"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

81 | giugno 2010

9788898260263

Behrens ad Hagen: cultura e architettura

Marco Biraghi

English abstract

Tra il 1904 e il 1912 Peter Behrens è impegnato – sia pure con frequenza e intensità variabili – ad Hagen, cittadina della provincia industriale della Ruhr, in Westfalia. Chiamatovi da Karl Ernst Osthaus, giovane erede di un piccolo impero industriale e di un ingente patrimonio finanziario, per realizzare la Sala delle conferenze del Folkwang Museum (1904-05), Behrens finirà per ottenere numerosi altriincarichi: alcuni di minor rilevanza, come il soggiorno e la sala da pranzo per H. Deetjens, in Banhofstrasse 51 (1904) (Muthesius 1907), o come il progetto di una rivendita di latte (1905) (Moeller 1991), e altri di importanza decisamente maggiore, come il Crematorio del cimitero di Delstern e le case Schröder, Cuno e Goedecke.

Al di là della disparità di livello qualitativo e della varietà di destinazione e di dimensioni, comunque, quel che contraddistingue nel modo più sostanziale i progetti e le realizzazioni di Behrens di questo periodo (e che costituirà di qui in avanti uno dei tratti distintivi del suo operare) è il fatto che essi presentano le medesime modalità progettuali – e, in alcuni casi, elementi e motivi tra di loro estremamente somiglianti, e financo identici – a prescindere dalla scala alla quale sono impiegati e dal ‘carattere’ degli edifici (pubblico o privato, sacro o profano, ecc.), ovvero dall’uso cui questi sono destinati. Con ciò risulta lasciato a margine (o meglio del tutto disatteso) uno dei fattori ‘determinanti’ e apparentemente imprescindibili dell’architettura moderna, almeno secondo la lettura semplicistica e ‘mitologica’ che ne è stata fatta da molta storiografia del secolo scorso: il ‘feticcio’ della funzione, vale a dire la presunta coerenza tra questa e la forma, la discendenza lineare della seconda dalla prima.

Nel gennaio del 1903 Behrens è nominato direttore della Kunstgewerbeschule di Düsseldorf, città della Ruhr distante all’incirca 60 km da Hagen. A Düsseldorf Behrens insegna le proporzioni come principio d’ordine e di ornamentazione, ovvero un ordine e un ornamento che scaturiscono direttamente dalla misura e dalla geometria.

Nel 1904 Behrens chiama a insegnare alla Kunstgewerbeschule Johannes Ludovicus Mattheus Lauweriks, un architetto olandese che aveva lavorato nello studio di Petrus Cuypers e poi aveva condiviso il proprio studio professionale con Petrus Cornelis de Bazel (Lauveriks 1987). Nell’insegnamento di Lauweriks (cui Behrens affida la cattedra di architettura), oltre alla lezione di Berlage, sono presenti consistenti influenze delle teorie di Jan Hessel de Groot, un insegnante olandese che dedica numerosi importanti studi alla ricerca dell’armonia delle forme attraverso la costruzione geometrica, e di Padre Desiderius Lenz, monaco benedettino fondatore della scuola d’arte di Beuron, che alla geometria attribuisce un carattere mistico e spirituale.

Le griglie geometriche di Lauweriks presentano quadrati ripetuti modularmente con cerchi inscritti e circoscritti. Nell’insegnamento sapienziale di Lauweriks è incluso il concetto della corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, ovvero della fondamentale equivalenza tra scale diverse del progetto (Bilancioni 1991).

Già fin dalla prima opera commissionata a Behrens ad Hagen da Osthaus – la già citata Sala delle conferenze all’interno del Folkwang Museum, opera in stile neo-rinascimentale del Baurat berlinese Carl Gérard, poi completata da Henry van de Velde –, l’influenza di Lauweriks appare con assoluta evidenza. Al di sopra dello spazio della Sala, a pianta quadrangolare (ma con un lato curvo) poggia una cupola, la cui superficie è solcata da geometrici disegni bicromatici: file concentriche di quadrati ciascuno con un piccolo cerchio inscritto che rievocano palesemente i lacunari del Pantheon.

Al centro penzola un grande lampadario circolare. Lo stesso motivo del cerchio inscritto nel quadrato è ripreso nella fascia tridimensionale della ‘trabeazione’ che adorna la parte sommitale delle pareti della Sala, e compare nuovamente come decorazione ‘grafica’ nel fregio del camino in pietra collocato su uno dei lati, accanto alla porta d’ingresso. Cerchi (questa volta ‘raggianti’) compaiono poi come elementi ornamentali isolati, inquadrati al centro delle pareti tinteggiate di scuro e compartite da sottili catenelle graffite in sezioni ancora una volta quadrate.

I convenuti nella Sala vengono così predisposti all’accoglimento di una rivelazione tanto semplice quanto penetrante: la sacralità perenne, potente e severa, dell’ordine geometrico. Un quadrato nel quale è inscritto un cerchio, in cui è inscritto a sua volta un altro quadrato – il tutto attraversato da una quadruplice croce – costituisce la decorazione a sbalzo degli sportelli metallici che chiudono un analogo camino a muro disposto all’interno del Negozio per carta da parati e linoleum Josef Klein, in Elberfelderstrasse 35 (1905-07): un elemento che si accorda (sia pur nella differenza delle scelte cromatiche e dei materiali) con il restante apparato decorativo del negozio, composto da rigorose specchiature rettilinee e da più fatui arzigogoli meandrici in bianco e nero che richiamano la maniera viennese di Josef Hoffmann.

La medesima sequenza di elementi – quadrato, cerchio, quadrato, cerchio, l’uno iscritto dentro l’altro – compare pure al centro del timpano del Crematorio del cimitero di Delstern, sobborgo sud-orientale di Hagen (1905-08). Il progetto origina dalla decisione del Verein für Feuerbestattung (Società per la Cremazione) di Hagen di realizzare in città il primo crematorio di tutta la Westfalia. A fronte del progetto presentato dalla Società, che appariva come un romantico edificio in rovina, Osthaus incarica a proprie spese Behrens di redigere una controproposta. La volontà di Osthaus di riformare l’intero ambiente culturale e fisico di Hagen e l’influenza da lui esercitata sulla città sono ormai tali che il progetto di Behrens riesce a soppiantare quello elaborato dal Verein für Feuerbestattung.

Il crematorio – spazio dell’estinzione terrena, ma anche avviamento alla “ricostruzione” oltremondana – è pensato tipologicamente come chiesa. San Miniato al Monte, a Firenze, sia pure ridotto e semplificato, fornisce a Behrens il modello su cui basare l’articolazione generale e la facciata. (Il progettato colombario – Ospedale degli Innocenti dagli archi quadratizzati – che sarebbe dovuto sorgere alle spalle del Crematorio, non verrà realizzato.) Il “volto semplice e amabile”, dal “sorriso” di una “perfetta lieve grazia”, di cui scrive Rainer Maria Rilke a proposito di San Miniato, viene dunque fatto rivivere da Behrens a Delstern. Manca il caratteristico schema ‘a salienti’, ma permangono la scalinata alla cui sommità si eleva l’edificio, la scansione su sei elementi di sostegno (scuri pilastri tetragoni isolati, anziché semicolonne bianco-verdi sottendenti tonde arcate) e la partizione in cinque della superficie del prospetto, estrazione della matrice quadrata su cui è impostato l’intero crematorio.

Se il quadrato nel rombo nel quadrato – ‘logo’ impresso ovunque a San Miniato – è il ‘codice’ segreto secondo il quale si costruisce dinamicamente la facciata, il quadrato nel cerchio nel quadrato utilizzato da Behrens è un segno fermo, di perfezione inalterabile, che cerca di coniugare il ‘miracolo’ fiorentino rilkiano e la sapienza teosofica di Lauweriks.

Nel solitario triangolo del timpano il cerchio-quadrato attornia l’oculo; mentre sulle facciate laterali è replicato cinque volte in corrispondenza delle finestre. La fine fermezza dell’ornamentazione esterna lineare-geometrica a scomparti (reviviscenza della stagione romanica di San Miniato, del Battistero di Firenze, della Badia fiesolana, non meno che di quella umanistico-rinascimentale di Leon Battista Alberti a Santa Maria Novella e nel Tempietto del Santo Sepolcro nella Cappella Rucellai), originariamente rivestita di pesanti lastre marmoree bianche e nere ma già danneggiata nel 1912 dagli agenti atmosferici, dovrà essere presto sostituita da una monocroma superficie a intonaco bianco-grigio. Lo stesso trattamento subirà la torre-ciminiera a pianta quadrata che affianca il crematorio, memoria depurata del campanile giottesco di Santa Maria del Fiore.

Nell’equilibrata unità del Crematorio coesistono due corpi e due anime: alla liscia superficie geometrica sul fronte principale si contrappone – e al tempo stesso con essa si ‘compone’ – la nuda matericità su quello retrostante e nella fascia basamentale della torre: spirito fiorentino e spirito nordico paradossalmente ravvicinati, coesistenti. Behrens sembra qui svolgere compiutamente e contemporaneamente tesi e antitesi, esasperando le differenze stilistiche tra le due parti per mezzo di minuziose e quasi speculari corrispondenze: così ai pilastri neri e levigati che danno accesso alla porta d’ingresso fanno riscontro le colonne appena sbozzate, più che scavate, ‘incorporate’ nel rozzo bugnato della facciata secondaria; e all’oculo perfettamente rotondo del frontone sulla facciata principale risponde l’ottagono meccanicamente ottenuto per addizione dei rigidi conci litici.

Svolgimento ‘pratico’ dell’unione di natura e spirito teorizzata da Georg Simmel nello scritto su Firenze (Simmel [1906] 1973) è la metà anteriore del Crematorio, al cui stile classico-romanico si oppone lo stile germanico del retro, ove il tema della morte si materializza non in una forma ‘cristallizzata’, assoluta, sapientemente equilibrata da segni ordinatori astratto-geometrici, bensì piuttosto in una forza ineluttabile: forza umana e sovrumana al contempo, che pare plasmare irregolarmente le pareti dall’interno (quasi pietra per pietra), rivelando in tal modo con oscura evidenza il carattere personale, individuale, e insieme fatalmente universale, dell’evento luttuoso.

Ma è soprattutto nell’interno che Behrens predispone la scena del lutto: lutto “stretto”, lutto rigorosamente ‘composto’. Massima risulta qui “la potenza della geometria nell’evocare mondo e morte” (Bilancioni 1980). Come nella Firenze di Rilke, l’uno non manca assolutamente di accompagnarsi all’altra. La balconata che circonda la navata quadrata su tre lati taglia lo spazio interno in senso orizzontale, e istituisce con travi e pilastri e con la balaustra colonnata una trama di semplici intersezioni ortogonali che proiettano tridimensionalmente l’ornamentazione incisa a graffito sulle superfici parietali.

Ma ancora una volta all’ampio repertorio di scatti angolari fornito da rettangoli, quadrati, labirinti e greche si affianca e s’intreccia quello dei cerchi: semplicemente disegnati alle pareti come geroglifici di enigmatica chiarezza, oppure scavati nello spessore dei muri come traslucidi occhi d’alabastro (nuovamente San Miniato!); oppure ancora, finemente traforato come prezioso rosone a copertura della cassa dell’organo (citazione letterale dei rosoni disegnati sulle grandi volute di Santa Maria Novella, ripresa da Behrens anche in occasione della Kunstgewerbeausstellung di Dresda del 1906).

E tuttavia, necessariamente, la scena del lutto deve convivere con il ‘teatro del mondo’: entrambi spazi del Trauerspiel, di quel dramma di cui l’uomo recita qui l’ultimo atto. Sollevato di due gradini al di sopra degli astanti, il protagonista occupa il centro del ‘palco’ (nel gioco scenico della cerimonia funebre la sua denominazione esatta è catafalco). L’ideale diaframma segnato dalle quattro nere colonne di marmo che formano il semicerchio dell’abside (di cui le colonne rustiche sul retro ‘ricordano’ la curvatura) lo mette a contatto con gli ambienti di servizio, vero e proprio retroscena celato agli occhi del pubblico, ove materialmente si consuma la liturgia crematoria.

Nel misuratissimo spazio quadrato riservato alla commemorazione del defunto le pareti listate di nero su fondo bianco o di bianco su fondo nero, i pavimenti zebrati, a onde, a rombi, il soffitto a cassettoni, sono segni perfettamente ambivalenti, valevoli tanto per la severa rappresentazione del cordoglio quanto per una mondanità elegante, aristocratica, soltanto un poco eccentrica, che pure in quegli anni dilagava nelle architetture di Hoffmann e dello stesso Behrens.

Non è un caso, del resto, che lo stesso identico interno (compresa la decorazione del catino absidale, opera di Emil Rudolf Weiss) venga utilizzato nuovamente da Behrens nell’allestimento del Tonhaus Flora, in occasione della Deutsche Kunstausstellung (Esposizione d’arte tedesca) a Colonia, del 1906: dove soltanto poche varianti nei fregi della balconata, oltre all’ampio lucernario in corrispondenza del soffitto e a un pianoforte a coda in sostituzione del catafalco, differenziano lo spazio del lutto da quello della celebrazione mondana.

La medesima coincidenza di segni e senso (ma anche la medesima contraddizione tra di essi) è riscontrabile nella variante a pianta ottagonale del progetto non realizzato per una Chiesa evangelica in Langstrasse a Wehrighausen, Hagen (1906-07), che riprende il modello della Cappella Palatina di Aquisgrana, ma che verrà reimpiegato senza sostanziali variazioni nel Padiglione AEG all’Esposizione cantieristica navale tedesca di Berlino del 1908.

Nel 1906-07, nella città-giardino di Hohenhagen, ai margini orientali di Hagen (lo stesso luogo in cui tra il 1906 e il 1908 Henry van de Velde realizza lo Hohenhof, la sontuosa dimora per Karl Ernst Osthaus), Behrens progetta un gruppo di ville, la nuova sede del Folkwang Museum e un teatrino naturale nel bosco – il tutto organizzato intorno a una piazza quadrata (Goldene Pforte) concepita come un ‘foro artistico’. Del progetto originario verranno portate a termine soltanto tre case (Schröder, Cuno e Goedecke, rispettivamente degli anni 1907-09, 1907-11 e 1910-12). Esse rappresentano una semplificazione, una purificazione e al tempo stesso un superamento del linguaggio neoclassico (alle prime due il giovane Gropius lavora come assistente di Behrens e come direttore dei lavori). Se tuttavia la casa progettata per Willy Cuno rompe con gli stilemi precedenti grazie all’inserimento del corpo-scala cilindrico al centro della facciata principale, alla riduzione delle finestratura e alla forte stilizzazione del cornicione, la casa Goedecke sembra invece seguire le tracce di Karl Friedrich Schinkel nella definizione di un’architettura dall’aspetto aristocraticamente bucolico, ispirato a un’idea di dimora di campagna meridionale, temporalmente sospesa tra romanità e rinascimento. In casa Cuno (come del resto nella casa per Gustav Obenauer, a St. Johann-Saarbrücken, 1905-06), le recinzioni esterne in ferro riprendono il motivo del cerchio e del quadrato, ma questa volta soltanto come motivo apotropaico.

Molto lontano ormai risulta in ogni caso Lauweriks, che pure edificherà una Künstlerkolonie, tra il 1910 e il 1914, ad Hohenhagen, a pochissima distanza dal luogo in cui sorgono le case di Behrens. D’altronde, lo stesso Lauweriks, pur continuando a basare la propria architettura su una matrice geometrica, arriva ad amalgamarvi altrettanto esoterici principî organici e antichissime simbologie solari, e a fondere il tutto in blocchi di pietra bugnata che erompono dai muri formando dirupi, cenge, rigonfiamenti, escrescienze rocciose (Biraghi 1998).

Dal 1907 Behrens è impegnato nella consulenza artistica per l’industria elettrica AEG. Emil Rathenau prende progressivamente il posto di Karl Ernst Osthaus. L’insegnamento appreso negli anni di Hagen verrà proficuamente reimpiegato a Berlino, divenendo l’elemento capace di unificare da un punto di vista ideale i grandi corpi di fabbrica destinati alla produzione di motori e turbine e i materiali grafici, i cataloghi, gli opuscoli pubblicitari degli oggetti AEG: la costruzione di uno spazio che – qualunque sia la sua dimensione e destinazione, e qualunque sia il suo materiale – è per Behrens sempre e comunque ‘sacralizzato’.

In occasione della mostra degli Hagener Silberschmiede (argentieri di Hagen) allestita nel 1911 nel Folkwang Museum di Hagen, viene stampata una cartolina composta con caratteri Behrens-Antiqua. Il fregio che la incornicia – sequenza di cerchi inseriti in un quadrato – è il medesimo che inquadra e delimita lo spazio cerimoniale della navata del Crematorio: in apparenza, un semplice e banale elemento decorativo. Ma per chi non ha mai cessato di credere nell’efficacia concreta della geometria, un segno capace di conformare e di dare ordine.

Riferimenti bibliografici
  • Bilancioni 1980
    G. Bilancioni, Il primo Behrens. Origini del moderno in architettura, Firenze 1980.
  • Bilancioni 1991
    G. Bilancioni, Architettura esoterica. Geometria e teosofia in Johannes Ludovicus Mattheus Lauweriks, Palermo 1991.
  • Biraghi 1998
    M.  Biraghi, J.L.M. Lauweriks. Häuser am Stirnband, Hagen; Haus Stein, Göttingen. La costruzione della Scienza Sacra, in "Casabella" 662-663, 1998, 42-61.
  • Lauweriks 1987
    J.L.M. Lauweriks. Maßsystem und Raumkunst, Krefeld 1987.
  • Moeller 1991
    G. Moeller, Peter Behrens in Düsseldorf: Die Jahre 1903 bis 1907, Weinheim 1991.
  • Muthesius 1907
    H. Muthesius, Landhaus und Garten, München 1907.
  • Simmel [1906] 1973
    G. Simmel, Firenze, in M. Cacciari, Metropolis. Saggi sulla grande città di Sombart, Endell, Scheffler e Simmel, Roma 1973, 191-194.
English abstract

Behrens’ arrival in Hagen, in 1904, was promoted by Karl Ernst Osthaus, who commissioned him to create the conference hall Folkwang-Museum, designed by Henry van de Velde. Shortly afterwards, when the Verein für Feuerbestattung (Society for Cremation) of Hagen decided to build a crematorium, Osthaus appointed Behrens, at his own expense, to draw up a counterproposal to the design presented by the Company, which appeared as a romantic building in ruins. Osthaus’ influence on the city was such that Behrens’ project, of completely different conception, was the more successful and was built between 1906 and 1908. On the contrary, his design for an Evangelist church (1907) was not a success. Within the context of the Hohenhagen garden city (in an area adjacent to that of Hohenhof, on which the rich residence created by Van de Velde for Osthaus stood, and also owned by him), Behrens designed and built three houses: Haus Schröder (1908-9), Haus Cuno (1909-10) and Haus Goedecke (1911-12). Another part of Behrens’ design for Hohenhagen which envisaged the creation of new premises of the Folkwang-Museum, a natural theatre in the woods and other houses, everything organised around a square plaza (Goldene Pforte) conceived as an “artistic forum”. In Hagen, a town in the industrial province of Ruhr, in Westfalia, not only did Behrens have the opportunity to create some of the most significant buildings of the first part of his career, he also entertained relations with some of the most interesting personalities of early 20th century Germany: Karl Ernst Osthaus, first and foremost, industrial and patron of art, but also Johannes Ludovicus Mattheus Lauweriks, Dutch architect and theosophist, called by Behrens to teach at the Kunstgewerbeschule in Düsseldorf in 1904. Having arrived in Hagen in 1909 as director of the Staatliches Handfertigkeitsseminar, Lauweriks was responsible for the renovation of the Osthaus Bank (1910), and designed and built a group of houses known as  “am Stirband”, also commissioned by Osthaus between 1910 and 1914. This led to the determination of a series of combinations and cultural exchanges between Osthaus, Behrens and Lauweriks which – in the case of the latter two – reached a point where they also had constant reflections in the way in which both conceived their operations for Hagen.

keywords | Behrens; Hagen; Architecture.

Per citare questo articolo / To cite this article: M. Biraghi, Behrens ad Hagen: cultura e architettura, “La Rivista di Engramma” n. 81, giugno 2010, pp. 36-48 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2010.81.0016