza Since October 2023, 2025).
2 | Geolocalizzazione di un video utilizzato come prova visiva inserito nella piattaforma. Attacco del 24 maggio 2024 ad Al-Mawasi (Forensic Architecture, A Cartography of Genocide: Israel’s Conduct in Gaza Since October 2023, 2025).
3 | Geolocalizzazione di un video utilizzato come prova visiva inserito nella piattaforma. Attacco del 24 maggio 2024 ad Al-Mawasi (Forensic Architecture, A Cartography of Genocide: Israel’s Conduct in Gaza Since October 2023, 2025).
Tornando al gemello digitale, questa è la piattaforma pubblica dove abbiamo archiviato tutti gli incidenti che abbiamo raccolto. L’incidente del quale abbiamo appena parlato è uno dei duemila episodi che sono stati geolocalizzati all’interno della mappa, cliccando su ogni singolo incidente ottengo la reference visiva e tutti gli incidenti che sono stati localizzati in Gaza. Il genocidio è la correlazione tra gli incidenti: ogni incidente ha un tag specifico che ci consente di identificare che tipo di attacco è stato compiuto e andrà messo in relazione con altri elementi mappati. Per esempio, se attiviamo le zone che hanno ricevuto l’ordine di evacuazione, e sposto in avanti la linea del tempo vedo la successione degli ordini di evacuazione e le zone coinvolte indicate con le frecce; non sono informazioni aggiunte da noi ma sono gli ordini emessi dallo Stato di Israele. La piattaforma diventa in pratica uno strumento orientativo all’interno del flusso di informazione. Torniamo indietro nel tempo al 13 ottobre 2024, giorno in cui è stato emanato uno dei maggiori ordini di evacuazione a Gaza, che intimava a tutta la popolazione del nord della Striscia di spostarsi a sud, oltre il fiume Wadi Gaza che divide a metà la Striscia. Ordine che riecheggia la Nakba, la catastrofe del 1948, l’esodo forzato di 700.000 palestinesi dai territori occupati da Israele verso l’Egitto. Ora, se osserviamo, attivando i vari layers, la correlazione tra l’ordine di evacuazione e gli attacchi dei giorni successivi, gli incidenti nel sud della Striscia aumentano. Dunque, la popolazione che è stata spostata nella zona che avrebbe dovuto essere sicura, in realtà è stata attaccata più massicciamente. La procedura che usiamo fa sì che i singoli punti inizino ad avere significato, nella correlazione reciproca e in relazione ad altri dati. In questo senso la cartografia è lo strumento principale per tessere relazioni tra gli eventi. Tutti siamo esposti al genocidio: da due anni siamo inondati, sui nostri telefonini, sui nostri schermi, da immagini del genocidio e questo rischia di far perdere la capacità di dare senso alle singole parti e di cadere nell’iperestesia (Weizman, Fuller, [2021] 2025).
4 | Relazione tra l’ordine di evacuazione del 13 ottobre, che indicava alla popolazione di muoversi verso il sud di Gaza, e i continui attacchi israeliani su tutto il territorio. Dati al 13 ottobre 2023. (Forensic Architecture, A Cartography of Genocide: Israel’s Conduct in Gaza Since October 2023, 2025).
5 | Relazione tra l’ordine di evacuazione del 13 ottobre, che indicava alla popolazione di muoversi verso il sud di Gaza, e i continui attacchi israeliani su tutto il territorio. Dati al 14 novembre 2023. (Forensic Architecture, A Cartography of Genocide: Israel’s Conduct in Gaza Since October 2023, 2025) .

6 | Relazione tra gli attacchi confermati e gli ordini di evacuazione della popolazione di Gaza dal 18 Marzo 2025 (Forensic Architecture, A Cartography of Genocide: Israel’s Conduct in Gaza Since October 2023, 2025 https://frames.forensic-architecture.org/gaza/updates/confirmed-attacks-and-evacuation-orders-since-18-march-2025).
CG, MM | Ecco proprio sul rapporto tra gli elementi, sulla capacità di dar senso agli eventi, che rapporto ha il vostro operare con i concetti di estetica, iperestetica e iperestesia?
DP | Provo a mettere in relazione il concetto di iperestesia con quello di normalizzazione: normalizzando una situazione di violenza, questa diventa secondaria, come sta accadendo a Gaza. E questo fa parte della tattica militare israeliana. Infatti, il primo attacco all’ospedale Al-Ahli il 1 ottobre 2023 non è stato seguito da una risposta internazionale di condanna verso l’attacco di un ospedale e questo ha reso normale, ha fatto rientrare nella norma l’atto di colpire gli ospedali. Da quel momento gli attacchi agli ospedali hanno gradualmente generato sempre meno notizie e suscitato sempre meno interesse o scalpore. Il rapporto che abbiamo stilato mostra che nel primo anno trentacinque sui trentasei ospedali della Striscia avevano subito danni e la loro efficienza era compromessa, con ovvie conseguenze per il soccorso degli abitanti e degli sfollati, mancando dei servizi minimi come elettricità e acqua potabile. La distruzione delle infrastrutture che sostengono la vita di Gaza è stata normalizzata. Anche attaccare le scuole e i rifugi dove le persone cercavano di trovare riparo, fa parte del processo di normalizzazione della pratica colonizzatrice cui si assiste a Gaza e far rientrare nella normalità atti che prima sarebbero stati condannati, fa perdere il senso di ciò che si sta guardando, quello che vediamo quotidianamente non fa nemmeno più notizia. Tuttavia, quando questi eventi sono riportati sulla mappa e messi in relazione tra loro e con l’avanzata dell’esercito israeliano, tutto acquisisce senso. Quando vediamo sulla mappa il posizionamento dei militari israeliani, la loro attività e il loro impatto sulle infrastrutture primarie come gli ospedali, riesci a capire le loro dinamiche; infatti, quando vediamo l’arrivo dei militari israeliani nel sud della Striscia notiamo come tutti gli ospedali vengano compromessi. Ora, la distruzione di un ospedale non fa più nemmeno notizia, è stata completamente normalizzata. Questo è un chiaro esempio di normalizzazione da ascrivere alle forme di iperestesia di grande importanza quando guardiamo a Gaza. L’iperestesia funziona in questo modo, con la sovrabbondanza di notizie e la conseguente assuefazione e normalizzazione.
7 | Livello di operatività degli ospedali a Gaza dati al 7 ottobre 2023 (Forensic Architecture, A Cartography of Genocide: Israel’s Conduct in Gaza Since October 2023, 2025).
8 | Relazione tra l’occupazione territoriale da parte dei militari israeliani e il livello di operatività degli ospedali a Gaza dati al 4 dicembre 2023, (Forensic Architecture, A Cartography of Genocide: Israel’s Conduct in Gaza Since October 2023, 2025).
9 | Relazione tra l’occupazione territoriale da parte dei militari israeliani e il livello di operatività degli ospedali a Gaza dati al 6 maggio 2024 (Forensic Architecture, A Cartography of Genocide: Israel’s Conduct in Gaza Since October 2023, 2025).
10 | Relazione tra l’occupazione territoriale da parte dei militari israeliani e il livello di operatività degli ospedali a Gaza dati al 5 ottobre 2024 (Forensic Architecture, A Cartography of Genocide: Israel’s Conduct in Gaza Since October 2023, 2025).
CG, MM | Per chiudere, vorremmo porti una domanda che forse solo in parte prescinde da questioni metodologiche ed operative, e riguarda il distacco con cui si dovrebbero analizzare questi eventi per garantire l’oggettività analitica e interpretativa. Ma in un caso come quello di Hind Rajab, come si governa l’emotività?
DP | Gestire l’emotività propria e del gruppo di lavoro è un esercizio a cui ci sottoponiamo quotidianamente. L’oggettività si ottiene dalla convergenza di elementi eterogenei nel medesimo punto. È il risultato di un processo che si alimenta da fonti diverse, da informazioni giunte da innumerevoli punti di accesso: quando queste si allineano, coincidono, e producono senso, abbiamo la certezza della correttezza del procedimento. Ognuno ha un proprio trascorso, una propria storia, un rapporto con il dolore e con la sofferenza. Abbiamo dei protocolli per gestire e affrontare la violenza alla quale siamo esposti. Anche quando lavoriamo con i testimoni attraverso la situated testimony per far riemergere le memorie, abbiamo delle procedure specifiche per far sì che il soggetto non sia traumatizzato una seconda volta. Però il protocollo resta su carta. Non puoi fare questo lavoro se non sei pronto ad affrontare determinate situazioni, al tempo stesso non puoi farlo se queste hanno il sopravvento su di te. Bisogna cercare un equilibrio tra esposizione e coinvolgimento. Faccio un esempio molto pratico. Se si guarda un filmato dove ci sono esplosioni, urla, spari, si osserva il video senza suono perché il suono ha un grande impatto emotivo. La rimozione del suono è un primo scudo, soprattutto quando devi guardare tanti video, poi ovviamente, a un certo punto il suono va ascoltato, è un elemento importantissimo, può dirti quanti proiettili vengono sparati, si può ricavare la distanza tra chi spara e chi viene colpito come nel caso citato prima. Il punto fondamentale è essere sensibile nei confronti dell’altro. Capire in che situazione e in che condizione si trova l’altro, il testimone, il compagno di lavoro in quel momento. Siamo un team molto piccolo, circa venti persone, ci conosciamo molto bene, conosciamo i nostri limiti. Questo tipo di lavoro lo si può fare solo se si è uniti e ci si supporta; siamo animati da una forte motivazione politica. C’è infine la consapevolezza che ciò che si fa può essere d’aiuto, può risarcire chi ha subito un’ingiustizia. Ogni ricercatore conosce il proprio contributo al risultato finale e questo è sicuramente la motivazione che ci spinge a proseguire e trasformare il dolore in resistenza. Accanto a questo, credo che la componente tecnica del nostro lavoro ci consente di staccarci momentaneamente dalla realtà, quando si sta analizzando il pixel, si stanno facendo calcoli per definire una coordinata geografica: questo distrae da cosa effettivamente rappresenta quel punto sulla mappa, dal pensiero che duemila punti sulla mappa sono altrettante migliaia di morti. Tuttavia, credo non ci si abitui mai, bisogna sempre cercare di bilanciare le varie componenti senza cadere nell’iperestesia e farsi sopraffare, che non vuol dire dimenticare, ignorare o diventare insensibili. Questi sono i nostri strumenti, parte del nostro lavoro consiste anche nello sviluppare metodi a livello accademico e produrre nuovi strumenti di ricerca che poi la comunità coinvolta potrà continuare a utilizzare e portare avanti. Molto spesso il nostro lavoro trova sviluppo al di fuori di Forensic Architecture, perché gli esiti vengono condivisi con l’esterno. Una prassi che viene agevolata dal fatto che tutti i progetti che sviluppiamo e vengono presentati pubblicamente, hanno indicazioni metodologiche esplicite e i processi che hanno portato alle conclusioni sono trasparenti e condivisi, così che chiunque a partire dalle evidenze da noi usate può ripetere l’intero processo.
Riferimenti bibliografici
- Weizman 2021
E. Weizman, Architettura Forense. La manipolazione delle immagini nelle guerre contemporanee [E. Weizman, Forensic Architecture. Violence at the threshold of detectability, New York, 2017], traduzione di S. Stoja, Milano 2021. - Weizman, Fuller [2021] 2025
E. Weizman, M. Fuller, Estetiche investigative. Conflitti e commons nella politica della verità [E. Weizman, Investigative Aesthetics. Conflicts and Commons in the Politics of Truth, London, 2021], traduzione di A.E. Di Costanzo, Brescia 2025.
English abstract
A Cartography of Genocide is Forensic Architecture’s spatial investigation of systematic violence in Gaza. Produced by the London-based agency founded by architect Eyal Weizman, the project integrates open-source imagery, testimonies, and geospatial analysis to map the relational structure of destruction beyond individual incidents. Researcher Davide Piscitelli discusses counterforensic methodologies that reconstruct intentionality, challenge state narratives, and produce actionable evidence for legal and human-rights contexts. The platform thus functions as a critical epistemic tool for documenting genocide through correlations in space and time.
keywords | Genocide; Forensic Architecture; Cartography; Counterforensic methodologies.
Per citare questo articolo / To cite this article: C.V.M. Garavello, M. Maguolo (a cura di), Cartografia di un genocidio. Intervista a Davide Piscitelli, “La Rivista di Engramma” n. 230, Natale 2025.