"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

80 | maggio 2010

9788898260256

Definire il Rinascimento

Intervista a Nicola Gardini sul volume Rinascimento, Einaudi, Torino 2010

a cura della Redazione di Engramma

English abstract

Redazione di Engramma | Come è nata l’idea di questo saggio? E perchè un titolo così secco, così assertivo: Rinascimento?

Nicola Gardini | Cominciamo dal titolo. Intendevo scrivere un libro che fornisse una definizione del cosiddetto Rinascimento e, dunque, Rinascimento alla fine mi è sembrato il più adatto, senza l’articolo, affinchè il libro sembrasse quasi una voce enciclopedica. In realtà, altri titoli mi erano passati per la mente prima, più descrittivi. O sottotitoli, come Tempo e coscienza storica nella cultura del Rinascimento. Ma, anche parlando con l’editore, mi sono reso conto che l’utilizzo del termine assoluto per titolo mi consentiva di mettere sotto gli occhi del lettore fin dalla soglia l’urgenza del problema.

RE  | Un problema, appunto, di definizione, ma anche di periodizzazione…

NG | Certo. Sul significato della parola 'Rinascimento' nessuno è più tornato di recente. E questa disattenzione ha determinato estensioni spropositate e applicazioni assurde del suo significato, tanto che ormai Rinascimento o Renaissance non significa più nulla in molti contesti. Indica semplicemente un periodo di tempo, più o meno esteso. Ed è spesso un semplice sinonimo di sedicesimo secolo. In certe riviste accademiche americane il Rinascimento può spingersi fino alla metà del diciassettesimo secolo. A questa vaghezza temporale si aggiunge la pretesa di universalità geografica. Il Rinascimento sarebbe cosa europea, nota a tutti gli stati, a tutti i governi, dalla Spagna alla Russia.

RE | E per Lei chiaramente non è così.

NG | No, non è affatto così. Prima di tutto, il Rinascimento è una cultura e non un periodo, ed è espressione di una realtà geografica particolare, l’Italia. Avviene, certo, in un dato tempo, ma non va identificato tout court con quel tempo, che contiene molte altre espressioni culturali (io rifiuto senz’altro la tendenza di molti studi a confondere cultura e cultura bassa, benchè abbiano lo sponsor di un critico geniale come Bachtin). Il Rinascimento è la cultura delle classi alte, delle classi governanti, ed è un insieme di manifestazioni artistiche e letterarie che, trasmettendo discorsi sull’uomo, legittimano o autorizzano il potere. Il Rinascimento contiene qualcosa di utopico, perchè parla a nome di individui o gruppi che ambiscono a durare politicamente e a mantenere la propria gloria presso i posteri. Parla con la pretesa di continuare a parlare oltre l’occasione contingente che ha provocato la prima parola.  

RE | Lei dà una durata abbastanza breve al Rinascimento… Questa è senz’altro una delle novità di Rinascimento.

NG | Sì. Il Rinascimento italiano finisce praticamente con il 1527, cioè con il trauma del Sacco di Roma. Guicciardini rappresenta il culmine del Rinascimento. Lo storicizza addirittura nelle prime pagine della sua Storia d’Italia.

RE | E Michelangelo, l’artista rinascimentale per eccellenza, dove va a finire?

NG | Michelangelo non è sempre rinascimentale. Il Rinascimento, infatti, non è una condizione metafisica nè una realtà concreta. Nè un individuo appartiene tutto a una cultura. La lunga vita di questo straordinario artista e poeta è una successione di svolte che a un certo punto non sono più riconducibili alla cultura umanistica della Firenze laurenziana in cui si era formato. Il genio di Michelangelo sta nell’aver risposto con straordinaria prontezza agli stimoli delle metamorfosi culturali, senza fossilizzarsi su una maniera, nonostante il passare degli anni. Michelangelo è l’artista che invecchia biograficamente ma non smette di rinnovarsi. Dopo Guicciardini comincia un’altra mentalità, di cui Michelangelo è un rappresentante, lo stesso Michelangelo che aveva scolpito il David e il Bacco. Cambia il potere, cambiano i discorsi, cambia il modo di fare letteratura… E Michelangelo mostra benissimo la 'mutazione', per usare una parola di Bandello.

RE | Ecco, parliamo del modo in cui Lei tratta la letteratura. Il Suo è un libro che parla di letteratura, eppure non è propriamente un saggio sulla letteratura e sugli autori rinascimentali…

NG | Proprio così. Come ho detto, il Rinascimento è una cultura, cioè una mentalità, un sistema di metafore, di simboli, di ossessioni, di immagini ricorrenti… Queste io volevo mettere in evidenza, anche concettualizzarle, quando mi pareva che ciò non fosse stato fatto. E mi sono servito della letteratura come di una fonte o meglio di un 'sistema di indizi' – visto che rifarsi alla letteratura per ricostruire un modo di pensare comporta un grande impegno interpretativo (e anche qualche rischio), nessun elemento valendo di per sè ma dovendosi riportare a un contesto tutto da teorizzare. Nessuno l’ha fatto finora, o almeno non in questo modo. E molto c’è ancora da fare in questo senso. Il mio libro è solo un inizio, anche per me. Diciamo che, senza una vera e propria volontà programmatica, ho avvicinato lo studio della letteratura alla storia delle idee o culturale, come oggi si preferisce dire. Ho citato e commentato moltissimi autori e passi letterari, ma il mio approccio non è mai stilistico, benchè io venga proprio dalla stilistica. Anche dalla lettura di passi celebri ho cercato di ricavare suggerimenti su un certo modo di pensare, su una certa immaginazione.

RE | Viene in mente la Sua rilettura, molto nuova e molto convincente, del volo di Astolfo sulla luna…

NG | Sì, quello è un buon esempio del mio modo di procedere. Il volo di Astolfo è uno dei massimi momenti della mente rinascimentale – oltre che della creatività ariostesca: è un’allegoria del viaggio nel tempo passato. Il viaggio di Astolfo inscena la scoperta dell’antico.

RE | Questa scoperta è la caratteristica essenziale del Suo Rinascimento.

NG | Sì, certo. E mi sono molto impegnato a rivelare riprese e citazioni di fonti classiche. Ma il Rinascimento non scopre solo l’antichità: scopre la storicità di ogni azione e di ogni corpo. Per questo ho dedicato anche un lungo capitolo alla nascita della storiografia e un altro allo sviluppo della scrittura autobiografica. Il Rinascimento colloca qualunque manifestazione della vita nel flusso dei giorni. Ciò determina un affinamento degli strumenti critici, ma anche il sorgere di una sensibilità malinconica, di molti pensieri sulla deperibilità e sulla perdita di tutto. C’è d’altra parte, oltre alla malinconia, la gioia del recupero. Il Rinascimento – sempre ambivalente, come tutte le vere culture, che sono dotate di un corpo ma anche di anticorpi – oscilla tra la disperazione della perdita definitiva e l’entusiasmo del ritrovamento e del restauro. Questo si vede molto bene in vari passi dei primi archeologi, dei primi storici e dei filologi. Il mito più caratteristico del Rinascimento è quello di Ippolito: il bel corpo ingiustamente smembrato, ma poi ricomposto e salvato, quindi pronto a una nuova vita. Molta della semantica culturale del Rinascimento sta in questa dialettica tra smembramento e reductio ad unum.

RE | Ariosto è sicuramente il campione del Suo Rinascimento

NG | Vero. Ariosto fa la parte del leone nel mio racconto. Il libro si chiude con un richiamo alla sua produzione comica. E gli do anche un posto di rilievo nel capitolo sull’autobiografia per Le Satire. Il Furioso contiene le caratteristiche più importanti del Rinascimento, prima di tutto il pensiero della dissoluzione, congiunto a un titanico sforzo di contenimento. Io ho sicuramente un’idea tragica del poema, pur vedendone anch’io in più punti la fin troppo celebre ironia. Ma ho anche un altro campione, Poliziano, sul quale avrei in mente di scrivere perfino un romanzo. L’Italia è stata molto ingiusta con lui, fin da subito. E invece è uno dei suoi migliori. E poi c’è anche Enea Silvio Piccolomini, autore di pagine meravigliose, interprete geniale della nuova cultura. I suoi Commentarii sono un libro fondamentale, ovviamente ancora poco frequentato. Nè manca Machiavelli o Guicciardini.

RE | Castiglione, invece, non sembra occupare posizioni di rilievo.

NG | Il libro di Castiglione è un distillato del Rinascimento. Lo cito più volte. Ho anche individuato, mi pare, una possibile fonte finora sfuggita di un suo passo che tratta del rapporto tra luce e ombra. Ma i miei esempi li ho voluti prendere soprattutto da zone poco battute della letteratura o magari, secondo me, fraintese o non abbastanza capite, come certi passi di Ariosto o le Stanze di Poliziano. Cito, non a caso, anche molte opere in latino. E questa è un’altra novità del mio approccio: abolire qualunque distinzione tra Umanesimo e Rinascimento e considerare il Rinascimento per quello che di fatto fu, ossia una cultura bilingue. Anche Ariosto, e questo spesso si dimentica, fu poeta in latino, e tutt’altro che insignificante.

RE | Lei dice a un certo punto che il Rinascimento non va confuso con la sua etimologia…

NG | Sì. La metafora della rinascita non spiega assolutamente quello che il Rinascimento è per noi, cioè una svolta nella concezione del tempo. Il termine è certo autorizzato dagli stessi rinascimentali, che sentivano rinascere vuoi le arti vuoi la letteratura antica vuoi la felicità. Ma se si parla di rinascita in generale, il Rinascimento non è certo la sola rinascita che l’Occidente abbia conosciuto. Di rinascita parla già la letteratura antica. Noi, per forza, abbiamo e dobbiamo avere un’idea non semplicemente palingenetica del concetto. Il Rinascimento è una cultura nuova – rinascita o non rinascita. Questo è il punto. E la sua novità incontestabile sta in una riforma sistematica degli approcci e degli strumenti conoscitivi, fondata sulla delegittimazione del paradigma metafisico e sullo studio della storia umana e della temporalità, passata e presente. Il Rinascimento non a caso inventa la scienza politica. Anche questa è storia: un modo cioè di determinare i fatti. Il Rinascimento è sempre bifronte: guarda indietro, ma pensa a come si debba o possa andare avanti. Quando le circostanze storiche (invasioni e distruzioni) tolgono ogni fiducia nel futuro, il bifrontismo si spezza. Resta lo sguardo rivolto indietro. Ma non è più Rinascimento. Non è più ottimismo, non è più la capacità di intervenire sul presente o di pensare che lo studio possa ancora assistere. L’ultimo a crederlo è Machiavelli. Guicciardini gli dà torto, e non si sbaglia.

RE | Warburg, Wind, Panofsky… Il Suo libro presenta molti punti di tangenza con i loro scritti. Ma non ci figurano che di sfuggita.

NG | È così. Ho deciso di limitare fin da subito i riferimenti bibliografici al minimo, benché la bibliografia alla fine sia diventata molto corposa (e molto personale). Ma cito già nei ringraziamenti, in segno di una certa affezione intellettuale, il Warburg Institute per avermi aperto le sue porte proprio quando stavo appena cominciando a scrivere (ho cominciato dal capitolo sull’autobiografia). Warburg e gli altri sono autori che non si possono semplicemente citare, ma che richiedono confronti meditati, studi particolari, riflessioni ponderate e lunghe… Non era possibile trattarli come meritavano nel libro che andavo scrivendo. Ho pensato di parlare di loro nel capitolo iniziale sulla fortuna del concetto di Rinascimento. Ma avevo un numero limitato di pagine. L’editore mi aveva chiesto di fornire un libro di 200-220 pagine. Ne sono uscite più di 300.

RE | E adesso?

NG | Beh, c’è ancora molto da fare. Mi piacerebbe sviluppare alcune idee, soprattutto a partire dagli ultimi due capitoli, che sono sull’imitatio e sulla varietas. Di imitatio mi occupo fin dagli anni del dottorato americano. In Rinascimento ho cercato di mostrare che si tratta di un’impostazione gnoseologica, non solo di un procedimento compositivo o di un’estetica letteraria, come nella tesi giovanile. Vorrei sviluppare ulteriormente il discorso in questa direzione. E poi c’è da scrivere Dopo il Rinascimento. Occorre affrontare la cultura del Tasso, che è rimasto fuori. E quella del Michelangelo innamorato.

English abstract

Rinascimento provides a reassessment of the notion of 'Renaissance' and a definition of what should be intended by this term, which all sorts of temporal/geographical extensions, nationalistic agendas and semantic metaphorizations have reduced over the centuries to an empty container of most disparate ideas and hypotheses. As the book shows in eight coherently interrelated chapters, the sense of change, various emblems of temporal decay and distance (ruins, lost objects, remnants, ancient literature), and the emergence of a modern historical consciousness constitute the backbone of the Renaissance. Gardini’s Renaissance is quintessentially Italian and lasts from Petrarch’s days until the death of Guicciardini, its peak being the early decades of the 16th century, namely the period preceding the Counter-Reformation. However, the Renaissance is far from being an epoch or a moment in time. It is rather a culture, that is a dymanic set of ideological images and conceptual contents which literature fashions in highly symbolic representations. The Renaissance is the culture of the courts and the ruling classes. It is elitist, has little or nothing at all to do with popular culture, is based on a philological interpretation and systematization both of the fragmentary past and of the ever-changing present, and is modelled after paradigms extracted from ancient literature. Against some critical positions in modern criticism (mostly held by militant medievalists), Gardini strongly believes in the existence of a distinct culture to be called the Renaissance. His point is that by Renaissance one should not merely intend the rebirth of culture. This 'etymologycal' approach (pet hate of medievalists) has been vastly practiced in the past and has produced only propaganda or, in response, sterile critiques. Indeed, exceeding emphasis over the etymology of the term has inevitably obliterated the actual meaning of the culture which one should designate by it. Renaissance is not rebirth (obviously a lot was reborn before Petrarch, starting from antiquity), but – pace its detractors – it is definitely modernity, that is a new culture, whose novelty lies not simply in the will to be novel (that was part of the historical consciousness of the early Renaissance literati) but in a completely original and revolutionary understanding of human life as subjected to historical change.The texts discussed (Petrarch, Poliziano, Ariosto, Castiglione, Machiavelli, Guicciardini, but also less known humanists, alongside Greek and Latin sources) are treated as pieces of cultural – that is not strictly literary or stylistic – phenomenology. The book rejects all conceptual distinctions between Renaissance and Humanism and considers them as one bilingual culture. Overall, the book may be considered a contribution to the history of ideas and of the classical legacy. Also, it provides original close readings of literary texts (including celebrated passages like Astolfo’s flight to the moon in Ariosto’s Orlando furioso) and innovative interpretations of some classics (like Poliziano’s Stanze or Orlando furioso itself). While studies on specific aspects of the Renaissance abound, very little or virtually nothing has been written on the meaning of the Renaissance as a historical and cultural category (or construction). Indeed, the term recurs almost universally as an uncritical synonym of modernity or a generic and rather flexible (and therefore useless) temporal designation. Rinascimento intends to fill this lamentable lacuna and proposes ways to correct gravely misleading approaches to historical and literary knowledge.

keywords | Rinascimento by Nicola Gardini, interview, Renaissance.

Per citare questo articolo/to cite this article: Redazione di Engramma, Nicola Gardini (a cura di), Definire il Rinascimento. Intervista a Nicola Gardini sul volume Rinascimento, Einaudi, Torino 2010, “La Rivista di Engramma” n.80, maggio 2010, pp. 38-43. | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2010.80.0012