"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Da Maria puerpera a Maria adorante

Evoluzione della postura della Madre di Dio nelle immagini della Natività

Maria Bergamo

English abstract | Compendium

Ogni creatura da te uscita, o Signore,
ti dà il suo omaggio di gratitudine:
gli Angeli il canto, i Cieli la Stella, i Magi i doni,
i Pastori l’ammirazione, la Terra la grotta,
il Deserto il presepio, e noi una Vergine Madre.
Liturgia bizantina, Vespri del 24 dicembre [1]

Natale, mistero della gioia: mistero dell'Incarnazione, della generazione miracolosa di un Dio che sceglie di rivelare il suo volto agli uomini, non nella potenza del cielo, ma in una greppia tra le braccia di una giovane donna. Maria, la Vergine Madre, è la custode di questo mistero. È la prima a credere, e la prima a vedere nella sua carne, il miracolo: il suo corpo è la seconda natura – la natura umana – di Cristo e il suo grembo è il trono della sua gloria futura. Come un uomo, Dio nasce per l’uomo e affida la testimonianza del suo amore per l’umanità all’immagine che è universalmente riconosciuta come simbolo di tenerezza: una madre che accudisce e cura il suo neonato.

Nella lunga storia dell’iconografia della Natività Maria ha sempre un ruolo di protagonista e una posizione centrale nella scena; ma è anche la figura che, quanto a postura e ad atteggiamenti, subisce più mutamenti. Nel percorso visivo qui sotto presentato – ridottissimo campionario di un repertorio millenario – si cerca di rendere visibile per exempla l’evoluzione iconografica (e teologica) della figura di Maria nella scena della Natività.

>Lettura della tavola

Inizialmente distesa su un giaciglio, progressivamente Maria si alza, si siede, ruota fino a inginocchiarsi, passando dalla prima icona orientale a una delle iconografie occidentali del Natale: l’Adorazione.

A ogni mutamento posturale di Maria corrisponde un preciso significato legato alla funzione che il tema del Natale comporta nelle varie fasi storiche e nelle diverse aree culturali della cristianità. Anche e soprattutto in questo caso le variazioni pittoriche, se pur minime, non sono quasi mai frutto di casualità, di opzioni estetiche o di necessità artistiche, ma sono testimonianze figurate dell’evoluzione del pensiero teologico e devozionale cristiano che nell’immagine si riflette: attraverso il linguaggio figurativo durante i secoli si compiono proclami di fede, si combattono battaglie spirituali e materiali, si proclamano dogmi, si affermano o si distruggono dottrine eretiche.

La rappresentazione della Natività di Cristo è uno dei soggetti più antichi nella storia dell’arte cristiana. L’episodio è narrato in alcuni dei Vangeli Sinottici e ulteriormente elaborato dai racconti dei Vangeli Apocrifi [2]. Le fonti testuali quindi sono molteplici e, nel loro insieme, abbondantemente ricche di dettagli, ma non bastano a dar conto della complessità dell’evoluzione iconografica, compositiva e stilistica delle immagini del Natale.

Proprio dall'analisi delle variazioni delle posture di Maria – la più mobile e iconograficamente la più ‘inquieta’ fra i protagonisti della scena – emergono i principali nuclei semantici dell’evoluzione devozionale e teologica che si compie intorno al mistero del Natale: un unico sguardo continuo di una serie selezionata di immagini consente di abbracciare l'andamento della posizione assunta da Maria attraverso i secoli, le regioni e i diversi artisti che mettono in figura la tradizione cristiana e di proporre, in sintesi, una vera e propria ‘storia dell’immagine’.

Maria Theotokos: l’icona ‘orientale’ canonica

L’icona di Rublev, pur cronologicamente tarda, si inserisce all’interno di una storia dell’iconografia della Natività che ha le sue origini nei primi secoli dell’era cristiana.

Questa tipologia tradizionale di rappresentazione bizantina della Natività costituisce la prima tappa dell’analisi qui proposta: la rigida codificazione nei secoli di un canone estetico e iconografico corrisponde a una raffinata teologia dell’immagine, e ci induce a guardare all’arte della tradizione bizantina come depositaria delle più antiche forme di creazione artistica cristiana. Inoltre la grande diffusione in Occidente dei modelli bizantini lungo tutto l’arco dei secoli medievali suggerisce di cercare proprio nella tradizione orientale il filo rosso per una storia dell’iconografia cristiana.

Questa è la rappresentazione canonica della scena secondo la tradizione bizantina: Maria è al centro, molto grande e sproporzionata rispetto alle altre figure; è stesa su un giaciglio solitamente rosso o dorato che la circonda come una mandorla conferendo un’importanza ancora maggiore alla sua figura. È avvolta in un manto, il maphorion, e con una mano si sfiora il viso, in un gesto di languore, di abbandono (gesto spesso ripreso in chiave di triste pensosità anche dal personaggio di Giuseppe) [3].

    

Maestro Niccolò, Natività (part.), rilievo del portale, 1138, Verona, S. Zeno.
Natività, portale ligneo, 1065, Colonia, S. Maria in Capitolo.
Francisco Arguello, Natività (part.), pittura su muro, 1998, Firenze, S. Bartolomeo in Tuto.

Il Bambino è alle spalle della Madre, avvolto in stretti bendaggi e deposto in una cassa-mangiatoia. Sono presenti tutti gli elementi compositivi che si trasmetteranno poi nella tradizione natalizia: la grotta, che in Occidente diverrà la capanna; l’asino e il bue; gli angeli che adorano e danno l’annuncio ai pastori; i Magi che arrivano seguendo la cometa posta sopra la culla del bambino; Giuseppe, pensieroso, in disparte. Compaiono nella scena personaggi destinati in seguito a mutare o scomparire, come la strana figura che dialoga con Giuseppe o le levatrici che bagnano il bambino [4].

Ogni dettaglio dell’icona ha una sua propria codificazione e un suo proprio significato, che passa attraverso secoli di esegesi patristica e teologica, secondo lo statuto stesso delle immagini nell’Oriente cristiano [5].

L’icona del Natale si forma verso il VII secolo per raggiungere la sua forma completa intorno al IX secolo, l'epoca in cui, a motivo della lotta iconoclasta, le formulazioni dogmatiche dei secoli precedenti furono ripensate per un'ulteriore e inequivocabile formulazione del dogma dell'Incarnazione [6].

Le prime fonti sulle dispute in merito alla natura di Cristo risalgono in particolare a Origene e Clemente Alessandrino. Immediatamente dopo l’elevazione del cristianesimo a religione dell'impero iniziò lo scontro tra le eresie, intorno al punto nevralgico della natura umana di Cristo. Alla dottrina di Ario, che proclamava la sola natura divina del Figlio di Dio, si contrapponeva il pensiero di Nestorio patriarca di Costantinopoli, che ammetteva la sola natura umana di Cristo, negando al Figlio la divinità essenziale e la consustanzialità con il Padre. La questione non era soltanto spinosa sul piano teologico, ma si poneva come il punto critico per l’accettazione e la diffusione del messaggio cristiano nella cultura del tempo. Senza addentrarci nelle dissertazioni più sottili ed esegeticamente complesse, si pensi da un lato alla difficoltà da parte della cultura ebraica fieramente monoteista di accettare un Dio uno e trino, dall’altro alla feconda dialettica in atto con la latente radice politeista della cultura ellenistica da cui provenivano la maggior parte dei convertiti del IV secolo, proprio in seguito alla decisione costantiniana di assumere il cristianesimo come religione ufficiale dell’impero.

Dal IV secolo ha inizio la serie dei grandi Concili ecumenici, che definirono i dogmi della chiesa cristiana, soprattutto in relazione alla natura di Cristo. In ben quattro concili tra il IV e VI secolo si discusse e si perfezionò la definizione del dogma dell'Incarnazione: Nicea I nel 325, Costantinopoli nel 381, Efeso nel 431, Calcedonia nel 451 [7].

Maria, che inizialmente non godeva di un culto suo proprio, divenne uno dei nodi centrali nelle dispute sulla natura di Cristo e sul valore dell'Incarnazione. È lei, infatti, che in quanto donna garantisce la seconda natura di Dio: l’umanità del Figlio, il suo essere corpo e carne mortale.

L’intero Concilio di Efeso è dedicato alla definizione del ruolo di Maria nell’Incarnazione. A Efeso si scontrano duramente le fazioni dei monofisiti nestoriani (che a loro volta avevano già avuto la meglio sui monofisiti ariani) contro i propugnatori della doppia natura del Figlio: prevalgono infine questi ultimi e Maria viene proclamata Theotokos, Deipara, "colei che ha generato Dio". Cirillo di Alessandria proclama il nuovo dogma:

Se qualcuno non confessa che l'Emmanuele è Dio nel vero senso della parola, e perciò la Santa Vergine è Madre di Dio perché ha generato secondo la carne il Verbo che è da Dio, come sta scritto "e il verbo si fece carne", sia anatema [8].

Proprio in seguito al Concilio di Efeso conosce sviluppo e diffusione l'enorme produzione di immagini di Maria in trono con il Bambino [9].

  

Madonna in trono tra santi e angeli, tavola, VI secolo, Monastero S. Caterina al Sinai.
Madonna della clemenza, tavola, VI secolo, Roma, S. Maria in Trastevere.

La disputa accanita intorno alla natura di Cristo non si placa però con il pronunciamento di Efeso; anche perché la questione dell’umanità del Figlio di Dio si intreccia con il problema, sollevato dai Padri già nei primi secoli, della rappresentabilità della figura divina (all’interno di una tradizione monoteista decisamente aniconica).

Pochi secoli dopo Giovanni Damasceno, impegnato nella lotta contro l'iconoclasmo, prese proprio Maria come dimostrazione dell'umanità di Cristo e la sua conseguente rappresentabilità, e consacrò il suo culto attraverso le immagini:

È quindi con giustizia e verità che chiamiamo santa Maria Theotokos. Perché questo nome abbraccia l'intero mistero dell'ordine divino. Infatti, se colei che partorì è la Theotokos, certamente colui che è nato da lei è Dio e anche uomo. Il nome esprime in verità l'unica sostanza e le due nature e i due modi di generazione del nostro Signore [10].

Il dogma dell’Incarnazione coinvolge strettamente anche l’arte e la sua potenzialità espressiva: infatti non solo si lotta per le immagini, ma si lotta con le immagini. La rappresentazione di Dio è possibile grazie alla certezza del dogma dell’Incarnazione: "la Chiesa enuncia la propria dottrina sia con la parola che con l'immagine" [11] e l'icona è insieme veicolo di propaganda dottrinaria e testimonianza concreta dell’avvenuta Incarnazione. Il valore teologico dell’icona viene proclamato nel Concilio di Nicea II del 787, il cosiddetto "Concilio delle immagini":

Quando tu hai visto che colui che incorporeo è diventato uomo a causa tua, allora farai l'immagine della sua forma umana; quando l'invisibile è diventato visibile per la carne, allora raffigurerai l'immagine di lui che è stato visto [12].

Dunque per i Padri dei primi secoli le icone di Cristo e della Madre di Dio – in Maestà con il Figlio – testimoniavano e insieme significavano la realtà della natura umana di Cristo.

Rispetto alle prime icone l’icona della Natività è successiva e propone alla meditazione dei fedeli la scena, il 'come' di questo mistero. E, nell’evento rappresentato, Maria è figura centrale: non solo, insieme allo Spirito, genera la carne del Salvatore, ma vive nella sua propria carne il miracolo.

L’umanità del Figlio è rappresentata dal fatto che la Madre sta distesa: Maria è rappresentata nella tradizionale postura delle partorienti, come si ritrova non solo nell’arte cristiana ma anche in quella pagana antica.

  

Concepimento e Nascita di Alessandro (part.), mosaico, metà IV secolo, proveniente da Baalbeck, Beirut, Museo.
Nascita di Achille, mosaico, V secolo, Cipro, Paphos Nuova.

La postura della puerpera dimostra e sottolinea la condizione tutta umana di Maria: una donna rappresentata come tutte le donne che abbiano appena partorito. L’iconografia di Maria-puerpera, la più diffusa dopo la definitiva codificazione del ‘canone’ di immagini sacre, è probabilmente legata in origine alle eresie cristologiche di lontana ascendenza nestoriana e poi gnostica, dato che mette l’accento sull’aspetto umano del parto attraverso il quale Dio è sceso sulla terra.

Non si può, parlando di tradizione bizantina, non accennare all’esistenza di una diversa iconografia per la Natività in cui Maria è rappresentata seduta accanto alla mangiatoia. Usate entrambe tuttora, non si sa con chiarezza l’origine della differenza, come sostiene Georges Drobot nel suo studio fondamentale [13], ma è palese la lontananza delle tipologie di provenienza e la diversità di significati: la postura da seduta è maggiormente associata alla regalità, alla manifestazione del potere e della gloria assoluta, è un altro soggetto la cui analisi non può qui trovare spazio. Seduta è la Vergine in trono, la Maestà – vera icona della Theotokos diffusa dopo il Concilio di Efeso – seduta è nelle Adorazioni dei Magi, seduta è nelle icone della festività post-natalizia orientale a lei dedicata il 26 dicembre, la Sinassi o le Congratulazioni alla Madre di Dio [14].

  

Natività e Adorazione dei Magi (part.), sarcofago, IV secolo, Roma, Musei Vaticani.
La Congratulazione alla Madre di Dio, miniatura siriana, 1457.
Natività (part.), rilievo, XIII secolo, (Venezia, San Marco, Porta dei Fiori.

Maria distesa, Maria puerpera: la devozione popolare

Fino al XII secolo, dunque, in Occidente l’iconografia più diffusa della Natività resta quella, di matrice bizantina, che prevede Maria-puerpera al centro della scena. Con variazioni notevoli secondo i luoghi, le epoche e gli stili permane comunque una decisa influenza degli elementi e degli stilemi propri del canone orientale. Distesa, a volte addirittura dormiente, avvolta nel mantello, con il Bambino lontano, Maria giace su un letto o su un panno più o meno lussuoso, in una grotta o capanna, ed è sempre assistita da Giuseppe [15].

Natività ed elogio delle api, rotolo di Exsultet, XII secolo (Montecassino, Archivio dell’Abbazia).
Natività, miniatura armena, 1332 (Matenadaran).
Natività (part.), affresco, 1335 (Pec, Chiesa dell’Hodigitria).

L'iconografia del puerperio di Maria durante il Medioevo si lega dunque alla tradizione e diffusione dei modelli bizantini che restano come fonte principale per un linguaggio figurativo insieme aulico e che riflette l’auctoritas dell’antico [16].

Secondo Mâle l’iconografia della Natività è uno degli esempi della continuità tra Oriente e Occidente; ma in Occidente la scena si arricchisce di un diverso sentimento legato alla devozione popolare [17].

Le donne del Medioevo, per le quali gravidanza, parto e puerperio costituivano un grave pericolo, si rivolgevano in primo luogo alla Madre di Dio per chiedere a lei, in quanto Madre, aiuto e protezione. Il ruolo di Maria come sacra levatrice è documentato da fonti che datano dal Medioevo alla prima età moderna [18].

Esistevano mete di pellegrinaggio e immagini di Maria specializzate esclusivamente nel soccorso alle donne incinte e partorienti; i manoscritti che contenevano lodi a Maria potevano essere di ausilio durante il travaglio del parto; le levatrici distribuivano immagini mariane tutt’intorno al letto e sul corpo della partoriente; si dipingevano immagini di Maria a capo e ai piedi del letto, in modo da essere certi della sua benevolenza.

Maria rappresentata nelle scene della sacra Natività nel suo letto di puerpera consolava e dava coraggio alle donne nella fase precedente e successiva al parto. La venerazione spesso si confondeva con gli ambiti della magia e della superstizione, rispecchiando una realtà di fede e devozione che ha a che vedere con la sacralità delle immagini, ma anche con il loro valore d’uso, la loro pratica fruizione, e quindi anche con l’intento che presiede alla loro produzione.

Maria, comunque, è significativamente rappresentata come una donna comune che ha appena partorito e che si riposa; nel periodo medievale, inoltre, la scena della Natività, ancora più cara e apprezzata dai fedeli grazie al diffondersi delle Sacre rappresentazioni del ciclo natalizio, si arricchisce di particolari legati alla vita contemporanea, come oggetti e utensili domestici e arredi borghesi: tutti elementi che testimoniano di un culto popolare diffuso per la Madre di Dio.

La venerazione per Maria-puerpera, molto radicato e diffuso, comporta dunque che nelle immagini l’evento venga attualizzato per avvicinarlo alla quotidianità dei fedeli e renderlo più familiare: nella rappresentazione figurativa o scenica Cristo non nasce più nella grotta o nella capanna, secondo il dettato evangelico, ma nella chiesa, nel convento o nella stessa cappella in cui l'opera è collocata.

 

Maestro Renano, Natività entro le mura urbane, rilievo, XII secolo, London, Victoria and Albert Museum.
Natività, vetrata, 1150 (Chartres, cattedrale).
Natività, miniatura da Salterio, ms. 1186, c. 17, Paris, Biblioteca Nazionale.
Natività, miniatura da Libro d'ore, fine XV secolo, ms.1108, Einsiedeln.

Il dolore di Maria

Compare fin dalle origini e viene sviluppata progressivamente una grande disputa che si inserisce anch’essa nel dibattito teologico intorno ai dogmi cristologici dell’Incarnazione e del parto virginale: la questione del dolore di Maria. Su questo punto si registra una distanza tra il pensiero dottrinario e la rappresentazione.

Dal punto di vista teologico e del pronunciamento dogmatico Maria non ha sofferto perché il suo è un parto miracoloso, è "Vergine prima, durante e dopo il parto" [19], come, secondo la tradizione, rappresentano le stelle poste sul suo maphorion [20]. La nascita di Cristo, come sosteneva già Metodio d'Oriente nel III secolo, fu arrheustos, "senza malattia", "senza degradazione" [21]. Molte e diverse sono le fonti che ribadiscono questo punto: Gregorio di Nissa nel IV secolo è uno dei primi Padri greci che ne parla esplicitamente, inserendo il dogma in una precisa esegesi:

Come la stessa Vergine non seppe in che modo nel suo corpo si formò il corpo portatore di Dio, così nemmeno sentì la sua nascita, conformemente alla testimonianza del profeta Isaia secondo il quale il parto sarebbe stato indolore. Dice infatti Isaia: "Prima di provare i dolori, ha partorito" (Is 66, 7). Perciò Egli fu scelto per rinnovare l'ordine della natura in entrambi i sensi: perché non venne partorito grazie a un intervento umano, né uscì dal grembo materno con fatica. E tutto questo accadde in modo conveniente e non senza ragione. Poiché come Eva, che per il peccato introdusse la morte nel mondo, fu condannata a partorire fra dolori e travagli, era conveniente che la madre della vita iniziasse a concepire con gioia e con gioia partorisse. Per questo l'arcangelo le dice: "Rallegrati, piena di grazia" (Lc 1, 28). Liberandola con questa parola dalla tristezza che fin dal principio accompagna il parto a causa del peccato [22].

Fin dalle origini le gerarchie ecclesiastiche attivarono diversi tentativi di "disciplinamento" delle immagini, sia per reagire alle superstizioni popolari sia per arginare il realismo dei dettagli del parto che poteva risultare dissacrante. Nonostante i tentativi di ricondurre all’ortodossia l’immagine di Maria-puerpera, l’iconografia prevalente resta quella che contempla Maria distesa, come una donna che ha appena partorito: come avesse sofferto e necessiti quindi di riposo, a volte dorme e spesso le levatrici o Giuseppe stesso accudiscono lei e il Bambino. La distanza tra la posizione teologica e dogmatica e la rappresentazione è tale da disegnare una vera e propria contraddizione.

  

Natività (part.), rilievo del portale, metà XI secolo, Poitiers, Notre-Dame-la-Grande.
Natività (part.), calvario bretone, metà XV secolo, Tronoen, Notre Dame.

La postura di Maria-puerpera, come si è visto, è direttamente collegata con l'antica tradizione classica e bizantina e, più che indicare una possibile deriva eretica dell’immagine, va invece considerata da un altro, e più importante, punto di vista teologico: l’immagine di Maria-puerpera, che potrebbe essere intesa come la prova figurata del dolore fisico della Madre di Dio, è invece il topos iconografico scelto in risposta alle eresie cristologiche per rappresentare la nascita umana di Dio. Cristo è nato da una donna, e tale donna, come una qualunque madre, riposa su un giaciglio dopo il parto [23].

Ancora una volta verifichiamo l’efficacia di una sorta di ‘teologia per immagini’, un messaggio trasmesso attraverso un codice linguistico diverso, più perspicuo e immediato e, come dimostra la quantità e la diffusione delle immagini, ampiamente recepito. Interessante è il fatto che, venuta meno la valenza polemica di ‘risposta’ alle eresie ormai scomparse e debellate, l’immagine di Maria-puerpera non perda di valore, ma assuma altri significati e legami e, in base a queste nuove funzioni e letture, si modifichi.

Maria madre: la mistica monastica

Il secolo XII è stato definito "secolo mariano" e dà l’avvio a un netto approfondimento del mistero di Maria come mistero dell’Incarnazione. La fase di rinnovato interesse per la figura di Maria si inscrive nella temperie della nuova sensibilità religiosa, che corrisponde ai grandi cambiamenti sociali che daranno vita alle correnti intellettuali che genereranno le università e alle riforme monastiche che creano gli ordini rinnovati dei cistercensi, canonici regolari, premonstratensi. A questo rinnovamento corrisponde anche una rinascita della religiosità popolare e di grande partecipazione laicale, supportata da un sistema pastorale più attento e assiduo [24].

Si tratta di un cambiamento che coinvolge anche le forme di devozione: non si prega più con Maria ma ci si rivolge a Maria con un’invocazione personale e intima, che fa leva sulla complicità tutta umana dell’esperienza della maternità. Questa nuova relazione con la figura della Madre di Dio coincide con l’esaltazione del mistero del Natale e con la contemplazione e la meditazione sul Dio Bambino. San Bernardo compie una svolta spirituale detta gesulatria, ovvero l’adorazione e la meditazione sulla vita dell’uomo Gesù [25]. Si diffonde e si intensifica un genere di devozione affettiva, simpatetica, che si sofferma a considerare le sofferenze del Bambino e della Madre nel momento della nascita, come antesignane della futura Passione di Cristo.

San Bernardo elabora il concetto di devotio in modo decisivo: la devotio appartiene all’affettività e per essa alla volontà; la devotio sta alla carità come la conoscenza sta all’intelletto. Questa forma di ricerca spirituale è importante perché, consentendo l’avvicinamento a Dio tramite i sentimenti, sospendendo lo studio e la ragione, si concentra sull’intimo dell’anima nelle sue espressioni più semplici, estendendo a qualsiasi uomo la possibilità di conoscenza e di partecipazione al mistero divino. 

Alla base delle meditazioni che iniziavano a diffondersi all’epoca, prende forza l’idea che Dio è vicino ai poveri e ai deboli perché anche lui era povero e sofferente e debole. Dice Sant’Anselmo:

Dio dell’immensa gloria, non hai disdegnato di farti verme spregevole; Signore di tutte le cose, hai voluto apparire conservo dei servi. Ti sembrò poco essere nostro Padre, hai voluto, o Signore, essere nostro fratello. […] Consolatevi, consolatevi, voi che vivete nelle bassezze della povertà, poiché Dio è con voi nella povertà: non riposa egli nelle delizie d’una camera da letto, né si trova fra chi vive beatamente [26].

Nel pensiero di Bernardo l’atteggiamento nei confronti del Mistero dell’Incarnazione e dell’umanità di Cristo si riassume in due parole: ricordo e imitazione. E su questo concetto si basano tutte le esperienze di devozione e di mistica successive. Fino al XII secolo il mistero dell’Incarnazione aveva il suo riferimento centrale nella Passione di Cristo, il mistero pasquale è il fine della venuta di Cristo e per essa si dà la salvezza del mondo. La nascita del puer viene considerata certo miracolosa e degna festività, ma comunque di minore importanza rispetto alla Pasqua. Dal XII secolo le cose cambiano [27].

In un’importante operetta dedicata interamente alla meditazione sull’infanzia di Gesù – De Iesu puero duodenni (1153-1157) – l’autore Aelredo di Rievaulx (ma il testo circolerà per secoli sotto il nome del suo maestro Bernardo) partecipa ai dolori e alle vicende di Gesù Bambino come se fosse personalmente e direttamente coinvolto. La crescita spirituale del fedele è paragonata dall’autore alla crescita fisiologica di Gesù nella sua infanzia: "Così tu nascerai in Cristo e Cristo nascerà in te" [28].

Così santi e mistici del tempo nelle loro omelie sul Natale pongono l’attenzione sullo stato di povertà in cui Maria e Gesù si sono trovati a vivere come anticipo delle sofferenze della Passione, ma soprattutto come primo esempio della tenerezza di Dio verso l’uomo: un Dio che sceglie di manifestarsi non solo come un uomo, ma come un piccolo bambino indifeso nato da una donna in stato di totale indigenza.

Il pensiero e l’immaginario del tempo sorvola sulla questione della verginità straordinaria di Maria: un aspetto miracoloso certo, ma dato per acquisito in quanto attestato già dal dettato biblico vetero e neo-testamentario. Ci si concentra invece sulla figura di Maria come esempio di una divinità ‘vicina’ in cui è possibile riconoscersi. In questo periodo Maria non è tanto rappresentata come una Regina, quanto come una madre tenera e semplice, preoccupata di nutrire questo suo prodigioso ma piccolo bambino che, come ogni neonato, ha bisogno di tutto.

Il tema dell’umanità di Maria-madre – su cui la devozione popolare e l’esperienza mistico-teologica coeva si trovano una volta tanto consonanti – trova un’espressione efficace nella codificazione di una nuova immagine. Nella scena della Natività Maria inizia a cambiare postura: non più girata di spalle e isolata nella mandorla, inizia a volgersi verso il Neonato, a guardarlo: tocca la culla, lo solleva, lo prende tra le braccia e a volte lo allatta con la tenerezza di una vera madre.

  

Maestro di Imola, Natività (part.), miniatura da Antifonario, ms. 5, c. 65r, Imola, Museo Diocesano.
Neri da Rimini, Natività (part.), miniatura da Corale della Chiesa di S. Francesco, 1312, Bologna, Museo Civico.
Natività (part.), predella dell’altare di Santa Maria di Avia, XIII secolo, Barcellona, Museo di arte catalana.

A questo nuovo dinamismo della figura di Maria corrisponde un deciso cambiamento nello stile della rappresentazione, sempre più discosta dalla ieraticità bizantina e tesa a una maggiore ricerca espressiva, a una circostanziata e realistica resa dei dettagli [29].

  

Natività (part.), miniatura inglese, 1335 ca., cl.7726, Paris, Museo Nazionale del Medioevo.
Silvestro dei Gherarducci, Natività, miniatura dai Graduali di San Michele, XIV secolo, ms. 653, c. 1, New York, Pierpont Morgan Library.

Se la prospettiva delle icone bizantine mirava (e mira) alla meditazione sul mistero dell’Incarnazione e a condurre il fedele direttamente all'ascesi attraverso il valicamento dell’aurea ‘porta regale’, in Occidente, a partire dal XII secolo, si recupera la dimensione della tenerezza e l’esaltazione della corporeità del Figlio e della Madre come segni tangibili di vicinanza e di una possibilità di identificazione del fedele con i personaggi divini. In questa fase si approfondisce il divario tra le due prospettive – l’orientale e l’occidentale – divario che porterà allo scisma tra le due Chiese. E non a caso proprio in quel periodo si avvia anche una più netta differenziazione stilistica e tematica tra le convenzioni artistiche orientale e occidentale, individuata dai teorici dell’immagine sacra orientale come la più profonda frattura nella ‘visione di Dio’ [30].

Maria prima fedele: San Francesco e la nuova spiritualità

San Francesco eredita dalla mistica del XII secolo queste suggestioni che amplia e coniuga con un orizzonte mistico, estetico e devozionale ulteriore. Con Francesco il messaggio dell’umanità di Cristo e della sua immanenza nel mondo si apre ai laici e soprattutto si diffonde capillarmente, secondo le tendenze pauperistiche del tempo, a tutti gli strati sociali mediante la predicazione itinerante, l’uso del volgare, delle immagini, delle rappresentazioni sacre.

La nuova visione cristologica di Francesco, il suo stile di relazione con Dio, permette a ogni fedele di accedere al divino senza timore, di gustare l’amicizia che Dio ha scelto di riallacciare con la sua creatura prediletta. Lo slancio affettivo quasi fisico nel culto e nella fede, ereditato dai mistici del secolo precedente, viene esteso anche ai laici, esce dai monasteri e viene insegnato alla gente nelle strade e nelle chiese. Tutto il movimento francescano è impegnato nel diffondere la visione di un Dio tenero e vicino a chi soffre, un Dio che salva per amore le sue creature, un Dio facilmente raggiungibile da chiunque lo desideri[31].

Il culto diviene profondamente personale, ispirato e mediato dai sentimenti, ma lontano da forme di superstizione e religiosità esasperate: agisce positivamente sui fedeli l’educazione ottenuta attraverso una predicazione serrata, la diffusione di opuscoli e istruzioni, ma anche una politica dell’immagine cosciente e diffusa.

Il cuore degli ascoltatori veniva scosso dall’amore e dalla pietà, quando l’oratore ispirato faceva rivivere sotto i loro occhi, nella loro semplicità e verità, le immagini toccanti della vita terrena del Salvatore. Le immagini, ecco di cosa aveva bisogno il popolo incolto, a cui per lo più si rivolgeva la predicazione francescana; e le immagini si imprimevano profondamente nella sua memoria, così Gesù diventava realmente il fratello carnale, l’amico, il confidente di ognuno. Perciò anche l’artista era spinto a rappresentarlo nella sublime semplicità della natura umana [32].

In questa estetica del divino, nel clima di confidenza con Dio che Francesco insegna e ispira, si inserisce l’episodio del Presepio di Greccio, snodo fondamentale anche per l’evoluzione della figura di Maria nella scena della Natività.

Nella notte di Natale del 1223, dopo aver ottenuto il permesso dal papa Onorio III, Francesco fece allestire un presepio vivente nel bosco di Greccio. Tommaso da Celano racconta che il santo disse:

È mio desiderio rievocare al vivo la memoria di quel Bambin celeste che è nato laggiù in Betlemme, e suscitare davanti allo sguardo del popolo e al mio cuore gli incomodi delle sue infantili necessità, vederlo proprio giacere su poca paglia, reclinato in una mangiatoia, riscaldato dal fiato di un bue e di un asinello [33].

Finiti i preparativi, la notte di Natale frati, uomini e donne della contrada accorsero con fiaccole e candele per assistere alla messa. Francesco cantò il Vangelo e tenne la predica parlando del Bambino di Betlemme con una infinita dolcezza.

Durante la celebrazione Giovanni Velita, castellano amico dei frati che aveva organizzato la celebrazione, ebbe una visione: vide nella mangiatoia un bambino addormentato incredibilmente bello e Francesco che lo prendeva in braccio per risvegliarlo. Nella Legenda Maior [34] Bonaventura si dilunga a illustrare la verosimiglianza della visione e dei miracoli successivi a questa, mentre Tommaso da Celano nella sua Vita prima ne dà una semplice lettura spirituale: il culto per Gesù Bambino veniva risvegliato nei cuori della gente grazie alla predicazione del santo.

L’episodio di Greccio si inserisce nella tradizione esistente in Europa già dal IX secolo degli "uffici drammatici", dialoghi all’interno della liturgia che rievocavano le più importanti scene evangeliche. Da questa sorta di drammatizzazione liturgica nacquero sceneggiature più complesse come – per restare nel ciclo natalizio – l’Officium pastorum e l’Officium stellae, e il loro ulteriore sviluppo porterà poi alle grandi Sacre rappresentazioni di fine Medioevo [35]. Rispetto al genere liturgico-drammatico, però, Francesco, con l’istituzione del Presepe, compie uno scarto destinato a conseguenze importanti, dimostrando una capacità di uso degli strumenti più efficaci e comunicativi per diffondere il suo messaggio anche in forma divulgativa e popolare [36].

Ecco quindi che il concetto di imitazione diviene comune e diffuso: i modelli sono Cristo stesso, ma anche sua Madre, come Santa Chiara scrive a una sua seguace:

Come la gloriosa vergine delle vergini ha portato nel suo utero virginale il vero Dio e vero uomo, così anche tu imitandola nell’umiltà e nella povertà, sempre puoi portare lo stesso Signore, spiritualmente, contenendolo dentro di te, lui che contiene tutte le cose: e lo porterete dentro di voi tu e le altre, che avete disprezzato le ricchezze di questo mondo [37].

Così anche le predicazioni di Sant’Antonio da Padova e gli Opuscoli mistici di San Bonaventura vengono conosciuti e diffusi, letti e meditati. I libelli meditativi vengono scritti e copiati tra i laici del Terzo Ordine e la devozione inizia a essere privata, personale, consumata non solo in chiesa ma anche nell’intimità della propria vita quotidiana.

L’operetta di Bonaventura De quinque festivitatibus pueri Jesu, composta intorno al 1257 (e indirizzata a una dama di cui lui era direttore spirituale), è interamente dedicata all’infanzia di Cristo. Si tratta di una meditazione allegorica sui misteri dell’infanzia: il concepimento di Gesù nell’anima del fedele, la sua nascita, l’imposizione del nome, la sua adorazione e presentazione al tempio. Il testo intreccia il piano metaforico-spirituale con quello reale e soprannaturale dell’unione mistica con Cristo, e propone al fedele un percorso interiore e personale [38].

Allo stesso modo molti altri scritti francescani comportano la stessa carica affettiva ed esortativa: da Jacopone da Todi e il suo Stabat mater speciosa e altre laudi (fine XIII secolo), a Ubertino da Casale con l'Arbor vitae crucifixae Jesu (1305) a Raimondo Lullo e il suo Liber natalis parvuli Christi Jesu (1310).

Un altro testo molto diffuso e molto importante per l’iconografia sono le Meditationes vitae Christi (attribuite inizialmente a Bonaventura) di un anonimo francescano toscano del Trecento che racconta gli episodi evangelici senza discostarsi dal testo ma arricchendoli di particolari vivaci e interessanti. Così descrive Maria e Gesù:

"Se ne sta là, la Signora, come ogni altra donna, ad aspettare la scadenza del tempo per poter entrare nel tempio. Se ne rimane là, occhi e attenzione rivolti a quel diletto figlio perché nulla gli succeda. Mio Dio, di quanta premura e diligenza lo fa oggetto perché non gli manchi nulla. Con che devozione e delicatezza, con quale timorosità lo tratta, sapendo che è il suo Dio e Signore, quando inginocchiata lo prende in mano per adagiarlo sulla culla. Ma con che gioia insieme e confidenza e diritto materno se lo abbraccia, se lo sbaciucchia, se lo stringe al petto e se lo gusta, sapendo che è figlio suo! Spesso, curiosa, lo fissa in volto e fa scivolare lo sguardo su ogni singolo membro del suo sacratissimo corpo; e con serietà e riservatezza avvolge nelle fasce quelle tenerissime membra. Esempio d’umiltà com’era, lo fu anche di prudenza. E con che voglia lo allatta!" [39].

Questa sorta di esercizi spirituali che prevedono l’imitazione e l’immedesimazione nel pathos di Maria e del Bambino sono destinati a mutare radicalmente il rapporto con il divino, anche nelle espressioni artistiche.

Le parole dello Pseudo Bonaventura sembrano un commento alle immagini di Giotto o Daddi: Maria compare sempre più come una madre e la sua postura continua a mutare sensibilmente. Si alza raccogliendo le coperte del Bambino, lo prende in braccio vezzeggiandolo e ruota fino a inginocchiarsi.

Maria adorante: l’iconografia occidentale

L’ultimo mutamento della postura di Maria nella scena della Natività coincide con un preciso mutamento spirituale. Ancora il Natale di Greccio, scelto come nucleo centrale in questo excursus, è molto significativo non solo da un punto di vista spirituale e contenutistico, ma anche figurativo.

Francesco rappresentato inginocchiato ad adorare il Bambino istituisce in figura la nuova forma di devozione che stava diffondendo a parole: così come lui può accostarsi alla mangiatoia, ogni fedele che desideri incontrare Dio lo può fare direttamente, senza mediazioni. La figura di Maria, che per secoli era stata veicolo e simbolo dell'umanità di Cristo, scivola in secondo piano: quasi come se di fronte alla presenza umanissima del puer la testimonianza della Madre carnale di Dio non fosse più necessaria. Il fulcro della rappresentazione diviene ora il Bambino, Dio in terra, che si manifesta inerme e infante, vicino a ogni uomo, proprio in grazia della sua debolezza.

E questo è reso con ancor maggiore evidenza nella nuova invenzione stilistica: la stessa innovazione giottesca, ovvero l’introduzione della cifra del realismo, della profondità, dell’espressività, elementi che poi fioriranno nell’epoca successiva, riflette questa visione antropocentrica del divino. Non più ascesi e negazione della vita terrena, non più terrore escatologico, ma esaltazione dell’umanità, della natura, della bellezza fisica [40].

Significativa nell’affresco di Giotto è l’ambientazione cittadina che si discosta dalla lettera della fonte, e la presenza di uno splendido crocifisso visto dal retro, uno dei primi esempi di ricerca prospettica, un particolare che sembra sintetizzare emblematicamente uno dei percorsi semantici che ha guidato questa indagine: prima delle crudeltà e delle sofferenze che saranno inflitte al Crocefisso sta l’amore più tenero e più indifeso della Madre per la sua creatura; prima della Crocifissione – davanti ad essa – sta il mistero della Natività.

La scena inizia a mutare sempre di più dando inizio a una nuova tipologia iconografica che si diffonderà poi in tutto l’Occidente, l’Adorazione.

Interessante è notare come anche in Oriente nei secoli successivi il canone rigido possa essere a volte tradito, a imitazione delle convenzioni ormai vincenti nell’arte occidentale. Un’immagine del XVI secolo, pur restando un hapax, è una dimostrazione interessante di questa influenza di ritorno.

Maria dunque, dopo aver lasciato il suo ruolo di regale Theotokos ed essere entrata da protagonista nella scena della Natività prima come puerpera sofferente, poi come madre affettuosa, diviene essa stessa spettatrice del miracolo, ricondotta al rango di Prima adorante.

Neri di Bicci, Natività, XV secolo, Firenze, Palazzo Medici Ricciardi, Cappella dei Magi.

Lei è la prima testimone del miracolo, è la prima ad aver gustato dell’Incarnazione del Signore, è la sua prima credente: ora è Maria che, come aveva già fatto Francesco, invita ogni fedele ad accostarsi al Dio incarnato, umilmente, in ginocchio.

Ed ecco che la scena ruota completamente: Gesù è il fulcro dell’immagine, a terra, nudo, e tutt'intorno, insieme a Maria, a Giuseppe e ai personaggi tradizionali come pastori, angeli e Magi possono irrompere nella scena anche i devoti: lo stesso spettatore del quadro viene assorbito, attratto dentro la scena e diviene comprimario esterno dell’adorazione. La Nascita di Cristo è un evento che avviene in ambiente familiare.

L’accesso al divino è ormai concesso a tutti: Dio è nato per tutti.

Note al testo

1. Stichiron Idiomelon del Lucernario del 25 dicembre, in E. Mercier, F. Paris, La prière des églises de rite byzantin, t. 2/I, Amay 1939, p. 113.

2. Vangelo di Matteo 1-2; Vangelo di Luca 2, 1-20; Protovangelo di Giacomo 18-19; Vangelo dello Pseudo Matteo 13-14; Vangelo dell'infanzia arabo-siriaco 3-4; Vangelo dell'infanzia armeno 8-9.

3. Si veda la tavola ex-novo ex 53, "La Rivista di engramma" 15, marzo/aprile 2002.

4. G. Passarelli, Icone delle dodici grandi feste bizantine, Milano 1998; G. Drobot, La lettura delle icone: introduzione storico-teologica all'icona della Natività, [1975] tr. it. Bologna 2000..

5. E. Kitzinger, Il culto delle immagini. L'arte bizantina dal cristianesimo delle origini all'Iconoclastia, [1975] tr. it. Milano 1992; L. Uspenskij, Teologia dell'icona. Storia e iconografia, [1980] tr. it. Milano 1995.

6. L. Uspenskij, Teologia dell'icona. Storia e iconografia, [1980] tr. it. Milano 1995; J. Pelikan, Maria nei secoli, [1996] tr. it. Roma 1999; G. Drobot, La lettura delle icone: introduzione storico-teologica all'icona della Natività, [1975] tr. it. Bologna 2000; L.D. Davis, Storia e cronaca dei sette Concili che definirono la dottrina cristiana, [1983] tr. it. Casale Monferrato 1998.

7. H. Jedin, Breve storia dei Concili, [1959] tr. it. Roma 1961; G. Filoramo, D. Menozzi, Storia del cristianesimo, Roma-Bari 1997.

8. Cirillo di Alessandria, Epistula tertia ad Nestorium, in Patrologia Graeca, t. 77, col. 120:; citato anche in Conciliorum Oecommenicorum decreta, a cura di G. Alberigo, J.A. Dossetti, P.P. Joannov, C. Leonardi, P. Prodi, H. Jedin, Bologna 1973, p. 59.

9. G. Gharib, Le icone mariane: storia e culto, Roma 1993.

10. Conciliorum Oecommenicorum decreta, a cura di G. Alberigo, J.A. Dossetti, P.P. Joannov, C. Leonardi, P. Prodi, H. Jedin, Bologna 1973; Vedere l'invisibile. Nicea e lo statuto dell'immagine, a cura di L. Russo, Palermo 1997.

11. L. Uspenskij, Teologia dell'icona. Storia e iconografia, [1980] tr. it. Milano 1995, p. 61.

12. Giovanni Damasceno, De imaginibus, in Patrologia Graeca, t. 94, coll. 1239-40.

13. G. Drobot, La lettura delle icone: introduzione storico-teologica all'icona della Natività, [1975] tr. it. Bologna 2000.

14. G. Gharib, Le icone di Natale: storia e culto, Roma 1995, p. 123.

15. T. Perez-Higuera, Puer nobis natus est. La Natività di Cristo nell'arte medievale, [1996] tr. it. Torino 1996.

16. A. Grabar, Le vie della creazione nell'iconografia cristiana, [1968] tr. it. Milano 1999.

17. E. Mâle, L'art religieux du XIII siècle en France, Paris 1902 ; Id., L'art religieux du XII siècle en France, Paris 1922.

18. K. Schreiner, Vergine, Madre, Regina. I volti di Maria nell'universo cristiano, [1994] tr. it. Roma 1995, pp. 44 ss.

19. Catechismo Chiesa Cattolica: testo integrale e commento teologico, a cura di R. Fisichella, Casale Monferrato 1993, pp. 456-459.

20. Agostino, Sermones, in Patrologia Latina, t. 38, col. 999; Giovanni Crisostomo, Sermones, in Patrologia Graeca, t. 56, coll. 387-388; G. Drobot, La lettura delle icone: introduzione storico-teologica all'icona della Natività, [1975] tr. it. Bologna 2000, p. 150.

21. Metodio di Lycia, Convivium decem virginum, in Patrologia Graeca, t. 18, coll. 27-220.

22. Gregorio di Nissa, Homilia XIII in Canticum canticorum, in Patrologia Graeca, t. 44, coll. 1053-54.

23. G. Drobot, La lettura delle icone: introduzione storico-teologica all'icona della Natività, [1975] tr. it. Bologna 2000.

24. R. Bosi, Gli ordini religiosi. Storia e spiritualità, Firenze 1997.

25. M. Dolz, Il Dio bambino: la devozione a Gesù Bambino dai vangeli dell'infanzia a Edith Stein, Milano 2001.

26. Anselmo d'Aosta, Meditationes. De humanitate Christi, in Patrologia Latina, t. 158, col. 750: "Deus immensae gloriae, vermis contemptibilis fieri non despexisti; Dominus omnium, conservus servorum apparere voluisti. Parum tibi visum est Patrem te nostrum esse; etiam, Domine, frater noster esse dignatus es. [...] Consolamini, consolamini, qui in sordibus paupertatis enutrimini, quia vobiscum est Deus in paupertate, non cubat in deliciis splendidi cubilis, nec enim invenitur in terra suaviter viventium.".

27. B. Botte, Les origines de la Noël et de l'épiphanie, Louvain 1932.

28. Aelredo di Rievaulx, De Iesu puero duodenni, in Corpus Christianorum Continuatio Medievalis, 1, 259: "Sic tu nasceris in Cristo et in te sic nascitur Christus".

29. H. Belting, Il culto delle immagini. Storia dell'icona dall'età imperiale al tardo Medioevo, [1990] tr. it. Roma 2001; A. Dupront, Il sacro. Crociate e pellegrinaggi, immagini e linguaggi, [1987] tr. it. Torino 1993.

30. P.N. Evdokimov, Teologia della bellezza. L'arte dell'icona, [1972] tr. it. Milano 1990; P. Florenskij, La prospettiva rovesciata e altri scritti, a cura di N. Misler, Roma 1990.

31. M. Pacaut, Monaci e religiosi nel Medioevo, Bologna 1996; L.M. De Candido, I mendicanti: novità dello spirito, Roma 1983.

32. H. Thode, Francesco d'Assisi e le origini dell'arte del Rinascimento in Italia, [1885] tr. it. Roma 1993, p. 63.

33. Tommaso da Celano, Vita prima, in Fonti francescane, Assisi 1978, p. 84.

34. Bonaventura da Bagnoregio, Legenda Major, in Fonti francescane, Assisi 1978, p. 1186.

35. F. Doglio, Il teatro scomparso: testi e spettacoli tra il X e il XVIII secolo, Roma 1990; C. Musmarra, La sacra rappresentazione della Natività nella tradizione italiana, Firenze 1957; A. Rava, L'apparato scenico negli offici drammatici del tempo di Natale, Roma 1940; H. Thode, Francesco d'Assisi e le origini dell'arte del Rinascimento in Italia, [1885] tr. it. Roma 1993.

36. L. Bolzoni, La rete delle immagini, Torino 2002; A. Derbes, Picturing the Passio in Late Medieval Italy. Narrative Painting, Franciscan Ideologies and the Levant, Cambridge 1996

37. Chiara d'Assisi, Terza Lettera ad Agnese da Praga, in Fonti francescane, Assisi 1978, p. 2291

38. Bonaventura da Bagnoregio, De quinque festivitatibus pueri Iesu, in Sancti Bonaventurae opera omnia, a cura di J.G. Bougerol, C. Del Zotto, L. Sileo, Roma 1992, t. XIII, pp. 265-285.

39. Pseudo Bonaventura, Meditationes vitae Christi, a cura di S. Cola, Roma 1992, p. 6.

40. H. Thode, Francesco d'Assisi e le origini dell'arte del Rinascimento in Italia, [1885] tr. it. Roma 1993; C. Frugoni, San Francesco e l'invenzione delle stimmate: una storia per parole e immagini fino a Bonaventura e Giotto, Torino 1993.

Lettura della tavola

Le immagini composte ‘per tavola’ acquistano una potenza espressiva e dinamica nella successione iconografica, che evidenzia l’evolversi della postura di Maria) e il dipanarsi semantico e storico del soggetto. È importante sottolineare però che la composizione non segue alcun criterio cronologico né ‘cronografico’: la scelta, la scansione e la successione delle immagini intersecano e sciolgono i complessi nuclei teologici e spirituali evidenziati nel saggio.

La prima immagine, l’icona della scuola di Rublev, è stata realizzata nella prima metà del Quattrocento, quasi contemporaneamente alle opere di Piero della Francesca, di Ghirlandaio e di Van Der Goes; la vetrata di Dausenau è successiva a Giotto e contemporanea a DaddiL'evoluzione cronologica si quindi svolge su una linea diversa rispetto all'evoluzione del soggetto proposta nella tavola.

Ma non si svolge neppure una sorta di ‘narrazione figurata’: il cambiamento di posizione e di atteggiamento di Maria non corrisponde alla successione cronografica interna all’evento, che vedrebbe la puerpera inizialmente stesa perché provata dal parto, in seguito più attiva nell’accudire il bambino e nell’accogliere i vari ospiti. 'Natività' e 'Adorazione' non si distinguono dunque per la posizione progressiva in una teorica linea temporale interna alla scena: il fotogramma è esattamente lo stesso, come dimostra la compresenza di tutti gli elementi del ‘presepio’ già nell’icona canonica bizantina posta in apertura della tavola.

Maria, avvolta nel maphorion, è distesa su un giaciglio rosso che la circonda come una ‘mandola’, simbolo visivo della gloria di Dio. Proporzionalmente molto più grande rispetto a tutte le altre figure, è lei il centro dell’immagine, mentre Gesù si intravede alle sue spalle nella piccola mangiatoia tra l’asino e il bue; non c’è alcun legame tra Madre e Figlio, nessun contatto fisico e affettivo. Il significato dell'immagine si concentra totalmente nella figura regale e pensosa della Theotokos.

Nel passaggio a Occidente l’impianto figurativo si semplifica eliminando progressivamente alcuni elementi e muta riprendendo stili e suggestioni molto lontane dall'orizzonte bizantino, ma si mantiene ancora la visione centrale di Maria puerpera: fulcro dell’immagine, stesa su morbidi letti tra mura cittadine come nel Paliotto di Salerno, in veste di matrona imperiale nel bassorilievo di Niccolò Pisano, o di giovane donna borghese come nella vetrata di Dausenau, non pone attenzione al figlio che pure ha appena partorito.

Il salterio di Bologna tuttavia, di poco posteriore al bassorilievo di Niccolò Pisano, segna una svolta decisa: secondo la tendenza del tardo Duecento si ha una forte ripresa dello stile bizantino, ma il valore semantico e teologico dell’immagine della Natività è ormai sensibilmente mutato verso una nuova concezione del divino. Maria è distesa, esattamente come era l’icona bizantina, ma il suo sguardo è ora tutto per Gesù che con la sua mangiatoia passa in primo piano e si rivolge alla Madre, stabilendo con lei un contatto visivo: uno sguardo che viene ad essere il fulcro della composizione del celebre, splendido, affresco degli Scrovegni di Giotto. L’affetto tra Madre e Figlio, oltre ad aprire l’arte a una nuova dimensione espressiva e stilistica, crea una composizione diversa: Maria resta sempre distesa, ma si solleva lievemente, per poi porsi a sedere raccogliendo con tenerezza il Bambino e portandosi vicino al suo volto, e diviene così figurativamente una cosa sola col Figlio.

Interessante è il fatto che dalla medesima bottega da cui proviene il salterio di Bologna, provenda anche un graduale di Firenze, il che testimonia la possibile coesistenza di modelli iconografici diversi – modelli che comunque sono ampiamente diffusi e ripresi anche nel nord-Europa, come dimostra una miniatura di Amburgo.

Giotto rappresenta la scena della Natività con Maria distesa, ma propone una chiave ulteriore di svolgimento nella variazione iconografica: San Francesco e il Presepio di Greccio (ma si confronti anche la Tavola del Maestro daddesco) costituisce lo snodo definitivo del nostro percorso. Francesco, inginocchiato davanti alla mangiatoia nella quale per miracolo compare il Bambino, inaugura la nuova spiritualità, l’”umanizzazione” del divino: come Francesco, ogni uomo può porsi in ginocchio e adorare, avvicinarsi e abbracciare il proprio Dio, sceso e incarnato in un neonato. Semanticamente è il concetto di devozione stesso a divenire il fulcro dell’immagine; figurativamente il centro è ora Gesù. Maria compie un ulteriore passaggio dinamico e si pone accanto alla mangiatoia in ginocchio, sollevando delicatamente il Bambino per poi, come si vede nella Adorazione dei Pastori del Ghirlandaio, deporlo a terra e adorarlo. Anche nelle rappresentazioni della scena del Natale proposte da Piero della Francesca e da Van Der Goes la mangiatoia è ormai vuota e il Bimbo, perno assiale della composizione, giace a terra nudo e inerme, con lo sguardo rivolto alla madre e circondato da tutti i personaggi che compongono la scena Natività. Con le mani giunte pregano gli angeli, Giuseppe, i Pastori, i Magi e i committenti che entrano nel quadro: Maria, non più madre ma prima fedele e prima testimone del miracolo, invita all’adorazione del Bambino tutti gli astanti – il cosmo tutto – e coinvolge anche chi, esternamente, voglia mettersi come lei in ginocchio e pregare dinanzi all’immagine sacra.

Il percorso si chiude con un ritorno: l'icona di Teofane proviene dal Monte Athos ed è un hapax iconografico della metà del Cinquecento che ripropone esattamente, nello stile e negli elementi compositivi, l'icona canonica della Natività con cui abbiamo dato inizio a questo percorso. Ma Maria appare qui in ginocchio dinanzi alla mangiatoia, le mani incrociate al petto in uno dei gesti propri dell'orazione. Da Oriente a Occidente, e ritorno: la suggestione figurativa occidentale arriva a intaccare il rigido canone bizantino, in un andirivieni di radiazioni che incrociano i campi dell'espressione devozionale e artistica, dell'immagine e del significato.

1. Scuola di Rublev, Natività, tavola, XV secolo, Mosca, Galleria Tret’jakov.

2. Natività, paliotto eburneo, 1084, Salerno, Museo del Duomo.

3. Nicola Pisano, Natività, marmo, 1259-1260 (Pisa, Battistero).

4. Natività, vetrata, 1325-1350, Dausenau, Cattedrale.

5. Maestro della “Bibbia di Gerona”, Nativitàminiatura da Salterio innario, 1285-1290, ms. 346, c. 113r, Bologna, Biblioteca Universitaria.

6. Giotto, Natività (part.), affresco, 1303-1305, Padova, Cappella degli Scrovegni.

7. Natività, miniatura, fine XIII secolo, cod. 83, c. 164r, Amburgo, Biblioteca Universitaria.

8. Maestro della “Bibbia di Gerona”, Natività, miniatura da Graduale proprio del tempo, 1290-1295, ms. 561, c. 36v. Firenze, Museo di San Marco.

9. Giotto, Il presepe di Greccio, affresco, 1271-1300, Assisi, San Francesco, Basilica Superiore.

10. Maestro daddesco, Natività, tavola, XIV secolo, New York, Metropolitan Museum of Art.

11. Bernardo Daddi, Natività (part. del Polittico di S. Pancrazio), tavola, XIV secolo, Firenze, Galleria degli Uffizi.

12. Piero della Francesca, Natività, tavola, prima del 1482, Londra, National Gallery.

13. Domenico Ghirlandaio, Adorazione dei pastori, tavola, 1462, Firenze, Galleria degli Uffizi.

14. Hugo van der Goes, Adorazione dei pastori, tavola, 1475, Firenze, Galleria degli Uffizi.

15. Teofane di Creta, Il viaggio dei Magi, tavola, 1546, Monte Athos, Monastero Stavronikita.

English abstract

The figure of Mary in scenes of the Nativity – from East to West. An iconological analysis of representations of the Nativity selected from a series of images which from the Byzantine icon lead directly to the Renaissance. Stylistic and semantic variations of the posture and role of Mary in scenes of the Nativity: from the central role of the Mother of God in the context of the dogma of the incarnation, to the humanity and tenderness of a mother in medieval devotional practices, to the figure of Mary, kneeling, the first adorer of the Divine child.

Compendium

Maria puerpera ab Oriente ad Occidentem. Imagines Nativitatis a Byzantinis usque ad Renascimentum digestae. A Virgine Teothoko in dogmate incarnationis, usque ad teneriorem matrem Medio Aevo fictam, tandem Maria genuflexa quae prima Puerum adorat.

Per citare questo articolo/ To cite this article: M. Bergamo, Da Maria puerpera a Maria adorante.Evoluzione nella postura della Madre di Dio nelle immagini della Natività, ”La Rivista di Engramma” n. 29, dicembre 2003, pp. 369-409 | PDF dell’articolo