"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

143 | marzo 2017

9788894840186

Il vino nella monetazione greca di Sicilia

Lorenzo Lazzarini

English Abstract

La moneta, come è noto, nacque nella seconda metà del VII secolo a.C. in Asia Minore, più precisamente nelle antiche regioni della Ionia e Lidia corrispondenti all’attuale Turchia centro occidentale che si affaccia sulla costa egea. Il primo metallo a essere monetato mediante battitura fu l’elettro, una lega naturale di oro e argento presto integrata da analoghe leghe sintetiche a vario titolo in oro, e solo dopo vari decenni sotto il regno di re lidi quali Alyatte e soprattutto Creso (560-546 a.C.), da monete di oro e di argento, metallo quest’ultimo che per quasi duecento anni rimase pressoché esclusivo nel mondo greco, almeno sino alla metà del V secolo quando comparve in Sicilia, e poco dopo nel Sud Italia, il bronzo monetato.

È del tutto probabile che la moneta sia nata per una duplice iniziativa dei re della Lidia e di ricchi privati delle colonie greche ioniche per favorire gli scambi di consistenti beni e proprietà, riscuotendo rapidamente molto successo come è dimostrato dalla sua vasta diffusione nella prima metà del VI secolo nella maggior parte delle poleis elleniche microasiatiche, dalle quali si irradiò verso occidente nelle isole egee e nella madrepatria, rapidamente raggiungendo le colonie magnogreche e siceliote attorno alla metà di quel secolo.

Nell’Italia meridionale furono proprio le colonie achee della Lucania, prima fra tutte Sibari, capitale di un vero e proprio impero che controllava due dozzine di centri greco-indigeni, subito seguita dalla rivale Crotone, da Metaponto, poi da Poseidonia, Caulonia, Laos e Taranto, a emettere un’articolata serie di nominali di argento incusi, cioè in una tecnica con una medesima figura in rilievo al dritto e in incavo (non esattamente corrispondenti) al rovescio. Tale insolita tecnica aveva lo scopo precipuo di rendere difficile la ribattitura e quindi la eventuale migrazione di metallo prezioso da una regione che ne era quasi del tutto priva verso altre, sia con finalità di ribattitura, sia di tesaurizzazione.

In Sicilia la prima città a battere moneta, come a Sibari verso il 550 a.C., fu senza dubbio Selinunte, sub-colonia di Megara Iblea fondata al confine occidentale tra l’area greca e la punica, che si arricchì ininterrottamente per oltre un secolo con gli scambi commerciali con i suoi vicini élimi e di origine cartaginese, abbisognando così di un efficace mezzo quale la moneta, che i commerci grandemente facilitava, e in più era utile anche a finanziare il suo incredibilmente ricco programma di abbellimento urbanistico mediante l’edificazione di un gran numero di templi. L’esempio di Selinunte venne subito dopo seguito da Himera, e poco più tardi da Naxos, la più antica colonia greca di Sicilia, città alle quali si affiancarono negli ultimi decenni del secolo Zancle (Messina), Siracusa e Agrigento. Tutte le altre grandi colonie greche dell’isola – Gela, Katane, Leontinoi e Kamarina, imitate dai più importanti centri élimi quali Erice e Segesta e punici (ad es. Motya e Panormo) – si dotarono di loro emissioni nella prima metà del V secolo a.C., avendo la moneta assunto per una polis o gruppo etnico la più immediata espressione di indipendenza politica e prosperità economica.

Nella monetazione greca in generale, i tipi figurativi che compaiono sui due versi del tondello erano principalmente riferiti ai culti di dei, eroi o fondatori della polis (ad es. di Atena ad Atene, di Poseidone a Poseidonia, di Eracle a Dicea, di Taras a Taranto) o a miti locali (ad es. del Minotauro a Cnosso ) o a immagini simboliche del potere che spesso rimasero tali per secoli, come il leone per i re lidi o l’aquila di Zeus a Olimpia, o a singolari prodotti della natura o dell’attività umana caratterizzanti una determinata area geografica. Sono quest’ultimi tipi che qui ci interessano; verranno in particolare considerati quelli riferibili al vino, con rappresentazioni della vite e dei suoi frutti, di Dioniso dio del vino e del suo tìaso (corteo di fauni, satiri, sileni e menadi e/o di animali come gli asini e le pantere, che lo seguivano nelle sue peregrinazioni e manifestazioni).

I tipi legati alla natura erano sia animali sia vegetali e molto spesso “parlanti”: dei primi basti ricordare i delfini presi a simbolo da molte città greche site sulle coste di isole (ad es. Zancle-Messana in Sicilia, Tera e Carpato nell’Egeo) o la foca monaca per Focea e il gallo, l’animale che annuncia il giorno, per Himera; dei secondi il silfio, pianta medicinale spontanea che fece la fortuna della libica Cirene, e la foglia di sèlino (lo smirnio) per Selinunte o la palma che compare su molte monete puniche della Sicilia e richiama l’Africa, luogo di origine dei fondatori cartaginesi.

I tipi connessi ai prodotti dell’uomo sono ben più numerosi dei precedenti, in quanto caricati anche di un intento propagandistico, annunciando ciò che una città o un popolo produceva di tipico, favorendo così i commerci e l’economia dei luoghi. Tra questi tipi, un posto senz’altro preminente spetta alla spiga di orzo/grano che, ad es. contraddistinse tutta la monetazione di Metaponto, ma che compare in molte altre poleis come ad es. a Eraclea Minoa e in altre città della Sicilia, e ricorda non soltanto il pane, ma anche Demetra la dea delle messi il cui culto era diffusissimo in Sicilia e in molte regioni della Grecia continentale.

Fig. 1 | Statere di Ioulis (isola di Ceo, Grecia), 520-15 a. C. con al D/grappolo d’uva, e delfino nel campo; al R/quadrato incuso irregolare, a forma di pale da mulino a vento.

Subito dopo si può porre il grappolo d’uva e la vite che riconducono immediatamente a una produzione di vino e a un locale culto di Dioniso, divinità che è spesso raffigurata sulle monete greche e rimanda anch’essa alla coltura della vite. Ma lo stesso rimando è anche evidente nella raffigurazioni di oinochoai, cantari e crateri, cioè di contenitori per vino o sue miscele con acqua, che assieme a anfore vinarie compaiono numerosissime sulle facce di monete di vari metalli, ad es. ad Apollonia e Taso, città della Macedonia, regione che dall’antichità ai nostri giorni ha sempre prodotto ottimi vini.

Nell’Ellade erano davvero numerosissime le poleis produttrici di vini famosi, tra queste, nel continente, Mende, Maronea, Locri Opunzia e, tra le isole, Ceo, Chio e Samo. La produzione trovò spesso riscontro nei tipi monetali di queste località: a Ioulis, città principale di Ceo, già nel 515 a.C.compare un grappolo d’uva [Fig. 1] come simbolo principale al dritto di uno statere, come poco dopo a Pepareto (l’isola ora denominata Scopelo).

Fig. 2 | Tetradramma di Mende (Macedonia), 450-440 a.C., Dioniso steso sulla groppa di un asino con la destra alza un cantaro pieno di vino/albero di vite con grappoli d’uva.

Nei tetradrammi di Mende all’inizio del V secolo a.C. appare un asino itifallico, simbolo dionisiaco, con in bocca un grappolo d’uva e, a metà dello stesso secolo, un Dioniso steso sul dorso di questo suo animale prediletto al dritto e un albero di vite con abbondanti frutti al rovescio [Fig. 2], albero che verrà poi imitato da Maronea e altre città della Tracia.

Fig. 3 | Statere dei Serdaioi (Lucania), 490-470 a.C. Sopra: Dioniso stante con cantaro nella mano destra e tralcio di vite nella sx./tralcio di vite con grappolo d’uva tra due foglie. Sotto: diobolo con testa di Dioniso/grappolo d’uva.

In Magna Grecia, in un sito ancora sconosciuto, il popolo indigeno dei Serdaioi, alleati di Sibari, coniarono attorno al 480 a.C. rarissimi stateri e frazioni argentee con l’immagine di un Dioniso stante [Fig. 3] o di una sua parte (la testa) nei nominali minori e, sul rovescio, un tralcio di vite con grappolo d’uva o un semplice grappolo d’uva, rispettivamente, chiaro indizio della principale economia del loro sostentamento.

Fig. 4 | Dracma della II emissione monetale di Naxos (Sicilia), 520-510 a.C., testa di Dioniso coronata di edera/grappolo d’uva tra due foglie di vite.

Analogamente in Sicilia, attorno al 530-520 a.C., la già citata colonia di Nasso, fondata da greci provenienti da Calcide nell’Eubea e dall’isola egea di Nasso, adottò una stupenda testa arcaica di Dioniso al dritto e un grappolo d’uva al rovescio [Fig. 4] di sue dracme e relative frazioni che chiaramente attestavano i principali culto e produzione della polis.

Fig. 5 | Tetradramma di Naxos (Sicilia), 460 ca. a.C., testa di Dioniso con corona di foglie di edera/sileno nudo itifallico alza il cratere con la destra per bere.

Questi tipi continuarono anche nel V secolo quando a essi si affiancarono quelli di un sileno itifallico nell’atto di bere vino da un kantaros in tetradrammi unanimemente ritenuti i capolavori assoluti dello stile severo [Fig. 5] e classico siceliota. La città continuò a vivere di commercio vinario sino al 403, quando venne distrutta dal tiranno siracusano Dionigi I: i superstiti si rifugiarono sulle alte pendici del monte Tauro dove più tardi fondarono Tauromenio (Taormina).

Fig. 6 | Quadrante di Calacte (Sicilia), dominazione romana, 200-150 a.C., testa giovanile di Dioniso con corona di foglie d’edera/grappolo d’uva con due foglie.

Nel V secolo anche il piccolo centro siculo di Galaria, la cui localizzazione è tuttora incerta (forse poco lontano da Camarina), dovette prosperare grazie alla produzione di vino, come si deduce dai tipi dionisiaci (Dioniso stante con nelle mani cantaro e tirso e grappolo d’uva) presenti sulle sue rare piccole litre argentee, mentre i riferimenti alla coltura della vite sono presenti sulle facce di molte monete bronzee dei secoli IV-II a.C., ad es. emesse da Nacona, dove un Dioniso va a spasso sul dorso di un asino come a Mende, Catania, Calacte [Fig. 6], Tauromenio e Alesa Arconidea, sui cui rovesci compaiono grappoli d’uva, ecc., testimoniando dell’importanza della produzione vinaria siceliota, continuata e testimoniata numismaticamente (ad es. a Enna ed Entella) anche in epoca romana, così che si può indubbiamente affermare essa sia proseguita senza interruzioni nel Medioevo ed epoche successive arrivando sino ai giorni nostri.

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English abstract

The first coinage took place in the second half of the VII c. B.C. in the kingdom of Lydia and in some of the most important coastal poleis of Asia Minor; a few decades afterwards it spread in the Aegean islands and in Continental Greece. It reached the colonies of Magna Graecia and Sicily in the fifties/forties of the VI c. B.C., Sybaris and Selinus being the first cities to adopt silver coins as a mean of internal commerce and international exchanges. In Sicily, as for most of the Greek cities, the city emitting the coins is identifiable from the images shown on the two faces of the coin itself, normally referring to local gods, myths, or products of the land. Given the importance of wine production in several Siceliote centres, Dionysos and his attributes − as well as subjects connected to his thiasos or to wine, such as satyrs and fauns, grapes and kantharoi or oinochoai − are often depicted on one or on both sides of the coins. This is for example the case for the city of Naxos in Sicily, now Giardini Naxos, where around 530 B.C. a beautiful Archaic head of the god of wine is associated with a grape on the reverse of the coin; or later in 460 B.C. the reverse will show a itiphallic silenus drinking from a cup. The paper also mentions the other Siceliote cities − such as Catana, Calacte, Galaria, Nacona and Tauromenio − whose coin types like those described above clearly witness a wine production in the Greek and Roman periods.

keywords | Sicily; Greek culture; Coinage; Wine.

To cite this article: L. Lazzarini, Il vino nella monetazione greca di Sicilia, “La Rivista di Engramma” n. 143, marzo 2017, pp. 69-75 | PDF of the article 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2017.143.0007