"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

L’icona invadente, ovvero: la civiltà del pixel*

Sergio Polano

English abstract


 

Tentando di osservare con occhi disincantati l’universo quotidiano della “civiltà dei pixel” ossia il campo della grafica non cartacea, attraverso gli specchi moltiplicatori delle plurime cornici in cui si manifesta (dai monitor dei computer ai distributori di denaro , fino agli schermi dei cellulari , per intenderci), si intravede un panorama iconico, un paesaggio figurale da qualche decennio in esponenziale espansione ma al cui interno non mancano dei singolari moti retrogradi e degli scarti significativi.

La fin troppo ingenua fede in un supposto quanto indimostrato valore comunicativo universale delle immagini e in una altrettanto apodittica potenza espressiva delle icone d’ogni tipo è acriticamente predicata e praticata nell’universo a cui facciamo riferimento, perlopiù senza né verifiche di usabilità né discernimento alcuno degli esiti sul campo.

“L’immagine, in quanto segno, in quanto elemento di un sistema di comunicazione, ha un considerevole valore impressivo – ha affermato Roland Barthes in un’intervista, a suo tempo –. Si è tentato di studiare questo potere di choc ma […] occorre essere molto prudenti: in quanto segno, l’immagine comporta una debolezza, diciamo una difficoltà notevole che risiede nel suo carattere polisemico. Un’immagine irradia sensi differenti, che non sempre sappiamo padroneggiare. […] Così, ciò che l’immagine guadagna in impressività lo perde spesso in chiarezza. […]. È stato detto e ripetuto che siamo entrati in una civiltà dell’immagine. Ma si dimentica che praticamente non c’è mai immagine senza parole, siano queste sotto forma di legenda, commento, sottotitolo, dialogo ecc.”

      

       

È stato l’avvento delle interfacce-utente grafiche (al posto di quelle a comando di linea ) per i sistemi operativi dei computer, una ventina d’anni fa, a dare una spinta formidabile e assieme una motivazione incontrollata a questa esplosione d’iconismo, spesso gratuito, ragion per cui siamo afflitti da una congerie di figurine che presumono di dire più di quanto non possano, superando i limiti del linguaggio verbal-alfabetico. Questo nuovo diluvio universale è dilagato nell’immaginario quotidiano, occupando un posto privilegiato negli strumenti e nei mezzi di comunicazione, dal sempre più gigantesco spazio del web alle svariate trasmutazioni dei telefoni cellulari dalla voce alle immagini.

Laddove un complesso mix di fattori (non ultimo, una appropriata qualità formale) è riuscito ad imporre agli utenti la convenzionalità di questi nuovi segni, essi sono entrati a far parte dei codici visivi condivisi: nell’icona di un bidone con coperchio nel monitor di un computer qualsiasi utente ormai riconosce il luogo virtuale in cui spostare dei files da cancellare; quella di una busta da lettere nello schermo di un cellulare, avverte presumibilmente dell’arrivo di un messaggino o qualcosa di analogo. 

Non si tratta però di un universo stabile e definito; anzi, il mondo di queste speciali immagini si mostra in rapidissima feroce concorrenziale evoluzione; qualsiasi nuova invenzione visiva, tanto maggiore è la sua capacità di identificazione, tanto più velocemente viene replicata: si pensi, ad esempio, alla fortuna recente dei favicon  (al proposito, vedi il commerciale https://www.favicon.cc/), le minuscole immagini (16x16 pixel) che compaiono nei browser di navigazione in rete accanto agli indirizzi http. 

Bisogna però riconoscere che, al tanto conclamato predominio del mondo delle immagini nella comunicazione attuale, si accompagna una invasione verbal-alfabetica senza precedenti: il volume di e-mail scambiate è giunto a una cifra iperbolica, anche rispetto agli scambi nel web, ove peraltro il fenomeno dei blog la dice lunga sulla potenza delle parole; analogamente, gli sms hanno finito per superare in quantità le comunicazioni vocali nei sistemi di telefonia cellulare.

Limitati strutturalmente nel repertorio dei segni trasmissibili sostanzialmente all’alfabeto, caratterizzati da un bisogno intrinseco di economia di mezzi (particolarmente acuta per gli sms), questi ambiti di comunicazione elettronico-digitale sostanzialmente verbale hanno costituito, nel corso degli ultimi anni, dei loro originali repertori di figure, costruite con i segni alfabetici: ne son traccia, su piani diversi, le raccolte di ascii-art e di emoticons diffusissime in rete e ormai disponibili anche a stampa, persino in edicola.

L’ascii-art si avvale dello spettro dell’american standard code for information interchange (arcaico ur-codice informatico), in pratica dei segni della tastiera (anglosassone) di un qualsiasi computer, per disegnare figure (incluse quelle letterali), utilizzate non solo come signature per l’e-mail. Si tratta, in effetti, di un’arte povera e antica, che ricorda malinconicamente le ambizioni espressive di dattilografe provette, nelle copisterie di un’epoca che fu, ma che assieme mostra senza inibizioni come certe forme semplici e vernacolari di espressività siano capaci di sopravvivere ai mutamenti tecnologici, offrendo una gamma assai articolata e accattivante di raffigurazioni, oscillanti da un versante più propriamente pittorico-illustrativo a uno astrattamente sintetico.

Una necessaria stringente sintesi espressiva caratterizza gli emoticon, ancor più condensate figurazioni che, trasmigrate dall’e-mail agli sms. , assai più che l’ascii-art son divenute patrimonio comune: chi non conosce infatti le faccine come questa :-) e le sue innumerevoli varianti e complicazioni? È da notare che, nel caso degli emoticon (1) (originariamente destinati a segnalare stati d’animo, in alcuni casi assurti a codici condivisi anch’essi), la lettura implichi una virtuale rotazione di 90 gradi rispetto all’asse di lettura testuale, risultante in una scrittura per colonne verticali (tipica delle ideografie), come se convivessero e si incrociassero letteralmente una orizzontale alfabetica e una ortogonale figurale. Anche nel caso degli emoticon, i repertori accumulati dall’incessante contributo di anonimi rappresentano una vera e propria miniera di umorali espressioni immaginali, a cui accostarsi senza pregiudizi di sorta, costruendo degli appropriati strumenti d’indagine, se si intende contribuire a una più onesta storia dell’arte (2) e, in specie, delle arti contemporanee, che si affranchi dai troppi pregiudizi che ne limitano lo sguardo.

Note

(*) Testo pubblicato su carta, in versione breviore e aniconica, con il titolo Ditelo con le lettere…, “Sugo” (Venezia) 1, marzo 2004, p. 169

(1) Il primo emoticon risale al 1982; di seguito lo storico documento:
19-Sep-82 11:44    Scott E Fahlman             :-)
From: Scott E Fahlman
I propose that the following character sequence for joke markers:
:-)
Read it sideways. Actually, it is probably more economical to mark
things that are NOT jokes, given current trends.  For this, use
:-(

(2) Arte (pl. arti) sostantivo f. (àr-te)
1 . Attività fabbricativa della specie umana, fondata sul dominio di un ambito tecnico (dal lat. technicum, gr. tekhnikós, der. di tékhne “arte”), cioè sulla padronanza di un sapere agente, esperito sia nella teoria che nella prassi, mirato alla fattura di peculiari artefatti, inutili ma necessari, consoni al mutevole quadro interpretativo e categoriale dei singoli periodi storici.
2 . Attività teorico-pratica di natura rivelativo-rilevativa, mirata alla conoscenza e alla trasformazione; “assai più che un oggetto di eccitazione estetica e, più che illustrazione, [l’arte] è linguaggio al servizio della conoscenza” (Konrad Fiedler, Aphorismen, 36).
3 . Speciale tipo di merce, valorizzata e promossa da teorici dell’arte, critici ed estetologi, in subordine a interessi prettamente economici, secondo variabili indipendenti da valenze conoscitivo-trasformative; “nel regime della libertà borghese l’arte è caduta sotto un’altra forma di illibertà; emancipatasi dalla dittatura del potere aristocratico ed ecclesiastico, è stata sottomessa all’implacabile dittatura del mercato” (Karel Teige, Il mercato dell’arte, 1936).
> etimologia: dal lat. ars, artis, rad. indoeur. /ARE/ e /RE/ “adattare”, “articolare”, “ordinare” ma anche “applicare”, “guarnire”; aff. ad “arto”, lat. tardo artus, -us, class. artus pl., astr. in -tu della id. rad., pres. in area arm., gr. (artys “unione”) e ind. , e ad “arma”, lat. tardo arma, class. arma, armorum pl., colleg. ad armus “articolazione della spalla”, rad. indoeur. /eRE/, /ERE/, /ARE/, pres. con id. ampliam. in -m- in area anglos. (ingl. Arm “braccio”), arm., balt., germ. (ted. Arm “braccio”), indo-iran., sl., e in area gr. con ampliam. in -sm- (gr. hàrma “attrezzatura”, harmonìa “proporzione”, harmòs “spalla”).

English abstract

Trying to observe with disenchanted eyes the daily universe of the “pixel civilization” that is the field of non-paper graphics, through the multiplier mirrors of the multiple frames in which it manifests itself (from computer monitors to cash dispensers, up to the screens of mobile phones , so to speak), we can glimpse an iconic panorama, a figural landscape that has been expanding exponentially for some decades but within which there is no lack of singular retrograde motions and significant differences.

keywords | Pixel; Emotico; Graphic design; Icons.

Per citare questo articolo: S. Polano, L’icona invadente, ovvero: la civiltà del pixel, “La Rivista di Engramma” n.37, novembre 2004, pp. 13-17 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2004.37.0005