Gaspare Vanvitelli e le origini del vedutismo
Presentazione della mostra, Venezia, Museo Correr, 28 febbraio-18 maggio 2003
Giacomo Dalla Pietà
Gli studi introduttivi al catalogo della mostra curato da Claudio Strinati, Fabio Benzi, Ludovica Trezzani, Laura Laureati, William L. Barchal (Viviani Arte Editore, Roma 2002) intendono inquadrare Gaspare Vanvitelli in una nuova prospettiva critica. Fino ad ora i non molti studiosi occupatisi di lui (soprattutto Giuliano Briganti) ne sottolineavano il gusto bozzettistico nelle vedute di Roma (con diminuzione per l’interesse puramente archeologico), o la predilezione per punti di vista che saranno poi ripresi da Canaletto (Basilica della Salute, San Marco ecc.). Ma ciò non basta a caratterizzare l’arte di questo autore. Gli accurati disegni preparatori alle sue tele dimostrano che egli, semplificando la pratica cinquecentesca della prospettiva, si valse della camera oscura – che già gli era familiare nella natia Olanda (si pensi a Vermeer) ma non lo era certo in Italia – e che gli permise di riprendere con insolita precisione i più minuti particolari che compaiono nelle sue vedute. Come molti intellettuali coevi, Vanvitelli credeva nella conciliazione tra l’arte e gli ultimi ritrovati della scienza. Giunto poco più che ventenne in Italia, si stabilì a Roma nel 1675, dove trovò impiego come disegnatore nell’ambito dei progetti di ingegneria promossi dal governo pontificio per assicurare una maggior navigabilità del Tevere. Mosse dunque i primi passi della sua carriera in un ambito tecnico. La mostra, oltre alle vedute romane documenta tra l’altro il lavoro svolto a Venezia e in Lombardia, al servizio dell’aristocrazia lombardo-romana negli anni novanta del Seicento, e a Napoli.
Negli anni ’10 del Settecento visiterà anche la Sicilia (notevole la sua amicizia con Juvara); si specializzerà poi nelle vedute romane, sempre più richieste da quanti compivano il grand tour. Egli riprese monumenti come l’arco di Settimio Severo e il tempio di Saturno, ma da punti di vista che non ne sottolineassero la spettacolarità e che riportassero il tutto ad una affatto settecentesca misura d’uomo. Ma fu anche il primo, a quanto sembra, a fare del Colosseo il protagonista assoluto di un dipinto. Si conoscono almeno otto redazioni di vedute del Colosseo, ripreso anche da punti di vista assolutamente secondari. L’immagine dell’Anfiteatro Flavio, che per il comune turista odierno significa Roma per antonomasia, ha il suo ‘archetipo’ nelle vedute vanvitelliane. Laura Laureati postula la conoscenza diretta di Vanvitelli da parte del giovane Canaletto, che fu attivo come scenografo a Roma negli anni ’20 del ’700, e che derivò certamente l’impostazione progettuale delle sue vedute anche dal pittore olandese.
La mostra comprende anche una sezione dedicata a Luca Carlevarijs, che nelle sue vedute veneziane esalta la comunità cittadina; e una dedicata a Joseph Heintz il giovane, ‘vedutista’ secentesco che, con meticolosità nordica, pone particolare cura nella resa degli edifici, e soprattutto in quella delle macchiette che popolano le scene.