"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Il dramma di diventare adulti: il grido della poesia antica e l'afasia dei moderni

Recensione a: Swallow Song, Oxford, Playhouse 17-18 novembre 2006; London, Cochrane Theatre 21-22 novembre 2006

Anna Banfi

"Every family sends out
its living men to war:
every family gets back
their ashes in a jar.

War is a changer of pure gold
reducing living men
into dry lamented dust
sent back from Troy again"

(Da Swallow Song: Eschilo, Agamennone, vv. 433-444
versi adattati da Oliver Taplin)

Questi versi non potrebbero suonare più attuali. In questo periodo storico caratterizzato da guerre, follia e presunzione di "esportare la democrazia" in sistemi politici considerati una minaccia alla sicurezza internazionale, le parole di Eschilo suonano come un monito rivolto a ogni cittadino che, oggi come ieri, non può tirarsi fuori dal gioco politico. Eschilo sottolinea la violenza della guerra – di ogni guerra – che trascina gli uomini fuori dalle loro case e li obbliga a lasciare mogli e figli. Donne e bambini osservano i propri cari allontanarsi e a far loro compagnia rimane solo il terrore, che è quasi certezza, di non vederli più tornare.

Il teatro greco non risolve, ma contiene e rappresenta i conflitti e le contraddizioni della polis: poeta e pubblico si ritrovano a teatro a discutere del presente, rivestendolo di storie mitiche.

Swallow Song viene per la prima volta rappresentato al J. Paul Getty Centre di Los Angeles nell'ottobre 2004. L'Onassis Programme for the Performance of Greek Drama dell'Università di Oxford, inaugurato nella primavera del 2006 con lo spettacolo The Seven Pomegranate Seeds, mette in scena Swallow Song a Oxford, presso la Oxford Playhouse (17-18 novembre 2006) e a Londra, presso il Cochrane Theatre (21-22 novembre 2006). Insieme, sullo stesso palco, alcuni tra i più grandi attori greci e un coro di otto giovani attori inglesi.

La rappresentazione include versi tradotti dallo Ione, dalle Troiane, dall'Ifigenia in Tauride e dall'Ifigenia in Aulide di Euripide, dall'Agamennone e dalle Coefore di Eschilo, dall'Edipo Re di Sofocle, dalla poesia di Saffo, Simonide, Pindaro e Teognide, e frammenti dall'Iliade di Omero. Questi versi sono stati tradotti da Oliver Taplin, Professore di lingua e letteratura greca presso l'Università di Oxford: la sua traduzione è precisa, chiara e, come ha dichiarato la stessa Lydia Koniordou nel dibattito che è seguito alla rappresentazione del 17 novembre a Oxford, è scorrevole e adatta alla recitazione in teatro.

Attraverso la rilettura dei frammenti della tragedia, dell'epica e della lirica greca, Lydia Koniordou, considerata la più grande attrice greca della sua generazione, ripercorre insieme al pubblico il difficile cammino che porta il bambino dall'infanzia all'età adulta. I bambini sono spesso coinvolti in giochi tragici più grandi di loro. Senza comprendere cosa sta loro accadendo, vengono travolti dagli eventi, di cui diventano vittime inconsapevoli.

Questa è la storia di Astianatte, raccontata da Euripide nelle Troiane e rappresentata in Swallow Song. Il figlio di Ettore e Andromaca è una vittima della guerra: è troppo piccolo per aver commesso errori, ma sfortunatamente è l'ultimo simbolo di una casa reale che i Greci vogliono sterminare. L'assurdità della morte di Astianatte è senza dubbio l'icona dell'inutilità della guerra. I conflitti capovolgono l'ordine che la natura ha disegnato per l'uomo: i più anziani – genitori, nonni – si ritrovano a dare sepoltura ai giovani – figli, nipoti – a cui la violenza della guerra ha strappato futuro e speranza. Ecuba, prostrata dal dolore di una madre che ha visto uccidere quasi tutti i suoi figli e che presagisce il proprio destino di deportata in terra straniera, grida di fronte alla realtà orrenda che la vede costretta a seppellire anche suo nipote: "Sweet mouth, your claims all silenced, / unfulfilled. Snuggling in my bed / you'd say, 'old granny, one fine day / when you have died, I'll cut a big / lock from my hair to lay upon / your grave, and cry farewell to you'. / Instead, the old bury the young – / I bury you. / No home, no children / left me, I tend your broken corpse". (Trojan Women, vv. 1180-88, versi adattati da Oliver Taplin).

Raccontando questo episodio, Euripide sembra voler affermare che gli uomini, accecati dalla sete di potere, perdono la capacità di rispettare i limiti loro imposti dal vivere civile. Quando infrangono queste regole, ritornano allo stato ferino.

All'inizio e alla fine della rappresentazione, il Coro intona "Swallow Song", un canto che, dall'antichità fino ai giorni nostri, giovani di Rodi, Egina e Corfù intonano in primavera quando si recano casa per casa chiedendo doni per l'arrivo delle rondini.

"Swallow Song", per Lydia Koniordou e i suoi collaboratori, rappresenta anche la saggezza interiore e l'armonia proprie dei bambini, caratteristiche che un individuo, crescendo, è destinato a perdere, strappato con violenza al gioco e travolto da una realtà che richiede coraggio per essere affrontata.

La scelta del colore bianco per tutti gli elementi sul palcoscenico, inclusi i costumi, è perfetta. Il bianco è il colore dell'infanzia, dell'innocenza e della leggerezza. La coscienza di un bambino è bianca, ma gli eventi la possono macchiare. Le mani imbrattate di sangue sul lenzuolo bianco, esposto sul palcoscenico, sono metafora del bambino che è costretto a diventare adulto.

La musica, elemento portante della rappresentazione, è suonata dal vivo da tre musicisti. Essi seguono con precisione il ritmo degli eventi rappresentati sulla scena e cercano di creare una assoluta armonia tra i suoni e le storie narrate dagli attori, che recitano splendidamente con il corpo e la parola. Il risultato è una perfetta sinfonia tra poesia, canti, musica e danza. La scelta del greco come lingua per alcuni canti è ideale e si rivela adatta a coinvolgere il pubblico, che spesso appare stregato da quelle note antiche. I suoni sono a volte delicati, gentili, come un pennello che vuole soltanto delineare i contorni di un paesaggio e lasciare all'immaginazione dello spettatore la libertà di visualizzare forme e colori; a volte, invece, diventano d'improvviso forti, pressanti, per sottolineare la disperazione che portano con sé guerra e morte.

Affascinante l'idea di far costruire agli attori, all'inizio della rappresentazione, delle barchette di carta utilizzate nel corso dello spettacolo. Le navi sono il simbolo dei Greci che, dopo aver sacrificato Ifigenia, possono salpare per Troia. Ifigenia, vittima e giovane moglie di Ade, si avvia, lentamente, verso l'uscita del palcoscenico: un velo bianco le copre il capo e cade fino a terra. Alcuni coreuti tengono un'estremità del velo, agitandolo e creando così l'immagine delle onde del mare; altri coreuti vi appoggiano delicatamente le barchette di carta e le conducono nella direzione opposta ai passi della giovane fanciulla sacrificata. Ifigenia si avvia verso il Regno dei morti, i Greci verso Troia.

La navigazione è anche metafora dell'esistenza: un bambino viene alla luce e comincia il suo percorso di vita, proprio come un marinaio che salpa con la sua nave. Entrambi non conoscono la destinazione del loro viaggio, né come sarà la traversata, ma sanno che il viaggio sarà lungo e che ci saranno sicuramente tempeste. Intelligenza e capacità verranno misurate nelle situazioni critiche: un uomo, di fronte ai pericoli e alle difficoltà, impara a conoscere se stesso e i propri limiti e si riscopre più forte.

Durante la rappresentazione vengono proiettate alcune fotografie su un lenzuolo bianco: esse documentano le tragedie in cui sono trascinati donne e bambini della Grecia moderna. Guardando queste immagini, gli spettatori rivedono inevitabilmente le sequenze che ogni giorno trasmette la televisione. Gli occhi tristi e lucidi di un bambino greco ricordano lo sguardo disperato di un bambino arabo o africano, o di qualunque altro bambino che vive in un paese in guerra. Il pianto e il lamento di una madre e di una moglie greca suscitano la stessa rabbia che si prova di fronte all'angoscia letta negli occhi di una donna afghana o irachena.

La crudeltà della guerra è sottolineata anche dall'esposizione di fotografie di uomini, donne e bambini scomparsi durante la guerra – ogni guerra. Il Coro appende le foto dei congiunti scomparsi su pannelli bianchi e trasforma il proprio grido disperato in nere parole scritte sul muro. Sono frasi che vogliono essere un appello, un ultimo disperato grido di chi cerca ancora un lampo di luce nell'oscurità che porta con sé la scomparsa di una persona cara. Le parole e i lamenti dei parenti rimangono così l'unico modo per denunciare la violenza e la distruzione che producono la guerra.

Per concludere, la poesia greca – e in particolare la tragedia – offre la possibilità di riflettere sulla situazione politica contemporanea, sulla guerra e sulla sofferenza che essa comporta. La letteratura greca ha un potere immortale, come immortale è la tendenza dell'uomo a interrogare se stesso. Le risposte alle grandi domande possono essere differenti, in base all'epoca in cui vengono formulate e alle condizioni politiche e sociali in cui vivono coloro che cercano risposte. Ad ogni modo, interrogarsi, dibattere sono segnali che il mondo non è ancora del tutto impazzito.

Nel teatro greco si possono trovare parole adatte a esprimere il proprio dissenso e il proprio profondo malessere di fronte a una realtà che sembra rimasta orfana di una vera dimensione politica e priva quindi di uno spazio adeguato all'azione.

Eschilo, Sofocle ed Euripide erano cittadini ateniesi e, come tali, discutevano di fronte alla polis della situazione politica contemporanea greca. Essi avevano proprie opinioni e le esponevano al pubblico attraverso il racconto di storie mitiche, patrimonio comune dei Greci, ma la vera forza del loro teatro era la capacità di spingere gli spettatori a meditare sulla situazione contemporanea, qualunque opinione personale essi avessero.

Swallow Song è un esempio eccezionale di un teatro che spinge a riflettere sulle tragedie quotidiane che da sempre distruggono la vita di popoli e paesi. A causa delle azioni scellerate degli adulti, i bambini sono spesso vittime innocenti e senza voce. Sul palcoscenico, come nella vita reale, il silenzio carico di interrogativi di un bambino o di un intero popolo travolto dalla devastazione della guerra ha il disperato bisogno di trovare un pubblico attento e impegnato che sappia dargli voce. Gli occhi di un bambino, pieni di lacrime e di smarrimento, fissano intensamente gli occhi di un adulto che, se non agisce e abbassa lo sguardo, diventa colpevole.