"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Emma Filipponi, Sara Agnoletto*

La Fortuna come Giustizia: la Calunnia di Apelle nelle Imagini di Vincenzo Cartari

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1. La Fortuna nella prima edizione delle Imagini

Fin dalla prima edizione de Le Imagini con la spositione de i dei de gli antichi di Vincenzo Cartari – data alle stampe a Venezia nel 1556 – ampio spazio descrittivo era riservato alla figura della Fortuna, la quale, per via della molteplicità delle sue accezioni e dell’attualità dei suoi significati, era stata largamente impiegata nel corso di tutto il Rinascimento – e anche oltre – in diversi settori della produzione artistica. La Fortuna e, dunque, l’Occasione, la Sorte, buona e cattiva, il Caso:

A colei danno i mortali colpa di tutto quello, che intraviene fuori del loro pensamento […]. E par, che vogliono, che l’acquisto, la perdita de gli honori e delle ricchezze venghi dalla Fortuna e il rivolgimento di tutte le cose mondane. […] e perché non potiamo satiare il disordinato nostro desiderio, ci lamentiamo della fortuna.

Attraverso un racconto fluido e scorrevole, Cartari ci descrive una figura complessa, multiforme e articolata, percepita di volta in volta come buona o cattiva a seconda dell’effetto che il suo influsso provoca sul “governo delle humane cose”. Una donna incontrollabile, incapace di farsi domare, severa, capricciosa e incostante: questa l’immagine della Fortuna. Gli uomini ne subiscono gli effetti e le decisioni, la amano e la odiano al tempo stesso e ne interpretano la figura e i significati in maniere differenti e con molteplici intenti.

Cartari, supportato dalle varie fonti che in tempi diversi e in vario modo avevano identificato e caratterizzato la figura di Fortuna (tra cui Pausania, Virgilio, Orazio, Aulo Gellio, Catullo, Dante e Petrarca), disegna con tratti decisi ed efficaci le molteplici facce della divinità: la Fortuna “dispensatrice e patrona delle ricchezze e beni humani, e governatrice delle cose di qua giù”, che, dalla traboccante cornucopia, distribuisce le prosperità con tanta incostanza quanta quella di “una nave fluttuante nelle instabili onde marine”; la Fortuna lieta e triste al contempo, ovvero quella passata, quella presente e quella futura (cfr. fig. 2: “una donna […] mesta in vista, e sconsolata alla quale è davanti una giovine bella e vaga nello aspetto […] e di dietro è una fanciulla”; la Fortuna come Occasione, rappresentata in equilibrio – instabile – sulla sfera o sulla ruota e con un ciuffo  di capelli mosso dal vento (cfr. fig. 3), oppure sfuggente con ali d’uccello, o a cavallo seguita dall’arciere del Fato, ovvero l'opportunità, o Occasio, che “chi non prende quando si rappresenta, in vano poi si cerca, e si pentisce” (cfr. fig. 4); sulle rappresentazioni della Fortuna tra XV e XVI secolo, vedi in Engramma, Fortuna nel Rinascimento. Una lettura di tavola 48 di Mnemosyne).

2. Fortuna come Nemesi/Giustizia

Nel trattato di Cartari compare anche l’identificazione di Fortuna con Fortuna-Nemesi (cfr. fig. 5) – in piedi sulla ruota e con un bastone in una mano e le briglie nell’altra, figlia alata della Giustizia che ristabilisce l’equilibrio, “dimostratrice delle buone opere, e severa punitrice de superbi e malvaggi” – e come Nemesi-Giustizia, “castigante l’ingiuria” (cfr. fig. 6).

La trasfigurazione di Fortuna in Giustizia e la sua identificazione con Nemesi era già stata il soggetto della nota incisione di Albrecht Dürer la Grande Fortuna, databile ai primissimi anni del 1500 (fig. 1).

 

1.  A. Dürer, La Grande Fortuna, incisione, 1502 circa

Nell’immagine la dea, dotata di grandi ali e in equilibrio sulla sfera, domina e sovrasta un ampio paesaggio, e mentre con una mano promette la distribuzione delle ricchezze che tiene nella coppa, con l’altra tiene a freno gli uomini con le briglie e ne domina l’esistenza. In questo modo Fortuna diventa colei che ristabilisce la giustizia e che riequilibra le vicende umane.

Da questa triplice sovrapposizione di Fortuna, Nemesi e Giustizia, Cartari prende le mosse per introdurre una digressione sul tema dei giusti giudici e delle false accuse che proprio la Fortuna-Nemesi si incarica di sventare (sul tema della fortuna della Calunnia dipinta da Apelle nel IV secolo a.C. – mediata dalla ricapitolazione dell’ekphrasis di Luciano di Samosata (Non bisogna prestar fede alla calunnia), e ripresa nel De pictura di Leon Battista Alberti vedi, in "Engramma": il saggio di Sara Agnoletto e sulle riconversioni pittoriche a partire dalla riscoperta umanistica del testo vedi Massing 1990 e, in Engramma, Galleria delle Calunnie di Apelle 1408-1875). La descrizione è il pretesto per Cartari per lanciare un monito a giudici e giudicanti a “non condannare gli accusati per le parole solamente degli accusatori”.

3. 1571: l’edizione illustrata da Bolognino Zaltieri

La prima edizione del trattato di Cartari, del 1556, non era accompagnata da illustrazioni. Come avvenne anche per altri manuali mitografici, originariamente pubblicati privi di figure, quasi sempre nelle edizioni successive si rimedia all'assenza del corredo illustrativo, con apparati di immagini più o meno fedeli al testo scritto, che a volte sono più suggestive del testo stesso. Nel 1571 in un’edizione di nuovo veneziana – ma edita con il titolo in parte modificato di Imagini de i dei de gl’antichi – il testo di Cartari venne arricchito dalle illustrazioni realizzate da Bolognino Zaltieri.
 

2. Fortuna datrice e Fortuna passata, presente e futura, da una edizione delle Imagini di Cartari-Zaltieri, Padova, 1609 3. Fortuna in equilibrio sulla sfera, da una edizione delle Imagini di Cartari-Zaltieri, Padova, 1609 4. Fortuna alata e a cavallo, da una edizione delle Imagini di Cartari-Zaltieri, Padova, 1609

Le 89 incisioni, strettamente aderenti al testo di Cartari e sostanzialmente poco influenzate dalle vicende artistiche contemporanee, contribuirono in maniera decisiva all’affermazione dell’opera che fu ristampata in diverse edizioni: riunendo e armonizzando le varie fonti del racconto, permisero a quest’ultimo di diventare “un manuale ad uso divulgativo” (Wind [1968] 1985, p. 89), un compendio assolutamente indispensabile per gli eruditi colti e affascinati dall’antico, e allo stesso tempo resero possibile la codificazione e la diffusione di pose, attributi e figure che in Europa avrebbero condizionato le scelte iconografiche lungo tutto il corso dei secoli XVI e XVII.
 

5. Fortuna - Nemesi, da una edizione delle Imagini di Cartari-Zaltieri, Padova, 1609 6. Fortuna - Giustizia, da una edizione delle Imagini di Cartari-Zaltieri, Padova, 1609


Zaltieri non consultò direttamente le fonti iconografiche classiche, ma si basò sulle descrizioni del testo e sul riuso delle immagini a corredo degli stessi repertori usati da Cartari: le Inscriptiones sacrosanctae vetustatis di Appiano, gli Emblemata di Alciati, gli Hieroglyphica di Pierio Valeriano, la Theologia Mythologica di Georg Pictor e i compendi di medaglie di Agustin, Sebastiano Erizzo e Guillame Du Choul.
 

4. 1671: l’edizione di Lorenzo Pignoria, illustrata da Filippo Ferroverde

La situazione cambiò all'inizio del XVII secolo, quando le illustrazioni iniziarono a essere trattate come fonti essenziali di riferimento figurativo. Questa è la motivazione che spinse Lorenzo Pignoria a rieditare il testo di Cartari nel 1615 con un nuovo apparato iconografico più strettamente legato a reperti archeologici, ricorrendo a modelli tratti da medaglie, cammei, statue e rilievi direttamente osservati nelle collezioni degli amici veneti, romani e francesi.

Alla riedizione del testo di Cartari del 1615 – alla quale lavorò insieme a Cesare Malfatti – Lorenzo Pignoria (Padova, 1571-1631), autorevole studioso del mondo antico e un uomo di vasta e aperta cultura, aggiunse due sezioni: le annotazioni al testo e una seconda parte riservata alla riproduzione e al commento di “Imagini degli dei indiani”. In questo modo il manuale divulgativo si trasformò non solo in un utile repertorio ad uso degli studiosi dell'antico, ma anche in mezzo di promozione delle collezioni private dei numerosi amici appartenenti alla cerchia dell’antiquario padovano (Favaretto 2002).

La realizzazione delle incisioni per questa nuova edizione delle Imagini venne affidata a Filippo Ferroverde. Le sue rappresentazioni mostrano un tratto più sommario e meno preciso di quelle di Zaltieri e, pur derivando in parte da queste, rivelano una più approfondita conoscenza antiquaria, che prende forma nei frequenti richiami ai reperti dell’antichità. La mano del Ferroverde, del resto, era guidata dalle conoscenze del Pignoria, che dovette fornire all’incisore numerosi spunti e suggerimenti.

5. La Calunnia di Apelle nell’edizione Pignoria-Ferroverde

Il nuovo illustratore, quindi, arricchì notevolmente l’apparato iconografico del testo e inserì due differenti rappresentazioni della Calunnia – soggetto mancante nella precedente edizione illustrata da Zaltieri – entrambe presenti in tutte le ristampe successive: una è all’interno del testo del Cartari, in corrispondenza del passo in cui quest’ultimo inserisce la digressione sul tema della Calunnia; un’altra è invece tra le annotazioni al testo di Pignoria. Le due immagini, benché curate dalla stessa mano, si presentano come due interpretazioni differenti del celebre tema.

5.1 Edizione Pignoria-Ferroverde: La Calunnia 'frontale'

L’incisione che illustra il testo originale di Cartari è rettangolare con orientamento orizzontale ed è una delle poche versioni della Calunnia che, sovvertendo le precise indicazioni fornite da Luciano nell’ekphrasis, adotta una composizione frontale, costruita attorno alla figura centrale del giudice (fig. 7).

7. Prima incisione della 'Calunnia' di Filippo Ferroverde, da una delle edizioni delle Imagini di Cartari-Pignoria-Ferroverde, Venezia, 1647, p. 243

Gli altri interpreti dell'allegoria convergono verso di lui conferendo alla rappresentazione un movimento centripeto che la rende assai differente dalla composizione delle figure che procedono in fila verso il giudice descritta da Luciano, secondo il quale “sulla destra siede un uomo che ha orecchie grandissime molto simili a quelle di Mida” (Luciano, Calumniae non temere credendum, 5; v. Maffei 1994, p. 35), mentre le altre figure procedono ordinatamente verso di lui. La scena, come suggerisce la presenza del colonnato a ritmo regolare sullo sfondo, si svolge in uno spazio solenne, la basilica in cui il principe ellenistico amministra giustizia ovvero, simbolicamente, il tribunale della storia. Le figure vengono rappresentate da Ferroverde in maniera semplificata e solo tre delle dieci personificazioni sono caratterizzate da un attributo o da un tratto caratteristico: il Giudice ignorante ha le orecchie d'asino, il calunniato innocente è raffigurato nudo (e quindi vulnerabile) e la figura alla sinistra del giudice regge in mano una torcia accesa. Nonostante la povertà delle informazioni iconografiche, avvalendosi delle indicazioni ecfrastiche, è possibile dare un nome a tutte le personificazioni dell'allegoria: le due immagini femminili che affiancano il re-giudice sono Ignoranza e Sospetto; Insidia e Frode accompagnano Calunnia; Phthonos, il Livore, è l'unica personificazione maschile della composizione; Verità e Penitenza avanzano insieme. La figura che impugna la torcia, quindi, dovrebbe essere Ignoranza o Sospetto, ma nessuna delle due è generalmente rappresentata con quell’attributo: Ignoranza è spesso ritratta bendata, in allusione alla cecità dell'insipienza, mentre Sospetto è talvolta raffigurato con un vaso contenente miele e fiele. Nella tradizione iconografica dell'ekphrasis la torcia accesa è  l'attributo di Calunnia, giusta il testo Luciano, è “una donna straordinariamente bella, ma infuocata e agitata, come se fosse in preda all’ira e al furore: nella mano sinistra porta una torcia accesa” (Luciano, Cal. 5: γύναιον ἐς ὑπερβολὴν πάγκαλον, ὑπόθερμον δὲ καὶ παρακεκινημένον, οἷον δὴ τὴν λύτταν καὶ τὴν ὀργὴν δεικνύουσα, τῇ μὲν ἀριστερᾷ δᾷδα καιομένην ἔχουσα; v. Maffei 1994, p. 35). Il tratto che contraddistingue Calunnia è, dunque, principalmente la furia che la incendia e che si materializza nella torcia accesa che porta in mano, un attributo che la personificazione condivide con le Furie – Aletto 'l’Inesorabile', Megera 'l'Invidiosa', Tisifone 'la Vendicatrice' – che munite di una torcia perseguitano i mortali che si macchiano di delitti di sangue. È possibile quindi ipotizzare che l'attribuzione della torcia a Ignoranza o Sospetto, invece che a Calunnia, sia dovuto a un errore di lettura dell'incisore rispetto al suo antigrafo: questa ipotesi acquista solidità se si osserva come, allungando di poco il manico della torcia, l'attributo 'torni' nella mani di Calunnia, giusta il testo lucianeo. Inoltre, adottando questa chiave interpretativa, i tre personaggi dell’allegoria dotati di attributi (il Giudice, la Calunnia e il Calunniato) risalterebbero rispetto agli altri interpreti, riacquistando, all’interno della composizione, il ruolo da protagonisti che rivestono nell’allegoria.

Una trattazione a parte merita l'immagine di Phtonos (Invidia), che Ferroverde rappresenta, seguendo le indicazioni di Cartari, come un uomo vecchio. La personificazione di Phtonos nella riproduzione dell'allegoria di Apelle comporta una difficoltà perché in greco la figura allegorica segue il genere del nome che è maschile, mentre in molte altre lingue, a partire dal latino Invidia, la figura si trova a seguire il genere del nome che è femminile. In italiano il problema è in parte attenuato dall'esistenza, accanto a Invidia, del sinonimo maschile 'Livore'. Cartari stesso specifica nel testo che Livore è in realtà Invidia: “andava innanzi a costei il Livore, cioè la Invidia”, e, nella descrizione dell’immagine Invidia cessa di essere una personificazione e diventa il personaggio dell'Invidioso: “il vecchio che precede alla Calumnia è l'Invidioso, quello che per capelli tiene la Calumnia è il Calumniato”. Per altro, esaurita la digressione sulla Calunnia, Cartari dedica un’intera voce alla figura di Invidia, e torna ad osservare che “nella dipintura di Apelle, i greci la fecero huomo”; al contrario le fonti latine citate (Silio Italico, Orazio, Virgilio, Ovidio) in coerenza con il genere del nome nella loro lingua la descrivono tutte come una personificazione femminile. L'immagine di Invidia che accompagna il testo, infatti, mostra una donna vestita di stracci, con i seni cadenti e raggrinziti, colta nel gesto di tapparsi le orecchie e di stringersi la gola.

8. 'Invidia' di Filippo Ferroverde, da una delle edizioni delle Imagini di Cartari-Pignoria-Ferroverde, Venezia, 1647, p. 244

5.2 Edizione Pignoria-Ferroverde: la Calunnia sul modello di Federico Zuccari

La seconda incisione che Ferroverde propone per la Calunnia è inserita come illustrazione nella parte del testo che contiene le annotazioni aggiunte da Pignoria ed è accompagnata da una nota dello stesso erudito: “Pensiero poco differente da quello d'Apelle ha havuto a' nostri giorni Federigo Zucchero pittore valente”.
 

9. Seconda incisione della 'Calunnia' di Filippo Ferroverde, da una delle edizioni delle Imagini di Cartari-Pignoria-Ferroverde, Venezia, 1647, p. 338

L’immagine (fig. 9) è infatti una copia fedele, seppur semplificata e speculare, dell’originale interpretazione che diede del soggetto Federico Zuccari intorno al 1569 (fig. 10: vedi in Engramma, Galleria delle Calunnie, la Famiglia Zuccari).

10. F. Zuccari, 'Calunnia di Apelle', disegno, 1569

La Calunnia di Zuccari presenta notevoli differenze strutturali e iconografiche rispetto all'allegoria descritta da Luciano, pur restando debitrice dello schema convenzionale, che è immediatamente riconoscibile. Il pittore inserisce però tre personaggi estranei al racconto antico: Mercurio, che conduce l'uomo virtuoso; Minerva, che trattiene l'impeto collerico del malvagio giudice e Furore, che è rappresentato incatenato ai suoi piedi. A questi si aggiungono un’arpia e altri animali che simboleggiano i vizi regnanti durante la tirannia del cattivo giudice. Zuccari, inoltre, modifica le posizioni all'interno della composizione di alcune personificazioni: Calunnia è ora uno dei due cattivi consiglieri che incoraggiano il giudice a sospettare dell'uomo virtuoso, mentre Frode – rappresentata, seguendo le indicazioni dantesche, con le fattezze di un mostro ibrido, mezzo uomo mezzo serpente – cerca di acciuffare (invano) il Calunniato. Proprio Frode, personaggio che nella tradizione iconografica della riconversione ecfrastica da Luciano resta in secondo piano, all'interno della composizione di Zuccari acquista un ruolo da protagonista a discapito di Invidia, rappresentata sullo sfondo della composizione. Grazie alle modifiche iconografiche e compositive operate dall’artista, anche il significato stesso dell'allegoria cambia sfumatura di significato: nell’opera di Zuccari, infatti, è grazie all'aiuto di Mercurio che il giovane uomo virtuoso riesce a sottrarsi alla malefica azione del cattivo giudice, circondato dai vizi.

6. Allegoresi di Fortuna e di Virtus


L’interpretazione moraleggiante di Zuccari, ripresa poi da Ferroverde nella seconda incisione dell'edizione Pignoria, non è però un caso isolato. La lotta tra la virtù e i vizi – tema di ascendenza tardo antica e  medievale – ha una stagione di ampia fortuna dalla fine del XV secolo e nell'immaginario visionario degli artisti rinascimentali le personificazioni allegoriche interagiscono con divinità classiche. Nel 1502 per lo studiolo di Isabella d'Este Andrea Mantegna realizza Pallade che scaccia i Vizi dal giardino di Virtù (fig. 11). Nell'incisione Virtus Deserta, (fig. 12) attribuita dalla critica a Giovanni Antonio da Brescia e con ogni probabilità esemplata su una composizione dello stesso Mantegna, si riconosce, sulla destra, Mercurio con le ali ai piedi e il caduceo, che afferra la mano di un uomo e lo aiuta così a salvarsi dall'abisso dei vizi – come nell’interpretazione data da Zuccari all'allegoria della Calunnia (su Virtus Deserta, vedi, in Engramma, il saggio 'AB OLYMPO': Mercurio e Amymone).

 

11. A. Mantegna, Pallade che scaccia i Vizi dal giardino di Virtù, tempera su tela, 1502 12. Giovanni Antonio da Brescia (attr.), da Andrea Mantegna: 'Virtus deserta', incisione, 1500 - 1505

Sulla sinistra di entrambe le composizioni è raffigurata una pianta, simbolo della virtù (figg. 13, 14). Nell'incisione di Giovanni Antonio da Brescia la pianta cresce tra rovine, rovi e macerie e al collo indossa una tabula ansata con l'iscrizione 'VIRTUS DESERTA'.
 

13. A. Mantegna, 'Virtus deserta', Pallade che scaccia i Vizi dal giardino di Virtù, tempera su tela, 1502 (particolare) 14. Giovanni Antonio da Brescia (attr.), da Andrea Mantegna: 'Virtus deserta', incisione, 1500 - 1505 (particolare)

La stessa figura è presente nell'incisione, intitolata Virtus Combusta (fig. 15), che insieme alla precedente sembra componesse un'unica scena verticale: sull'estremità inferiore destra della composizione, infatti, si consumano fra le fiamme gli ultimi ceppi di un albero, sotto i quali è la scritta 'VIRTUS COMBUSTA'.

15. Giovanni Antonio da Brescia (attr.), da Andrea Mantegna, 'Virtus combusta', incisione, 1500 - 1505 (particolare)

L’immagine della pianta appare inoltre nell'angolo in alto a sinistra nell’Allegoria del governo della Fortuna di Lorenzo Leonbruno (fig. 16).

16. L. Leonbruno, Allegoria del governo della Fortuna, dipinto su tavola, 1525 – 1530  

Nel dipinto di Leonbruno la protagonista è proprio Fortuna che, su due registri diversi, dialoga apertamente con il tema iconografico della Calunnia e  con quello allegorico della Giustizia, ed è rappresentata come dispensatrice di corone, scettri e tiare papali, e allo stesso tempo di gioghi e briglie (fig.18: vedi in Engramma, Galleria delle Calunnie, la Famiglia Leonbruno). Nell'opera di Leonbruno, che pur è chiaramente debitrice dello schema compositivo delle riconversioni pittoriche del tema ecfrastico di Luciano recuperato in età umanistica, si compie così la traduzione moraleggiante del tema allegorico antico.

Dotata degli stessi caratteri, Fortuna appare anche nella già citata incisione Virtus Combusta, (fig. 17): essa è rappresentata seduta su una sfera tenuta stabile da sfingi alate, mentre tiene in una mano un timone.

17. Giovanni Antonio da Brescia (attr.), da Andrea Mantegna, 'Virtus combusta', incisione, 1500 - 1505

Nonostante la corona e le fattezze fisiche rimandino all’interpretazione mantegnesca di Ignoranza, non vi è dubbio che nel caso specifico si tratti di una Fortuna governante, in quanto coronata: all'interno della stessa incisione Ignoranza appare, infatti, alla sinistra di Fortuna, rappresentata bendata e con una fiaccola spenta, brancolante nel buio proprio della sua condizione. Ricalcando lo schema della Calunnia lucianea, essa è presentata come uno dei cattivi consiglieri di Fortuna: durante il governo nefasto di questa Mala Fortuna in trono, la Verità (nuda) e il Calunniato (l’uomo incappucciato) sono condannati a precipitare nell’abisso, spinti dal giudice ingiusto (con le orecchie d’asino), mentre la Virtù soccombe inghiottita dalle fiamme.

7. Virtus, un dialogo pseudolucianeo e gli intrecci allegorici

La fonte letteraria di queste rappresentazioni, oltre all’ekphrasis della Calunnia, è un dialogo per lungo tempo attribuito erroneamente allo stesso Luciano di Samosata: il testo apparve dapprima, con il titolo di Virtus, nell'edizione veneziana delle opere di Luciano in versione latina pubblicata da Simone Bevilacqua nel 1494; successivamente, nel 1527, il dialogo fu incorporato all'interno della traduzione italiana di Niccolò da Lonigo di diversi scritti di Luciano. Soltanto nel XIX secolo Girolamo Maria Mancini attribuì la paternità de Il Dialogo della Virtù contro la Fortuna a Leon Battista Alberti e lo pubblicò insieme ad altri sei suoi dialoghi includendolo nelle Intercenales (le Intercenales sono leggibili in rete nell'edizione Pendragon 2003, a cura di Alberto Tenenti, p. 34)

Nel dialogo, Virtù si lamenta con Mercurio del comportamento di Fortuna: mentre si trovava con i suoi amici (Platone, Socrate, Demostene, Cicerone, Archimede, Policleto e Prassitele) nell'ambiente pacifico dei Campi Elisi, Virtù subì l'attacco di Fortuna e dei suoi accoliti; dal momento che questi ultimi erano armati, gli amici di Virtù, che erano pacifici e disarmati, non poterono opporre una grande resistenza. Virtù si trovò così abbandonata da tutti e fu battuta da Fortuna, la sua rivale. La dea si recò allora da Giove per lamentarsi dell'accaduto, ma questi la scacciò dal suo palazzo, con il pretesto che gli dei hanno cose ben più importanti da fare. Mercurio esprime il suo rammarico senza tuttavia essere in grado di risollevare le sorti di Virtù. Come unica soluzione, il dio della sapienza consiglia alla Virtù di unirsi alla folla finché si sia calmata l'ira della sua nemica. Virtù, avendo compreso che la sua sorte è segnata, si fa nascondere per sempre, nuda, disprezzata ed esclusa dal cielo e dalla terra. Virtù viene quindi rappresentata con sembianze arboree, perché preferì trasformarsi in un tronco d'albero piuttosto che essere fatta prigioniera di Fortuna.

Sono evidenti gli stretti vincoli che intercorrono tra il tema della Fortuna, la lotta delle Virtù contro i Vizi e il tema della Giustizia ristabilita dopo la calunnia. Nel sovrapporre la figura di Fortuna a quella di Giustizia, e intersecandole con il tema iconografico e allegorico della Calunnia, Mantegna, Giovanni Antonio da Brescia e Leonbruno, conferiscono all'intreccio allegorico Fortuna/Giustizia/Calunnia un significato decisamente diverso ripetto a quello di Cartari: gli artisti restituiscono una immagine di Fortuna nefasta e avversa, una forza negativa che attacca (e vince) Virtù e i suoi accoliti, che restano indifesi, per instaurare un regno ingiusto e arbitrario. Cartari invece, come abbiamo visto, ricorre a un soggetto molto noto come quello della Calunnia, per rappresentare icasticamente i giudici ignoranti e le false accuse, attribuendo alla Fortuna – diventata Nemesi, a sua volta identificabile con Giustizia – un’accezione positiva e riequilibrante, che armonizza le vicende umane, riparando alle ingiustizie e ai torti subìti.

 *Emma Filipponi è autrice dei paragrafi 1, 2, 3, 5.1; Sara Agnoletto è autrice dei paragrafi 4, 5.2, 6, 7.

English abstract

Fortune as Justice: the Calumny of Apelles in Vincenzo Cartari’s Imagini

Since the first edition of Le Imagini con la spositione de i dei de gli antichi (Images and descriptions of ancient gods) by Vincenzo Cartari – printed in Venice in 1556 – a large descriptive space was reserved to the figure of Fortune. Due to the multiplicity of its meanings and to its topical interest, this personification was widely used during the Renaissance age and beyond, in different areas of artistic production.

Cartari – supported by a number of sources that at different times and in various ways identified and characterized the figure of Fortuna (including Pausanias, Virgil, Horace, Aulus Gellius, Catullus, Dante and Petrarca) – draws with a decided and effective sign the multiple aspects of the  goddess. Cartari compares, among others pagan deities, Fortune to Nemesis and to Nemesis-Justice, suggesting an identification between these figures.

Starting from this triple overlap of Fortune, Justice, and Nemesis, Cartari introduces a digression on the theme of just judges and false accusations, which starts from the description – mediated by the summary of an ancient ekphrasis by Lucianus of Samosata – of the celebrated painting of the 4th century BC, the Calumny of Apelles.

The first edition of Cartari’s treaty, in 1556, was not provided with illustrations. Only in 1571 the work was enriched by engravings, created by Bolognino Zaltieri, but here the picture of Calumny was non included. Only in the next edition, in 1615 – this time published in Padua by the erudite Lorenzo Pignoria, and enriched with new illustrations by Filippo Ferroverde – the image of Calumny finally appears. The new engraver greatly enriched the text, inserting the ancient subject described by Lucianus in two different representations (both present also in Cartari's following reprints): one is included within the text, in the digression on the theme of calumny; the other one is added to Pignoria's commentary to the work.

The two images, although outlined by the same artist, consist in two different interpretations of the famous theme. The first engraving, in the text, is one of the few versions of Calumny subverting the specifications given by Lucianus' ekphrasis, since it is composed as a frontal picture, built around the central figure of the judge. The second engraving, in the commentary, is a mirrored and simplified copy of an original and renowned interpretation of the subject, a work by Federico Zuccari painted around 1569.  

Riferimenti bibliografici

Favaretto 2002
I. Favaretto, Arte antica e cultura antiquaria nelle collezioni venete al tempo della Serenissima, Roma 2002.

Maffei 1994
S. Maffei (a cura di), Descrizioni di opere d’arte, di Luciano di Samosata, Torino 1994.

Massing 1990
J. M. Massing, Du texte à l’image. La calumnie d’Apelle et son iconographie, Strasbourg 1990.

Wind [1968] 1985
E. Wind, Misteri pagani del Rinascimento, 2a ed., trad.  italiana, Milano 1985.