"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

97 | marzo/aprile 2012

9788898260423

“Monumenti in guerra”. Per non dimenticare

Presentazione della collana “Monumenti in guerra”, Minerva Edizioni

Luca Ciancabilla

English abstract

In latino, monumentum, significa ricordo, memoria, monumento, tempio, statua, opera pubblica; tomba, sepolcro; scritto, opera;
indizio, segno, contrassegno. Deriva da monere, ossia ammonire, avvisare, ricordare, informare, ammaestrare e altro ancora.

Così Alfredo Barbacci apriva la sua importante pubblicazione, Il restauro dei monumenti in Italia, edito per il Poligrafico dello Stato nel 1956 [1]. Lo studio – che fornisce anche dati fondamentali sulla storia, sulla teoria e sulla prassi del restauro architettonico, fondati sulle solide basi scientifiche di un’elaborazione teorica avviata precocemente in Italia – si chiudeva con un’impressionante carrellata di illustrazioni. Facciate e interni di chiese, edifici storici, palazzi nobiliari, torri medievali, ponti antichi, siti archeologici: più di duecento monumenti della nostra Italia immortalati dall’obiettivo fotografico prima e dopo i rifacimenti, le reintegrazioni, i restauri che questi avevano subito nel corso dell’Ottocento e della prima metà del Novecento. Particolare attenzione era riservata agli interventi più recenti, condotti e conclusi nel corso del decennio precedente. Erano passati appena undici anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, quando era stata avviata la ricostruzione del patrimonio artistico e culturale italiano così duramente provato dalle distruzioni belliche: fin dal 1942 le memorie culturali italiane – edifici, pitture, sculture, documenti, insomma tutte le più importanti testimonianze del patrimonio artistico e architettonico italiano – erano stati fra gli obiettivi ‘terroristici’ dei bombardieri anglo-americani (vedi, in Engramma, la presentazione dello studio di Gioannini e Massobrio 2007 e i contributi raccolti alla pagina tematica ‘Hostium Rabies Diruit’) e, dal 1944, degli attacchi dei soldati tedeschi in ritirata. Tutto quello che per secoli aveva ammonito, avvisato, ricordato, informato, istruito gli italiani sul loro glorioso passato, tutto ciò che avrebbe dovuto essere protetto e conservato in eredità per le generazioni future così come era stato costruito e preservato da quelle precedenti, era stato ferito, mutilato, cancellato – talvolta  per sempre – dai centri storici, dai musei, dalle colline della nostra Penisola. Le operazioni di ripristino, riattamento, integrazione, restauro che il libro di Barbacci documentava, si erano susseguite alacremente immediatamente dopo la fine della guerra, cancellando di fatto le ferite, i segni del terrore e della distruzione, lasciando aperte solo rare cicatrici che comunque il passaggio degli anni e dei decenni, ma soprattutto il sovrapporsi di interventi successivi, avrebbero reso sempre meno leggibili. Sempre meno interpretabili. Sempre più lontane.

Del resto il dolore andava dimenticato, lasciato alle spalle, specie in quegli anni dell’immediato dopoguerra in cui l’Italia cercava di risollevarsi e di ricostruire il prima possibile l’integrità del paesaggio del proprio immaginario, materiale e immateriale. La vita ricominciava e tutto doveva tornare a essere come prima. Anche le scenografie monumentali delle città nelle loro singolari, straordinarie, componenti architettoniche e artistiche. In quel contesto di accelerata rimozione delle memorie dolorose del passato prossimo, poco interesse aveva incidere il ricordo in lapidi, targhe, iscrizioni a testimonianza delle tragiche vicende che avevano interessato gran parte dei centri storici italiani, e pertanto chiese, palazzi storici, monumenti antichi nella maggior parte dei casi furono velocemente ricostruiti e ripresentati agli italiani senza ostentare sulla loro pelle alcuna traccia concreta delle mutilazioni e ricostruzioni subìte.

Il ricordo delle distruzioni e ricostruzioni belliche era affidato alle pubblicazioni scientifiche. Dovere dei funzionari dello Stato incaricati, come il Barbacci – Soprintendente ai Beni Architettonici a Bologna negli anni della guerra e in quelli della ricostruzione [2] – di guidare le operazioni di restauro e riappropriazione del nostro patrimonio artistico, era lasciare ai contemporanei, ma soprattutto ai posteri, memoria documentaria, fotografica e scritta di quei lavori. Libri, saggi, articoli avrebbero svolto ancora una volta il ruolo di cerniera fra il passato e il presente, fra il presente e il futuro. I report delle indagini sul campo, le cronache, la documentazione fotografica del prima, del durante e del dopo la guerra, costituivano i monumenti di carta che avrebbero attraversato i secoli e, forse, aiutato a non dimenticare ciò che la ricostruzione aveva celato. Così scrive, con chiara consapevolezza dell’importanza del munus, Gino Chierici nel 1945:

Fra le rovine seminate attorno a sé dalla guerra mondiale, la distruzione delle opere d’arte è quella che aprendo un vuoto incolmabile nella storia della civiltà umana, sarà più a lungo ricordata e deprecata. Raccogliendo oggi, abbiamo ancora davanti agli occhi l’immagine dei monumenti colpiti e siamo freschi delle ricerche condotte attorno ad essi, tutto questo servirà a non farli interamente morire, sentiamo di compiere un atto di amore verso la nostra Patria martoriata ed un’opera utile che col passare degli anni acquisterà per gli studiosi sempre maggior valore. [3]

Queste emozionate parole sancivano l’avvio della collana intitolata I monumenti italiani e la guerra’, diretta da Chierici [4] per la casa editrice Electa di Milano e inaugurata nel gennaio 1945 con La chiesa degli Eremitani a Padova. La monografia, curata da Ferdinando Forlati e Maria Luisa Gengaro, rendeva per la prima volta noti alla comunità scientifica internazionale i danni ingenti subìti da uno dei monumenti simbolo del nostro patrimonio storico-artistico e culturale. Con parte delle architetture della basilica patavina andavano infatti perduti per sempre la quasi totalità degli affreschi che Andrea Mantegna aveva eseguito nella Cappella Ovetari verso la metà del XV secolo e di cui oggi ci rimangono solo angoscianti frammenti che possiamo immaginare riuniti in un pietoso puzzle grazie alle campagne fotografiche Alinari – pubblicate nel volume del 1945 – e, ora, al recentissimo restauro [5]. Nonostante la pubblicazione dati al gennaio 1945, e perciò ancora in pieno conflitto, la collana prendeva le distanze dalla letteratura che in precedenza si era già occupata di quei temi e che per prima aveva avuto il merito di porre l’attenzione dell’opinione pubblica sulle distruzioni e sui danni subiti dal nostro patrimonio artistico durante il secondo conflitto mondiale. Si pensi per esempio ai precedenti Distruzioni del patrimonio storico-artistico italiano [6], libello edito a Venezia nell’estate del 1944 con il sottotitolo Barbarie anglo-americane, o al successivo La guerra contro l’arte [7], dato alle stampe quando ormai le truppe alleate avevano oltrepassato la Linea Gotica e si apprestavano a liberare le città oltre l’Appennino tosco-emiliano. Entrambe le pubblicazioni erano parte di un’operazione propagandistica antialleata che sfruttava le devastazioni patite in tutta la penisola come strumento efficace per sensibilizzare la popolazione contro l’avanzata, oramai a quella data inarrestabile, del ‘nemico’. Parole come ‘martirio’, ‘devastazione’, ‘offesa’, ‘mutilazione’, ‘dolore’, ‘distruzione’, ‘barbarie’ ricorrevano ossessivamente nei testi-pamphlet a conferire maggior enfasi al messaggio. Su tutt’altro registro, e tutt’altra impostazione scientifica, la collana diretta da Chierici, interessata alla restituzione delle memoria storica degli eventi in atto, e non la retorica propagandistica. Al volume sugli Ovetari sarebbero poi seguite, segnate dal medesimo spirito documentario, altre fondamentali monografie, come quelle dedicate alla basilica di Sant’Ambrogio e al convento di Santa Maria delle Grazie a Milano, o ancora quella che rendeva note le devastazioni subite del ponte di Santa Trinita a Firenze, e il volume che mostrava al mondo la completa distruzione dell’Abbazia di Montecassino.

Si arriva così al 1947, anno di pubblicazione per il Poligrafico dello Stato di Cinquanta monumenti danneggiati dalla guerra [8] a cui farà seguito La ricostruzione del Patrimonio artistico italiano [9], edito nel 1950: il primo volume raccoglieva i risultati del censimento, attuato dalle diverse Soprintendenze regionali, dei danni subiti dal nostro patrimonio artistico durante gli anni del conflitto; il secondo dava conto dell’avanzamento o la conclusione delle operazioni di ricostruzione e consolidamento dei monumenti distrutti o danneggiati dai bombardamenti angloamericani. Entrambi i volumi erano l’esito di una indagine condotta grazie ai finanziamenti elargiti dal Ministero della Pubblica Istruzione supportati dal contributo dell’Associazione Nazionale per il Restauro dei Monumenti Italiani Danneggiati dalla Guerra, istituzione fondata a Roma nell’estate del 1944 per iniziativa di un gruppo di cultori d’arte, studiosi e di artisti che aveva lo scopo di raccogliere e facilitare la raccolta dei mezzi necessari al restauro dei numerosissimi monumenti e opere d’arte coinvolti nel conflitto. Sebbene infatti il governo italiano si fosse prodigato da subito dopo la fine delle ostilità a reperire danaro da destinare al restauro degli edifici monumentali, tali e tanti erano i disagi patiti da milioni di italiani senza tetto e cibo, che la maggior parte dei fondi a disposizione dovevano essere necessariamente utilizzati per le primarie necessità dei civili e non per le opere d’arte.

Anche per questi motivi l’Associazione, il cui primo presidente fu l’archeologo Umberto Zanotti Bianco (che sarà fra i fondatori di ’Italia Nostra’), decise fin da subito di rivolgere le proprie attività, oltre che alla diretta raccolta di denaro in Italia, alla propaganda all’estero promuovendo, in collaborazione con la Direzione Generale delle Belle Arti e con il Comitato Americano per il Restauro dei Monumenti Italiani, una serie di manifestazioni quali mostre, pubblicazioni, conferenze, film che avevano lo scopo di far conoscere la precaria condizione di molti monumenti su tutto il territorio italiano, e così sollecitare la collaborazione e l’aiuto economico di quanti fra i privati, anche negli Stati Uniti, fossero sensibili all’urgenza di interventi di tutela di un patrimonio culturale che non era soltanto italiano, ma del mondo intero.

Per non dimenticare, perché quanto accaduto possa divenire patrimonio delle generazione future, ma soprattutto sensibilizzare i nostri contemporanei, poco preparati sulle tragiche vicende che in un passato non troppo lontano hanno interessato i monumenti delle loro città, lo scorso anno è stata avviata, grazie alla intelligenza e alla sensibilità della Minerva Edizioni di Bologna, la collana ‘Monumenti in guerra’, un progetto editoriale di largo respiro che si avvale di un comitato scientifico di prim’ordine e che dopo la pubblicazione di Bologna in guerra. La città, i monumenti, i rifugi antiaerei  nel 2010 [10] ha dato alle stampe pochi mesi fa una monografia dedicata da Federica Pascolutti ad Alfredo Barbacci (una presentazione del volume di Pascolutti è in questo stesso numero di Engramma).

  

In programma monografie su città, su singoli monumenti, sui coraggiosi protagonisti della protezione e poi del restauro del patrimonio storico-artistico italiano, nel quadro di un progetto che ha l’ambizione di aprire un nuovo capitolo della riflessione storiografica sul tema e di avviare nuovi, e più che mai necessari, studi. Dopo i primi due volumi la collana ‘Monumenti in guerra’, accoglierà pubblicazioni che indagheranno archivi e documenti relativi a Padova, Modena, Ancona, Napoli, Parma, Venezia, Ravenna, Rimini, Palermo, Ancona, Forlì – solo per citare alcune delle monografie in cantiere.

Anche le macerie possono diventare monumentum, e il senso di quel sacrificio può essere valorizzato e tesaurizzato. E, come scrive nel 1945 il Sovrintendente del Veneto Fernando Forlati, se questo “valesse a rendere gli uomini più saggi e più cauti nello scatenare quel terribile flagello che è la guerra, potremmo anche sperare che così orrendo scempio non sia stato fatto invano” [11]. In programma monografie su città, su singoli monumenti, sui coraggiosi protagonisti della protezione e poi del restauro del patrimonio storico-artistico italiano, nel quadro di un progetto che ha l’ambizione di aprire un nuovo capitolo della riflessione storiografica sul tema e di avviare nuovi, e più che mai necessari, studi. Dopo i primi due volumi la collana ’Monumenti in guerra’, accoglierà pubblicazioni che indagheranno archivi e documenti relativi a Padova, Modena, Ancona, Napoli, Parma, Venezia, Ravenna, Rimini, Palermo, Ancona, Forlì – solo per citare alcune delle monografie in cantiere.

Note
English abstract

Monuments in war is a new book series published by Minerva Edizioni, Bologna. The series aims to recount the tragic facts of World War II from a peculiar and little-known point of view, since only in a few cases the monumental heritage of Italian cities – destroyed and then restored after the conflict – shows plainly to the beholder its troubled, recent, history. The first book of the series, Bologna in guerra edited by Luca Ciancabilla, was published two years ago: the book represents a thorough study of the city, its monuments, and the air-raids during the war years. The second book, Alfredo Barbacci. Il Soprintendente ed il restauratore, by Federica Pascolutti, has been recently published: it is the first monograph about the Superintendent and Conservator of Fine Arts and Monuments of Bologna during the war, responsible of the restorations of churches and historic buildings of the city. Other volumes of the series will be shortly published, in order to outline an ‘atlas’ of the Italian heritage destroyed during World War II.

keywords | Monuments in war; Minerva Edizioni; Bologna; Second World War; Atlas of the destroyed Italian heritage.

Per citare questo articolo / To cite this article: L. Ciancabilla, “Monumenti in guerra”. Per non dimenticare. Presentazione della collana “Monumenti in guerra”, Minerva Edizioni; “La Rivista di Engramma” n. 97, marzo/aprile 2012, pp. 16-22. | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2012.97.0008