Mese di Aprile - Toro
Marco Bertozzi
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Fascia superiore
Tutela di Afrodite (Venere). La dea dell’amore celebra il suo trionfo su un veicolo, trainato da bianchi cigni, che discende lungo le acque di un fiume. L’imbarcazione è ornata da tendaggi, mossi da un brioso vento primaverile. Di fronte a Venere è inginocchiato e avvinto, in catene, il bellicoso Marte, alla cui tutela è affidato il segno diametralmente opposto a quello del Toro, cioè lo Scorpione.
I lunghi capelli della dea sono stretti da una colorata ghirlanda e sulla sua cintura è raffigurato il giovane Eros (Cupido) che scaglia le sue frecce verso due innamorati. A destra e a sinistra della scena, due splendidi giardini, dove sbocciano gli amori dei figli della dea: giovani donne e uomini di corte, ritratti dall’artista, con inconsueto realismo, in audaci e sensuali abbracci. Alla sinistra di Venere, l’intensa nudità delle tre Grazie. Ai piedi dei giovani corrono numerosi conigli e grosse lepri, simboli dell’amore, a sottolineare ulteriormente il carattere dell’intera scena.
Fascia mediana – I tre decani accompagnati dal segno zodiacale del toro
Primo decano (Toro I)
Una donna, in piedi, dai lunghi capelli biondi e ricci, sciolti sulle spalle e trattenuti da un nastro; indossa un elegante abito rosso, che sembra in parte bruciato, e guarda un bambino (il figlio) che, in piedi davanti a lei, è coperto da un vestito dello stesso colore.
La descrizione dipende dalla sfera indiana di Albumasar (Bertozzi 1999, pp. 47-49; Jaffé [1932] 1999, p. 115). L’immagine della madre e del figlio risale alla configurazione stellare delle Pleiadi, che si levano in questo decano. Dall’unione con Zeus di Maia, una delle Pleiadi, era nato Hermes (Mercurio). L’attributo del vestito rosso, in parte bruciato, si collega alla perdita di luminosità delle Pleiadi: una delle sette stelle, già ai tempi di Arato (III secolo a.C.), risultava ormai “bruciata”, non più visibile (Arato, Fen., 257; cfr. Bertozzi 1999, p. 47).
Secondo decano (Toro II)
Un uomo nudo, il capo coperto da una sorta di turbante, porta corti stivali. Esibisce una grande chiave, che tiene con la mano destra.
Analoghe descrizioni si trovano nei compendi di Leopoldo d’Austria e Ludovico de Angulo (Bertozzi 1999, p. 49; Jaffé [1932] 1999, p. 115). Nel trattato di Albumasar, si parla di un uomo nudo che tiene una chiave e che ha la testa simile a quella di un cane. Questo attributo ci suggerisce che si tratta di Sirio, la luminosa stella della costellazione del Cane Maggiore. Il Toro, secondo il mito astrale menzionato da Igino (II–III secolo d.C.), era stato posto in cielo per trasportare incolume Europa a Creta, e il Cane aveva ricevuto da Giove la funzione di custode di Europa (Igino, De astr., II, 21, 1; II, 45, 1; cfr. Bertozzi 1999, p. 49).
Terzo decano (Toro III)
Un uomo di carnagione scura, nudo, dai canini simili a zanne di cinghiale; tiene nella mano destra un serpente alato e avvolto su se stesso. Ha una freccia nella mano sinistra; alle sue spalle è raffigurato un cavallo e, ai suoi piedi, un cane.
Il cavallo di questo “vir niger” si riferisce a Pegaso, il cavallo boreale. Ma, per il resto, la figura risulta da una complessa mescolanza della sfera indiana e persiana di Albumasar e dal compendio di Leopoldo d’Austria, oltre che dal testo di magia astrologico-talismanica Picatrix (Bertozzi 1999, pp. 47-51; Jaffé [1932] 1999, p. 115). Punto di riferimento stellare è Aldebaran (nome arabo attribuito allo splendente occhio del Toro), appartenente alle sette stelle che formano le “piovose” Iadi. Il termine Hyades fu tradotto in latino con Suculae (le porcellette), secondo l’interpretazione accolta anche da Manilio (Astr. V, 126 ss.). La traduzione latina risale ad un termine greco che significa “cinghiale”: allusione alle zanne, che costituiscono un peculiare attributo della figura di questo decano (Bertozzi 1999, p. 50).
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