Pellegrino Prisciani e la pratica teatrale alla corte d’Este di Ferrara*
Andrea Santorio
English abstract
Pellegrino Prisciani (1435-1518) fu sicuramente una delle figure di primo piano presso la corte ferrarese della seconda metà del XV secolo. Archivista presso lo Studio almeno dal 1455 1, fu diplomatico e consigliere di Borso d’Este prima e di Ercole I poi, prezioso collaboratore nella politica di egemonia culturale della corte ferrarese messa in atto dai signori d’Este 2. Il primo rilevante contributo priscianeo in tal senso è notoriamente, in ordine di tempo, l’ispirazione del ciclo del Salone dei Mesi di palazzo Schifanoia, affrescato tra il 1469 e il 1470 da Francesco del Cossa, Ercole de’ Roberti ed altri artisti riuniti attorno a Cosmè Tura in quella che sarà definita 'Officina ferrarese'. Prisciani è riconosciuto universalmente come l’‘ispiratore ipererudito’ del programma iconografico del salone, e da alcuni studiosi, Aby Warburg in primis 3, ne è ritenuto il vero ideatore.
È tuttavia con la signoria di Ercole I d’Este, asceso al seggio ducale nel 1471, che il ruolo di Prisciani diventa davvero di primissimo piano all’interno della corte ferrarese. Svolge ruoli politico-diplomatici di primo piano come podestà nei possedimenti estensi e come ambasciatore a Venezia e alla corte papale di Roma 4; funge da animatore culturale presso Ercole e Isabella procurando loro libri, erudendo i Signori nelle lettere e nelle arti e svolgendo ricerche per conto della corte; traduce dal latino, organizza spettacoli; si occupa attivamente della riscoperta dell’antico nel corso delle sue missioni all’estero. Interessato all’ermetismo e allievo del Regiomontano in quella scienza che era allora costituita sia dall’astronomia che dall’astrologia, svolge il ruolo di astrologo di corte 5, ed è proprio alla cattedra di astrologia di Ferrara che il suo nome rimane indissolubilmente legato negli ultimi anni di vita, dalla scomparsa di Ercole I fino alla morte 6. Altre sfaccettature di una già così poliedrica figura emergono dal manoscritto Spectacula, dove Prisciani si cimenta con il disegno, la trattatistica architettonica e l’archeologia, facendo sorgere interrogativi non ancora risolti riguardo il suo coinvolgimento in attività di tipo architettonico. Una delle possibili chiavi di lettura del contributo di Prisciani all’ineguagliata fioritura culturale ferrarese della seconda metà del Quattrocento è necessariamente da ricercarsi nella fulgida stagione teatrale apertasi e culminata sotto la signoria di Ercole I. Di spirito teatrale sono intessute ampie porzioni degli interventi priscianei, dalla decorazione del salone dei mesi 7 agli adattamenti in volgare dei testi teatrali classici richiesti dal Duca per consentire la messa in scena di quelle che saranno le prime riproposizioni delle commedie antiche dopo oltre un millennio; uno spirito di teatralità pervade le inedite piazze della città rossettiana voluta da Ercole nel 1492 8, ed è nel segno degli spettacoli teatrali che si consumano le celebrazioni dei principali eventi dinastici ferraresi di quegli anni.
Ed è proprio nel segno del teatro che nasce Spectacula, opera che Prisciani dedica a Ercole I affinché questi sia erudito delle “antiche memorie de tal spectaculi de li ioci et de li edificii necessarii a ciò” 9, rispondendo, in sostanza, alla vocazione teatrale di Ferrara voluta dal principe con un’opera di compendio sia per quanto riguarda l’aspetto drammatico che, soprattutto, per quanto riguarda l’aspetto architettonico della pratica teatrale. Per questo motivo nessuna riflessione su Spectacula può prescindere da uno sguardo d’insieme a luoghi, tempi, modalità e ragioni della rinascita del teatro in ambito ferrarese.
La fioritura ferrarese del teatro antico
Nella seconda metà del XV secolo assistiamo a una generale ripresa della pratica teatrale che, se pure prende le mosse dalla tradizione medievale della sacra rappresentazione, si pone in modo sempre più evidente in termini innovativi rispetto a essa. Il progressivo abbandono delle forme tradizionali di teatralità avviene a favore di forme di teatro profane, che vedono da un lato un sempre più sistematico recupero del dramma antico, e dall’altro la messa in scena di pezzi di nuova composizione, prevalentemente d’ispirazione novellistica. Il primo centro di sperimentazione in tale campo è sicuramente la città di Firenze, dove la corte medicea promuoveva da lungo tempo rappresentazioni legate al carnevale; e se lo studio erudito del testo teatrale è prerogativa ferrarese fin dal 1446, data di riapertura dello Studio per opera di Leonello d’Este, è proprio da Firenze che Ferrara importa la pratica del teatro nella sua prima forma di sacra rappresentazione 10. La prima azione teatrale documentata a Ferrara è, infatti, la Lezenda de Sancto Jacobo del 1476, per la cui messa in scena il duca Ercole I chiama in città maestranze fiorentine 11: non è quindi un caso che si tratti di uno spettacolo assai simile a quanto si vedeva a Firenze in quegli anni, con la grande importanza assegnata all’impatto scenografico e la presenza, in parallelo al tema sacro, di molti temi profani.
D’altra parte, il Duca rivendica immediatamente l’autonomia culturale ferrarese rispetto a Firenze, imponendo alle sacre rappresentazioni successive una svolta in chiave umbra, la cui tradizione contemplava un sentimento religioso assai più spiccato e genuino. La sacra rappresentazione ferrarese diventa quindi immediatamente ‘dramma liturgico’ che coinvolge tutta la cittadinanza: se, infatti, l’interpretazione dei brani liturgici della vulgata scelti in successione logica adeguata alla costruzione del dramma è affidata ai professionisti della schola cantorum ducale, per gli intermezzi in volgare, più propriamente profani, vengono scelti attori dilettanti di estrazione popolare 12. È tuttavia con il 1486 che assistiamo alla vera e propria svolta culturale: il 25 gennaio, infatti, Ercole I promuove a Ferrara la rappresentazione dei Menaechmi di Plauto, primo dramma dell’antichità a essere messo in scena dopo il tramonto del teatro collegato all’avvento dell’era cristiana. Si tratta di una mossa di capitale importanza, con cui il Duca riafferma vivacemente il primato culturale ferrarese sulle corti italiane ed europee, proponendo Ferrara come modello di erudizione e indipendenza (va detto, anche politica) in un’Europa sconvolta da guerre ed intrighi 13. Allo spettacolo assistono principi, ambasciatori ed eruditi di tutta Italia, invitati per l’occasione dal Duca in persona; è l’inizio di una fervida e gloriosa, ancorché breve, stagione in cui Ferrara porta in scena commedie plautine alla presenza della corte e di un pubblico straniero rigorosamente selezionato. Assiste anche la cittadinanza ferrarese: il diarista riporta “persone dexemila, a vedere” 14, anche se in realtà probabilmente non si contano più di tremila persone 15; si tratta, a ogni modo, di un’affluenza di massa della popolazione urbana.
La commedia, prima rappresentazione rinascimentale di un testo teatrale antico, è scelta personalmente dal Duca e allestita nel Cortile Vecchio del Palazzo Ducale. In questo senso i Menaechmi del 1486 possono essere considerati paradigmatici rispetto a tutte le seguenti iterazioni di festival classici cui Ercole I lega la propria signoria. Nelle restituzioni delle commedie, gli intellettuali della Corte “funzionano come un’équipe di tipo e ritmo industriale” 16; i motori dei singoli progetti sono il Duca e Isabella, che scelgono personalmente i testi da cui trarre le rappresentazioni da proporre, designano gli attori, supervisionano la produzione di costumi e scenografie, e chiedono agli esponenti dello Studio Ferrarese rapide traduzioni dal latino per poter rivendicare attraverso l’uso del volgare l’individualità ed autonomia di Ferrara nel fare teatro, in aperta opposizione a Firenze (pure, con l’eccezione notevole costituita dall’Orfeo di Poliziano) e Roma 17. Stando alle descrizioni dei due diaristi ferraresi l’allestimento rimanda a un’idea spaziale di teatro sacro medievale: una gradinata scoperta e, di fronte, una scena a luoghi deputati multipli e giustapposti, allineati su un unico palcoscenico sviluppato in larghezza; al centro tra le due impalcature, un’area aperta a disposizione del pubblico e dell’azione. Si evince che il teatro ferrarese degli esordi non nutre presunzioni formali di tipo classicheggiante: più semplicemente il teatro sacro è spostato dalla piazza al cortile e ridimensionato in base agli spazi disponibili. La grande differenza, tuttavia, è nell’intenzionalità: le cinque case “merlade con fenestra et uso per ciascuna18" non hanno più l’eterogeneità didascalica della sacra rappresentazione, ma diventano deliberata raffigurazione della città in quanto tale 19. In altre parole, la prima rappresentazione comica del rinascimento ha bisogno di essere collocata su uno sfondo che riassuma tutta la città, intesa come entità ideale e omogenea, su uno sfondo che sia una vera e propria scaena comica ante litteram.
Ercole non solo non esclude i cittadini dagli spettacoli di Corte, ma fa costruire in cortile una struttura adatta a contenere, almeno in parte, la cittadinanza ferrarese. Prima del 1486, infatti, ogni festa, a partire dal Carnevale sino alle rappresentazioni sacre di Pasqua o in onore di San Giorgio, apparteneva al popolo, così come erano del popolo i teatri eretti in piazza, con tribune rudimentali e lunghi palchi, allineati alla facciata del Duomo o alle botteghe del Palazzo del Comune. Con i Menaechmi del 1486, il teatro della città di Ferrara è letteralmente portato all’interno della corte estense, nel contesto di un’operazione culturale guidata direttamente dal principe. L’operazione si ripete nel 1487 con le rappresentazioni del Cefalo di Niccolò da Correggio e dell’Amphitruo di Plauto, ospitate nel Cortile Nuovo del Palazzo. Le circostanze sono però differenti: se pure il tempo è quello di carnevale, le rappresentazioni sono legate anche ai festeggiamenti per le nozze di Lucrezia d’Este con Annibale Bentivoglio 20. Si rivela qui la dicotomia tra i due contesti che segneranno tutta la parabola dei festival classici ferraresi: da una parte vi sono i festeggiamenti del carnevale, feste dell’intera città, dall’altra le occasioni dinastiche, nelle quali i signori d’Este pongono sotto i riflettori la pratica del teatro classico come una politica culturale ben precisa strettamente legata alla corte ferrarese. Come sottolinea Elena Povoledo, gli spettacoli del 1486-87 costituiscono un unicum per la compresenza, a livello sostanzialmente paritetico, della dimensione cittadina e della dimensione cortigiana 21; l’appropriazione della pratica teatrale da parte della corte (anche in termini di location) finirà negli anni successivi per separare sempre più il teatro classico dal teatro cittadino.
A partire dal 1490 le recite si iniziano a tenere in spazi coperti, sostanzialmente alla sola presenza della corte. La separazione tra la piazza e la corte avviene in nome del teatro classico 22: all’interno della Sala Grande la gradinata, di non più di nove gradoni, si dispone su tre lati ad imitazione di una rudimentale cavea di teatro all’antica; la scena è allestita sul lato corto, onde lasciare uno spazio adibito ai macchinari, gli spogliatoi e gli spazi di servizio. La tensione verso la forma fisica del teatro antico è sempre maggiore e non è intaccata dal temporaneo congelamento delle iniziative teatrali dovuto ai lutti della famiglia d’Este tra 1493 e il 1499 e alla calata di Carlo VIII 23: con la ripresa degli spettacoli nel 1499 la gradinata per il pubblico è ormai curva ai lati. La forma di questa primitiva cavea, che probabilmente ormai vede l’influenza di un Prisciani consulente di corte anche in materia di teatro, altro non è che “la cristallizzazione della spontanea disposizione a cerchio del pubblico, come in piazza attorno a un cantastorie” 24.
L’originaria piazza della sacra rappresentazione, però, con il suo apparato didascalico e allegorico è ormai una realtà lontana: le rappresentazioni ferraresi, che fin dal principio erano anche pretesto per fare sfoggio di ricchezza davanti agli ospiti stranieri e al popolo mediante il numero e la qualità delle comparse, dei loro costumi e delle scenografie, vedono un’intensificazione proprio di questa pratica di messa in scena degli spettacoli che porterà, nel Cinquecento, a una sostanziale popolarizzazione della pratica teatrale ferrarese 25. Principale espressione di tale fenomeno è indubbiamente la progressiva crescita in importanza degli intermezzi musicali (le moresche): collocati tra un atto e l’altro della commedia, o in momenti in cui il testo richiede un cambio di scenografia particolarmente impegnativo, costituiscono fin da subito una grande attrattiva degli spettacoli ferraresi. Inizialmente sono meri stacchi di musica strumentale, ma ben presto si evolvono con l’aggiunta di canti e coreografie fino a diventare veri e propri balletti con soggetto proprio, spesso a carattere licenzioso, e divengono ben presto l’attrattiva principale dello spettacolo, spingendo sempre più in secondo piano l’intento più serio ed erudito della messa in scena delle commedie plautine 26. Esemplari in questo senso sono i fastosi spettacoli del 1502, tenuti in occasione delle nozze di Alfonso d’Este con Lucrezia Borgia. Il luogo delle rappresentazioni è in questo caso spostato per ragioni organizzative alla sala delle udienze del Palazzo della Ragione (ora non più esistente); nella forma classicheggiante la cavea semiellittica, quasi certamente ispirata da Prisciani, prelude ormai a un teatro stabile, cui forse Ercole I pensava; e la scena infine è urbana, quindi ‘comica’, composta da camere praticabili da cui escono i carri per le moresche 27.
Alla morte di Ercole I, avvenuta nel 1505, si chiude la stagione degli spettacoli classici: il suo successore Alfonso, infatti, pur continuando nella tradizione degli spettacoli ferraresi in Sala Grande, prediligerà drammi di stesura contemporanea, dove la natura novellistica prevale sull’intento drammatico antico. La tensione verso la materializzazione dell’edificio teatrale continua comunque a crescere con l’introduzione, nel 1508, della prima scena prospettica a opera di Pellegrino da Udine che viene così a creare una forma elementare di teatro cinquecentesco, con cavea a emiciclo e scena prospettica. E vent’anni dopo sarà proprio Alfonso I a giungere, nel 1529, all’edificazione del primo teatro stabile d’Europa sotto la direzione di Ludovico Ariosto.
Può essere utile, allo scopo di chiarire in modo sintetico le relazioni tra le occasioni, i luoghi e le modalità degli spettacoli ferraresi, tentare la costruzione di una tabella riassuntiva come quella proposta di seguito.
La base per la schematizzazione è stata tratta da quanto elaborato da Anna Maria Coppo 28, con l’integrazione di ulteriori dati provenienti dai Diari Ferraresi 29, come indicati da Elena Povoledo 30. L’arco di tempo considerato copre il periodo in cui sono messi in scena i drammi antichi (evidenziati in grigio); per completezza sono riportate anche le sacre rappresentazioni e gli altri tipi di spettacoli teatrali.
CALENDARIO DEGLI SPETTACOLI TENUTI A FERRARA NEGLI ANNI 1486-1503
Anno |
Data |
Rappresentazione |
Occasione |
Luogo |
Scena |
1486 |
25 gennaio |
Menaechmi di Plauto |
Carnevale |
Cortile vecchio |
5 case, carro mobile con nave di Anfitrione |
1487 |
21 gennaio |
Cefalo di Niccolò da Correggio |
Nozze di Lucrezia d’Este con Annibale Bentivoglio. |
Cortile nuovo |
“Un tribunale che parea un castello” |
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25 gennaio |
Amphitruo di Plauto |
Idem. Interrotto e rimandato per maltempo |
Cortile nuovo |
5 case, cielo meccanico a ruote |
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5 febbraio |
Amphitruo di Plauto |
Idem. Recupero del 25 gennaio. |
Cortile nuovo |
5 case, cielo meccanico a ruote |
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5 febbraio |
Le fatiche di Ercole (pantomima) |
Nozze di Lucrezia d’Este con Annibale Bentivoglio. |
Cortile nuovo? |
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1489 |
16 aprile |
Passione |
Piazza |
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24 aprile |
Resurrezione |
Piazza |
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1490 |
10 febbraio |
Curculio di Plauto |
Nozze di Isabella d’Este con Francesco Gonzaga |
Sala grande |
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1491 |
13 febbraio |
Menaechmi di Plauto |
Nozze di Alfonso d’Este con Anna Sforza |
Sala grande |
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14 febbraio |
Andria di Terenzio |
Nozze di Alfonso d’Este con Anna Sforza |
Sala grande |
|
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15 febbraio |
Amphitruo di Plauto |
Nozze di Alfonso d’Este con Anna Sforza |
Sala grande |
Carro mobile |
1492 |
6 maggio |
Comedia de Hipolito e Lionora di Pachino |
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21 maggio |
Dramma mescidato novellistico |
Recitano: Anna Sforza e don Giulio d’Este |
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1493 |
22 maggio |
Commedia di Ercole Strozzi |
Visita di Ludovico il Moro e Beatrice d’Este |
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24 maggio |
Menaechmi di Plauto |
Visita di Ludovico il Moro e Beatrice d’Este |
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1497 |
? |
De conversione Sancti Augustini di P. Domizio |
Capitolo generale degli Agostiniani |
Convento degli Agostiniani |
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28 marzo |
Passione |
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1499 |
7 febbraio |
Eunuchus di Terenzio |
Carnevale |
Città con case merlate su asse di legno |
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10 febbraio |
Trinumnus di Plauto |
Carnevale |
Città con case merlate su asse di legno |
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|
11 febbraio |
Poenulus di Plauto |
Carnevale |
Città con case merlate su asse di legno |
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1500 |
23 febbraio |
Eunuchus di Terenzio |
Carnevale? |
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27 febbraio |
Captivi di Plauto |
Carnevale? |
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1 marzo |
Asinaria di Plauto |
Carnevale? |
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3 marzo |
Mercator di Plauto |
Carnevale? |
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1501 |
31 gennaio |
Captivi di Plauto |
Visita di Beatrice d’Aragona, regina d’Ungheria |
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21 febbraio |
Pseudolus di Plauto |
Carnevale? |
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23 febbraio |
Menaechmi di Plauto |
Carnevale? |
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1502 |
3 febbraio |
Epidichus di Plauto |
Carnevale; Nozze di Alfonso d’Este con Lucrezia Borgia |
Palazzo della ragione: sala delle udienze |
Città murata, con 6 “camere” praticabili, merlate |
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4 febbraio |
Bacchides di Plauto |
Carnevale; Nozze di Alfonso d’Este con Lucrezia Borgia |
Palazzo della ragione: sala delle udienze |
Città murata, con 6 “camere” praticabili, merlate |
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6 febbraio |
Miles gloriosus di Plauto |
Carnevale; Nozze di Alfonso d’Este con Lucrezia Borgia |
Palazzo della ragione: sala delle udienze |
Città murata, con 6 “camere” praticabili, merlate |
|
7 febbraio |
Asinaria di Plauto |
Carnevale; Nozze di Alfonso d’Este con Lucrezia Borgia |
Palazzo della ragione: sala delle udienze |
Città murata, con 6 “camere” praticabili, merlate |
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8 febbraio |
Casina di Plauto |
Carnevale; Nozze di Alfonso d’Este con Lucrezia Borgia |
Palazzo della ragione: sala delle udienze |
Città murata, con 6 “camere” praticabili, merlate |
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? |
Passione |
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1503 |
19 febbraio |
Aulularia di Plauto |
Carnevale? |
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21 febbraio |
Mustellaria di Plauto |
Carnevale? |
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23 febbraio |
Eunuchus di Terenzio |
Carnevale? |
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27 febbraio |
Menaechmi di Plauto |
Carnevale? |
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14 aprile |
Passione |
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20 aprile |
Annunciazione |
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30 aprile |
Adorazione dei Magi |
Spectacula e gli allestimenti ferraresi
Alla luce della pratica teatrale ferrarese è ora finalmente possibile tentare una lettura del contributo priscianeo all’operazione erculea. Il trattato Spectacula è composto da Prisciani su espressa richiesta di Ercole I, che al fidato consulente culturale chiede un’opera che gli consenta di venire erudito delle “antiche memorie de tal spectaculi de li ioci et de li edificii necessarii a ciò” 31; il tutto, ovviamente, nell’ottica di una continuativa riproposizione delle commedie antiche presso la corte ferrarese. È spiegato molto bene nell’analisi di Aguzzi Barbagli premessa all’edizione di Spectacula da lui curata come il lavoro di Prisciani sia consistito in un montaggio critico di varie fonti, da lui considerate autorevoli rispetto al tema trattato 32. Esse sono il De architectura di Vitruvio, cui Prisciani dedica un rispetto e una considerazione decisamente preminente di fonte ‘di prima mano’, in quanto trattato antico di architettura, il De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, la Roma instaurata di Flavio Biondo e, in misura minore, la Naturalis Historia di Plinio. In pratica, nella stesura di Spectacula Prisciani interroga sul tema del teatro antico le più importanti fonti reperibili, mettendo passaggi paralleli a confronto, riflettendo sulle ragioni dei vari trattatisti in forma sia testuale che (cosa rilevante) grafica, esprimendo e giustificando preferenze, il tutto in un’ottica personale che si riflette nella struttura dell’opera.
Lodevole e abbastanza singolare è il fatto che Prisciani tendenzialmente non accetti acriticamente quanto proposto dalle fonti, ma si sforzi di comprenderne le motivazioni nel desiderio di permettere una ricaduta strettamente pratica di quanto raccoglie e scrive: il trattato deve servire al principe come testo di erudizione ma anche come manuale da consultare per la risoluzione delle problematiche che si trova via via ad affrontare in rapporto alla politica teatrale ferrarese. Di conseguenza Prisciani si sforza il più possibile di chiarire i passaggi oscuri e di fornire soluzioni, meglio se filologicamente corrette. Sarebbe però scorretto leggere quanto scritto in Spectacula senza tenere bene a mente gli esiti della pratica ferrarese di quegli anni. E proprio in relazione a quest’ultima trovano senso alcune evidenti inesattezze e incongruenze di quei passi di Spectacula che fanno riferimento all’allestimento del teatro, i quali, se pure lasciano perplesso il conoscitore della trattatistica architettonica antica e protoumanistica, sembrano rimandare proprio alla pratica teatrale erculea.
Esemplare a questo proposito è il recto della carta 6, uno dei passaggi più difficoltosi di Spectacula, dove Prisciani ricostruisce la struttura dello spazio scenico romano come era descritto da Vitruvio e dall’Alberti. Il pulpitum romano è spiegato come un palco alto da terra circa due metri, “tuto un piano, nondimeno diviso era in tre partite” 33, cioè tre zone: quella confinante con l’area destinata agli spettatori e riservata ai posti d’onore 34, detta orchesta (sic!), quella mediana “mediana in la quale li iocatori li combatenti et tuti li altri introducti se exercitavano” 35, definita proscenio, e l’ultima “dove erano le ripresentate habitatione” 36, individuata come scena. Già Zorzi nota come Prisciani interpreti scorrettamente Vitruvio non identificando l’orchestra greca con la platea latina, bensì considerandola una ristretta zona destinata al pubblico a ridosso del palcoscenico (in pratica una tribuna per i magistrati e gli ospiti di riguardo), talmente a ridosso da risultare parte integrante di esso; in Vitruvio, ciò che più si avvicina a quanto appena descritto è la proedria 37, la prima fila della cavea, destinata ai posti d’onore.
Avendo così definito l’orchestra, egli individua come cava e gradatione quelle che, nel teatro latino, erano rispettivamente l’orchestra e la cavea; il proscenio è quindi individuato in una zona posta fra la scena e l’orchestra, anziché nella 'fascia' verticale che funge da zoccolo dell’intero palco. Il passaggio successivo della carta 6, relativo al pulpitum, conferma l’interpretazione della suddivisione spaziale priscianea: il palco, infatti, non è da lui strutturato su un unico livello, ma su due o tre: “Non era semper tuto questo tribunale cum questi sopradicti tri loci de uno piano solo, ma alcuni de dui altri de tri, como de sopto demostrato” 38.
Prisciani descrive poi la zona sul fondo, ovvero la scena, utilizzando quanto dice Vitruvio per la frons scaenae e per la scena comica, ma riassumendole in un ‘frontespizio’ monumentale:
Et adornavasse de colone, solari et da quali se potesse arivar da l'uno ne l'altro ad imitatione de case, cum ussi, porte et cum una in megio si como rigale per ornamento de templi et da quale potessero descendere et ascendere li personati et actori dele scene sicomo recerchassero le fabule 39.
Gli elementi della frons scaenae sono intepretati come ‘solari’, cioè quinte, riproducenti edifici ornati di colonne e timpani alla romana, tra loro intercomunicanti e praticabili a più livelli. Tutto ciò effettivamente corrisponde alla disposizione degli spazi nelle rappresentazioni ferraresi: una gradinata per il pubblico seduto, uno spazio intermedio per il pubblico in piedi, una tribuna d’onore ai bordi del palco, distanziata dalla scena vera e propria che prende il resto del palco 40. Secondo i calcoli della Povoledo, basati sul confronto delle prescrizioni priscianee in Spectacula, nei Menaechmi del 1486 la gradinata che ospita il pubblico conta al massimo 16 gradoni, per una profondità di 13 metri, e contiene quindi non più di 1500 persone 41.Una lettura di questo tipo ripropone in termini problematici il rapporto cronologico fra il trattato di Prisciani e gli spettacoli della corte erculea. In altre parole: viene prima Spectacula e le messe in scena degli anni 1486-1503 sono state realizzate di conseguenza, o Prisciani riassume e sistematizza le caratteristiche dei luoghi allestiti per il teatro che lui stesso magari aveva in passato ispirato?
I termini della questione riguardante la datazione di Spectacula sono molto ben riassunti da Danilo Aguzzi Barbagli, che accoglie le argomentazioni di Rotondò e Povoledo 42. La collocazione temporale della stesura del testo è da individuare, in senso lato, negli anni della signoria di Ercole I, cui è dedicata l’opera – e cioè tra il 1471 e il 1505. Restringendo il campo, un terminus post quem sono sicuramente i Menaechmi del 1486, anche in relazione alla disponibilità fisica a Ferrara dei testi che Prisciani utilizza nella stesura del trattato 43; l’inserimento del rilievo del Colosseo tra i disegni inoltre potrebbe far slittare la datazione a un momento successivo il 1501 44, anno in cui Prisciani si trattiene lungamente a Roma in qualità di diplomatico presso lo stato pontificio. Confrontando tali considerazioni con la cronologia degli spettacoli ferraresi, emerge come tutte le datazioni proposte per Spectacula dalla maggioranza degli studiosi siano in realtà da collocare successivamente ai primi, umanisticamente più fulgidi, spettacoli teatrali, andando a cadere in concomitanza con il periodo di popolarizzazione del teatro ferrarese, con l’importanza sempre maggiore data alle moresche (con il loro caravanserraglio di danzatori in costumi sfarzosi) rispetto al dramma vero e proprio che queste andavano ad inframezzare 45. Questa collocazione temporale è analoga a quella della comparsa di scritti teorici sul teatro in età ellenistica, periodo in cui la pratica teatrale del mondo greco (specialmente quella tragica) era in crisi e l’azione del coro nell’orchestra andava a staccarsi sempre più da quanto avveniva sulla scena, divenendo mero intrattenimento musicale.
Viene dunque da chiedersi quale sia l’intento dietro Spectacula: se si tratti semplicemente di uno strumento formulato a uso e consumo di Ercole I per essergli d’aiuto nell’organizzazione di future rappresentazioni ferraresi, o se invece non sia, piuttosto, un’opera auspicante la ripresa e il rafforzamento di un ormai trascurato modello antico; se Ercole I non stia pensando in quegli anni a un teatro stabile 46 e l’intento di Prisciani sia quindi strettamente architettonico; e infine se la descrizione dei tanti ‘luoghi di spettacolo’ desunti dai trattatisti antichi (Vitruvio) e moderni (Alberti e Biondo) non implichi la velleità di trasformare Ferrara in luogo principe del teatro, teatrale in ogni aspetto – intento, quest’ultimo, al quale si vedono allusioni già nel ciclo di affreschi di Schifanoia del cui programma iconografico il Prisciani è universalmente considerato l’autore.
Il teatro nella città e la città nel teatro
Se è vero che uno degli scopi di Spectacula è quello di sistematizzare le conoscenze architettoniche relative all’edificio teatrale in vista di una possibile realizzazione futura, è anche vero che Prisciani, curatore del testo, molto probabilmente non fu architetto 47, o perlomeno non lo fu nel senso proprio del termine. E tuttavia, con gli architetti del suo tempo Prisciani condivide, in parte, metodi, istanze ed alcune riflessioni sulla città. In primo luogo, lo studio delle ‘antiche memorie’ è inteso come momento primario per la conoscenza e la ripresa del modo di fare, architettonico e teatrale, degli antichi; ‘antiche memorie’ sono le fonti letterarie dirette e indirette (Vitruvio, Plinio, Alberti, Biondo) e archeologiche viste, fatte misurare e ridisegnate di prima mano 48. Lo stesso uso sistematico del disegno come strumento di ragionamento e verifica 49 segnala un’impostazione molto ‘architettonica’ – non sorprende quindi il fatto che una pianta di Ferrara di fine Quattrocento, riportante l’espansione di Borso d’Este e l’Addizione erculea progettata da Biagio Rossetti (secondo alcuni su ispirazione priscianea 50), sia stata tracciata proprio dalla mano di Prisciani. In secondo luogo, l’impostazione di Spectacula che vede negli edifici dell’antichità, e specie nel teatro all’antica, un modello di civitas classica prelude in modo netto a quelle che saranno le istanze dei trattatisti e degli architetti del Cinquecento 51: la città moderna deve fondarsi su un recupero consapevole e sistematico della pratica antica. E anche per Prisciani l’oggetto di interesse diventa, per estensione, tutta la città, riflettendo anche nella sua riflessione sugli spettacoli l’estensione semantica del termine che dà il titolo al trattato proposta dai trattatisti. Il termine Spectacula che dà titolo al trattato è probabilmente derivato da Leon Battista Alberti 52, che nell’ottavo libro del De re aedificatoria, al capitolo settimo, apre la sua discussione dei luoghi destinati allo spettacolo affermando:
Venio ad spectacula (…) Spectacula fere omnia structam cornibus ad bellum aciem imitantur; constantque area mediana, in qua ludiones pugiles iuga et eiusmodi exerceantur, et gradationibus in quibus spectatores consideant 53.
Questo passo riemerge in traduzione nel trattato priscianeo: il vocabolo albertiano spectacula viene reso con il sostantivo volgare di “spettacoli”, impiegato da Prisciani con vari significati 54. Uno è naturalmente quello proprio – con il termine Spectacula indica quindi, nel loro insieme, i più diversi tipi di azioni drammatiche e sceniche e, per inclusione, anche i più svariati tipi di manifestazioni ludiche che prevedano la presenza di spettatori. In secondo luogo, Prisciani allarga il significato del termine fino a fargli comprendere anche gli edifici e, in generale, i luoghi nei quali si può assistere a rappresentazioni drammatiche e ludi agonali. Già in Vitruvio si legge “A maioribus consuetudo tradita est gladiatoria munera in foro dari 55”: sulla base di considerazioni di questo genere Prisciani sposta ed allarga i significati del termine spectacula/spettacoli, arrivando ad includere nei ‘luoghi per lo spettacolo’ anche tipi edilizi quali il foro, il portico, le logge, i colonnati – in sostanza la città stessa nella varietà delle sue componenti urbanistiche viene tutta a trasformarsi in potenziale luogo di spettacolo 56.
La piazza moderna, secondo questa lettura priscianea, torna ad acquistare funzioni che potevano aver luogo nel foro in età classica: diventa il luogo per un genere di spettacolo che si differenzia da quello drammatico e che, pur dimostrandosi di tipo spettacolare, può acquistare particolare importanza a livello sociale e politico. Ciò non sarebbe in contraddizione con letture di vari episodi della storia culturale ferrarese di quell’epoca fatte da studiosi come Zorzi, che legge un apporto tecnico ed ideologico priscianeo legato al teatro sia nella decorazione del salone dei mesi di Schifanoia che nell’ideazione dell’addizione erculea. Schifanoia, decorata tra gli anni 1469 e 1470, si colloca decisamente prima rispetto all’esplosione del fenomeno teatrale a Ferrara: lo stesso Ercole I, principale motore della politica del teatro, siede sul seggio ducale solo nel 1471. Tuttavia, in molti dipinti del ciclo, in primis nei mesi di aprile, luglio e settembre, gli sfondi su cui si collocano le scene hanno caratteristiche riconducibili alle scenografie urbane che, più di quindici anni dopo, avrebbero caratterizzato gli spettacoli ferraresi. Paradigmatiche in questo senso sono le disposizioni delle case rappresentanti Roma sullo scudo di Enea nel mese di settembre, edicole monofore allineate frontalmente come le case in cui svolgeva lo spettacolo della tradizione medievale; ovvero, nel mese di aprile, il sistema di piani su cui si collocano azioni ed edifici di sfondo in un modo che sembra quasi anticipare le configurazioni descritte da Prisciani nella sua interpretazione del pulpitum vitruviano. In sostanza, la città del salone dei mesi a Schifanoia sarebbe già, nell’intenzione di Prisciani, una città ‘scenografica’, in quanto corrisponderebbe all’impianto della ‘scena di città’ che veniva elaborandosi sullo sfondo delle rappresentazioni delle commedie latine con continuità fino all’arrivo degli interventi innovativi di Ariosto 57. E non si tratta affatto di una città ideale. La città rappresentata a Schifanoia e sulle scene degli spettacoli classici di Ferrara è un compromesso tra vecchio e nuovo, tra il medievale e l’antico; analogamente, è dalla dialettica tra pratica medievale e pratica antica, di cui Prisciani è promotore, che nasce il teatro rinascimentale, come è dalla simbiosi tra spazialità medievale e rigore prospettico dei tracciati geometrici che nasce l’Addizione erculea cui Biagio Rossetti lavora, forse prestando orecchio a Prisciani, per oltre un ventennio dal 1492 58. Ed è proprio l’ambiente ferrarese nel suo insieme a impregnarsi di teatralità configurandosi come ‘visorio’, luogo da cui vedere ed essere visti, città del teatro, e sede di un teatro della città 59. Tale idea di teatro è apertamente espressa da Prisciani quando scrive:
Sono adunche alcuni spectaculi ne li quali poeti comici, tragici, satyrici et simili altri se travalgiano et li loci de questi se chiamano theatri perchè si como quelli primi agricoli in li giorni feriari celebravano soi sacrificii a diversi soi dei per boschi, campagne et ville, cusì li Athenisi prima tal aggreste principio revolgendo in spectaculo urbano lo chiamoreno theatro cioè visorio [nota a margine ‘θεῶμαι – video’] nel quale stando grandissima turba dala longa ancora senza impedimento alcuno vedesse et potesse anche esser vista 60.
Già nella visione di Prisciani dunque la scena teatrale ferrarese e la città si specchiano l’una nell’altra, nascono nello stesso ambiente culturale e si rafforzano a vicenda. Si tratta del processo che porterà, nel giro di qualche anno, alla scena prospettica della Cassaria ariostea del 1508: lì, infatti, l’idea della città come di un tutto unico e omogeneo diventerà spazio scenico tridimensionale universale, perdendo valenza comica o tragica. In quest’ottica la scena all’aperto della città diventa un ‘grembo scenico’ che tutto accoglie e relaziona 61: ogni tipo di vicenda umana trova sfogo e spazio nella città, ed è più facile così per lo spettatore l’immedesimarsi nella rappresentazione. La lezione priscianea del luogo di spettacolo come ‘visorio’ ossia spazio in cui vedere ed essere visti, è perfettamente assorbita nel momento in cui la scena teatrale rimanda specularmente l’immagine della città 62, la vita cittadina della Corte si manifesta nel farsi festa del teatro, e lo spettatore guarda, in definitiva, se stesso e le sue strade cittadine sul palco.
* Questo scritto costituisce la rielaborazione di una ricerca condotta dallo scrivente con Elisabetta Crucil, Alessia Cudicio e Valentina Rita Gregianin al corso di Fonti greche e latine per lo studio dell’architettura tenuto all’Università IUAV di Venezia nell’anno accademico 2007-2008. Molte riflessioni di carattere generale sono state condotte in modo seminariale in aula; lo scrivente riconosce un debito particolare nei confronti di Federico Cavallaro e Francesco Lanza per quanto riguarda il rapporto tra Pellegrino Prisciani e l’architettura.
Note
[1] Rotondò 1960, p. 70.
[2] Aguzzi Barbagli 1992, p. 10.
[3] Warburg 1966 [1912/21].
[4] Rotondò 1960, p. 70.
[5] Rotondò 1960, pp. 73-74; Ferrari 1982, p. 432.
[6] Aguzzi Barbagli 1992, p. 11.
[7] Zorzi 1977, pp. 11-15.
[8] Zorzi 1977
[9] Pellegrino Prisciani, Spectacula, f. 2v.
[10] Ruffini 1987, p. 131.
[11] Coppo 1968, p. 35.
[12] Coppo 1968, p. 36.
[13] Coppo 1968, p. 30; Padoan 2006 [1996], p. 12.
[14] Diari ferraresi, pp. 171-172.
[15] Povoledo 1974, p. 108.
[16] Ruffini 1982, p. 388.
[17] Ruffini 1982, pp. 396-397.
[18] Diari ferraresi, pp. 171-172.
[19] Povoledo 1974, p. 114.
[20] Diari ferraresi, pp. 179-180.
[21] Povoledo 1974, p. 115.
[22] Povoledo 1974, p. 115.
[23] Povoledo 1974, p. 118.
[24] Tafuri 1976, p 31.
[25] Coppo 1968, pp. 33-34.
[26] Coppo 1968, p. 35.
[27] Povoledo 1974, pp. 118-119
[28] Coppo 1968, pp. 37-39.
[29] Diari Ferraresi, p. 171 e seg.
[30] Povoledo 1974, pp. 107-121
[31] Pellegrino Prisciani, Spectacula, f. 2v
[32] Aguzzi Barbagli 1992, pp. 13-30.
[33] Pellegrino Prisciani, Spectacula, f. 6r.
[34] Povoledo 1969, p. 373.
[35] Pellegrino Prisciani, Spectacula, f. 3r.
[36] Pellegrino Prisciani,Spectacula, f. 6r
[37] Zorzi 1977, p. 12.
[38] Pellegrino Prisciani, Spectacula, f. 6r.
[39] Pellegrino Prisciani, Spectacula, f. 6r.
[40] Povoledo 1974, p. 110.
[41] Povoledo 1974, p. 110.
[42] Rotondò 1960, p. 72; Povoledo 1968, pp. 368-369; Aguzzi Barbagli 1992, pp. 12-13.
[43] Zorzi 1977, p. 13.
[44] Rotondò 1960, p. 70; Aguzzi Barbagli 1992, p. 10.
[45] Coppo 1969, pp. 37-39.
[46] Povoledo 1974, p. 119.
[47] Aguzzi Barbagli 1992, p. 17.
[48] Ferrari 1982, p. 438.
[49] Ferrari 1982, p. 439.
[50] Zorzi 1977, p. 7.
[51] Ferrari 1982, p. 434.
[52] Aguzzi Barbagli 1992, p. 13.
[53] Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, VIII, 7.
[54] Aguzzi Barbagli 1992, p. 21.
[55] Vitruvio, De architectura, V, 1, 1.
[56] Aguzzi Barbagli 1992, p. 22.
[57] Zorzi 1977, p. 24.
[58] Zevi 1960, p. 29; Zorzi 1977, p. 7.
[59] Ferrari 1982, pp. 444-445.
[60] Pellegrino Prisciani, Spectacula, 2v.
[61] Povoledo 1974, p. 128.
[62] Ferrari 1982, p. 445.
Riferimenti bibliografici
Fonti
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English abstract
Pellegrino Prisciani (1435-1518) is considered to be one of the leading figures at the court of Ferrara during the second half of the fifteenth century, and is well renowned for his work as archivist, diplomat and cultural adviser to Dukes Borso d'Este first and Ercole d'Este then. His work Spectacula is a treatise depicting the places and buildings for spectacles as described by Vitruvius, Alberti and Flavio Biondo and can be read as a contribution to the theatrical tradition recently flourished in Ferrara under Duke Ercole I. No wonder if the manuscript is expressly dedicated to the Duke, in order for him to become literate about the ancient habits and buildings for spectacles, in a time when Ferrara was inaugurating the modern revival of classical theatre. Prisciani’s efforts in the interpretation of Vitruvius’ descriptions have to be read side by side with the accounts of the plays that were performed on in Ferrara during the rule of Ercole I, as Prisciani’s primary goal was to provide rules and practical solutions in order to raise the spectacles of those years to the level of the ancient ones, granting them an internationally high cultural profile. In this sense, many of his misinterpretations on the subject of the spatial organization of the theatrical building reflect the real situation in Ferrara, where the theatrical tradition, even when 'new' in terms of ancient content, was directly derived from that of medieval passion plays. It is significant that Prisciani includes among the buildings for spectacle public structures such as arcades and squares, probably in line with a vision envisaging the whole city (more specifically Ferrara), as the new theatrical scene: a place for spectators and spectacles, where the city itself is represented on stage and becomes stage of the shows.
keywords | Pellegrino Prisciani; Spectacula; Ferrara; Theatrical buildings; Public space.
Per citare questo articolo / To cite this article: A. Santorio, Pellegrino Prisciani e la pratica teatrale alla corte d’Este di Ferrara, “La Rivista di Engramma” n. 85, novembre 2010, pp. 110-121. | PDF