"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Mauro Marzo
Schizzi e Rovine
Relazioni tra cose nascenti e cose in via di estinzione nella didattica di Francesco Venezia

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Poche questioni, pochi libri, pochi maestri d'adozione riemergono con continuità nell'opera di Francesco Venezia, architetto napoletano "appartato dai dibattiti locali, come dai rumori provenienti dal mondo ufficiale" (Tafuri 1986), connotato da una "radicale indifferenza per gli allettamenti della novità" (Dal Co 1995).

Che poche selezionate questioni costituiscano la base speculativa del suo lavoro di architetto è cosa risaputa. È anzi lo stesso Venezia a sottolineare come i propri scritti manifestino nel loro insieme "una certa inclinazione a ritornare - con perseveranza e qualche volta con ossessione - su poche idee" (Venezia 1990). 

Tra tali questioni, il tema della rovina assume un ruolo di assoluta centralità sia nella sua produzione teorica che in quella progettuale. Non occorre qui ricordare la sua interpretazione di alcune opere di Alvar Aalto come rovine e figure dalla simmetria infranta, né citare i suoi studi sul tempio della Fortuna Primigenia di Palestrina, né tanto meno riportare le riflessioni sul rapporto tra "tempo della rovina" e "tempo del cantiere", elaborate durante la realizzazione di quel museo di Gibellina che segnò l'affermazione della fama di Venezia sulla scena internazionale.

Per rendersi conto di quanto, poi, i suoi stessi edifici aspirino a costruirsi in forma di rovine è sufficiente fermarsi un attimo ad osservare il recinto del deposito, che sorge poco discosto dal Laboratorio Prove Materiali dello Iuav a Mestre, o i muri del piccolo Giardino di Gibellina.

Francesco Venezia, Laboratorio prove materiali dello Iuav a Mestre, 1995-2002. Veduta dell’interno del piccolo padiglione di testata in calcestruzzo liscio e calcestruzzo a strati e lavato. Francesco Venezia, Laboratorio prove materiali dello Iuav a Mestre, 1995-2002. Veduta dell’esterno del piccolo padiglione di testata in calcestruzzo liscio e calcestruzzo a strati e lavato.
Francesco Venezia, Un piccolo giardino a Gibellina, 1984-87. Particolare dell’interno: l’arancio piantato nella terra rossa. Francesco Venezia, Un piccolo giardino a Gibellina, 1984-87. Particolare dell’interno con la fontana in travertino e gli archi di spolio.

Sono questioni ben note a chi ama l'architettura e conosce il pensiero di Francesco Venezia e, d'altra parte, a un non addetto ai lavori basterebbe sfogliare uno dei tanti libri dedicati alla sua opera, osservare gli schizzi che sempre accompagnano le sue pubblicazioni, limitarsi a leggere i titoli di alcuni capitoli della sua monografia – "Architetture di spolio", "Nel teatro del terremoto", "Incontro con l'antico" – per cogliere il rilievo e la pregnanza assunti dal tema della rovina nei suoi studi sull'architettura e nei suoi stessi progetti.

Francesco Venezia. Atrio tetrastilo a Pompei. Francesco Venezia. Schizzo di studio dell'accesso al tempio a Segesta. Francesco Venezia. Schizzi di studio del Tempio della Fortuna Primigenia a
Palestrina.

In questa sede è dunque forse più utile provare a spostare l'asse del ragionamento, dall'analisi del ruolo rivestito da tale tema nell'opera di Francesco Venezia, alla verifica del peso che esso assume nella sua attività di docente universitario, al fine di provare a enucleare su quali idee si fondi la sua attività didattica, a cogliere in filigrana le connessioni tra insegnamento e pratica dell'architettura, a sottolineare come, al di là delle apparenti variazioni di superficie, gli oggetti proposti alle riflessioni progettuali degli studenti nel corso degli anni siano rimasti, nel profondo, immutati.

Per costruire tale ragionamento ci baseremo su alcune pubblicazioni che raccolgono gli esiti didattici dei laboratori di Progettazione architettonica tenuti dal docente napoletano presso l'Università degli Studi di Genova e, successivamente, presso l'Univesità Iuav di Venezia. Nonostante l'originalità degli aspetti metodologici e l'interesse dei risultati didattici, tali libri curati da alcuni suoi allievi (Orazio Basso, Michele De Mattio et alii) ed editi in tiratura limitata, hanno avuto una diffusione piuttosto contenuta e circoscritta essenzialmente al ristretto mondo accademico. È forse anche per questo che, nella vasta letteratura intorno alla produzione intellettuale di questo architetto, non figurano ancora studi critici che si misurino con quell'ineludibile intreccio formato dal Venezia progettista e dal Venezia docente. Riteniamo invero che le pubblicazioni che raccolgono gli esiti delle esercitazioni progettuali svolte dai suoi studenti consentano, nel loro insieme, di far emergere con grande evidenza una questione che costituisce insieme il fondamento su cui si basa il suo lavoro, la costante dei suoi studi e il nucleo centrale del suo insegnamento: solo esercitando il pensiero su pochi temi progettuali, solo assumendoli come fuochi di riflessione inesauribili, solo interrogandosi sul modo in cui essi sono stati risolti nelle grandi opere ereditate dal passato e affrontati dai maestri che ci hanno preceduto, si può oltrepassare la superficie dell'architettura e giungere ad indagarne l'intima struttura.

Per guidare dunque i discenti ad individuare nuclei tematici stabili e resistenti alle mode che tramontano, per fargli assumere consapevolezza circa la necessità di eleggere maestri d'adozione con cui misurarsi nel corso dell'iter formativo e della futura carriera di progettisti, Francesco Venezia propone loro di ragionare su questioni apparentemente lontane, ma invero vicine al punto da collimare come parti di un unico pensiero, come declinazioni della medesima strategia didattica.

Schizzi e rovine, intenti di progetti lasciati allo stato embrionale da grandi architetti di un passato più o meno recente e ciò che resta di edifici costruiti in epoche remote, progetti interrotti da interpretare e avanzi della magnificenza di un passato con cui far dialogare il nostro lavoro presente. È tra questi poli che si collocano i temi della didattica di Francesco Venezia. Come Manfredo Tafuri, nell'introduzione a La sfera e il labirinto, sottolinea che "un'opera fallita, un tentativo irrealizzato, un frammento" possono porre questioni e interrogativi che risultano invece nascosti "dalla compiutezza di opere assurte alla dignità di «testi»", così Francesco Venezia costruisce percorsi di apprendimento articolati attraverso ragionamenti e indagini che hanno come oggetto non opere formalmente compiute, ma schizzi di difficile decifrazione e resti misteriosi di vestigia antiche, idee di progetti nascenti e ruderi, al fine di rinvenire una trama di possibili relazioni che restituiscano un senso e un ordine possibili al caos e alla frammentarietà dei luoghi e delle culture del presente.

Se è vero che lo studio del rapporto tra rovine e progetto contemporaneo costituisce uno dei principali nuclei tematici intorno a cui ruota il pensiero di Francesco Venezia, non sorprende che la riflessione sulle rovine sia assunta quale tema monografico di molti suoi corsi di progettazione.

I laboratori degli a.a. 2004-2005 e 2006-2007, ad esempio, erano incentrati, il primo su progetti elaborati a partire da frammenti di ponti in rovina e, il secondo a partire dall'idea di trasferire l'Ara Pacis dalla sua "gabbia sul Lungotevere", all'interno del rudere del Mausoleo di Augusto. Se in quest'ultimo tema è da cogliere un deliberato intento provocatorio, data la coincidenza temporale del corso con l'inaugurazione del dibattuto Museo di Richard Meier a Roma, il tema dell'a.a. 2004-2005 si basava sulla progettazione di piccole architetture da costruirsi a ridosso o al di sopra di ciò che resta di ponti semidistrutti, delle loro arcate monche, di campate e piloni isolati nell'alveo dei fiumi. Come nel corso della storia i ponti sono talora divenuti spazi lineari in cui edificare case, collocare botteghe, innalzare edicole votive, così il laboratorio didattico provava a restituire un senso possibile a strutture mutile e "frammenti superstiti che hanno assunto per l'azione del tempo l'aspetto di parti della natura, fattori di un paesaggio patetico" (Venezia in Basso, De Mattio, Fierro, Frisone 2005). All'originaria azione del "collegare sponde opposte di un fiume" che sta alla base dell'idea stessa del ponte, si affiancava, nell'esercizio progettuale, un ragionamento intorno alla possibilità di "fondare su ponti" nuovi edifici, di predisporre atti, insediativi e simbolici insieme, per rendere abitabili alcuni ponti assunti come casi-studio. Lo studente restituiva così nuovi valori d'uso e formali ai frammenti di ponti in rovina, ai ruderi del Pont Ambroix a Lunel, del Pont Vieux a Brives Charensac, a quelli maestosi del ponte di Augusto a Narni.

Prospetto del Ponte Ambroix a Lunel in Francia

Su una questione diversa da quella della rovina – ma vedremo come la differenza sia solo apparente – erano invece incentrati alcuni corsi tenuti negli anni 1987-1992 (periodo in cui Francesco Venezia, insegnava presso la Facoltà di Architettura di Genova) e negli anni 1992-1994 (in cui il docente era già passato allo IUAV) che indagavano il tema dell'"incompiuto" a partire da alcuni progetti lasciati interrotti da maestri dell’architettura.

In tali corsi agli studenti veniva proposto lo studio interpretativo di alcuni schizzi relativi a progetti mai giunti a definizione architettonica. Prigionieri della loro condizione di "idee allo stato nascente", tali progetti divenivano frammenti da decifrare, resti sui quali avviare, come archeologi, indagini per "indizi e congetture" (Burlando, Campo, Pinna 1996; Ciruzzi, De Mattio Fierri 1995).

Il ridisegno interpretativo degli schizzi iniziali induceva lo studente a confrontarsi con la specificità di alcune questioni compositive atemporali e a confrontarsi con le esigenze espresse dal vivere contemporaneo. Più che proporre allo studente di affrontare temi immediatamente riferibili all'emergere di occasionali necessità espresse dalla città o dal territorio, Francesco Venezia lo invitava quindi a riflettere sull'importanza della fase ideativa del progetto, sulla necessità di imbastire un dialogo con gli autori di quegli stessi schizzi – fossero essi Le Corbusier o Adalberto Libera, Mies van der Rohe o Giuseppe Terragni, Adolf Loos o Alvar Aalto – sulla possibilità di attualizzare i loro sforzi e i loro risultati.

Il taglio di un altro laboratorio, quello dell'a.a. 2005-2006 in particolare, si discostava dai corsi da noi illustrati finora, tutti riconducibili, da un lato, al tema delle rovine e, dall'altro, e quello di schizzi e progetti appena abbozzati da maestri. Ragionando sulla possibilità di connettere tra loro questi due temi, piuttosto che isolarli, tale laboratorio non poneva al centro delle esercitazioni progettuali né rovine esistenti, né schizzi di progetti incompleti, bensì architetture compiutamente progettate, ma non giunte ad edificazione, rovine da immaginare a partire da manufatti mai costruiti.

L’originalità metodologica del corso, dedicato al tema del "Non finito in architettura", consisteva dunque nel proporre ai discenti un esercizio articolato in azioni sottrattive e procedimenti additivi. Nella finzione dell'esercitazione accademica si supponeva che alcuni progetti magistrali, non realizzati nella realtà storica, fossero stati almeno in parte edificati e che la fase costruttiva di tali opere, interrotta per svariate motivazioni, avesse consegnato al presente delle "rovine moderne", delle "archeologie del presente", dei "non-finiti" in attesa di progetti che potessero risarcirli della loro incompiutezza.

L'iter del laboratorio era strutturato in modo da accompagnare lo studente a 'progettare' in forma di rudere opere non realizzate di Frank Lloyd Wright, di Le Corbusier, di Sigurd Lewerentz fino ad indirizzarlo alla riflessione su alcune questioni centrali per elaborare un progetto in prossimità, o a diretto contatto, di preesistenze. Il discente era così condotto a ragionare sulle relazioni che stabiliscono tra loro le parti che compongono un'architettura, sul senso che porta con sé ogni azione compositiva che prima sottragga e poi aggiunga segni ad un'opera, sulla necessità di imbastire dialoghi a distanza con i maestri, sul terreno dei loro stessi progetti.

Un esercizio didattico eminentemente selettivo, dunque, volto ad analizzare la forma architettonica, a smontarla, a manipolarla in modo da giungere allo studio dei procedimenti che sovrintendono alla produzione della forma stessa.

La Christian Catholic Church per Zion City del 1911-15 di Wright, il crematorio a Bergaliden del 1914 di Lewerentz e due progetti di Le Corbusier, l'Unité d'habitation di Strasbourg del 1951 e la chiesa per il nuovo ospedale di Venezia del 1966 (elaborato con Guillermo Jullian de la Fuente), diventavano oggetto di letture figurative, di smontaggi compositivi, di virtuali "ruderizzazioni". Agli studenti si dava così la possibilità si ragionare sulla valenza estetica e sulla forza espressiva di "non-finiti" d'autore da assimilare ad antiche rovine.

È forse proprio il tema di questo laboratorio a dimostrare, più degli altri, l'utilità di uno studio che indaghi – assai più di quanto queste brevi note consentono – il metodo, le finalità e i temi della didattica di Francesco Venezia, per approfondire la conoscenza della sua figura di architetto e studioso di architettura, per delineare con maggior precisione i contorni di un pensiero progettuale nel quale, come ebbe a scrivere Tafuri (1986), "tempo storico e sospensione del tempo, materia e astrazione intrattengono fra loro un pensoso colloquio".

Creando una sorta di cortocircuito tra rovine e schizzi di progetti incompiuti, l'oggetto di tale laboratorio permette di sovrapporre, di leggere in trasparenza, di montare in una dissolvenza incrociata, due temi apparentemente distanti che permeano l'intera opera di Venezia. Innesta il tempo di chi studia le eredità del passato su quello di chi, a partire da esse, progetta. Assimila e confonde immagini e tempi di opere in costruzione e di ciò che resta di edifici che furono cantieri. Consente di avvicinarci a quel tempo ciclico e ineluttabile che abita la mente di Francesco Venezia; un tempo elicoidale in cui le cose nascenti e quelle in via di estinzione raccontano un'unica storia. Sempre la stessa.

ringraziamenti/aknowledgments
l’autore e la redazione di Engramma ringraziano il prof. Marco Biraghi e la prof. Antonella Sbrilli per l'attenzione e la cura che hanno dedicato alla revisione di questo testo.
 

 
Nota biografica
Francesco Venezia è docente ordinario di Composizione Architettonica dal 1986, è stato visiting professor in varie università - dalla Graduate School della Harvard University all'École Polytecnnique Fédérale de Lausanne, dalla Sommeracademie Berlin all'Accademia di Architettura di Mendrisio -, e insegna attualmente Progettazione architettonica presso la Facoltà di Architettura dell'Università Iuav di Venezia. Accademico di San Luca, medaglia d'argento del Presidente della Repubblica Italiana "Ai benemeriti della Cultura", ha tenuto conferenze e partecipato a seminari nelle principali città dei continenti europeo, americano e asiatico. La sua opera è stata pubblicata in diversi manuali di storia dell'architettura contemporanea e in innumerevoli riviste specialistiche di rilevanza internazionale. Figura assai nota in ambito internazionale per la qualità dei suoi progetti e il rigore di una ricerca condotta intorno al rapporto tra architettura e tempo, le cui riflessioni e i cui esiti si sono sedimentati, nel corso degli anni, in opere realizzate, conferenze e scritti.


Riferimenti bibliografici

Basso, De Mattio, Fierro, Frisone 2005
O. Basso, M. De Mattio, S. Fierro, C. Frisone, S. Los (a cura di), Fondare su ponti. Laboratorio di Progettazione Architettonica 1 diretto da Francesco Venezia, Università Iuav di Venezia, Pordenone 2005

Basso, De Mattio, Fierro, Frisone 2007
O. Basso, M. De Mattio, S. Fierro, C. Frisone (a cura di), Non finito in architettura. Laboratorio di Progettazione Architettonica 1 diretto da Francesco Venezia, Università Iuav di Venezia, Pordenone 2007

Basso, De Mattio, Fierro, Frisone 2008
O. Basso, M. De Mattio, C. Frisone (a cura di), Nel ventre dell’antico. Trasferimento dell’Ara pacis nel Mausoleo di Augusto. Laboratorio di Progettazione Architettonica 1 diretto da Francesco Venezia, Università Iuav di Venezia, Pordenone 2008

Burlando, Campo, Pinna 1996 
P. Burlando, D. Campo, E. Pinna (a cura di), Idee allo stato nascente da un corso di Francesco Venezia, Milano s.d. 1996[?]

Ciruzzi, De Mattio Fierri 1995
B. Ciruzzi, M. De Mattio, S. Fierro, C. Frisone (a cura di), Indizi e congetture. Due corsi di Progettazione Architettonica tenuti da Francesco Venezia, Milano 1995

Dal Co 1995
F. Dal Co, Forme e tempo. Sul lavoro di Francesco Venezia, in «Korean Architects», n. 8, 1995; ripubblicato in Venezia, 2006, p. 302.

M. Marzo, Francesco Venezia: insegnare con le rovine, in «Festival dell’Architettura Magazine», 17 gennaio 2011, [ISSN 2039-0491] (http://www.festivalarchitettura.it/festival/It/ArticoliMagazineDetail.asp?ID=35&pmagazine=3&pagecomm=1)

Monestiroli Venezia 2011
A. Monestiroli , F. Venezia; Conversazione tra Antonio Monestiroli e Francesco Venezia, in «Casabella», LXXV, 800, aprile 2011, pp. 34-51

Tafuri 1980
M. Tafuri, La sfera e il labirinto. Avanguardie e architettura da Piranesi agli anni ’70, Giulio Einaudi Editore, Torino 1980, pp. 18-19. Devo alla prof. Antonella Sbrilli dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", che qui ringrazio, il suggerimento di provare ad approfondire tale questione.

Tafuri 1986
M. Tafuri, Storia dell’architettura italiana. 1944-1985, Torino 1986

Venezia 1990
F. Venezia, Scritti brevi. 1975-1989, seconda ed. aggiornata, Napoli 1990.

Venezia 1997
F. Venezia, Saper credere in architettura. Trentadue domande a Francesco Venezia, a cura di P. Di Martino, Napoli 1997.

Venezia 2006
F. Venezia, Francesco Venezia. Le idee e le occasioni [1998], Milano 2006.

Mauro Marzo
Schizzi e rovine
Relazioni tra cose nascenti e cose in via di estinzione nella didattica di Francesco Venezia
 
The relationship between the study of ruins and contemporary planning is certainly one of the most investigated subjects in Francesco Venezia’s work. This topic can indeed be considered as one of the fundamental features of his thought. Not many people outside academia know that his thoughts about ruins have become the main subject of his workshops on planning. My aim in this paper is to shift the focus of attention from the role this topic plays in the planning work of Francesco Venezia to the one it plays in his activity as a docent. In what follows, I will try to single out the fundamental ideas around which his teaching revolves and to draw attention on the close connections between his teaching and planning activity. The work intends to show that the analysis of his method, objectives and teaching can substantially contribute to the understanding his profile as an architect.

 

keywords | Architecture; Archeology; Ruins; Francesco Venezia; Project; Methodology.