"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

150 | ottobre 2017

9788894840261

Immagine come documento?

Di alcuni restauri a Spalato nel secondo dopoguerra

Olivia Sara Carli

English abstract

Con il motto “zum Bild das Wort” Aby Warburg ci insegna a riportare l’attenzione sulle immagini e sulla loro capacità di costruire una narrazione immediata e autonoma rispetto al testo scritto; ci racconta della forza che esse hanno nel segnare l’immaginario, e delle loro intermittenti ricomparse dopo periodi di latenza.

C’è un luogo che forse più di altri ci sostiene nel trasferire l’idea warburghiana all’architettura e all’iconografia urbana: il Palazzo di Diocleziano a Spalato che in sé condensa presenza reale e mito; edificio la cui fama internazionale – eccezionale per diffusione e persistenza – cresce tuttora e si alimenta attorno all’immagine virtuale che del Palazzo è veicolata da una significativa parte della sua sterminata bibliografia.

Le immagini ricostruite dai viaggiatori e dagli architetti si sovrappongono ai resti del Palazzo fino a confondersi con essi e a trasfigurarli [...]; continuano a vivere nei rilievi degli archeologi, guidandone il disegno e orientandone le soluzioni, riaffiorando infine come una tensione segreta dentro le occasioni concrete di [...] riportare la rovina al suo stato ideale liberandola dalla superfetazioni e a ricomporre la figura originaria del Palazzo (Lorenzi 2012, 177-178)

1 | Illustrazione del Palazzo di Diocleziano da J. Spon, Voyage d’Italie, de Dalmatie, de Grèce et du Levant, fait aux années 1675 et 1676 [...], Lyon 1678.

2 | Illustrazione del Palazzo di Diocleziano da G. Wheler, A journey into Greece [...], Printed for William Cademan, Robert Kettlewell, and Awnsham Churchill, London 1682.

3 | Robert Adam, Prospetto della Porta Aurea e delle mura nord, 1764, tav. XX.

Fin dall’istituzionalizzazione della tutela del Palazzo di Diocleziano, con la creazione del Museo archeologico (1820) e la successiva nomina dei primi conservatori locali, la storia e l’evoluzione del restauro a Spalato sono state legate ai testi illustrati che della città avevano sancito la fama internazionale e orientato il modo di guardare alla città. Primo tra tutti (per importanza) il prezioso volume in folio di Robert Adam, Ruins of the Palace of Emperor Diocletian, pubblicato a Londra nel 1764, che dell’edificio fissa alcune delle vedute canoniche tra le più riprodotte (Adam 1764). Il testo, custodito presso la sede del Comune cittadino, era usato dai conservatori locali come riferimento per nuove pubblicazioni e per la redazione e la valutazione degli interventi di restauro operati (sia dai privati che dalle istituzioni) sui resti del Palazzo. Sono soprattutto le vedute opera di Clerisseau e pubblicate dallo stesso Adam – le quali selezionano le più significative viste del monumento trasformato in città – a rivestire il compito di testimoni attendibili dello stato conservativo dell’edificio alla metà del XVIII secolo, prima che la crescita demografica registrata nell’Ottocento portasse all’ulteriore densificazione del tessuto edilizio e al conseguente mascheramento di nuova parte delle superfici antiche. L’interpretazione del disegnatore, però, pur descrivendo la convivenza di resti dioclezianei ed edifici moderni, ha spesso alterato il rapporto tra gli uni e gli altri per enfatizzare la monumentalità del Palazzo e l’effetto ‘pittoresco’ delle abitazioni moderne; esse risultano pertanto troppo lontane dalla realtà per potersi proporre come una testimonianza affidabile per la ricostruzione dello stato di fatto del Palazzo nel Settecento: e alcune scelte di restauro che da esse derivano appaiono, infatti, dettate più dalla fascinazione per questa suggestiva raccolta di immagini che da una loro verificata oggettività.

Ma nel volume di Adam è presente anche un altro importante gruppo di disegni, particolarmente importanti perché anticipano – e influenzeranno direttamente – la costruzione di un immaginario di intervento che, dopo il primo fallito tentativo di realizzazione durante l’Illuminsmo, troverà piena concretizzazione solo all’interno della politica di valorizzazione dell’edificio attuata dal nuovo Stato croato. Sono queste le numerose rappresentazioni, di forza pari alle vedute, che raffigurano il Palazzo quale ‘rovina latente’, presente e intatta sotto al tessuto urbano moderno e indipendente dalla città cresciutagli sopra. Anticipate dai testi antiquari di Jacob Spon e George Wheler (che descrivono il Palazzo di Spalato visitato insieme tra il 1675 e il 1676 [Figg. 1-2]), questo tipo di rappresentazioni trova più compiuta espressione in Adam e nei disegni che egli propone delle mura perimetrali del Palazzo, raffigurate come rovine perfette, nude, quasi fosse possibile – attraverso la demolizione degli strati più recenti – ritrovare intatto l’edificio antico, congelato al momento del suo abbandono dopo la morte di Diocleziano [Fig. 3]. Ora sappiamo che questa prefigurazione è irrealizzabile: il continuo lavorìo sulle murature antiche ha profondamente trasformato la materia del Palazzo, mantenendone solo a tratti lo scheletro, e più spesso trasferendone la forma alle strutture moderne; tuttavia, fino ai tempi più recenti, i tentativi di riportare alla luce l’edificio nella sua condizione originaria si sono alimentate su quella lontana, utopica, figurazione.

È soprattutto dopo la caduta dell’Impero asburgico, con la riconquistata indipendenza nazionale e la libertà d’azione dai vincoli imposti dalla Commissione Centrale di Vienna, che a Spalato ha avvio un importante programma di ‘liberazione’ dei resti antichi (concentrato soprattutto sulle mura), che ne segna profondamente e irrimediabilmente la storia urbana e la cui impronta ‘purificatoria’ non può essere sottaciuta; impronta che va soprattutto considerata in relazione alle conquiste raggiunte dalle teorizzazioni in materia di tutela urbana che proprio a Spalato trovano concretizzazione, durante il primo decennio del Novecento, con Alois Riegl e Max Dvořák (Hübel 2012, 5 ss.; Scarrocchia 2009, 86-105).

L’opera di Cvito Fisković e la Spalato del secondo dopoguerra

4 | Pianta del centro storico di Spalato con indicati gli interventi di ‘liberazione’ diretti da Fisković (1945-1952) confrontati con quelli asburgici (in azzurro) e quelli eseguiti tra le due guerre (in marrone).

Già nel periodo tra le due guerre si erano compiuti significativi provvedimenti sul monumento antico, quali la regolarizzazione delle botteghe sorte lungo il fronte meridionale (1923) – per le quali i forti interessi privati impedivano la completa demolizione – e l’abbattimento del vecchio Palazzo vescovile e della Cappella San Domio (1924), necessario alla liberazione del lato nord del Mausoleo (per una sintetica cronologia dei principali interventi v. Marasović 2009, 36 ss.). Ma in quegli interventi la figura del Conservatore rimaneva in secondo piano: egli non poteva, infatti, impedirne la realizzazione, dal momento che il suo era un ruolo puramente consultivo che lasciava di fatto libertà decisionale alle commissioni politiche comunali, solitamente più inclini a interventi demolitori consistenti. E solamente negli anni Quaranta si ha, invece, l’istituzionalizzazione del ruolo attivo del Conservatore grazie alla nascente legislazione in materia di tutela. Figura cardine di questo periodo è, a Spalato, lo storico dell’arte Cvito Fisković che ricoprirà la carica di direttore del Dipartimento di conservazione per la Dalmazia dal 1945 al 1977; Fisković giocherà un ruolo particolarmente importante nella definizione dell’immagine contemporanea della città e nella rivalutazione degli equilibri tra resti antichi e tessuto moderno, tracciando il solco per i successivi lavori dell’Ufficio urbanistico di Spalato diretto da Jerko Marasović, responsabile – tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Novanta – di una serie di interventi ampiamente dibattuti in campo internazionale, ma non ancora contestualizzati storicamente (Marasović 2009, 90 ss.; Carbonara, Dalla Costa 2005, e in particolare il saggio di Carlo Blasi e Ignazio Carabellese).

È possibile delineare l’appoccio di Fisković al restauro dei monumenti attraverso la lettura dei numerosi articoli in cui egli discute le realizzazioni del quinquennio successivo al termine della Seconda guerra mondiale (e più distesamente discussi in Fisković 1950), e da cui emergono punti di pregio e contraddizioni del suo metodo. Appare chiaramente come il suo non sia un approccio strettamente conservativo, dovendo i restauri del Palazzo dioclezianeo – “uno dei più grandiosi monumenti del nostro paese e tra i più famosi monumenti antichi al mondo” – andare oltre la pura manutenzione attuata durante il periodo asburgico, da Fisković fortemente criticata. I lavori avrebbero dovuto piuttosto mettere in risalto le porzioni meglio conservate del Palazzo, agevolando la lettura dell’antico edificio e integrandone, quando possibile, le parti all’interno della città contemporanea. Fisković, ricordando che il Palazzo è un “monumento vivente” (Fisković 1950, 25-27), evidenzia infatti più volte la ricaduta di alcuni suoi interventi sulla scala urbana, il mantenimento (o il ripristino) di alcune funzioni antiche e la loro riattualizzazione; esemplare è in questo senso la riapertura della Porta Argentea (fine 1945-1952) che viene spogliata del paramento veneziano cinquecentesco e in parte, poi, ricostruita per rientrare a pieno titolo in funzione assumendo un ruolo cardine nella viabilità dell’area tra la Piazza del Mercato e il Duomo (Fisković 1950, 10, 34 ss.).

Ma per riportare ora la discussione all’utilizzo delle fonti iconografiche (e prima di passare in rassegna i due casi studio) è interessante osservare come le ingenti demolizioni attuate nel secondo dopoguerra, anche sulla scorta di – più o meno reali, più o meno pretestuosi – danneggiamenti bellici, si possano ricondurre a una chiara visione dell’immagine urbana che si voleva con esse restituire. Infatti, pur dichiarando Fisković di riconoscere l’importanza dell’insieme ambientale e di non voler danneggiare, con i restauri sul Palazzo, nessuno degli stili successivi, egli non sembra porre in dubbio la liceità della demolizione di alcune tra le più importanti strutture della Spalato moderna cresciute al di fuori dalle mura imperiali – il Lazzareto a sud-est (demolito nel 1946) e l'Ospedale militare a nord (demolito nel 1947) – nel momento in cui queste fossero state d’ostacolo alla percezione d’insieme dell’edificio antico (Fisković 1950, 26-27). La più recente espansione della città verso nord-est aveva infatti fortemente ridotto la possibilità di godere dell’esterno del Palazzo attraverso viste assimilabili a quelle ritratte nei testi sette-ottocenteschi, che avevano fissato l’immagine di una città racchiusa all’interno delle mura antiche le quali, per essere rimaste in funzione – inserite nel sistema fortificato veneziano – si conservavano per lo più spoglie; questo particolare non secondario aveva permesso per secoli l’immediata identificazione del Palazzo antico e il suo virtuale isolamento dal contesto – esercizio impossibile a farsi camminando invece all’interno del nucleo urbano moderno per la troppo fitta stratificazione. Cosicché, le mura avevano assunto un ruolo fondamentale per la definizione dell’identità del monumento, che poteva quindi essere ripristinata solo attraverso la demolizione della corona di edifici per lo più risalenti al periodo asburgico – ormai negletto e troppo recente per essere storicizzato – che occupava l’area perimetrale circoscritta al centro storico.

Il restauro del Prothyron e la costruzione di una ‘falsa rovina’

5 | Vista del Peristilio.

Sul finire del 1946 si da l’avvio ai lavori di restauro del Vestibolo che porteranno, quattro anni, dopo alla parziale ricostruzione della cupola interna. L’edificio non era stato danneggiato dai bombardamenti (i quali avevano invece abbattuto casa Aglic sul lato opposto della piazza del Duomo, in corrispondenza dell’antico quadrivio) e il suo fronte monumentale affacciato sul Peristilio si conservava in buone condizioni. Il Prothyron era infatti integro nell’alzato, mancante del solo tetto ligneo di collegamento con il muro nord del corpo retrostante. L’intervento di restauro non era quindi, in quella porzione, dettato da necessità statiche o conservative, quanto piuttosto mosso dalla volontà di rimarcare l’identità dell’edificio che, con le sue quattro colonne sormontate dal frontone siriaco, è una delle architetture caratterizzanti l’area monumentale dell’antico Palazzo di Diocleziano e uno dei monumenti più noti della Spalato moderna.

6 | C. H. Clerisseau, Vista del Peristilio del Palazzo incisione, 1764.

Raccordando a sud le due ali archicolonnate del Peristilio e segnando l’ingresso all’area degli appartamenti imperiali, il Prothyron rappresentava infatti il punto di climax architettonico – per usare l’espressione di Adam – dell’intero Palazzo, creando uno scenografico fondale prospettico per la via porticata che scendeva dalla Porta Aurea. Nella Spalato moderna era riuscito a mantenere la stessa preminenza monumentale all’interno della Piazza del Duomo, fulcro della vita politica e della religiosità cittadina dove avevano trovato alloggio non solo la cattedrale – che riutilizzava il Mausoleo imperiale – ma anche l’edificio del Comune, innalzato lungo il colonnato occidentale del Peristilio. E nemmeno la costruzione delle due cappelle negli intercolumni laterali del suo portico (costruite nel 1544, l’orientale, e nel 1650, l’occidentale) e l’erezione dell’alto campanile avevano inficiato la percezione della sua importanza per la composizione complessiva della piazza, tanto che il Prothyron diviene nel XVIII secolo, l’elemento centrale della più celebre e copiata tra le vedute cittadine, quella che inquadra la Piazza del Duomo da nord-ovest e mostra l’invaso del Peristilio scorciato verso sud. Pubblicata una prima volta nel 1721, su modello di disegni locali (Vlašić Jurić 2011, 206-8) nel trattato illustrato di Johann Bernhard Fischer von Erlach (Fischer von Erlach 1721, tav. XI), la veduta si afferma internazionalmente nella versione di Charles Clerisseau edita nel testo di Adam (Adam 1764, tav. XX, Fig. 6) e copiata, di lì a breve, nel volume di Joseph Lavallée, Voyage pictoresque (Lavallée 1802, tav. 41 [Fig. 7]).

Sono queste ultime due le referenze iconografiche che Fisković utilizza nel progettare il suo intervento di restauro per il Prothyron, che ritiene essere “la parte più bella del Peristilio” per la “snella struttura” e “l’uso congiunto di arco e timpano, elementi dell’architettura greca e romana” che definiscono l’identità architettonica spalatina (Fisković 1950, 36-37; la traduzione è di chi scrive). Tutta l’attenzione del Conservatore è focalizzata sull’arco centrale, tamponato – come anche parte dell’intercolumnio – durante l’epoca veneziana per contrastare i cedimenti della cornice e il ribaltamento delle colonne mediane. Fisković ritiene il tamponamento “superfluo” dal punto di vista statico e “pesante” dal punto di vista compositivo poiché maschera la curvatura della trabeazione e smorza l’altezza delle colonne libere, tanto importanti per “l’armonia dell’architettura romana” (Fisković 1950, 37); decide quindi per la demolizione dello schermo murario e si concentra sul disegno di dettaglio. Volendo infatti mantenere l’arco veneziano – non tanto per il suo valore testimoniale quando per la sua funzione di collegamento visivo tra le due chiesette, giudicate “incoerenti nelle propozioni” ma portatrici di un certo “valore artistico nel loro insieme” (Fisković 1950, 37-38) – Fisković deve risolvere il raccordo tra questo elemento e il profilo della demolizione; per questo trova una soluzione efficace nell’incisione di Clerisseau, dove il tamponamento è raffigurato in rovina nella sua parte superiore proprio per mettere in risalto l’arco siriaco e denunciare l’incongruenza tra le due strutture.

7 | L. Cassas, Veduta generale del Vestibolo, incisione 1802.

8 | Otavaranje Protirona [Liberazione del Prothyron], 1946, da Fisković 1950, fig. 89.

Il confronto con l’omologa incisione francese del 1802 [Fig. 7] mostra come quello usato da Clerisseau sia un puro espediente grafico; nella versione disegnata da Louis François Cassas e pubblicata in Lavalée, il tamponamento compare effettivamente integro e reca la lapide commemorativa a Francesco I d’Austria, apposta nel 1818 e lì rimasta per quasi un secolo, fino alla caduta dell’Impero asburgico. Pur consapevole del fatto che la raffigurazione settecentesca potrebbe quindi “sembrare arbitraria” – e conoscendo sia la versione di Cassas (Fisković 1950, 18-19) che le altre numerose vedute pittoriche e fotografiche della piazza (una di queste compare nella pubblicazione qualche pagina prima; Fisković 1950, 13) – Fisković opta per la costruzione di una ‘falsa rovina’ che segue pedissequamente il profilo delineato da Clerisseau e che oggi si mostra come posticcia: la schematicità con cui è riprodotta, infatti, le fa perdere quella nota di pittoricismo che dava valore alla soluzione grafica [Fig. 8]. Dunque la trasposizione dell’immagine nella realtà sembra quindi riuscire solo parzialmente, tuttavia Fisković loda questo esito in quanto soluzione di compromesso tra la demolizione completa del tamponamento (giudicata eccessiva) e il mantenimento dello stato di fatto, valutato come degradante per il monumento. Con un intervento apparentemente minimo, il Conservatore raggiunge lo scopo che si era prefissato: “il ruolo delle esili colonne è diventato evidente, la composizione è ritornata logica” (Fisković 1950, 19).

Ma quello che per lui è un intervento “esemplare” per l’“attenzione che si dovrebbe prestare nel restauro degli antichi monumenti” (Fisković 1951, 37), appare oggi, soprattutto se considerato insieme ai restauri coevi, come il sintomo latente di un certo ‘purismo’ che non riconosce pienamente il valore delle stratificazioni storiche cresciute sul Palazzo antico, e sembra porsi un passo indietro rispetto alle già accennate conquiste scientifiche di metodo della Scuola viennese. Inoltre, l’uso delle immagini storiche che Fisković mette in atto negli interventi di restauro architettonico, non sembra riuscire nell'intento di realizzare quanto da lui stesso più volte ribadito negli scritti teorici, ovvero un uso delle fonti iconografiche critico e attentamente verificato (Šustić 2011, 352). Le immagini, anziché essere analizzate per il loro valore documentale e attentamente soppesate prima della loro interpretazione, sono in questo caso trasferite senza l’uso di alcun elemento di mediazione sulla realtà materiale dell’edificio, soltanto in considerazione del loro forte potere di fascinazione estetica.

9 | Liberazione delle mura nord, 1947 ca.

La liberazione delle mura settentrionali

Un secondo esempio chiarificatore dell’approccio di Fisković al restauro del Palazzo, è la liberazione delle mura settentrionali. Questa porzione dell’antico circuito murario era, nel secondo dopoguerra, la meglio conservata e si presentava pressoché invariata in altezza e in molti punti libera da edifici addossati [Fig. 9]. Se infatti, all’interno del perimetro murario (lungo la faccia meridionale delle mura nord), il circuito si era costruito appoggiandosi alla sua struttura a partire dalla fondazione della città moderna, il fronte settentrionale si era mantenuto per lo più libero fino all’Ottocento, e come tale lo catturano le vedute nei testi di Adam e Lavalleé [Fig. 11].

La porzione occidentale delle mura nord era occupata da uno stratificato complesso, evolutosi a partire dalla struttura di un convento quattrocentesco che, concresciuto nei secoli, aveva occupato tutta l’area tra la Porta Aurea e l’angolo occidentale del Palazzo; circondato da mura era parte integrante della nuova porta urbica che aveva sostituito l’antica con l’espansione della città verso ovest; il convento, soppresso durante la breve occupazione francese, era stato poi riconvertito in ospedale militare e ulteriormente rimaneggiato. A est, un altro gruppo di edifici (che parzialmente si conserva tuttora) si era invece organizzato attorno all’angolo orientale, lottizzando lo spazio libero attorno alle abitazioni ed erigendo muri di confinamento delle proprietà che permettevano soltanto viste molto scorciate e parziali della parte libera delle mura (Fisković 1950, 6).

10 | Le mura nord al termine dei lavori, 1948 ca.

La fine della guerra aveva lasciato l’Ospedale militare parzialmente in rovina a causa dei bombardamenti. Si decise quindi di cogliere l’occasione per liberare l’intero fronte murario, concretizzando così un progetto da tempo in discussione negli uffici comunali e valutato anche dalla Commissione italiana che, durante l’occupazione fascista di Spalato (1941-1943) e sotto la direzione di Gustavo Giovannoni, si era occupata di redigere un piano di intervento per il Palazzo (Spalato romana 1941, XV; i lavori della commissione sono anche citati in Fisković 1950, 31). Nel 1947 si avvia la demolizione della struttura austriaca che procede rapidamente poiché “essa non ha né significato storico né valore estetico” (Fisković 1950, 6) e nel frattempo si procede con lo scavo del terreno addossato alle mura romane per ripristinare l’antico livello stradale. Del complesso edilizio demolito si decide però di conservare qualche struttura riconducibile all’antico convento, e quegli elementi considerati di pregio storico-artistico perché rappresentanti del ‘Rinascimento dalmata’: il campanile, la cappella di san Arnir e i ruderi della chiesetta di santa Eufemia anche se ridotti a sola traccia planimetrica [Fig. 10]. Nello stesso arco di tempo si smantellano anche la maggior parte delle strutture tra la porta Aurea e l’angolo orientale, conservando solamente alcuni edifici attorno alla torre antica poiché ancora in uso come abitazioni.

11 | Cassas, Vista generale del palazzo di Diocleziano (da nord), incisione, 1802.

Una volta terminati lavori di liberazione, e quasi del tutto ripristinata la visione generale delle mura, non rimaneva che procedere con il restauro della superficie muraria; Fisković si trova allora a dover decidere come trattare i segni delle recenti demolizioni e le numerose tracce delle trasformazioni medievali, visibili sulla superficie antica riportata alla luce che ne confondevano però la lettura. Tra i segni più importanti del mutamento di funzione avvenuto al momento dell’occupazione del Palazzo e la riconversione del suo perimetro in cinta fortificata, troviamo i tamponamenti delle arcate del primo livello con pietre di piccolo taglio e la costruzione, sopra all’antica galleria, di una merlatura di difesa per il camminamento di ronda. Tali modificazioni, insieme alle numerose finestre ricavate nei secoli in modo disordinato lungo la parete, attenuavano enormemente l’effetto monumentale della struttura imperiale che si pensava di poter restituire con la demolizione delle ‘superfetazioni’, impedendone la corretta interpretazione.

12 | Immagine di confronto tra lo stato delle arcate precedente all’intervento di Fisković e loro attuale conformazione.

L’atteggiamento di Fisković è in questo caso ambivalente: non potendo demolire i tamponamenti delle arcate, perché essi costituivano le pareti di abitazioni ancora in uso, ma volendo al tempo stesso “evidenziare il rilievo delle arcate e rimarcare la plasticità della parete”, decide di rimuovere la parte superficiale del paramento medievale, che era complanare al muro antico (Fisković 1950, 7). Dal momento però che le murature modificate erano strutture a sacco, la demolizione del paramento esterno (piuttosto regolare nella disposizione dei conci e nei piani di posa) ne mette in luce il riempimento di conglomerato e inerti, che deve quindi essere fissato con abbondante malta cementizia. L’effetto plastico ottenuto, pur essendo favorevole a una più immediata lettura della facciata antica, rende di fatto inclassificabili, sotto il profilo della datazione, i tamponamenti che non sono più visivamente ricollegabili all’unità stratigrafica delle murature medievali altrove conservate [Fig. 12].

Fisković decide infatti di conservare integralmente la merlatura poiché, a suo parere, essa “ravviva la sagoma del Palazzo ed esalta la funzione difensiva delle mura in età medievale” e “con la contrapposizione delle pietre di piccolo taglio ai grandi blocchi romani” favorisce il carattere pittoresco di questa parte del Palazzo (Fisković 1950, 42). La muratura moderna viene così consolidata per tutta la lunghezza del fronte; a ovest si conservano le merlature, dove presenti, e a est si mantiene il coronamento di restauro di epoca austriaca (realizzato in mattoni durante il restauro dell’attico della Porta Aurea), anche se considerato visivamente troppo invasivo a causa dei materiali utilizzati, perché necessario alla percezione bilanciata e unitaria del coronamento; la sua demolizione, e sostituzione con una muratura di pietrame, a imitazione di quella medievale, è rimandata probabilmente a causa della fretta e degli scarsi mezzi a disposizione.

Nell’articolo del 1950 che descrive gli interventi da lui diretti, Fisković non dichiara le fonti consultate per lo studio di questi dettagli, come invece aveva fatto diffusamente per il Prothyron. Nel ricercare i riferimenti da lui utilizzati, proviamo allora a rivolgerci agli stessi testi da lui altrove consultati; scopriamo così che nella veduta del lato settentrionale del Palazzo disegnata da Cassas si trova lo stesso trattamento in sottosquadro dei tamponamenti delle arcate applicato da Fisković alle mura reali (Cassas, Lavallée 1802, tav. 26). Si tratta, anche in questo caso, della materializzazione di un espediente grafico, del trasferimento non mediato dell’immagine virtuale sui resti reali. Ma di questa veduta è anche interessante notare il trattamento della vegetazione che si lega pittorescamente ai resti antichi e li mette in risalto; suggestione forse anche questa presente, in modo più o meno latente, alla memoria di Fisković nel momento in cui progetta il parco antistante le mura, e di raccordo con i bastioni veneziani più a nord (Fisksović 1950, 31-33).

Conclusioni

13 | Il cantiere di restauro della Porta Aurea (2011) mascherato dall’incisione di Clerisseau (a sinistra del banner dello sponsor).

Questi due significativi casi ci mostrano senza possibilità di errore quanto importante sia stato l’influsso di alcune delle immagini più identitarie della città e del Palazzo, e come esse abbiamo avuto un diretto coinvolgimento nella costruzione della Spalato contemporanea, favorendo la conservazione e la messa in evidenza di alcuni elementi, e contribuendo invece alla cancellazione di altri. E per verificare quanto la suggestione da loro provocata sia ancora forte e caratterizzante l’approccio al Palazzo, basta guardare a quanto accaduto in occasione dei recenti lavori di restauro della Porta Aurea (2011 ca.): durante l’esecuzione di questo intervento, il cantiere è stato mascherato, ma non già da una fotografia o da un rilievo della facciata – come spesso, in questi casi, accade – quanto piuttosto dal disegno di Clerisseau, evocativo di quella polizia superficiale che si è voluta ripristinare con la sostituzione degli ‘evidenti’ risarcimenti in mattoni di epoca austriaca con più uniformi e mimetici blocchi di pietra calcarea.

Fonti (in ordine cronologico)
  • Spon 1678
    J. Spon, Voyage d’Italie, de Dalmatie, de Grèce et du Levant, fait aux années 1675 et 1676 [...], Lyon (chez Antoine Cellier le fils) 1678.
  • Wheler 1682
    G. Wheler, A journey into Greece [...], printed for William Cademan, Robert Kettlewell, and Awnsham Churchill, London 1682.
  • Fischer von Erlach 1721
    Johann Bernhard Fischer von Erlach, Entwurf einer Historischen Architektur, in Abbildung unterschiedener berühmten Gebäude des Alterthums, Wien 1721.
  • Adam 1764
    R. Adam, Ruins of the Palace of Emperor Diocletian, London 1764.
  • Lavallée 1802
    J. Lavallée, Voyage historique et pittoresque de l’Istrie et de la Dalmatierédigé d’après l’itinéraire de Cassas, Paris (sous la Direction de Née) 1802.
Bibliografia critica
  • Carbonara, Dalla Costa 2005
    G. Carbonara, M. Dalla Costa (a cura di), Memoria e restauro dell'architettura. Saggi in onore di Salvatore Boscarino, Milano 2005.
  • Fisković 1950
    C. Fisković, Prilog proučavanju i zaštiti Dioklecijanove palale u Splitu [Contributo allo studio e alla protezione del palazzo di Diocleziano a Spalato], “RAD JAZU” 279 (1950), 5-125.
  • Hübel 2012
    A. Hübel, Überlegungen zum Verhältnis von Theorie und Praxis der Denkmalpflege im 20. Jahrhundert. Das Beispiel Split, “Kunsttexte.de E-Journal für Kunst- und Bildgeschichte”, 2 (2012), 1-25, versione digitale
  • Vlašić Jurić 2011
    V. Vlašić Jurić 2011, Dioklecijanova palača na prikazima u grafičkoj zbirci Nacionalne i Sveučilišne knjižnice u Zagreb, in “Kroatologija” 2 (2011), 205-216.
  • Lorenzi 2012
    A. Lorenzi, Il palazzo di Diocleziano, Firenze 2012.
  • Marasović 2009
    D. Marasović, Povijesna jezgra Splita. Studije, programi, realizacije [Historic Core of Split, Studies, Programmes, realized Projects], Split 2009.
  • Scarrocchia 2009
    S. Scarrocchia, Max Dvořák. Conservazione e Moderno in Austria (1905-1921), Milano 2009.
  • Spalato romana 1941
    Spalato romana. Relazione della Commissione Accademica di studio, 22 novembre 1941-XX, Roma 1941.
  • Šustić 2011
    S. Šustić, Izabrani primjeri zaštite Splitskih spomenika u zapisima Cvita Fiskovića [Selected Examples of the City of Split Heritage Preservation Procedures as noticed in Cvito Fisković’s Records], in “Kulturna Baština” 37 (2011), pp. 351-370.
English abstract

At the end of the Second World War, an important step in the history of preservation of Diocletian's palace began in Croatia in the city of Split; this moment was one in which the iconographic tradition of the palace played a very special role. Few buildings around the world have a history as complex as that of this ancient palace: the palace was transformed in a city, and recognized as an extraordinary monument by archeologists as well as art and architectural historians. Few buildings have inspired a comparable mass of images. The iconographic fortune of the Palace, disseminated thanks to the books of Adam and Cassas, had a strong influence on modern conservation policies regulating care of the Palace, addressing architectural choices both in terms of general planning and in terms of design details. In this context, the paper proposes to study the use of images (intendedas historic sources between 1945 and 1979 by Cvito Fisković, director of the Split Conservation Department.

The paper discusses two examples of Fisković’s method, both unique in certain respects, but not without contradictions if compared to the previous Austrian administration's approach. Fisković’s method deeply influenced subsequent developments in cultural heritage management in Split. The first example is the restoration of the monumental facade of the Peristyle (1946), in which a graphic device, seen by Fiskovic in one of the plates published by Robert Adam, is used to create the new façade of the Prothyron, where antiquity was emphasized to dampen the effects of historical stratification. The second example is the restoration of the north wall of the palace, which began in 1947 with the demolition of an Austrian military hospital that pressed against the western external side of the wall. Even in this case, some details were taken directly from 19-century depictions and transferred to the reality, modifying the substance of the actual building.

keywords | Diocletian; Spilit; Palace; Architecture; Fiskovic.

Per citare questo articolo / To cite this article: O.S. Carli, Immagine come documento? Di alcuni restauri a Spalato nel secondo dopoguerra, “La rivista di Engramma” n. 150 vol. 1, ottobre 2017, pp. 269-285 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2017.150.0028