"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Lo strabismo di Dioniso: il duplice sguardo sull’antico negli spettacoli classici al Teatro greco di Siracusa

Recensione alle opere: Persiani, Eumenidi di Eschilo, regia di Antonio Calenda; Vespe di Aristofane, regia di Renato Giordano, Siracusa, Teatro Greco, 16 maggio / 2 luglio 2003

Giulia Bordignon, Daniela Sacco

Si è di recente conclusa al Teatro greco di Siracusa la stagione teatrale proposta dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico, che quest’anno ha presentato la messa in scena di due tragedie e una commedia, rispettivamente i Persiani e le Eumenidi di Eschilo, dirette da Antonio Calenda, e le Vespe di Aristofane, dirette da Renato Giordano. Gli spettacoli hanno espresso con straordinaria evidenza la questione radicale che inevitabilmente si pone a ogni regista, nel momento in cui intende ridare voce ai miti, alle figure e ai temi del teatro classico: attualizzazione o ricostruzione dell’antico? In scena a Siracusa quest'anno si è visto come la scelta per l'una o per l'altra di queste opzioni significhi la realizzazione di spettacoli non ovviamente o banalmente diversi. Tutti e tre i testi dei drammi hanno potenzialmente chiari legami con problematiche e temi fortemente attuali: la guerra, la giustizia, la legittimità del diritto. Ma mentre da un lato le messe in scena di Calenda guardano ai testi tragici con occhio tutto volto alla volontà di rifarsi alla contemporaneità, o meglio al nostro passato prossimo del Novecento, dall’altro la commedia per la regia di Giordano tende a ricreare atmosfere che suggeriscono un mondo lontano ed evocativo. Per rilevare la differente e diametrale direzione dello sguardo sull’antico dei due registi è sufficiente analizzare un solo aspetto delle messe in scena: l’impostazione drammaturgia del coro, come spia della loro scelta interpretativa. Calenda propone una funzione e una presenza forte del coro: in Eumenidi, le Erinni, i demoni della memoria che perseguitano Oreste, sono interpretate da uomini in neri abiti femminili di stampo Otto-Novecento (i costumi sono di Elena Mannini), che si muovono secondo articolate coreografie su musiche ricche di eco operistiche e risonanze da melodramma ottocentesco (musiche di Germano Mazzocchetti); in Persiani, il coro che circonda la Regina è presentato inizialmente come un gruppo di professori superstiti dal nostro recente passato "crociano" (così dichiara lo stesso regista), intenti a custodire, imbalsamata, la memoria e le tracce culturali di un mondo minacciato dalla guerra, rappresentato per allegoria e per frammento dal mosaico ellenistico-romano della battaglia di Isso. Anche nel finale di Eumenidi è presente un intervento tutto ‘allegorico’ del coro: il regista riporta in scena il coro di Ateniesi dell’Agamennone, in soprabito e borsalino, che scoppia in una risata digradante in pianto, offrendo un commento sarcastico alla presunta conciliazione – meglio: al fragile patteggiamento – tra la legge del sangue e il diritto della madre, difeso dalle Erinni, e l’auctoritas della polis e la potestas del padre, patrocinati dai nuovi dei olimpici.Giordano sceglie invece, per la messa in scena della commedia aristofanesca, di puntare sulla ricostruzione delle musiche antiche, contaminandole con evocazioni di armonie medio-orientali e della musica balcanica (musiche di Stefano Saletti). Il coro di Vespe è presentato con costumi – peplo chiaro, decorazioni dorate e himation scarlatto – che ricordano un indefinito, favolistico Oriente antico (costumi di Marina Luxardo). Inoltre le funzioni del coro – danza, canto e recitazione, che nelle tragedie dirette da Calenda sono condotte insieme – sono qui disgregate e assegnate a gruppi differenti: in scena sono presenti gruppi di musicisti, ballerini e attori, che si muovono in reciproca autonomia. La volontà di resa filologica del testo, operata per prudenza rispetto a un dramma mai portato in scena in precedenza dall’INDA, spinge il regista a far cantare alcuni brani corali in greco antico, mentre il resto del testo mantiene nella traduzione tutta la lontananza dei riferimenti alla situazione politica e culturale dell’Atene del V secolo. L'esito dell'avvicinamento o, al contrario, del mantenimento di una distanza rispetto al testo classico nella resa dello spettacolo può conseguire dunque un effetto opposto rispetto all'intenzione che guida la scelta artistica: a riprova del fatto che spesso nell'osare il tradimento di una supposta autorità dell'originale a volte si riesce ad essere, allo spirito dell'antico, paradossalmente più fedeli.

Sito ufficiale dell'Istituto Nazionale del Dramma Antico: www.indafondazione.org

Per citare questo articolo/ To cite this article: G. Bordignon, D. Sacco, Lo strabismo di dioniso: il duplice sguardo sull’antico negli spettacoli classici al Teatro greco di Siracusa, ”La Rivista di Engramma” n. 26, luglio-agosto 2003, pp. 223-225 | PDF