"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

150 | ottobre 2017

9788894840261

Cinema astratto e sinestesia

Dal ritmo colorato alla musica audiovisiva*

Marie Rebecchi

English abstract

1. Dalla pittura al cinema: Hans Richter, Viking Eggeling, Walter Ruttmann

In uno scritto pubblicato nel settembre del 1964 su “La Biennale di Venezia”, intitolato Dalla pittura moderna al cinema moderno, Hans Richter – teorico, pittore e regista tedesco, figura di spicco del cinema astratto sin dalle sue origini nei primi anni Venti – riassume efficacemente una delle questioni teoriche di fondo che si annida attorno alla genesi del film astratto, e, più in generale, allo sviluppo stesso dell’arte d"avanguardia: “Il problema del film astratto non è tanto il problema del cinema come forma d’arte in sé, ma dell’arte moderna in generale. Il fatto che i pittori e gli scultori d’oggi si siano liberati della necessità d’imitare la natura è di somma importanza nello sviluppo dell’arte contemporanea”, concludendo, pochi passi dopo, che “Il Cubismo, l’Espressionismo, il Dadaismo, l'arte astratta, il Surrealismo non solo trovarono la loro espressione nel cinema, ma necessariamente un completamento a un nuovo livello” (Richter [1964], in Rondolino 1977, 219, 222). In questo senso, la specificità del cinema come nuovo medium inserito nel più ampio sistema di quella che Walter Benjamin, nel suo celebre saggio della seconda metà degli anni Trenta, aveva incisivamente definito nei termini di riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, “completa a un nuovo livello” l’esperienza artistica dei teorici, pittori, scultori e poeti della prima avanguardia.

In questa prospettiva, le opere del cinema sperimentale astratto si configurano come istanze di un decisivo riorientamento in senso tecnico dei modelli percettivi, contribuendo in tal modo a ridefinire il ruolo stesso dell’esperienza cinematografica nell’orizzonte di una più estesa trasformazione culturale, estetica, tecnologica e antropologica operata dai nuovi media ottici. In questo nuovo terreno di sperimentazione e ricerca, i primi tentativi di realizzare opere cinematografiche astratte sono pertanto riconducibili alla messa a punto da parte di artisti, intellettuali e teorici, di un cinema volto a stabilire i limiti e valorizzare le potenzialità del medium cinematografico, contribuendo così a ridefinire criticamente il panorama visuale contemporaneo. Attraverso un doppio movimento di rottura e differenziazione, il cinema sperimentale ha tentato, dunque, di mettere in atto un significativo processo di “riqualificazione estetica” (Garroni 1974, 10-13) e di incremento delle possibilità espressive del linguaggio filmico, riattivando e prolungando l’orizzonte percettivo e il potenziale immaginativo dello spettatore attraverso la produzione di opere capaci di sfruttare al meglio le possibilità plastiche, dinamiche, cromatiche e sonore del dispositivo cinematografico. I numerosi e pionieristici accorgimenti tecnici, di cui i film astratti sono il prodotto, costituiscono il materiale di costruzione per un nuovo linguaggio e un’inedita forma d’espressione fondata sulle proprietà tecniche specifiche del mezzo cinematografico: un linguaggio universale (Universelle Sprache) – come viene ambiziosamente definito da Hans Richter e Viking Eggeling in uno scritto del 1920 andato perduto (Foster 1998, 185-239) – da cui attingere un alfabeto ottico-musicale in grado di descrivere l’utopica dimensione dell’opera d’arte sinestesica, dove suono, immagine, ritmo, colore e movimento si sarebbero dovuti condensare in un’unica opera insaturabilmente carica di tensione.

Viking Eggeling, Diagonal-Symphonie (1924)

Il ruolo sperimentale e tecnologicamente innovativo del cinema astratto può essere incisivamente messo in chiaro attraverso un confronto tra le prerogative originarie del cinema e i concetti di produzione e riproduzione, a loro volta ampiamente presenti e dibattuti nelle teorie del cinema degli anni Venti (Casetti 2005). A questo proposito, Hans Richter dichiara che:

“Per uno strano paradosso, il principale problema estetico del cinema, che è stato inventato per la riproduzione (del movimento), è proprio quello di ‘superare’ la riproduzione. In altre parole l’interrogativo è questo: sino a qual punto la macchina da presa (il film, il colore, il suono, ecc.) viene perfezionata e usata per ‘riprodurre’ (qualsiasi oggetto che appare davanti alla lente) oppure per ‘produrre’ (sensazioni che non si possono suscitare con qualsiasi altro mezzo artistico)? (Richter [1964], 1977, 219-20).”

In uno scritto del 1922 dal titolo Produktion–Reproduktion (Produzione – Riproduzione) (Moholy-Nagy [1925], 2010, 28-29), László Moholy-Nagy affronta la questione della distinzione normativa tra produzione e riproduzione, sia nei fenomeni acustici, sia in quelli ottico-cinetici (fotografia e film), fornendo così una valida risposta a questo interrogativo. Mentre la riproduzione, riproponendo nessi già esistenti, deve essere considerata nella maggior parte dei casi come un mero atto di virtuosismo volto alla ripetizione di rapporti già consolidati, la produzione, al contrario, rientra in quella sfera di relazioni legata al perfezionamento e allo sviluppo dei processi creativi dell’uomo: “La riproduzione (ripetizione di relazioni già esistenti) priva di aspetti innovanti, dal particolare punto di vista della composizione creativa, è da considerare, nel migliore dei casi, alla stregua di un virtuosismo. Poiché la produzione (creatività produttiva) serve soprattutto allo sviluppo dell’uomo, noi dobbiamo cercare di estendere a scopi produttivi quegli apparati (mezzi) finora usati solo a fini riproduttivi” (Ivi, 28). L’idea di produttività che emerge dalle riflessioni di Moholy-Nagy non risponde esclusivamente alle pretese e alle esigenze degli artisti legati alle avanguardie, ma deve piuttosto essere pensata come una condizione generale dell’uomo: il raggiungimento della completezza e della perfezione dei suoi organi, anche dei più complessi, e il tentativo di stabilire nuove e più estese relazioni tra i diversi fenomeni ottici, si configurano in questo senso tra i principali obiettivi che l’uomo moderno, impadronitosi delle nuove tecniche di perfezionamento delle facoltà sensibili, inevitabilmente si pone. E tali obiettivi possono essere conquistati proprio in virtù del fecondo incontro tra arte e tecnologia. All’interno di questa cornice teorica, secondo Moholy-Nagy, i lavori più convincenti dal punto di vista tecnico ed espressivo, devono essere ricercati senza dubbio nelle opere di Walter Ruttmann, Viking Eggeling e Hans Richter:

I lavori di Ruttmann (Germania), che nei suoi lavori ebbe già a servirsi della cinepresa, rappresentano un progresso essenziale in questa direzione. Le sue forme disegnate per i cartoni animati segnano l'inizio di una composizione filmica, dalle possibilità di sviluppo cinetico ancora imprevedibili. I lavori più importanti furono però quelli di Viking Eggeling (Svezia), morto prematuramente, che – primo dopo i futuristi – sviluppò ulteriormente il problema del tempo, sconvolgendo ogni estetica esistente e impostando una rigorosa problematica scientifica. Egli fotografava sul tavolo di montaggio una sequenza di movimenti ricavati da elementi lineari estremamente semplici e cercava di rendere accessibile all’occhio il processo che conduce dalla forma semplice a quella complessa considerando attentamente i rapporti che si andavano sviluppando quanto a dimensioni, ritmo, ripetizione, discontinuità e così via. [...] Con Eggeling l’originario pianoforte a colori si trasformò in un nuovo strumento, che in primo luogo articolava uno spazio in movimento, piuttosto che produrre accordi cromatici. Il suo allievo Hans Richter diede maggior risalto, per ora solo a livello teorico, al fattore temporale e si avvicinò alla creazione di continuità luce-spazio-tempo in una sintesi di moto (Moholy-Nagy [1925] 2010, 18-19).

Walter Ruttmann, Opus I (1921)

In particolare saranno proprio i due artisti di formazione dadaista, il tedesco Hans Richter e lo svedese Viking Eggeling, a riconoscere nel cinema astratto lo strumento più efficace con cui dotare le opere pittoriche di una struttura dinamica inimmaginabile e irrealizzabile con qualsiasi altro mezzo che non fosse il cinema. Dopo essersi incontrati a Zurigo nel 1917, grazie alla mediazione di Tristan Tzara, tra il 1918 e il 1921 Richter e Eggeling collaborarono assiduamente alla creazione di opere costituite da una serie di ‘rotoli’ – lunghi spartiti di carta dipinta con forme geometriche mobili e variabili (Michaud 2010, 130-31) – in cui il segno pittorico, seguendo l’andamento del ritmo musicale, era in grado di configurare delle vere e proprie partiture visive, il cui sviluppo compositivo era mostrato meccanicamente in sequenza attraverso l’ingrandimento, lo spostamento e la moltiplicazione delle singole figure dipinte, con un effetto dinamico irraggiungibile nello spazio fissato dalla cornice della tela.

L’approdo al cinema da parte dei due artisti fu quindi decisivo per compiere il passaggio da un modello di creazione potenzialmente dinamico – ma di fatto ancora sostanzialmente statico – alla possibilità di realizzare una composizione d’immagini di cui era possibile controllare lo sviluppo dinamico nel tempo. In questo senso, i due film realizzati rispettivamente da Richter e da Eggeling nel 1921 – Rhythmus 21 (primo di una serie di esperimenti sul dinamismo delle forme geometriche che proseguirono nel 1923 con Rhythmus 23 e nel 1925 Rhythmus 25) e Horizontal-Vertical Orchestra (quest’ultimo perduto) – testimoniano l’evoluzione dei rotoli dalla loro iniziale forma pittorica al definivo passaggio al plasticismo astratto, dinamico e musicale proprio della pura forma cinematografica. Circa i risultati ottenuti da Eggeling e Richter nel campo della creazione cinematografica astratta, Theo Van Doesburg – artista e teorico olandese fondatore nel 1917 insieme a Piet Mondrian della rivista De Stijl – paragona il film astratto a una vera e propria composizione musicale:

Può essere utile paragonare la creazione cinematografica astratta a una musica visiva, perché l'intera composizione si sviluppa visualmente, nel suo campo aperto di luce, in un modo più o meno analogo alla musica. Lo spettatore vede la composizione (già eseguita dall’artista in una “partitura”) formarsi, raggiungere una forma chiaramente definita e poi sparire nel campo di luce dal quale una nuova composizione di struttura completamente differente è creata di nuovo. Questo plasticismo astratto dinamico è realizzato meccanicamente, e sarà accompagnato da composizioni musicali, in cui la strumentazione e il contenuto dovranno essere completamente nuovi (Van Doesburg 1921, 72-75).

Il cinema astratto di Eggeling e Richter si pone come principale obiettivo quello di svincolare in modo radicale l’immagine dal compito di riprodurre mimeticamente la realtà esterna per porre e risolvere unicamente il problema della resa sullo schermo cinematografico del ritmo visivo puro e della concatenazione dinamica delle forme nello spazio. In questo orizzonte sperimentale, Diagonal Symphony – film realizzato da Eggeling nel 1924 e presentato a Berlino nel 1925 (lo stesso anno della morte dell'artista) – appare come un’opera che può essere descritta nei termini di una sinfonia visiva di puro movimento (Szendy 2004, 158): le forme appaiono sullo schermo inizialmente isolate e ritmate da continue oscillazioni e modulazioni, le quali, dissolvendosi, riappaiono simultaneamente scontrandosi o assemblandosi l’una con l’altra. Come osserva Miklos Bandi, Diagonal Symphony è “un’espressione della sfera specifica del film e non della vita esteriore. In essa si risolve il problema che si sono posti tanti artisti: il movimento nelle arti figurative” (Bandi 1927, 9-19). Il film di Eggeling combina l’elemento dinamico, connaturato alla tecnica cinematografica, con l’intento di ricondurre le forme al loro aspetto puramente geometrico e astratto: per questo motivo “si potrebbe dire che Diagonal Symphony è una metafora grafica del movimento” (Bandi 1927, 197).

2. La musica cromatica e l’Arte dell’Avvenire: Bruno Corra e Arnaldo Ginna

La prima, in ordine cronologico, delle avanguardie europee che ha saputo cogliere nelle risorse tecnico-innovative del medium cinematografico la possibilità di un profondo rinnovamento nel modo stesso di fare esperienza delle opere d’arte è stata senza dubbio il movimento futurista. In questo senso, come osserva Giovanni Lista a proposito del rapporto tra l’origine del cinema futurista e la cultura popolare del teatro di varietà, “la storia delle relazioni del futurismo con il cinema, un’arte a quell’epoca senza passato e senza tradizione, è anche la storia di un medium nuovo che è alla ricerca delle sue capacità espressive e della sua specificità estetica” (Lista 2010, 21). Già nel Manifesto tecnico della letteratura futurista del 1912, nonostante l’atteggiamento inizialmente scettico dei futuristi nei confronti del cinema come forma d’arte autonoma (Lista 2009, 83-180), Marinetti pone l’accento sull’importanza e l’audacia del cinema popolare – concepito come “Una vera e propria rivoluzione futurista che avanza senza ideologia, né teoria” (Lista 2010, 27) – sottolineando a più riprese l’urgenza di dare vita a un nuovo immaginario sfruttando al meglio le risorse tecniche, innovative e creative del cinema stesso:

Il cinematografo ci offre la danza di un oggetto che si divide e si ricompone senza intervento umano. Ci offre anche lo slancio a ritroso di un nuotatore i cui piedi escono dal mare e rimbalzano violentemente sul trampolino. Ci offre infine la corsa di un uomo a 200 chilometri all'ora. Sono altrettanti movimenti della materia, fuori dalle leggi dell'intelligenza e quindi di un'essenza più significativa (Marinetti 1912; Lista 2010, 21-22).

A partire dal primo manifesto dedicato a La cinematografia futurista del 1916 (Marinetti, Corra, Settimelli, Ginna, Balla, Chiti 1916, in Rondolino 1977, 145-50), il cinema inizia a essere concepito come un mezzo autonomo di espressione e comunicazione: il medium cinematografico, in quest’ottica, si rivela in grado di creare ed esibire un nuovo ordine di rapporti nella realtà. Nel manifesto della cinematografia futurista si possono difatti leggere espressioni quali: “Liberare il cinematografo come mezzo per farne lo strumento ideale per una nuova arte; il cinematografo è un’arte a sé. Il cinematografo non deve dunque mai copiare il palcoscenico. Il cinematografo essendo essenzialmente visivo, deve compiere innanzitutto l’evoluzione della pittura: distaccarsi dalla realtà della fotografia, dal grazioso e dal solenne. Diventare, deformatore, impressionista, sintetico, dinamico, parolibero” (Ivi, 146). Saranno i fratelli Bruno e Arnaldo Ginanni-Corradini – conosciuti con gli pseudonimi futuristi di Bruno Corra e Arnaldo Ginna –, grazie alle loro conoscenze in ambito tecnico-cinematografico, a contribuire alla piena integrazione del cinema nel panorama delle pratiche espressive futuriste. Ginna e Corra sono stati i primi a interpretare il cinema come un’arte astratta e sinestesica, capace di attingere direttamente alla dimensione prelogica del linguaggio musicale: un’“Arte dell’Avvenire" che avrebbe dovuto assumere il carattere di una vera e propria sinfonia cromatica. Nel manifesto sulla Musica cromatica, Bruno Corra descrive così il risultato dei loro esperimenti volti alla realizzazione di un utopico “pianoforte cromatico”:

Pensammo al cinematografo e ci parve che questo strumento, leggermente modificato, dovesse dare risultati eccellenti: quanto alla potenza luminosa era quanto di meglio si poteva desiderare –, era pure risolto l'altro problema che si riferiva alla necessità di poter disporre di centinaia di colori, poiché, traendo partito dal fenomeno della persistenza delle immagini della retina avremmo potuto far sì che parecchi colori si fondessero, nel nostro occhio, in una tinta sola –, bastava per questo far passare davanti all’obiettivo tutti i colori componenti in meno di un decimo di secondo; così con un semplice apparecchio cinematografico, con una macchina di piccole dimensioni avremmo ottenuto gli innumerevoli e potentissimi effetti delle grandi orchestre musicali, la vera sinfonia cromatica (Corra 1912, in Rondolino 1977, 138).

Tra il 1911 e il 1912 i fratelli Corradini realizzano quattro film astratti – Accordo di colore, Studio di effetti tra quattro colori, Canto di primavera e Les Fleurs, di cui gli ultimi due si presentano come una traduzione visiva e musicale delle poesie eponime di Mendelssohn e Mallarmé –, e due cortometraggi astratti, L’arcobaleno e La Danza. Dei film non restano più tracce, sono infatti andati perduti così come il film antologico in otto episodi intitolato Vita futurista, realizzato nel 1916 dai due fratelli insieme a Marinetti, Settimelli, Chiti e Balla, ma il testo di Corra, Musica cromatica, permette di ricostruirne nei dettagli il procedimento tecnico. Con l’intento di riprodurre il ritmo dei versi delle poesie attraverso un calcolato accordo con il colore, i fratelli Corradini intraprendono la strada della pittura direttamente su pellicola, sviluppando in questo modo quella dimensione poliespressiva e metaforica che sarà descritta pochi anni dopo nelle pagine del manifesto della cinematografia futurista del 1916. La tecnica sperimentata dai Corradini nei ‘film dipinti’ si pone quindi come uno dei primi tentativi di utilizzare il cinema di animazione quale mezzo privilegiato per portare dinamicamente a visibilità temi musicali e poetici attraverso la lavorazione e la manipolazione della pellicola, utilizzata dunque come fosse una tela, senza alcun ricorso all’uso della macchina da presa.

Sull’onda delle prime rudimentali sperimentazioni cinematografiche dei fratelli Corradini, nel 1914 il pittore Léopold Survage pubblica sulla rivista di Guillaume Apollinaire, “Les Soirée de Paris”, un articolo intitolato Le rythme coloré (Survage [1914] 1992, 25-27), in cui definisce i lineamenti di una nuova e autonoma forma d’arte: una “pittura in movimento” fondata su una forte analogia con la musica e resa possibile esclusivamente con i mezzi specifici del cinema. Una forma d’arte inedita in cui la successione nel tempo dei singoli elementi doveva essere stabilita secondo le leggi della composizione musicale, scandita dunque da un duplice ritmo, sonoro e cromatico:

L’elemento fondamentale della mia arte è la forma visiva colorata, che ha una funzione analoga a quella del suono nella musica. Questo elemento è determinato da tre fattori: 1) La forma visiva propriamente detta (astratta); 2) il ritmo, cioè il movimento e la trasformazione di questa forma; 3) il colore (Survage [1914], in Rondolino 1977, 185-187).

Con forma visiva astratta, Survage, in questo passo, allude all’effetto di rarefazione e di geometrizzazione degli oggetti e delle forme, catturati dal mondo esterno e rimontati seguendo il ritmo dettato da un’immaginaria “partitura visiva”: una forma d’arte pienamente autonoma, espressione e risultato di un nuovo modo di concepire il ritmo, il colore e il movimento. Per Survage l’elemento fondamentale di questa nuova arte è dunque la forma visiva colorata, attraverso cui forme, linee e colori muovendosi e intersecandosi avrebbero potuto dare vita a un magnetico “balletto visivo astratto”.

L’attività teorica e pratica dei fratelli Corradini, così come i primi esperimenti sul “ritmo colorato” di Survage, centrati principalmente sulla determinazione dei rapporti tra forma, colore e movimento, saranno in seguito messi a fuoco e sviluppati in altri contesti artistici e culturali, anticipando, ad esempio, le ricerche sul movimento e sulla combinazione di suoni, linee e colori condotte dell’artista australiano Len Lye (Brougher 2005, 110-11). Una delle sue opere cinematografiche più note e rilevanti, A Colour Box (1935), prodotta da John Grierson per il General Post Office Film Unit, nasce infatti come un film sperimentale realizzato dipingendo linee e colori direttamente sulla pellicola: una sinfonia ritmica e cromatica capace di sfruttare al meglio le possibilità espressive delle nuove tecniche di animazione. In una direzione non distante da quella di Len Lye, a partire dalla seconda metà degli anni Trenta, si muoveranno anche l’artista scozzese Norman McLaren – Dots (1940) – e l’americano Harry Smith – Early Abstractions (1947-56) –, proseguendo e perfezionando la tecnica del disegno animato su pellicola attraverso l’uso del suono sintetico e della pittura eseguita direttamente su celluloide.

Len Lye, A Colour Box (1935)

3. Coreografie astratte e musica audiovisiva: Oskar Fischinger, Busby Berkeley, John e James Whitney

A partire dalla fine degli anni Venti, prima con Walter Ruttmann [1] e in seguito con Oskar Fischinger i film astratti e la ‘musica ottica’ iniziano a uscire dai laboratori sperimentali e dai ristretti circoli dell’avanguardia artistica per essere proiettati con regolarità nelle sale cinematografiche, raggiungendo così un più vasto pubblico e consentendo di far arrivare l’eco delle ricerche sperimentali sul cinema astratto anche oltreoceano.

Il cammino che ha condotto Fischinger, nel corso degli anni Trenta, a esplorare a fondo le possibilità tecniche ed espressive del cinema di animazione astratto ricalca in parte quello di Richter e Eggeling: dopo essersi avvicinato al cinema attraverso la tecnica di visualizzazione di poemi letterari per mezzo di rotoli di carta disegnati, l’approdo al cinema d'animazione – dovuto in particolare all’esigenza di dinamizzare gli effetti ottenuti con la pittura sui rotoli – fu pressoché inaggirabile. Già nel suo film del 1929, Studie Nr. 1, Fischinger insiste sulla sperimentazione dell'uso del colore in rapporto all’articolazione ritmica di linee e superfici, ponendo alla base dei suoi studi proprio il rapporto d’identità-differenza, a livello strutturale e compositivo, tra il linguaggio musicale e quello cinematografico (Fischinger [1930], in Brenez, McKane 1995, 67), e prestando particolare attenzione all'aspetto melodico e armonico con cui ‘animare’ le figure astratte:

The flood of feeling created through music intensified the feeling and effectiveness of this graphic cinematic expression, and helped to make understandable the absolute film. Under the guidance of music, which was already highly developed there came the speedy discovery of new laws – the application of acoustical laws to optical expression was possible. As in the dance, new motions and rhythms sprang out of the music – and the rhythms became more and more important (Fischinger [1947] 2010).

L’uso che Fischinger fa della musica nei ‘balletti visivi’ realizzati per suoi Studi è spesso propedeutico alla visione stessa: in questi lavori la musica si configura sinestesicamente come una trama sonora su cui tessere un variopinto concerto d’immagini. In un tale quadro di sperimentazioni sul suono e sul colore, può essere compresa la scelta di Fischinger di intraprendere la strada della visualizzazione di celebri e accattivanti brani musicali: dalla Danza ungherese n. 5 di Brahms a l’Apprendista stregone di Dukas, passando per la musica popolare e il jazz [2].

Da questo punto di vista, l’apertura di Fischinger verso la cultura popolare, da un lato, e l'interesse delle case di produzione cinematografica americane (dalla Paramount alla Metro-Goldwyn-Mayer) nei confronti dei suoi film astratti (Moritz 2004, 67-88), dall’altro, permettono di ricostruire i contatti, gli scambi e l’influsso dell’avanguardia europea sulla scena artistica e culturale americana degli anni Trenta e Quaranta. I primi segnali di questa apertura vengono da Hollywood: in una delle Silly Symphonies (1929-1939) di Walt Disney – The Skeleton Dance (1929) – non è azzardato riscontrare la presenza e la messa a punto dei concetti di eye music, ornament dance e optical poetry (Moritz 2004, 42) che caratterizzano le esperienze di living painting e di animazione astratta su cui Fischinger stava lavorando negli stessi anni. Inoltre, nel tentativo di individuare i contesti culturali e le opere cinematografiche attraverso cui rintracciare la decisiva influenza delle avanguardie europee nella produzione hollywoodiana degli anni Trenta, William Moritz, biografo e allievo di Fischinger, coglie nelle coreografie geometriche astratte di Studie Nr. 5 – film realizzato da Fischinger in Germania nel 1930 e acquistato dalla Universal Pictures per essere distribuito come corto in apertura delle proiezioni dei loro lungometraggi – una possibile fonte d’ispirazione per le caleidoscopiche e fluttuanti coreografie create dal regista e coreografo Busby Berkeley per i suoi film: da Whoopy! (1930) a 42nd Street (1933), diretto da Lloyd Bacon; da Gold Diggers of 1933 allo spettacolare numero musicale By a Waterfall in Footlight Parade (1933), anche quest’ultimo diretto da Lloyd Bacon (Spivak 2011). Un altro punto di contatto tra Fischinger e Berkeley deve essere ricercato in Muratti Privat (1935), lavoro realizzato sull’onda del successo del precedente film a colori del 1934 intitolato Muratti Greift Ein, riconosciuto all’epoca come uno dei più prodigiosi lavori sulla tecnica di animazione astratta. Il fascino esercitato dal film promozionale realizzato per le sigarette Muratti – in particolare su Ernst Lubitsch (Brougher 2005, 105), emigrato dalla Germania a Hollywood nel 1922 –, portato a termine un anno prima della sua partenza per gli Stati Uniti (nel febbraio 1936), incentivò senz’altro l’introduzione di Fischinger negli ambienti del cinema americano, contribuendo così ad alimentare l’interesse del cinema astratto europeo nell’immaginario artistico e mediatico americano. In questo film pubblicitario in bianco e nero di tre minuti girato in 35mm si assiste, infatti, a un originale e ammiccante balletto astratto in cui le sigarette, al pari delle forme geometriche dei primi Studi, danzano ironicamente al ritmo del Rondo alla Turca di Mozart, allineandosi in mobili scacchiere con la stessa suadente andatura con cui ondeggiano le gambe delle ballerine in alcuni dei più noti numeri musicali dei film di Berkeley (Moritz 2004, 224).

Oskar Fischinger, Allegretto (1936-1943)

A questo proposito, Cecile Starr, in un articolo in cui affronta la questione dell'influenza del cinema astratto europeo nei vorticosi e geometrici balletti visivi di Berkeley (Starr 2001, 77-83), sostiene che i modelli astratti di Dames – musical realizzato dallo stesso Berkeley nel 1934 – non avevano avuto rivali fino al 1936, lo stesso anno in cui Fischinger, trasferitosi negli Stati Uniti a seguito dell’ascesa di Hitler al potere, firma il contratto con la Paramount per la realizzazione di Allegretto (1936), opera in cui la combinazione di forme geometriche perlopiù circolari che si espandono e si contraggono in un’ipnotica sinfonia visiva richiamerebbe immediatamente lo stile delle scenografiche coreografie di Berkeley.

Come sottolinea Starr, si potrebbe quindi ritrovare l’influenza dei graffianti e seducenti numeri musicali di Berkeley nei lavori di Fischinger progettati durante il periodo americano: in questo caso, il canale attraverso cui sarebbe passata questa seconda linea di reciproche contaminazioni deve essere individuato nel film realizzato da Fischinger nel 1937 per la MGM, An Optical Poem – presentato come una trasposizione visiva della Rapsodia ungherese No. 2 di Liszt – in cui aveva attivamente collaborato un regista tedesco emigrato negli Stati Uniti, William Dieterle, che a sua volta aveva appena realizzato il musical intitolato Fashions of 1934, per il quale lo stesso Berkeley aveva orchestrato alcuni eccezionali numeri musicali.

Busby Berkeley, Gold Diggers (1933)

È inoltre possibile ritrovare la presenza della sinuosa geometria delle coreografie astratte di Fischinger e Berkeley in alcune celebri sequenze di Fantasia (1940) di Walt Disney: da un lato, infatti, l’episodio della Dance of the Reed Flutes che scorre sulle note della Nutcracker Suite di Tchaikovsky sembra essere una trasposizione in chiave ‘liquida’ e floreale dei numeri musicali coordinati dal talento visionario di Berkeley, dall'altro, la ricerca da parte di Fischinger di una totale compenetrazione tra l’elemento geometrico-coreografico e quello cromatico-musicale trova proprio nella travagliata e conflittuale collaborazione con Disney per l’episodio ‘bachiano’ di Fantasia una delle sue manifestazioni più riuscite.

Nei disegni che avrebbero dovuto costituire la trama visiva per la composizione musicale della Toccata e fuga in re minore di Bach – ampiamente modificati nella realizzazione effettiva del film a favore di una resa più didascalica e maggiormente accessibile al pubblico medio – Fischinger conferma non solo il suo ruolo di pioniere del cinema astratto d’animazione, ma anche quello di anticipatore della musica audiovisiva teorizzata negli anni Quaranta dai fratelli John e James Whitney e realizzata nei Five abstract film exercises: studies in motion (1943-45), in cui la stretta correlazione tra le idee visive e quelle musicali annunciava la possibilità di una piena integrazione tra suoni e immagini animate astratte:

Is a commonplace to note that film and sound today have become a permanent unity. [...] Naturally, we have wanted to avoid weakening that unity, which would be the very essence of an abstract film medium. [...] In composing the sound, we seek to exploit a spatial quality characteristic of the instrument which reinforces that effect of movement in space which we seek to achieve in the image. Since both image and sound can be time scored to fractions of a single motion picture frame, there is opened a new field of audio-visual rhythmic possibilities (Whitney 2006, 104-105).

In questa stessa direzione si muovono i lavori della fine degli anni Cinquanta – Yantra (1950-1957) su tutti – che getteranno le basi per le successive ricerche tecnico-formali sulle possibilità cinetiche del disegno: nel 1957 John Whitney perfezionerà infatti le tecniche di animazione, precedentemente messe a punto nei film astratti degli anni Quaranta, attraverso la costruzione di uno strumento per la composizione di modelli grafici astratti – utilizzato per la prima volta da Saul Bass per i titoli di testa di Vertigo (1958) di Alfred Hitchcock – aprendo così la strada ai sofisticati e innovativi lavori dell'inizio degli anni Sessanta, tra cui Catalog (1961) e Lapis (1963-1966), opere che, a loro volta, annunciano la realizzazione degli esperimenti di animazione elettronica dei primi anni Settanta come Osaka 1-2-3 (1970), Matrix I (1971), Matrix II (1971) e Matrix III (1972). Queste ultime opere possono essere collocate a giusto titolo nel solco delle ricerche sperimentali sulla computer art, iniziate nei laboratori della Bell Telephone nei primi anni Sessanta da Edward Zajac e proseguite con i lavori di Peter Foldes, Stan Vanderbeek e, soprattutto, Lillian Schwartz, che nel 1971 realizza Pixillation, originale esperimento di pittura astratta animata ottenuto proprio grazie agli avanzamenti nel campo della tecnologia elettronica e dell'evoluzione degli studi sul suono sintetico.

Grazie ai progressi tecnologici nell’ambito dell’elaborazione elettronica si apre, dunque, un nuovo terreno di studi nel campo della grafica e dell’animazione astratta; attraverso il computer, secondo John Whitney, si possono difatti rendere percettibili e apprezzabili fenomeni complessi prima inafferrabili con altri strumenti:

Ho impiegato il calcolatore come se fosse un nuovo tipo di pianoforte; l’ho ‘suonato’ per produrre effetti visivi periodici con l’intenzione di rivelare fenomeni armonici contrapposti ai fenomeni anarmonici; per generare tensioni e rarefazioni; per formare strutture ritmiche partendo da configurazioni dinamiche, ripetitive e ordinate (Whitney 1971, 15).

In tal senso, l’avvenire del film astratto è affidato in larga misura alla rivoluzione tecnica e antropologica annunciata dal ‘calcolatore’. E per comprendere il risvolto qualitativo e la portata rivoluzionaria di un’arte riprodotta tecnicamente e realizzata meccanicamente attraverso gli strumenti dell’elettronica, secondo i fratelli Whitney, può essere utile rivolgere ancora oggi lo sguardo al passato, provando a far riaffiorare le tracce del concetto d’ironia che ha costantemente innervato l’opera di Marcel Duchamp:

Is our opinion that the work and ideas of Marcel Duchamp with his underlying principles, against hand painting, and, a studied exploitation of the mechanisms of chance, make a significant esthetic contribution to the advancement of this “qualitative revolution”. Perhaps his concept of irony provides a clue to the whole future of machine realized art (Whitney 2006, 106).

Note

* Una versione di questo testo è stata pubblicata in inglese con il titolo Abstractio Multiplicata. Abstract Cinema and the Utopia of the Synesthetic Work of Art, nel catalogo della mostra The Small Utopia. Ars Multiplicata, a cura di Germano Celant, Prada Arte, Milano 2012.

[1] Walter Ruttmann, dopo aver realizzato tra il 1921 e il 1925 quattro film astratti Opus I, Opus II, Opus III, Opus IV, e a seguito della collaborazione con Fritz Lang per la sequenza onirica del primo episodio di Die Nibelungen (1924), realizza Berlin, Symphonie einer Großstadt (1927) e Melodie der Welt (1929), film in cui abbandona la tecnica dell’animazione per comporre delle sinfonie visive attraverso immagini colte ‘dal vero’.

[2] Sull'uso da parte di Fischinger della musica popolare e del jazz nei suoi film astratti, occorre ricordare: la popolare foxtrot I’ve Never Seen a Smile like Yours utilizzata per Studie Nr. 5 (1930); il famoso balletto Die Puppenfee che fa da colonna sonora a Muratti Greift Ein (1934); la sinfonia jazz Radio Dynamics, composta da Ralph Rainger (musicista degli studi Paramount) per Allegretto (1936).

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English abstract

This paper aims at analyzing the concept of “synaesthesia” – a simultaneous mix of sensations normally experienced separately – as a phenomenon at the roots of the genealogy of abstract cinema. It approaches this body of animated abstract images from its origins in Germany after World War I, to the rise of National Socialism and the escape to the United States of some of the key members of the German school (Walter Ruttmann, Oskar Fischinger), to computer art in the 1960s and beyond. The aim is to present the role of the cinematic abstract culture in the historical and political context that saw the birth of both the European avant-gardes and mass commercial culture in the US. One of the main goals is to show how the works of abstract cinema, realized between the 1920s and ‘40s, were at the origins of the experiments with electronic animation during the ‘60s (carried out, among others, by John and James Whitney), and of the studies in computer art and synthetic sound developed in the Bell Telephone Laboratories in the early ‘70s.

keywords | Synaesthesia; Abstract cinema; Abstract images; Cinematic abstract culture; Computer art; Synthetic sound. 

Per citare questo articolo / To cite this article: M. Rebecchi, Cinema astratto e sinestesia. Dal ritmo colorato alla musica audiovisiva, “La rivista di Engramma” n. 150 vol. 2, ottobre 2017, pp. 331-346 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2017.150.0090