"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

39 | febbraio 2005

9788898260959

Alessandro il Grande come Cristo in due manoscritti armeni

Fabrizio Lollini

English abstract


 

0. La tradizione illustrativa delle vicende di Alessandro Magno presenta quasi sempre – in tutte le tradizioni linguistiche in cui la si reperisce: dal latino al greco all’armeno – un legame stretto col narratum dello scritto; come molto spesso accade, il corredo visivo a pennello non svolge tanto una semplice funzione di repertorio decorativo, ma entra in modo decisivo a commentare e a chiarire quanto raccontato, in forme tipiche di tutta la produzione libraria medioevale. I fatti esposti hanno necessità di un’esplicitazione visiva, in cui il responsabile della mise en page programma il rapporto testo-immagine secondo strategie basate sull’anticipazione delle seconde rispetto al primo, o su uno ‘scioglimento’ successivo, talvolta in modo sottile, talaltra secondo procedimenti più banali e scontati, e più dipendenti da convenzioni librarie di tipo tecnico che non da specifiche opzioni percettive. Il materiale non può di necessità godere in modo scontato di una conoscenza pregressa esaustiva, come nel caso dei testi liturgici, o comunque a carattere religioso, e anzi, nel caso specifico della biografia del Macedone, detiene un valore particolare di merveille, di un’attraente fascinazione, cioè, in cui l’esotico, l’inaspettato, l’inconsueto – ma anche l’esasperatamente lussuoso – mettono in campo sollecitazioni non ovvie.

Lo sforzo di trascrivere visivamente il contenuto del testo è dunque forte, e deve per forza accompagnarsi a situazioni comprensibili, in un gioco di sfasatura tra la specificità del tema e modelli percettivi fruibili (e, nel caso, ri-fruibili). Da una parte, non è pensabile che il lettore non possa ritrovare nel codice ausili alla sua completa metabolizzazione del racconto; e così si spiegano le didascalie che in alcuni codici accompagnano le illustrazioni, ma anche le parificazioni del ‘distante’, dell’‘altro-da-sé’, a conoscenze più dirette, e quindi i costumi, le armi, gli edifici che assumono di volta in volta le fattezze dell’hic et nunc del contesto in cui viene realizzato il libro, con Alessandro che – di volta in volta – veste i panni di un qualsiasi comandante militare italiano del XIII secolo (magari di foggia crociata) o di uno degli imperatori del tardo periodo paleologo, di cui vengono riprese pure alcune specificità delle ambientazioni architettoniche. Dall’altra, bisogna tener conto che i decoratori, sia in Occidente che nell’area bizantina o bizantineggiante dell’est Europa, ben difficilmente dovevano elaborare per questi scritti, come detto diffusi ma non tanto quanto altre tipologie (religiose, o – solo per alcune aree – legate allo studio universitario), e appunto di alta difficoltà esegetica, un corredo illustrativo ad hoc, ogni volta che andassero incontro alla necessità di illustrarne una copia. Quindi, esistevano senz’altro dei modelli repertoriali; talvolta, semplicemente ci si doveva limitare addirittura a trascrivere un programma iconografico già eseguito, proprio come il testo veniva esemplato da un antigrafo acquisito. In questo contesto, anche solo – quindi – per motivi meramente concreti, poteva riuscire utile rifruire in un diverso contesto modelli iconografici e compositivi di più facile reperimento, e di più comoda applicazione, che, con poche e opportune modifiche, si adattavano alla nuova collocazione: il ricorso più ovvio è quello all’ambito religioso, in cui – data l’estrema frequenza di occasioni di committenza – le occasioni di elaborazione di repertori dovevano essere copiose; una Natività di Cristo può essere adattata alla Nascita di Alessandro, come un Cristo tra i dottori può divenire un Alessandro tra i sapienti, con agio.

Ma se è senz’altro vero che il reimpiego di modelli e di schemi iconografici polivalenti risponde, innanzi tutto, a una ragione di economia di sfruttamento del repertorio in uso, è anche vero che, a questa prima spiegazione minima e funzionalistica si può incrociare un’ipotesi più elaborata, di volontaria e intenzionale cristianizzazione dei temi pagani. È il meccanismo noto come interpretatio christiana, secondo cui, fin dal III secolo d.C., figure e temi storici e mitologici dell’antichità classica e postclassica sono rivisitati e tradotti in chiave cristiana, o a volte assunti letteralmente come prefigurazioni profetiche di figure e temi della nuova religione. Nel caso specifico, la biografia del Macedone si prestava in modo particolare a essere letta e interpretata come preannuncio della vicenda cristologica: la nascita ‘miracolosa’ del bambino per divino concepimento, l’infanzia e l’adolescenza costellata di prodigi, la morte a trentatre anni erano gli elementi chiave per l’istituzione di un parallelismo tra episodi della vita di Alessandro ed episodi della vita di Cristo. E proprio il testo del Romanzo di Alessandro – opera elaborata nei primi secoli dell’era cristiana su materiali storici e leggendari più antichi – era già stato rivestito, fin dalle versioni del IV secolo d.C., di una molto evidente patina cristianizzante: Alessandro viene presentato nel Romanzo come campione di una, anacronistica, Divina Provvidenza che guida le sue scelte e segna la direzione della sua impresa. D’altronde sarà proprio questo l’innesco che consentirà che molti secoli più tardi, nelle versioni romanze e cavalleresche dell’antico Romanzo ellenistico, Alessandro sia presentato a tutti gli effetti come un paladino, e le sue imprese e conquiste vengano trascritte come le tappe di una cerca della verità, sotto la guida diretta di Dio.

Due codici miniati armeni si prestano allora a un esame a questo proposito; nel primo, il ricorso al reimpiego di modelli è evidente e reiterato, ma lambisce solo la questione dell’eventuale traslazione del messaggio religioso alla figura di Alessandro, nel secondo – invece – quest’ultimo dato è davvero palese.

1. Ben noto ormai alla letteratura specializzata sulla miniatura della zona armena, il ms. 424 della Biblioteca del Monastero Mechitarista di San Lazzaro a Venezia, col Romanzo di Alessandro, fu secondo alcuni realizzato in Cilicia; tradizionalmente, la sua datazione viene quasi sempre posta, anche di recente, nel corso del XIV secolo (in questo caso, come abbiamo già avuto modo di scrivere, più probabilmente nella sua seconda metà, per alcune aperture più attente alla resa corretta dello spazio e la stessa stesura pittorica; ovviamente la questione va lasciata agli specialisti di questo contesto linguistico e culturale, prima che storico-artistico, in cui la tendenza alla persistenza cronologica, per motivi non solo di stabilità stilistica dal punto di vista puramente ‘estetico’ ma anche e soprattutto, appunto, repertoriali, è peraltro fortissima). Il realizzatore, in toto, del volume è identificabile dalle note che compaiono nelle pagine del codice nel diacono Nerses (diversamente che in Occidente, infatti, le professionalità di copista e miniatore tendevano ad essere accorpate e, nel caso specifico delle questioni che stiamo discutendo, ciò rendeva più facile lo svolgimento della connessione tra il programma figurato e lo scritto, che infatti entra assai spesso in dettaglio). Il racconto della vita e delle gesta di Alessandro costituisce uno dei pochi esempi in area armena di decorazione libraria laica, di cui sono note molte copie, che presentano il testo elaborato da Khachatur Kecharetsi, che si era basato sulla versione dello Pseudo-Callistene (non abbiamo, appunto, la competenza per stabilire se la forma in cui lo si rammenta nel testo di questo esemplare sottintende, come presuppone certa bibliografia, che il codice venne realizzato prima della sua morte, ciò che renderebbe impossibile una datazione troppo inoltrata nel XIV secolo). Le numerosissime scene a corredo del testo sono spesso racchiuse in una semplice e sottile cornicetta rossa, che ingloba figure e ambientazioni distaccandole dallo scritto; al contempo, entro ogni riquadro, una dettagliatissima didascalia, pure rubricata, espone il contenuto di quanto raffigurato.

Anche solo a un primo riscontro, si nota una netta tendenza a visualizzare in modo del tutto simile – quasi sovrapponibile – gli episodi di analoga tipologia, in cui il confezionatore del volume poteva tranquillamente riciclare più volte i prototipi grafici che, come già presupposto sopra, aveva evidentemente a sua disposizione (fossero sciolti o inglobati in un repertorio omogeneo e completo), come risulta di particolare evidenza nelle scene in cui compare l’esercito a cavallo o nelle battaglie. Questa soluzione, monopolistica in area orientale, è del tutto comune anche nell’illustrazione libraria dell’Occidente, ed è dovuta all’inopportunità concreta da parte dell’artista di elaborare tanti schemi differenti quanti sono gli episodi narrati, soprattutto nel caso di versioni – per richiesta della committenza – particolarmente ricche di immagini. Anche il repertorio delle numerose presenze mostruose che il racconto impone non credo fotografi un’elaborazione personale, quanto il riuso di modelli acquisiti, come dimostra qualche confronto con il pur successivo, e ben noto, taccuino di modelli ms. 1434 della stessa biblioteca veneziana, databile globalmente al periodo di inizio XVI secolo, e preziosa testimonianza dell’operatività delle botteghe dell’est (il codice, che mostra la conoscenza di fatti non solo armeni, ma di tutta l’area bizantina e bizantineggiante d’Oriente, è stato riferito a un solo maestro principale, oltre a pochi interventi più scadenti).

In questa Vita di Alessandro, la rifruizione di modelli iconografici cristiani è forse intuibile in certi episodi; si veda la scena del parto di Olimpia (c. 8r), che sembra recuperare appunto non la totalità compositiva, ma singoli elementi della Natività di Cristo, o l’idea di una sorta di Ultima Cena (c. 117r), a compimento delle vicende che precedono la morte del protagonista.

  

Natività di Alessandro, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. Kourdian 280, c. 12r

Deposizione di Dario, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. Kourdian 280, c. 88r

Ultima cena a Babilonia, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. 424, c. 117r

 

Parto di Olimpia, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. 424, c. 8r

Ultima cena a Babilonia, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. 424, c. 117r

L’impressione, nel caso, sembrerebbe comunque quella di uno sfruttamento puramente utilitaristico, più che di una volontà di lettura cristologica della biografia del Macedone.

2. Da un nostro primo intervento di qualche anno fa, non ha incontrato ancora molta fortuna bibliografica una seconda, più tarda, versione armena del Romanzo di Alessandro, anch’essa conservata a San Lazzaro; il codice che la riporta si può collocare già ben entro il XVI secolo, per la precisione – come suggerito in modo esplicito nelle sue pagine – al 1526. Il volume, mutilo (una delle carte mancanti, numerata originariamente M2, risulta conservata alla Research Library di Dumbarton Oaks), reca la segnatura ms. Kourdian 280. Appartenne infatti al mecenate Haroutiun Kourdian, che, assieme al resto della sua ricca collezione, lo destinò – alcuni decenni fa – alla sede mechitarista veneziana. Le numerose miniature figurate, opera di Grigoris Althamartsi, sono di fattura ben meno controllata dal punto di vista della qualità formale, ma alcune risultano come vedremo di particolare rilevanza dal punto di vista iconografico; la loro collocazione sulla pagina è variata: in alcuni casi le troviamo inserite in una cornice, in altri sono del tutto libere; vi è inoltre grande abbondanza di motivi decorativi a pennello collegati direttamente al testo, come bordi marginali e iniziali.

Già nel primo episodio (c. 9v), la figura di Olimpia ricorda da vicino certi prototipi di Madonne stanti, che conosciamo in ambito pittorico orientale e che ritornano anche nel già citato taccuino 1434.

 

Maria, da Taccuino per artisti, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. 1434, c. 15v

Olimpia, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. Kourdian 280, c. 9v

Ma è nella nascita di Alessandro a c. 12r che emerge la portata delle scelte iconografiche del decoratore: non solo la composizione della scena è evidentemente esemplata su una Natività di Cristo, ma anche la veste di Olimpia appare analoga a quella che in tanti codici armeni, non solo di questo periodo, viene attribuita alla Vergine; come già detto in apertura, quanto ci sia di comodo adattamento repertoriale e quanto, invece, di cosciente cristianizzazione di un tema ‘classico’ è dilemma che si potrebbe risolvere solo grazie a esplicite, quanto improbabili a ritrovarsi, attestazioni della committenza o dell’esecutore.

 

Natività, da Taccuino per artisti, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. 1434, c. 19r

Natività di Alessandro, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. Kourdian 280, c. 12r

Ma abbastanza clamorosamente la stessa Olimpia appare addirittura aureolata nell’immagine di c. 15v, dove è a colloquio con l’ancor giovanissimo figlio.

Alessandro adolescente e la madre Olimpia, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. Kourdian 280, c. 15v

E ancora: la scena di c. 17v ci mostra una lezione in cui si può riconoscere Aristotele – secondo la tradizione uno dei sapienti che formò Alessandro – mentre impartisce insegnamenti ai suoi allievi; il filosofo è pure dotato di aureola; questo fatto, in apparenza strano, trova forse motivazione nella sua assimilazione compositiva a una di quelle figure di Evangelista allo scrittoio che spesso aprono (anche nello stesso ambito armeno) le versioni illustrate della tipologia testuale a esse relativa.

Alessandro e altri discepoli a lezione da Aristotele, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. Kourdian 280, c. 17v

La caratterizzazione sacrale cristianizzata, peraltro, si mantiene anche in riferimento al protagonista: un Alessandro aureolato cavalca un Bucefalo rampante, per esempio, alla c. 67v.

Alessandro e Bucefalo, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. Kourdian 280, c. 67v

Ma d’interesse ancora maggiore ai fini di questo discorso è lo svolgimento narrativo e compositivo della serie di immagini relative alla fine di Dario (Morte, Deposizione Funerale, in successione alle cc. 87r, 88e 88v), con imprestiti a mio parere evidenti dall’iconografia sacra, che si confermano a c. 139r, dove la Morte di Alessandro, ancora, riprende questa tendenza.

  

Morte di Dario, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. Kourdian 280, c. 87r

Deposizione di Dario, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. Kourdian 280, c. 88r

Funerali di Dario, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. Kourdian 280, c. 88v

Morte di Alessandro, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. Kourdian 280, c. 139r

3. La dipendenza da modelli repertoriali pertinenti a episodi sacri appare dunque sicura, al di là del riconoscimento di un univoco legame di derivazione, difficile da tentare per i motivi accennati in apertura. Ma come già ricordato, il ms. Kourdian 280 sembra almeno condividere col ms.1434 della stessa Biblioteca di San Lazzaro un’aria – per così dire – di familiarità, in generale; e, appunto, anche qualche raffronto più diretto, in particolare. Che il gioco delle storie conservative abbia portato due oggetti come questi a ritrovarsi dopo tanto tempo nello stesso luogo dopo aver avuto una storia antica parallela è molto improbabile: pure, uno dei mostri che si vedono nella Vita, quello di c. 75v, è ripreso pressoché senza modifiche da quello che nel taccuino campeggia alle cc. 11v-12r (esposto alcuni anni fa addirittura alla mostra dedicata ad Arcimboldo, per i suoi elementi caleidoscopici e immaginifici).

 

Mostro ibrido, da Taccuino per artisti, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. 1434, cc. 11v-12r

Mostro ibrido, Venezia, Biblioteca di San Lazzaro degli Armeni, ms. Kourdian 280, c. 75v

Il fatto si potrebbe spiegare come due esempi elaboratisi in modo poligenetico da modelli comuni, come peraltro non impossibile in un contesto fortemente conservatore e tradizionalista, anche sulla lunga durata, come quello in cui i due manoscritti vennero realizzati, in cui immagini del genere abbondano. E in ogni caso quello che interessa non è tanto evidenziare una liaison fisica e concreta, impossibile appunto da certificare; quanto notare da un lato l’appartenenza a un’abitudine visiva comune, e dall’altro la conferma delle consuetudini repertoriali che governavano l’attività dei miniatori, che si basavano su ‘appunti grafici’ che riunivano materiale eterogeneo: da studi su singole parti del corpo a intere figure, da ancor più ampie strutture compositive di episodi sacri alla definizione del lettering, fino alle repliche di cicli di pittura monumentale, che potevano essere trasposti in diminuendo, come è noto, nelle pagine del volume (l’interscambiabilità dimensionale vale anche al contrario: si pensi al celeberrimo caso dei mosaici dell’atrio di San Marco a Venezia e il Cotton Genesis, su cui si sta ancora indagando in dettaglio ma che non può – crediamo – essere messo in discussione; e d’altra parte, lo stesso ms. 1434 è un libro di modelli pittorici tout court, piuttosto che esclusivamente miniatori, a parte ovviamente i casi connessi alla realizzazione di un alfabeto decorativo).

Nel caso del codice già Kourdian, l’appaiamento Cristo-Alessandro, coi suoi casi frequenti e con l’assunzione di singoli elementi di per sé facilmente eliminabili (come l’aureola) è certamente funzionale a un riciclaggio strumentale degli schemi iconografici in uso: ma non è illecito ipotizzare che la scelta dell’applicazione di schemi iconografici cristiani alle scene della vita del Macedone risponda a una precisa interpretatio christiana: una lettura segnatamente intenzionale del tema pagano in chiave cristiana, ipotizzabile in forza delle relazioni interdisciplinari accertate in ambito armeno tra le competenze degli artigiani che realizzavano il prodotto. Nella pratica degli scriptoria armeni in cui spesso la figura dello scriba coincide con la figura del miniatore non è possibile ipotizzare, come spesso – e talvolta in modo esagerato – si postula in Occidente, l’incapacità interpretativa e l’assoluta ignoranza del testo da parte del suo decoratore.

Nota bibliografica

Data la specificità del tema trattato, sembra superfluo riportare qui di seguito l’amplissima bibliografia sui temi generali cui si fa riferimento (taccuini e libri di modelli, slittamenti iconografici, e così via). Specificamente, invece, sul ms. 1434 della Biblioteca di San Lazzaro, si veda almeno Maria Laura Testi Cristiani, Un taccuino armeno di modelli: problemi e prospettive di storiografia critica, in Atti del terzo simposio internazionale di arte armena, a cura di Giulio Ieni e Gabriella Uluhogian (1981), Venezia 1984, pp. 551-558.

Sulle illustrazioni di due versioni armene del Romanzo di Alessandro, un primo riferimento in Fabrizio Lollini, Alexander pictus: una nota sulle illustrazioni, in Il Romanzo di Alessandro, a cura di Monica Centanni, Firenze 1999, pp. 31-39; sul ms. 424, invece, il recente La storia di Alessandro il Macedone. Codice armeno miniato del XIV secolo (Venezia, San Lazzaro, 424), a cura di Giusto Traina, con la collaborazione di Carlo Franco, Dickran Kouymjian, Cecilia Veronese Arslan, Padova 2003.

English abstract

In this contribution, Fabrizio Lollini writes about ms. 424 of the Library of the Mechitarist Monastery of San Lazzaro in Venice, with the Romance of Alexander.

 

keywords | Alexander the Great; Christ; Armenian manuscripts; Island of San Lazzaro degli Armeni, in wich is evident the reuse of Christian iconographic models.

Per citare questo articolo: F. Lollini, Alessandro il Grande come Cristo in due manoscritti armeni, “La Rivista di Engramma” n.39, febbraio 2005, pp. 7-14 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2005.39.0001