"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Ronald Brooks Kitaj: Aby Warburg e Ernst Gombrich, due ritratti a confronto

Matias J. Nativo, Alessia Prati

English abstract

1 | Ronald B. Kitaj, Warburg as Maenad, olio e collage su tela, 193x92 cm, 1961-1962, Stiftung Museum Kunstpalast, Düsseldorf.
2 | Ronald B. Kitaj, Sir Ernst Hans Josef Gombrich, pastelli e carboncino, 67,6x57,8 cm, 1986, National Portrait Gallery, London.

“I do a painting interpretation (of a subject) first of course and then its commentary” (Kitaj 2007, 43). Perentoria questa affermazione di Ronald Brooks Kitaj e molto adatta a introdurci alla lettura dei ritratti che l’artista propone di due grandi protagonisti della cultura del XX secolo: Aby Warburg e Ernst Gombrich. Proprio l’accento che l’artista americano (ma europeo di formazione), pone sul fattore interpretativo della sua ‘arte del ritratto’ avalla l’ipotesi di utilizzare i due ritratti come dispositivi di lettura della personalità dei due intellettuali. Già alcuni studiosi (ad esempio Edward Chaney e Franz Engel) hanno visto in Kitaj uno degli esempi più espliciti dell’influenza che il metodo di Warburg ha apportato non soltanto allo studio della storia dell’arte ma anche alla poetica delle arti visuali. Sono per altro le stesse parole dell’artista a sottolineare l’influenza del metodo di Warburg non solo sulla sua arte ma sulla sua ‘vita estetica’:

Aby Warburg: Jewish Prophet of my Oxford youth (see my Confessions of an Old Jewish Painter, soon to be published). He was (aside from Berenson perhaps) the father of modern art history and one of the great influences on my painting and aesthetic life (Kitaj 2007, 118)*.

Sarà dunque da sondare un preciso contesto, quello della sua cultura e della sua formazione (se pur a venticinque anni di distanza, in due diverse fasi della sua vita), che va interrogato per capire come presero forma i due ritratti. Ma prima, per indagare il senso della “painting interpretation” che Kitaj propone di Warburg e poi di Gombrich, conviene tracciare un breve profilo biografico dell’artista e cercare di ricostruire la specifica temperatura culturale in cui nascono le due opere.

Warburg as Maenad (1961/1962). L’incontro di Kitaj con Warburg (via Wind)

Una figura androgina, “a transvestite” secondo la lettura di Franz Engel (Engel 2013, 104), campeggia lungo l’intera verticalità della tela, occupando lo spazio da protagonista, su una porzione cromatica rosso pompeiano che ha l’effetto di distaccarla dallo sfondo color ocra.

Il corpo dalle fattezze androgine si snoda incurvandosi in una postura innaturale che pare il fermo-immagine di una danza. L’opera si muove su due linee: la direzione del movimento da destra verso sinistra pare smentita nella parte alta del dipinto in cui busto, testa e braccio tracciano una linea che procede verso l’angolo in alto a destra. Immediatamente rintracciabile un’altra contraddizione compositiva: i tratti del volto quadrato, con due grossi baffi rossi e un cappello a tesa larga viola, si oppongono alla morbidezza delle linee che caratterizzano il corpo femmineo.

La compresenza di elementi maschili e femminili è visibile anche nei due monili: l’orologio, decisamente maschile, del braccio destro alzato; il bracciale che stringe il polso del braccio sinistro, teso sotto la curvatura del corpo. Una serie di oggetti fa da cornice al soggetto principale. Uno in particolare emerge sugli altri, sia per la sua collocazione nel montaggio sia che per la natura dell’elemento: si tratta della pagina di un testo inserita tramite collage sulla fascia destra del dipinto, nell’unica porzione dello sfondo ocra ampia abbastanza per accoglierla, in una collocazione che concorre a distinguere il piano della figura dallo sfondo da cui la pagina emerge e al quale sembra appartenere. L’impaginazione del testo dattiloscritto crea inoltre uno spostamento rispetto alla piattezza delle campiture cromatiche dai toni accesi che caratterizzano il resto dell’opera [Fig. 1].

L’approccio del pittore americano agli studi iconologici e conseguentemente alla figura di Aby Warburg risale all’epoca della formazione (v., infra, Nota Biografica). Una relazione indiretta mediata dalla lettura dei saggi di Erwin Panofsky pubblicati in lingua inglese sin dalla fine degli anni ’30:

Iconological studies had caught my interest by the time I was eighteen or so in New York. I had read into Panofsky long before I heard of Wind (Livingstone 2010, 15).

Prima Panofsky e poi Wind, dunque; ma sarà proprio nella figura di Edgar Wind – che come noto negli anni ’20 era stato il primo allievo di Erwin Panofsky e di Ernst Cassirer all’Università di Amburgo – che va rintracciato il diretto anello di congiunzione tra Kitaj e Warburg. Professore della cattedra di Fine Art alla Ruskin School di Oxford, che Kitaj frequenta tra il 1957 e il 1959, Wind introdusse il giovane artista non tanto ai saggi di Warburg (indisponibili in lingua inglese fino al 1999), quanto piuttosto alla lezione di metodo che, dal maestro, Wind aveva ereditato. È Kitaj stesso che ci conferma l’importanza della mediazione di Edgar Wind nel suo avvicinamento “al mondo di Aby Warburg”:

Oxford had just given its first chair in Fine Art to the brilliant, contentious refugee Edgar Wind, whose popularity was such that his amazing lectures, on Italian Renaissance mainly, were given at the Playhouse, across the street from my Ashmolean. This was my first encounter with the world of Wind’s master Aby Warburg (Kitaj 2007).

Wind, forse il più fedele erede della lezione warburghiana, era stato estromesso dalla vita dell’Istituto fondato ad Amburgo da Warburg e rinato a Londra dopo la Seconda guerra mondiale il quale, a partire dal 1959 fino al 1976, sarà diretto proprio da Ernst Gombrich. E la “painting interpretation” che Kitaj offre di Warburg intorno al 1961 è certo una visione tanto vicina alla interpretazione di Wind quanto, altrettanto, lontana dalla interpretazione del profilo di Warburg che proporrà, di lì a breve, Gombrich. Com’è noto, nel 1970 esce la prima e fondamentale biografia su Warburg e in Aby Warburg: An intellectual Biography Ernst Gombrich (che si accolla un po’ suo malgrado l’onere di completare il lavoro trascinato per decenni da Gertrud Bing) legge le ossessioni nervose e psicotiche di Warburg come un tratto che aveva condizionato pesantemente, in senso tutto negativo, non solo la vita ma anche l’attività intellettuale dello studioso. Per Wind invece – e di riflesso per il suo allievo Kitaj – anche gli aspetti più inquieti di quella che Gombrich interpreta come la “tortured personality” di Warburg vanno considerati come sintomi di una personalità complessa e profonda, ma capace anche di ironia e leggerezza, e che anzi sapeva mettere a frutto del suo metodo di ricerca in via di definizione anche le sue proprie angosce e inquietudini:

To begin an ‘intellectual biography’ of this particular scholar by ruling the Comic Muse out of court is to lose sight of an important phase of his historical imagination. Unfailingly responsive of human incongruities, which he would re-enact in his own person with a disconcerting degree of verisimilitude, Warburg used his wit as an ideal instrument for refining and deepening his historical discernment (Wind 1971, 735).

Nel ritratto che Wind ci restituisce criticando duramente Gombrich, malattia, vita e pensiero critico in Warburg si intrecciano inesorabilmente, andando a confondersi. Una dozzina di anni prima rispetto alla recensione a Gombrich, e quindi in un periodo più prossimo alla frequentazione del maestro, Edgar Wind, nel suo ruolo di professore alla Ruskin School, certamente proponeva ai suoi studenti lo stesso ritratto di un Warburg amabilissimo, socievole e spiritoso, eppur tuttavia scosso da un demone interiore. Un tale ritratto fu certo di grande impatto su un allievo come Kitaj, affetto dalla stessa inclinazione saturnina di Warburg – un’indole melanconica che porterà l’artista (ma anche la sua prima moglie) al suicidio. Non c’è da stupirsi che Kitaj sia stato particolarmente sensibile a una comunanza a distanza, estetica e spirituale, con Warburg e abbia preso spunto da questa consonanza per una riflessione che alla fine degli anni ’50 lo ossessionava a tal punto da indurre l’amico Philiph Roth a parlare in Counterlife di lui come di un intellettuale “Jew on the Brain”. È lo stesso Kitaj ad accomunare Warburg agli altri grandi protagonisti ebrei della cultura del XX secolo:

I became aware that Warburg was to art history what Einstein was to physics, Wittgenstein to philosophy, Freud to the study of the mind, Eisenstein to film and so on: Jewish founding father of Modernism (Kitaj 2007, 118).

Malattia mentale, spirito dionisiaco e tradizione ebraica si legano dunque nella lettura che Kitaj offre di Warburg. Tuttavia la relazione non si consuma nella mera constatazione di affinità culturali e biografiche né con il maestro, né con il suo discepolo. Una lettera datata alla fine degli anni ’50, conservata tra le carte di Wind a Oxford, attesta l’importanza del ruolo di Wind e il contributo che l’artista chiede al suo insegnante, non soltanto nell’approccio metodologico alla storia dell’arte, ma anche nella sua stessa pratica artistica:

Dear Professor Wind
A few weeks ago you suggested that you would have time to examine some drawings of mine after the end of term. Wise counsel would be most welcome should you find time. With thanks,
Ronald Brooks Kitaj, c/o Ruskin School (Chaney 2013, 16).

Come notavamo più sopra, è stato più volte rimarcato dalla critica come Kitaj tentasse di opporsi al dictat del formalismo greenberghiano imperante nelle scuole d’arte americane della metà del XX secolo. Il pensiero di Warburg potrebbe aver costituito un punto di riferimento importante per dare sostanza teorica al rifiuto del mero dato formale che l’artista sistematicamente ribadisce, a vantaggio del contenuto delle immagini:

This new/old world seemed to my surrealistic-inclined mind, an interesting parallel river to the important, and dominant one called art for art’s sake, which ran at floodtide through the School of New York (Kitaj 2007, 118).

Per tornare al ritratto, come suggerito dal titolo stesso la figura centrale è Warburg rappresentato sub specie di una menade invasata. Modello per i tratti somatici di Warburg, sembra essere la foto scattata nel 1896 (così Chaney 2013, 14), che ritrae l’intellettuale a fianco di un danzatore Hopi [Figg. 3 e 4]. Il medesimo cappello a tesa larga e i medesimi lunghi baffi costituiscono la congiunzione tra ritratto fotografico e ritratto pittorico. Un ritratto conservato al Jewish Museum di Berlino, in cui Kitaj propone Warburg con al collo lo stesso fazzoletto a righe che vediamo nella foto del 1986 [Fig. 6], ci conferma che il modello della ‘menade’ è proprio la foto con l’Hopi [Fig. 5].

da sin a dex:
3 | Aby Warburg con indiano Hopi, fotografia, 1895, The Warburg Institute.
4 | Aby Warburg con indiano Hopi, fotografia, 1895, The Warburg Institute, dettaglio.
5 | Ronald B. Kitaj, Portrait of Aby Warburg, carboncino su tela, 1958-1962, Jewish Museum Berlin, courtesy Estate Kitaj.
6 | Ronald B. Kitaj, Warburg as Maenad, olio e collage su tela, 193x92 cm, 1961-1962, Stiftung Museum Kunstpalast, Düsseldorf , dettaglio.

Per la postura sinuosa della menade Franz Engel ha proposto come prototipo la famosa menade danzante di Skopas (in realtà una copia romana dall’originale ellenistico) oggi a Dresda, al Staatliche Kunstsammlungen [Figg. 7 e 9].

7, 9 | a dex e a sin: Menade danzante di Skopas, copia romana da un originale ellenistico, 330 a.C., marmo, 45 cm, Staatliche Kunstsammlungen di Dresda.
8 | al centro: R.B. Kitaj, Warburg as Maenad, olio e collage su tela, 193x92 cm, 1961-1962, Düsseldorf, Stiftung Museum Kunstpalast.

È possibile tuttavia convocare la suggestione di altri due modelli, entrambi da un’opera di Botticelli. La postura degli arti inferiori sembra infatti recuperare tanto nella posizione dei piedi quanto nella torsione delle ginocchia della cosiddetta Venus pudica [Fig. 10], modello archeologico per la postura dei piedi sia della Venere protagonista della Nascita di Venere, sia della Venere e di una delle Grazie della Primavera di Botticelli [Fig. 11]. Il movimento degli arti superiori sembra, d’altro canto, ricalcare la movenza di un braccio di una delle Grazie (quella che Wind identifica con Pulchritudo) così come appare nella stessa Primavera (o meglio, nel “Regno di Venere”, raccogliendo il suggerimento di Warburg di cambiare il titolo dell’opera – che, com’è noto, deriva dalla sommaria descrizione di Vasari) [Fig. 13].

da sin a dex:
10 | Venus pudica, detta altrimenti “Venere Medici”, marmo, I sec. a.C., Galleria degli Uffizi, Firenze.
11 | Sandro Botticelli, Regno di Venere (Primavera), tempera su tela, 203x314 cm, 1482, dettaglio dei piedi delle Grazie.
12 | Ronald B. Kitaj, Warburg as Maenad, olio e collage su tela, 193x92 cm, 1961-1962, Stiftung Museum Kunstpalast, Düsseldorf, dettaglio dei piedi.
13 | Sandro Botticelli, Regno di Venere (Primavera), tempera su tela, 203x314 cm, 1482, dettaglio delle braccia di ‘Pulchritudo’.
14 | Ronald B. Kitaj, Warburg as Maenad, olio e collage su tela, 193x92 cm, 1961-1962, Stiftung Museum Kunstpalast, Düsseldorf, dettaglio delle braccia.

A conferma di questa suggestione, proprio nel 1958, il mentore di Kitaj, Edgar Wind, pubblicava a Londra Pagan Mysteries of the Renaissance, nel quale è contenuto l’importante saggio con l’attenta analisi delle figure delle Grazie nel Regno di Venere. Difficile ignorare il dato della presenza di Botticelli nel repertorio degli studi di Wind coevi all’opera di Kitaj.

Warburg, dunque, come menade danzante (secondo il modello della Menade di Skopas), o come una delle Grazie intente nella loro misteriosa carola (secondo il modello di Botticelli). Un Warburg, comunque, ‘danzante’. Sarà giusto il caso di ricordare che proprio Wind, nel suo violento attacco contro la biografia di Gombrich, ricorda che Warburg era un “ballerino incantevole [...] tra i più entusiastici gaudenti tra gli studenti che prendevano parte al carnevale di Colonia”:

Admired in his youth as a ‘ravishing dancer’ he became notorious, while he was studying at Bonn, as one of the most ebullient among the revelling students who took part in the carnival of Cologne. His animal vitality (which illness never quite managed to subdue) was at the root of his marvelously exact comprehension of folk festivals, whether in Renaissance Florence or among the Pueblo Indians (Wind 1971, 108).

15 | Ronald B. Kitaj, Warburg as Maenad, olio e collage su tela, 193x92 cm, 1961-1962, Stiftung Museum Kunstpalast, Düsseldorf, dettaglio dello scritto.

Ancora, intrecciati insieme, vita studio malattia: vita, portata al grado superlativo e profondo della “vitalità animale” che riemerge nei ‘baccanali’ degli studenti di Bonn; malattia che non riesce a soggiogare quella vitalità; studio che si orienta anche, soprattutto, dove l’esperienza attrae l’interesse dello studioso. Importante, in questo senso, è il contenuto della pagina posta sul lato destro [Fig. 15], in cui si intravede, di pugno di Gertrud Bing, la descrizione del peggioramento della patologia psichica che, alla fine della prima guerra mondiale, portò Warburg al ricovero di Kreuzlingen (Bing 1957, 9; Engel 2014, 104).

Sir Ernst Hans Josef Gombrich (1986). L’incontro di Kitaj con Gombrich

Una figura maschile adulta ritratta a mezzo busto occupa l’area centrale dell’opera, dividendola simmetricamente in due porzioni. La simmetria del volto si sviluppa lungo l’asse verticale, mentre la curvatura delle spalle coincide con l’asse orizzontale della composizione.

Un tratto veloce ma sicuro definisce profilo e sagoma del soggetto e accenna a uno spazio retrostante non perfettamente leggibile. Un chiaroscuro più accurato sottolinea, aumentandone l’effetto volumetrico, i tratti somatici del personaggio, che si impongono come punto d’attrazione per gli occhi dello spettatore. Come a far risaltare meglio la figura, l’artista mette una grande attenzione nel trattare le porzioni di spazio limitrofe: l’alternanza cromatica definisce zone di luce e ombra che concorrono a staccare la figura dallo sfondo. Una luce laterale proveniente da destra illumina una parte del volto del soggetto ritratto, che interloquisce con lo spettatore con il suo sguardo acuto e ammiccante, ma anche con un sorriso che gli affiora sulle labbra [Fig. 2].

Il primo incontro dell’artista con il nome di Gombrich fu introdotto, anch’esso, da Wind il quale, come è possibile evincere dalle stesse parole di Kitaj, lo aveva iniziato a tutti i ‘legatees’ di Warburg, come a un gruppo che comprendeva le personalità diverse (anche per età) del primo Warburg-Kreis:

Wind led me to his master, Warburg, who died semi-mad in 1929 and Warburg led me to his legacy and to his legatees – Panofsky, Saxl, Bing, Wittkower, Otto Pächt, the younger Gombrich and old all the rest (Kitaj apud Chaney 2013, 7)

“Warburg, who died semi-mad in 1929 [...]”: si noti come la distanza cronologica che si allunga rispetto al periodo della lezione di Wind, porti Kitaj via via a liquidare come definitiva la pazzia di Warburg – così come accade nella vulgata delle biografie su Warburg (tutte profondamente suggestionate dalla Intellectual Biography di Gombrich).

Il primo contatto diretto che il pittore ebbe con Gombrich risale all’estate del 1986 quando, dopo un tentativo fallimentare di affidare l’esecuzione del ritratto di Gombrich a Lucian Freud, la National Portrait Gallery commissiona l’opera al pittore americano. A quanto risulta, fin dal principio, informato di chi era stato l’artista prescelto dalla Galleria, Gombrich espresse i suoi dubbi sul talento di Kitaj, del quale, evidentemente, non conosceva l’opera: infatti, un messaggio telefonico datato 18 giugno 1986, conservato presso la stessa National Portrait Gallery, registra l’istanza della moglie di Gombrich, Ilse, di accettare la commissione del ritratto a Kitaj soltanto previa visione del corpus delle opere dell’artista e la valutazione delle sue qualità tecniche (Chaney 2013, 2).

Così Kitaj fa riferimento all’incontro con Gombrich in una lettera datata 1992 destinata a Robin Gibson:

Enjoyed great conversation with both men [Gombrich and Lord Sieff] while I worked […]. Gombrich, of course, is a goldmine of insight into art. Both sitters seem to enjoy talking about aspects of modern Jewish history as well – which I had been immersing myself in at that period. We became very affectionate with each other in both cases. I think the portraits came out well and I’m grateful to the NPG for pushing me out of my hermit’s cave to do the job (Chaney 2013, 4).

Nella stessa lettera Kitaj fa riferimento a 8-10 sedute di due ore ciascuna. Le conversazioni tra l’artista e lo studioso, avvenute durante la realizzazione del ritratto, non sembrano discostarsi, almeno dal punto di vista tematico, da quelle che Kitaj intratteneva, più di 25 anni prima, con Wind: storia dell’arte, Warburg, la questione ebraica e la malattia mentale. Innanzitutto, la presenza di Edgar Wind nella biografia e nel pensiero di Kitaj non sarà stata un fattore di avvicinamento, ma più probabilmente di tensione; nei dialoghi con Gombrich, l’artista potrà avere avuto occasione di misurare la distanza tra la posizione di Gombrich e quella del suo primo maestro Wind, relativamente a Warburg e alla sua psicosi. Un altro punto nevralgico sarà stata la questione ebraica e la lettura che Kitaj proponeva del protagonismo degli intellettuali ebrei nel XX secolo, una questione centrale nel pensiero dell’artista, e invece del tutto periferica in Gombrich, che riporta sempre l’ebraismo a una scelta personale, e all’ambito delle scelte religiose individuali. Certo è che, qualunque sia stata la causa, si registra un fallimento del ritratto: Gombrich avanza la richiesta di cancellare dal suo volto quel sorriso, nel quale legge come una sorta di ‘ghigno’ in cui non si riconosce. È Gombrich stesso – intervistato nel 2000 – a farsi carico almeno in parte della responsabilità dell’accaduto:

On the second day of our sittings the first sketch showed a happy grin. I should not have intervened, but I asked him to wipe it off my face, and as a result, to my mind the features have no coherent expression at all (Chaney 2014, 3).

Lo stesso Gombrich, alla fine, rifiutò il ritratto e per di più avanzò al Direttore della National Portrait Gallery la proposta di tenere, una volta a settimana a fianco dell’opera, una lezione sul tema della somiglianza nel ritratto (una proposta che la Direzione declinò: Smith 2006).

In realtà si tratta di un’opera relativamente convenzionale, che si inserisce perfettamente nella tradizione della ritrattistica dei personaggi illustri. L’opera di Kitaj ci consegna il ritratto di un signore composto, sul cui volto si intravede affiorare un flebile sorriso, che quasi fatica ad emergere attraverso la seriosa compassatezza dei tratti. Ed è uno stile e una “painting interpretation” che restituisce una immagine del personaggio diametralmente opposta rispetto al ‘Warburg-Maenad’ che la stessa mano d’artista aveva colto (e interpretato pittoricamente) molti anni prima. Al corpo flessuoso e dionisiacamente androgino della menade-Warburg, reso con una tecnica, una gamma cromatica e una impostazione formale molto vitalistiche e pop, si contrappone il ritratto austero di un anziano intellettuale in posa, vestito di tutto punto, corpulento e un po’ stanco, evidentemente ben cosciente del suo ruolo, che accenna a un sorriso con un movimento impercettibile della bocca. Il tutto restituito con una tavolozza cromatica tutt’altro che vivace, ma molto rigida e spenta.

“Warburg as Maenad” versus “Sir Ernst Hans Josef Gombrich”: anche i ritratti dei due intellettuali, entrambi eseguiti da un artista sensibile e consapevole come Kitaj, che via Wind aveva avuto modo di conoscere di prima mano la tradizione del Warburg-Kreis, ripropongono la polarità e la contraddizione che hanno attraversato (e a tratti lacerato) la storia del Warburg Institute a Londra. Due immagini che, nella loro distanza, raccontano la storia della – contrastata – eredità del pensiero e del metodo di Warburg.

*L’autobiografia di Kitaj, Confessions of an Old Jewish Painter, è appena stata pubblicata (fine novembre 2017), per l’editore Eckhart Gillen di München,‎ con una Introduzione di David Hockney: sarà oggetto di una presentazione in un prossimo numero di Engramma.

Nota biografica

Tra il 1957 e il 1959, Ronald Brooks Kitaj (nato a Cleveland, Ohio, il 29 Ottobre 1932 da una famiglia ebrea di origini ungheresi), che si era trasferito per il servizio militare in Europa nella Germania del Secondo dopoguerra e aveva frequentato l’Akademie der Bildenden Künste a Vienna, ottiene una borsa di studio alla Ruskin School of Drawing and Fine Art di Oxford (1957-1959). Su suggerimento dell’insegnante di disegno, Percy Horton, Kitaj decide di fare domanda al Royal College of Art di Londra, dove si lega agli artisti che daranno vita alla Pop Art britannica – David Hockney, Allen Jones, Patrick Caulfield, Eduardo Paolozzi - cosa che indurrà molti critici a identificarlo come appartenente al gruppo. Sono le stesse gamme cromatiche, l’ampio utilizzo del collage, le immagini da riviste patinate a indurre una lettura in chiave Pop delle opere realizzate nel periodo immediatamente successivo alla fase di formazione.

Sin dalle sue prime opere risulta evidente l’apporto di ispirazioni riconducibili tanto alla letteratura e alla storia dell’arte quanto a eventi politici e sociali contemporanei – tutti elementi che lo allontanano dai confini tracciati dall’arte Pop. Dell’ampia costellazione di personaggi direttamente ritratti, o che hanno ispirato opere di Kitaj fanno parte: Rosa Luxemburg [Fig. 16], Virginia Woolf, Walter Benjamin [Fig. 17], Philip Roth [Fig. 18], T.S. Eliot, Ludwig Wittgenstein [Fig. 20], Albert Einstein, Sergei Eisenstein, Franz Kafka [Fig. 19], oltre che i nostri Ernst Gombrich e Aby Warburg.

da sin a dex:
16 | Ronald B. Kitaj, The Murder of Rosa Luxemburg, olio e collage su tela, 153x152,3 cm, 1960-1962, Tate Gallery, London.
17 | Ronald B. Kitaj, Autumn of Central Paris (After Walter Benjamin), olio su tela, 152,4x152,4 cm, 1972, Collection Mrs. Susan Lloyd, New York.
18 | Ronald B. Kitaj, Portrait of Philip Roth, carboncino su carta, 77,5x57 cm, 1985, collezione privata.
19 | Ronald B. Kitaj, Kafka, carboncino su carta, 77x57 cm, 2004, collezione privata.
20 | Ronald B. Kitaj, Wittgenstein, olio su tela, 30,48x30 cm, 2007, collezione privata.

L’influenza che riferimenti a testi letterari o a saggi critici ebbero sull’operato dell’artista è documentata dall’inserimento all’interno delle opere di Kitaj di brani di testi, pagine, copertine e citazioni – spesso estratti dal “Journal” del Warburg Institute (McNay 2007) – nonché dalle didascalie, dalle varie citazioni, dai testi di spiegazione, a volte molto estesi quando non prolissi, che l’artista mette a corredo delle sue opere:

For me, books are what trees are for the landscape painter (Kitaj 2007, 38).

Lo spazio occupato nella poetica di Kitaj dall’elemento teorico e speculativo, che spesso è convocato per aggiungere un livello di lettura ulteriore all’opera più che per dipanare gli interrogativi attivati dal semplice impianto visivo, gli vale la definizione di una “sorta di eccentrico concettuale […] un romantico viaggiatore della mente” (così nel catalogo della 46a Biennale di Venezia, Di Giacomo 1996). Più interessato al simbolismo delle immagini e ai contenuti che ai valori formali, Kitaj in questo senso risulta uno dei pittori che più energicamente oppose la sua cifra poetica contro l’imperativo dell’espressionismo astratto americano:

Talking to me once about modern American abstract painters and their champion, the critic Clement Greenberg, Kitaj said: “There are people I respect, enlightened people, intelligent people, who seem to get visceral reactions from the conjunction of two colours. I’ve never felt that, so I guess I’m not a man of taste, as Greenberg says. Of course, he’s right when he says that formal qualities can make or break a picture, but there may be some other qualities that can act in the same way” (McNay 2007).

Tuttavia, nonostante l’elemento formale sia da lui espressamente in qualche misura subordinato al contenuto e al simbolo, Kitaj mantiene per tutto il corso della sua vita una particolare cura per l’esercizio del disegno e, contemporaneamente, un utilizzo di ampie gamme cromatiche che lo ricollegano a maestri della forma e del colore Paolo Uccello e Tiziano, Botticelli e Manet, Degas e Cézanne (McNay 2007).

Dopo aver ottenuto numerosi riconoscimenti – tra cui un Honorary Doctorate dal Royal College of Art a Londra nel 1991; il Leone d’Oro alla già citata 46a Biennale di Venezia del 1995; personali alla Tate Gallery a Londra e alla Marlborough Gallery a New York – Kitaj muore suicida all’età di 74 anni nella sua casa a Los Angeles.

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    M. Livingstone (Hrsg.), R.B. Kitaj: an American in Europe, Astrup Fearnley Museet for Moderne Kunst, Oslo 1998.
  • Livingstone 2010
    M. Livingstone, Kitaj, London 2010.
  • Marienberg, Trabant 2014
    S. Marienberg, J. Trabant (eds.), Bildakt at the Warburg Institute, Berlin 2014.
  • McNay 2007
    M. McNay, R.B. Kitaj, “The Guardian” (October 2007).
  • Morphet 1994
    R. Morphet, R.B. Kitaj: A Retrospective, London, Tate Gallery, Los Angeles: County museum of art; The Metropolitan museum of art, New York 1994
  • Rudolf, Wiggins 2001
    A. Rudolf, C. Wiggins, Kitaj in the Aura of Cézanne and Other Masters, London 2001.
  • Schatborn 1998
    P. Schatborn, Pantalone as New Yorker: Rembrandt and R.B. Kitaj, “Master drawings”, 36/1 (1998), 66-73.
  • Smith 2006
    C.S. Smith, Old master, “The Guardian” (December 2006).
  • Wind 1983
    E. Wind, The Eloquence of Symbols: Studies in Humanist Art, Oxford 1983; tr. it. di E. Colli, Milano 1992.
  • Wind 1958
    E. Wind, Pagan Mysteries of the Renaissance, London 1958; tr. it. di P. Bertolucci, Milano 1971.
  • Wind 1971
    E. Wind, On a recent biography of Warburg, “The Times Literary Supplement”, 25 June 1971, poi in E. Wind, The Eloquence of Symbols: Studies in Humanist Art, London 1985; tr. it. di E. Colli, Milano 1992, 161-173.
English abstract

Aby Warburg and Ernst Gombrich, two of the most influential personalities of the 20th century, are compared through the personal point of view of Ronald Brooks Kitaj, an American painter who studied Art in Europe. An indirect relationship binds the artist – who belongs to the environment close to the British Pop Art movement – and Aby Warburg: Edgar Wind, heir to the Warburgian tradition and, at the same time, Oxford University’s first professor of Art history – at the end of ’50s Kitaj attended his lessons there – was a mediator between Warburg and the painter. An unmediated relationship was established between Kitaj and Gombrich, of whom the artist made a portrait which was commissioned by the National Portrait Gallery in 1986. The “Pictorial Interpretation” of these two scholars has become an opportunity to examine the comparison which actually featured Warburgian thought, and the tradition and the fate of the Warburg Institute itself.

keywords | Aby Warburg, Gombrich, Kitaj, painting, Pictorial Interpretation. 

To cite this article: M. Nativo, A. Prati, Ronald Brooks Kitaj. Warburg/Gombrich: due ritratti a confronto, “La Rivista di Engramma” n. 151, novembre-dicembre 2017, pp. 147-163 | PDF 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2017.151.0003