"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Zwischenraum/Denkraum

Oscillazioni terminologiche nelle Introduzioni all’Atlante di Aby Warburg (1929) e Ernst Gombrich (1937)

Victoria Cirlot

English abstract | Edizione originale spagnola

Il confronto tra l’Introduzione al Mnemosyne Atlas scritta da Aby Warburg tra il 27 maggio e il 4 luglio 1929 (Warburg 2012a, Warburg [1929] 2016) e l’Introduzione che Ernst Gombrich scrive nel 1937 per il Geburtstagsatlas für Max M. Warburg (Gombrich [1937] 2017), realizzato in occasione del settantesimo compleanno di Max Warburg il 5 giugno 1937, e per questo così chiamato, nato come tentativo di recuperare il grande progetto incompiuto del fratello improvvisamente deceduto (26 ottobre 1929), permette di ravvisare notevoli differenze sia rispetto la disposizione delle immagini nei pannelli, sia riguardo gli stessi testi. Il grande interesse per lo scritto di Gombrich risiede nel fatto che si tratta di una lettura e di una interpretazione dell’opera warburghiana, esito di intensi e approfonditi studi presso il Warburg Institute, dove Gombrich lavorava come ricercatore dal gennaio 1936. Costituisce inoltre una prima tappa verso la costruzione della sua celebre Aby Warburg: An Intellectual Biography pubblicata nel 1970 (Wedepohl 2015).

L’intenzione non è di addentrarsi qui nei complessi sentieri dell’interpretazione di Gombrich, quanto di concentrarsi nell’impiego dei concetti di Zwischenraum (spazio ‘tra’) e Denkraum (spazio del pensiero) da parte di Warburg, e la loro risonanza nel testo del giovane ricercatore. Comincio rilevando che Gombrich non ricorre al termine Zwischenraum che, al contrario, domina tutta la prima parte dell’Introduzione di Warburg, per utilizzare solo il termine Denkraum, frequente nell’opera warburghiana. Se questo termine, Zwischenraum, ha attirato profondamente la mia attenzione, è per il luogo di rilievo assegnatogli dal pensiero e dalla creazione artistica del XX secolo, a partire da Claude Lévi-Strauss che ha voluto evidenziare la coincidenza in quello spazio da parte di Max Ernst, Merleau-Ponty e Henry Corbin (Lévi-Strauss 1983, 327-331; Cirlot 2010, 63-83), così come hanno poi sottolineato lo stesso Max Ernst e André Breton (Ernst [1934] 1970, 232; Breton [1933] 2008, 471). L’identificazione del concetto di Zwischenraum come al-‘âlam al-khayâlî al-mithâli o barzakh nel pensiero iraniano, e come mundus archetypus imaginalis nell’espressione di Corbin, vale a dire il mondo intermedio, o intervallo, tra il sensibile e l’intellegibile, tra il corporeo e lo spirituale (Corbin 1960, 128-142), è motivazione sufficiente per soffermarsi sul significato del termine nell’opera di Warburg, e sulla sua rimozione nello scritto di Gombrich.

Zwischenraum nell’Introduzione al Mnemosyne Atlas di Aby Warburg

Il termine Zwischenraum appare già nelle prime righe dell’Introduzione all’Atlante:

Bewusstes Distanzschaffen zwischen sich und der Aussenwelt darf man wohl als Grundakt menschlicher Zivilisation bezeichnen; dieser Zwischenraum das Substrat künstlerischer Gestaltung, so sind die Vorbedingungen erfüllt, dass dieses Distanzbewusstsein zu einer sozialen Dauerfunktion werden kann die durch den Rhythmus vom Einschwingen in die Materie und Ausschwingen zur Sophrosyne jenen Kreislauf zwischen bildhafter und zeichenmässiger Kosmologik bedeutet, deren Zulänglichkeit oder Versagen als orientierendes geistiges Instrument eben das Schiksal der menschlichen Kultur bedeutet [A1] (Warburg [1929] 2016).

Si può probabilmente designare quale atto fondativo della civilizzazione umana la creazione di una distanza consapevole tra sé e il mondo esterno. Se questo spazio intermedio [è] il substrato della creazione artistica, allora sono pienamente soddisfatte le premesse grazie alle quali la consapevolezza di questa distanza può diventare una funzione sociale duratura. Il destino della civiltà umana è segnato dall’adeguatezza o dal fallimento dello strumento spirituale di orientamento, grazie al ritmo dell’accordo tra la materia e l’oscillazione verso Sophrosyne, dal ciclo tra cosmologia delle immagini e quella dei Segni [A1] (Warburg [1929] 2016).

Lo spazio intermedio è inteso come il risultato di una creazione cosciente da parte dell’uomo, che necessita di una distanza tra sé e il mondo circostante. Warburg solleva la possibilità che questo spazio costituisca il substrato per la creazione artistica, e a partire da qui concepisce che questa distanza può diventare una funzione sociale duratura, per concludere la prima sezione della sua Introduzione all’Atlante [A1] – la numerazione dei paragrafi è di Ernst Gombrich – con una polarità che si propone come “ritmo dell’accordo tra la materia e l’oscillazione verso Sophrosyne” (Einschwingen in die Materie und Ausschwingen zur Sophrosyne), come “ciclo tra cosmologia delle immagini e quella dei segni” (jenen Kreislauf zwischen bildhafter und zeichenmässiger Kosmologik). Il successo o il fallimento dipende dallo “strumento spirituale di orientamento” (orientierendes geistiges Instrument) (Warburg 2012b, 52). La prima domanda da porsi è: da quando il concetto di Zwischenraum compare nell’opera di Warburg?

È generalmente accettato che il grande antecedente dell’Einleitung all’Atlas – e la prima concretizzazione del progetto Mnemosyne, che occupò il pensiero di Warburg almeno a partire dal suo ritorno da Kreuzlingen nel 1924 – fu la famosa conferenza alla Biblioteca Hertziana di Roma il 19 gennaio del 1929 (Warburg [1929] 2014). Guardando ai materiali rimasti della conferenza non risulta che in quell’occasione Warburg abbia fatto ricorso al concetto di Zwischenraum. Nel Diario Romano, in cui alcuni giorni dopo, Aby Warburg scambia con Gertrud Bing impressioni sull’effetto provocato dalla conferenza all’Hertziana, così come sulle sue ripercussioni rispetto l’avanzamento del progetto dell’Atlante, la collaboratrice di Warburg appunta:

Il testo dell’Atlante è stato reso possibile dall’introduzione della conferenza, ma se vuole diventare una introduzione metodologica a tutta l’opera, essa dovrà essere ancora notevolmente ampliata. Così, ad esempio, riguardo al concetto psicologico della polarità come principio euristico, sarà necessario aggiungere una discussione sull’idea di mutamento tra presa di distanza e incorporamento (Einverleibung).
G. Bing, 28 gennaio 1929 (Warburg, Bing [1928-1929] 2005, 45-46).

Il concetto di Zwischenraum potrebbe essere uno degli elementi di quella dimensione teorica di cui mancava la conferenza dell’Hertziana e che invece l’Introduzione all’Atlante richiedeva; infatti, secondo Bing, è necessario “aggiungere una discussione sull’idea di mutamento tra presa di distanza e incorporamento”, ed è proprio “la presa di distanza” ciò a cui il termine fa riferimento, almeno in una delle sue accezioni. Il ruolo fondamentale svolto dal termine nell’Introduzione all’Atlante risulta evidente dal momento che domina l’intera prima sezione [A], in cui ricorrono più volte la preposizione zwischen (tra) e lo stesso termine Zwischenraum:

Um die kritischen Phasen im Verlauf dieses Prozesses durchschauen zu können, hat man sich des Hilfsmittels der Erkenntnis von der polaren Funktion der künstlerischen Gestaltung zwischen einschwingender Phantasie und ausschwingender Vernunft noch nicht im vollen Umfang der durch ihre Dokumente bildhaften Gestaltens möglichen Urkundendeutung bedient. Zwischen imaginärem Zugreifen und begrifflicher Schau steht das hantierende Abtasten des Objekts mit darauf erfolgender plastischer oder malerischer Spiegelung, die man den künstlerischen Akt nennt [A3] (Warburg [1929] 2016).

Per penetrare le fasi critiche di un simile processo non ci si è ancora serviti a sufficienza della conoscenza delle testimonianze della creazione figurativa. Esse ci permettono di comprendere la funzione polare dell’atto artistico, che oscilla tra un’immaginazione tendenzialmente identificata con l’oggetto, e una razionalità che cerca invece di distanziarsene. Quello che chiamiamo atto artistico non è dunque altro che una manipolazione tattile dell’oggetto, che ha il fine di rispecchiarlo plasticamente o pittoricamente – atto equidistante sia dalla comprensione per via immaginativa, sia dalla contemplazione concettuale [A3] (Warburg [1929] 2016).

Immaginazione e razionalità (Phantasie und Vernunft) sostituiscono qui ‘materia’ e ‘Sophrosyne’ della prima sezione [A1] nella misura in cui condividono con essi l’immersione (Einschwingen) e l’oscillazione (Ausschwingen), sostantivi che appaiono in questo paragrafo come aggettivi (einschwingender Phantasie und ausschwingender Vernunft). Ma soprattutto si tratta di situare l’atto artistico in uno spazio che è appunto un “tra” (zwischen), che si ripete qualche riga più sotto: “tra” la comprensione per via immaginativa e la contemplazione concettuale (zwischen imaginärem Zugreifen und begrifflicher Schau). La distanza fra zugreifen (afferrare, cogliere), puramente sensoriale, e il begrifflich intellettuale che accompagna la contemplazione (Schau), gioca con la condivisione dei termini della stessa radice (griff/greif), e costituisce una delle contrapposizioni caratteristiche della lingua e dello stile di Warburg. Questa terza sezione, secondo la numerazione di Gombrich, potrebbe essere giustapposta alla prima, insistendo sull’atto creativo e cercando nuovi modi di descriverlo. Entrambe le sezioni mostrano la relazione tra la polarità e la creazione dello spazio: il “tra” di questo spazio è determinato dalla polarità e dall’oscillazione da un polo all’altro. Il passaggio si conclude dando campo di nuovo al concetto di Zwischenraum, annunciato dalla ripetizione della preposizione zwischen:

Diese Doppelheit zwischen antichaotischer Funktion, die man so bezeichnen kann, weil die kunstwerkliche Gestalt das Eine auswählend umrissklar herausstellt, und der augenmässig vom Beschauer erforderten, kultlich erheischten Hingabe an das geschaffene Idolon schaffen jene Verlegenheiten des geistigen Menschen, die das eigentliche Objekt einer Kulturwissenschaft bilden müssten, die sich illustrierte psychologische Geschichte des Zwischenraums zwischen Antrieb und Handlung zum Gegenstand erwählt hätte [A3] (Warburg [1929] 2016).

Questa duplicità che si istituisce tra una funzione anti-caotica – così potremmo dire, dato che l’opera d’arte definisce nettamente il contorno dell’oggetto scegliendone uno unico – e la pretesa di far accettare allo spettatore il culto dell’idolo che gli viene posto di fronte, crea quel disagio all’uomo spirituale che dovrebbe rappresentare l’oggetto proprio di una scienza della cultura che sia una storia psicologica illustrata – una storia capace di mostrare la distanza tra l’impulso e l’azione verso l’oggetto [A3] (Warburg [1929] 2016).

Alla duplicità (Doppelheit) tra (zwischen) la funzione anti-caotica e l’idolo creato (geschaffene Idolon), corrisponde lo spazio intermedio (Zwischenraum) che separa l’impulso (Antrieb) dall’azione verso l’oggetto (Handlung zum Gegenstand). Ma in queste due sezioni [A1] e [A3] dove, come abbiamo visto, prevale il termine Zwischenraum, ripetuto due volte e che risuona nella reiterazione della preposizione zwischen (quattro volte), Warburg introduce l’altro concetto che sembra un suo sinonimo, Denkraum:

Dem zwischen religiöser und mathematischer Weltanschauung schwankenden künstlerischen Menschen kommt das Gedächtnis sowohl der Kollektivpersönlichkeit wie des Individuums in einer eigentümlichen Weise zur Hilfe: nicht ohne weiteres Denkraum schaffend, wohl aber an den Grenzpolen des psychischen Verhaltens die Tendenz zur ruhigen Schau oder orgiastischen Hingabe verstärkend. Es setzt die unverlierbare Erbmasse mnemisch ein, aber nicht mit primär schützender Tendenz, sondern es greift die volle Wucht der leidenschaftlich-phobischen, im religiösen Mysterium erschütterten gläubigen Persönlichkeit im Kunstwerk mitstilbildend ein, wie andererseits aufzeichnende Wissenschaft des rhythmische Gefüge behält und weitergibt, in dem die Monstra der Phantasie zu zukunftsbestimmenden Lebensführern werden [A2] (Warburg [1929] 2016).

La memoria, sia collettiva sia individuale, viene dunque in aiuto, in modo del tutto peculiare, all’uomo-artista che oscilla tra una concezione religiosa e una matematica del mondo. Essa non solo crea spazio al pensiero, ma rafforza i due poli-limite dell’atteggiamento psichico: la quieta contemplazione e l’abbandono orgiastico. Anzi, utilizza l’eredità inalienabile delle impressioni fobiche in modo mnemico. In tal senso, la memoria non tende a un orientamento protettivo, ma cerca invece di accogliere tutto l’impeto della personalità passionale-fobica, scossa dai misteri religiosi, per creare uno stile artistico. Per parte sua la scienza descrittiva conserva e trasmette le strutture ritmiche nelle quali i monstra della fantasia diventano le guide vitali decisive per il futuro [A2] (Warburg [1929] 2016).

L’oscillazione tra l’uno e l’altro polo, tra la concezione religiosa e quella matematica del mondo (religiöser und mathematischer Weltanschauung), tra la quieta contemplazione (ruhigen Schau) e l’abbandono orgiastico (orgiastischen Hingabe), crea lo spazio del pensiero (Denkraum), in altre parole, lo spazio intermedio. È la memoria (Gedächtnis) che crea questo spazio, rafforzando inoltre i due poli al loro limite estremo. Warburg prosegue parlando della de-demonizzazione delle impressioni fobiche ereditarie (Entdämonisierung der phobisch geprägten Eindruckserbmasse), per concludere dichiarando che l’intento del Mnemosyne Atlas non è altro che quello di captare questo processo definito “come il tentativo di incorporare valori espressivi pre-coniati, al fine di rappresentare la vita in movimento”. Termina così la prima parte dell’Introduzione in cui sono esposte le premesse teoriche alla base del progetto. Come abbiamo visto Warburg opera per blocchi, come ben comprese Gombrich che numerò e articolò il testo, e come si evince da alcuni schemi preparatori delle sue conferenze [Fig. 1].

1| Aby Warburg, schema preparatorio per una conferenza privata su Lutero, 6 settembre 1917.

I cinque blocchi iniziali [A1-A5] mostrano intime relazioni tra loro a carattere ripetitivo alternato: [A1] e [A3], in cui domina il concetto di Zwischenraum e la preposizione zwischen; [A2] e [A4], dove risuona ancora zwischen creando un nesso con il blocco precedente, e in cui è introdotto il secondo concetto, il Denkraum, relazionato alla memoria (Gedächtnis), per giungere alla conclusione [A5] dove sono rivelati gli obiettivi dell’Atlante. È una costruzione in cui dal punto di vista sintattico governa la paratassi, e dal punto di vista semantico e fonetico l’attenzione alla parola e alle sue derivazioni, sulle quali poggia gran parte della coerenza dell’esposizione.

Georges Didi-Huberman si è occupato dello stile warburghiano facendo riferimento al saggio dello psichiatra di Warburg a Kreuzlingen, Ludwig Binswanger, Über Ideenflucht. Lo stile corrisponde a quel modo di pensare chiamato “fuga delle idee”:

[...] una ‘prolissità linguistica’ che usa e abusa della ‘compressione’ o della concisione delle formule; un gusto sfrenato per le serie in cui abbondano le rime, le assonanze, le similitudini tra le parole […] il carattere ludico, a volte poetico, dei giochi di parole, anzi delle ‘parole magniloquenti’ pronunciate come profezie (Didi-Huberman [2002] 2013, 433).

Evidenzia inoltre l’intensa attività di scrittura di Warburg negli anni 1927-1929, attestata dai manoscritti ancora inediti con titoli sufficienti “a far capire che Warburg desiderava accompagnare Mnemosyne, non a una storia delle ‘influenze dell’Antichità’ bensì a un’elaborazione teorica della memoria delle immagini e dei simboli a partire dai suoi fenomeni di sopravvivenze…” (Didi-Huberman [2002] 2013, 427-428). Didi-Huberman prosegue notando che in questi scritti Warburg si dedica, erraticamente, ma instancabilmente, “a un’esperienza teorica – prova e sperimentazione insieme – che trova la sua coerenza nello stile stesso del suo esporsi”. Nota anche un altro elemento che ritengo estremamente importante: il carattere visivo della scrittura warburghiana, riconoscendo che “le idee sono disposte sui fogli bianchi come le immagini sugli schermi neri di Mnemosyne: in mucchi animati, in costellazioni, in pacchetti che esplodono” (Didi-Huberman [2002] 2013, 428).

In effetti, questa prima parte dell’Introduzione potrebbe essere risolta in tre pagine disposte orizzontalmente [A1, A2, A3] e tra esse risalterebbero contrasti, similitudini, differenze; sotto, a completare il quadro, i due paragrafi conclusivi [A4, A5]. Emerge pertanto la somiglianza dei due termini Zwischenraum/Denkraum e, soprattutto, la luminosità di uno di essi, Zwischenraum, rafforzata dalla sonorità che si rifrange nella ripetizione della preposizione.

Il termine Denkraum era già apparso in altri scritti warburghiani (Nicastro 2016), in particolare nel Schlangenritual, il testo della celebre conferenza tenuta alla clinica Bellevue il 21 aprile 1923, che segnò il principio della guarigione di Aby Warburg (Seminario Mnemosyne 2017, 4-37). Alla fine di questo testo si legge:

Durch sie zerstört die Kultur des Maschinenzeitalters das, was sich die aus dem Mythos erwachsene Naturwissenschaft mühsam errang, den Andachtsraum, der sich in den Denkraum verwandelte.
Der moderne Prometheus und der moderne Ikarus, Franklin und die Gebrüder Wright, die das lenkbare Luftschiff erfunden haben, sind eben jene verhängnisvollen Ferngefühl Zerstörer, die den Erdball wieder ins Chaos zurückzuführen drohen. Telegramm und Telefon zerstören den Kosmos. Das mythische und das symbolische Denken schaffen im Kampf um die vergeistigte Anknüpfung zwischen Mensch und Umwelt den Raum als Andachtsraum oder Denkraum, den die elektrische Augenblicksverknüpfungen mordet (Warburg [1923] 1988, 59).

La civiltà delle macchine distrugge ciò che la scienza naturale, derivata dal mito, aveva faticosamente conquistato: lo spazio per la preghiera, poi trasformatosi in spazio per il pensiero. Il moderno Prometeo e il moderno Icaro, Franklin e i fratelli Wright, inventori dell’aeroplano: sono loro quei funesti distruttori del senso di distanza che minacciano di far ripiombare il mondo nel caos. Il telegrafo e il telefono distruggono il cosmo. Il pensiero mitico e il pensiero simbolico, nel loro stesso sforzo per spiritualizzare il rapporto fra l’uomo e il mondo circostante, creano lo spazio per la preghiera o per il pensiero, che il contatto elettrico istantaneo uccide (Warburg [1923] 1998, 65-66).

Nel Rituale del Serpente, Denkraum è associato a Andachtsraum e appare come lo spazio conquistato dalla cultura del mito e dal pensiero simbolico, distrutto dalla cultura della macchina che finisce col sacrificare il sentimento della distanza all’immediatezza o alla connessione fugace. Il telegrafo e il telefono divengono agli occhi di Warburg gli emblemi della distruzione dello spazio del pensiero e della contemplazione, o come dirà sei anni dopo, dello spazio intermedio senza il quale la civiltà non può esistere.

Denkraum nel Geburtstagsatlas di Ernst Gombrich

L’Introduzione di Ernst Gombrich per il Geburtstagsatlas für Max M. Warburg (5 giugno 1937), Zur Mnemosyne. Zur Erkenntnistheorie und Praxis der Symbolsetzung (Gombrich [1937] 2017) è il risultato del lavoro dello studioso presso il Warburg Institute, durato almeno un anno, a partire dal gennaio del 1936, in cui poté familiarizzare non solo con gli scritti pubblicati di Warburg, ma anche con la vasta documentazione conservata (documenti, lettere, diagrammi, etc.). La ricostruzione del progetto warburghiano realizzata da Gombrich e offerta, assieme con Gertrud Bing, a Max Warburg come regalo il giorno del suo settantesimo compleanno, fu donata al Warburg Institute da un famigliare nel 1984 (Culotta 2016), e costituisce, a mio modo di vedere, un testo interessantissimo trattandosi di una lettura e interpretazione dell’Introduzione al Mnemosyne Atlas di Warburg. La brevità di questa introduzione contrasta con lo sforzo di accompagnare ciascuna delle 24 Tafeln (un terzo della serie finale di Warburg) con un commento che si ripropone di illustrare la coerenza di ogni costellazione di immagini: l’operazione che Warburg non aveva potuto completare e che Gertrud Bing pensava di poter risolvere sulla base di frammenti di suoi scritti (Wedepohl 2015, 135). Gombrich apre l’Atlante con un discorso preliminare incentrato sui concetti di orientamento (Orientierung) e processo di distanziamento (Distanzierungsprozess), sostenendo che:

Der Begriff Orientierung hat für Warburg im Anschluss an Kants Aufsatz “Was heisst sich im Denken orientieren?” sehr allgemeinen Charakter. Er ist ihm der Überbegriff für jede bewusste Beziehungsnahme des Menschen als eines Individuums mit der Umwelt im engeren oder weiteren Sinn. Erst dadurch, dass der Mensch eine Umwelt durch Zeichensetzung konstituiert – vermag er sein Ich von diesem ‘nicht Ich’ zu distanzieren. Dieser Distanzierungsprozess, der das Bereich des Bewusstseins von dem der Aussenwelt scheidet und jedem seine immanente Gesetzmässigkeit zuweist, ist ihm das wesentliche Agens und Ziel der Phylogenese wie es das der Ontogenese ist. ‘Denkraum’ nennt Warburg diese gewonnene Distanz zur Umwelt, Denkraumschöpfung den konstituierenden Akt jeder ontogenetischen und phylogenetischen Entwicklung. Zeichensetzung ist es, die diese Denkraumschöpfung einleitet, Missbrauch oder Verkennung der Zeichenfunktion die Gefahr, die der Kultur immer wieder drohte und droht. Denn das ursprüngliche Zeichen, das Bild wie der Name, birgt in sich selbst die Gefahr der Hypostasis. Der Bildzauber wie der Namenfetischismus ist ein solcher denkraumzerstörender Kurzschluss des Denkens, in dem die orientierende Funktion des Abbildes verlorengeht: Zeichen und Bezeichnetes verschwimmen im magischen Weltbild zur furchterregenden Einheit (Gombrich [1937] 2017).

Il concetto di orientamento ha per Warburg un carattere molto generale, in relazione al saggio di Kant “Cosa significa orientarsi nel pensiero”. Per Warburg si tratta di un sovra-concetto per indicare ogni relazione consapevole che l’uomo come individuo instaura con il mondo che lo circonda, in senso ampio e in senso stretto. Innanzitutto, per il fatto che l’uomo costituisce il mondo che lo circonda ponendo segni, egli è in grado di distanziare il suo ‘io’ da quel ‘non io’. Questo processo di presa di distanza che separa l’ambito della coscienza di sé dal mondo esterno e assegna a ciascuno la sua propria legge immanente, è per Warburg il principio agente essenziale e la finalità sia della filogenesi che dell’ontogenesi. Warburg chiama ‘Denkraum’ il conseguimento della distanza rispetto al mondo circostante, ovvero l’atto costitutivo della creazione di uno spazio del pensiero di ogni sviluppo ontogenetico e filogenetico. Il porre segni è ciò che introduce questa creazione di uno spazio del pensiero, laddove l’abuso o il disconoscimento della funzione dei segni costituisce il pericolo che minaccia, e continua a minacciare, la cultura. Questo perché il segno originario, sia esso immagine o nome, cela in sé stesso il pericolo dell’ipostasi. La magia dell’immagine così come il feticismo dei nomi è una sorta di cortocircuito del pensiero, che distrugge il Denkraum, nel quale si perde la funzione di orientamento della rappresentazione: nella concezione magica del mondo, segni e designazione svaniscono in una spaventosa unità (Gombrich [1937] 2017).

Sorprende, in questo paragrafo iniziale, la scomparsa del termine Zwischenraum, tanto potente nelle prime righe della Einleitung di Warburg; Gombrich introduce soltanto il termine Denkraum, il cui significato è costruito anche a partire dal passo sopra citato del Schlangenritual: prevale infatti l’idea della distruzione di questa spaziatura attraverso un cortocircuito (Kurzschluss) molto prossimo alla connessione fugace (Augenblicksverknüpfungen) del Rituale del Serpente. Rispetto al primo paragrafo di Warburg, è stato mantenuto, fondamentalmente, il concetto di orientamento: “Der Begriff Orientierung” sono le prime parole del testo di Gombrich, laddove nell’Einleitung di Warburg l’espressione si risolve con uno “strumento spirituale di orientamento” (als orientierendes geistiges Instrument). Gombrich legge, glossa, comprende il testo di Warburg, ma probabilmente non solo il testo di Warburg. La citazione di Kant permette un collegamento con un passaggio di Philosophie der symbolischen Formen di Ernst Cassirer, nello specifico il secondo volume dedicato al mito (Das mythische Denken), la cui prefazione è datata al dicembre 1924, ad Amburgo, e dove Cassirer dichiara di apprezzare l’abbondante e ricco materiale offertogli dalla Biblioteca Warburg per realizzare la sua ricerca (Cassirer [1925] 1973, XIII). Nel capitolo II dello stesso volume (Kap. II. Grundzüge einer Formenlehre des Mythos, Raum, Zeit und Zahl) compare la citazione di Kant per discutere del concetto di orientamento, relazionato al Denkraum:

Das mythische Denken ergreift eine ganz bestimmte, konkret-räumliche Struktur, um nach ihr das Ganze der ‘Orientierung’ der Welt zu vollziehen. Kant hat in einem kurzen, aber für seine Denkweise höchst bezeichnenden Aufsatz: “Was heisst: sich im Denken orientieren?” den Ursprung des Begriffs der ‘Orientierung’ zu bestimmen und seine weiter Entwicklung zu verfolgen gesucht. “Wir mögen unsere Begriffe noch so hoch anlegen und dabei noch so sehr von der Sinnlichkeit abstrahieren, so hängen ihnen doch noch immer bildliche Vorstellungen an… Denn wie wollten wir auch unseren Begriffen Sinn und Bedeutung verschaffen, wenn ihnen nicht irgendeine Anschauung… unterlegt würde?”. Von hier aus zeigt Kant, wie alle Orientierung mit einem sinnlich gefühlten Unterschied, nämlich mit dem Gefühl des Unterschieds der rechten und linken Hand beginnt, – wie sie sich sodann in die Sphäre der reinen, der mathematischen Anschauung erhebt, um zuletzt zur Orientierung im Denken überhaupt, in der reinen Vernunft aufzusteigen. Betrachten wir die Eigenart des mythischen Raumes und stellen wir sie der des sinnlichen Anschauungsraumes, wie der des mathematischen ‘Denkraumes’ gegenüber, so lässt sich dieser Stufengang der Orientierung in eine noch tiefere geistige Schicht zurückverfolgen – so lässt sich deutlich der Punkt des Übergangs bezeichnen, an dem in Gegensatz, der an und für sich rein im mythisch-religiösen Gefühl wurzelt, sich zu gestalten, sich eine ‘objektive’ Form zu geben beginnt, durch welche nunmehr dem Gesamtprozess der Objektivation, der anschaulich-gegenständlichen Erfassung und Deutung der Welt der sinnlichen Eindrücke, eine neue Richtung gewiesen wird (Cassirer [1925] 1973, 116).

Il pensiero mitico prende una ben determinata struttura concreto-spaziale per realizzare conformemente ad essa, nella sua totalità, l’“orientamento” del mondo. Kant, in un suo scritto breve ma molto significativo per quanto concerne il suo modo di pensare: Was heisst: sich im Denken orientieren? ha cercato di stabilire l’origine e di seguire l’ulteriore sviluppo del concetto di “orientamento”. “Per quanto collochiamo in alto i nostri concetti e per quando li astraiamo dalla sensibilità, rimangono ancor sempre legate a essi rappresentazioni immaginative… Come infatti daremmo anche ai nostri concetti senso e significato, se alla base di essi non fosse posta… una qualche intuizione?” Prendendo lo spunto di qui, Kant mostra come ogni orientamento cominci con una distinzione sensibilmente percepita, cioè col senso della distinzione di mano destra e mano sinistra, come si innalzi poi alla sfera della pura intuizione matematica, per salire infine all’orientamento nel pensiero in genere, nella ragione pura. Se consideriamo la natura specifica dello spazio mitico e la paragoniamo a quella dello spazio intuitivo, nonché a quella dello “spazio concettuale” della matematica, questo graduale processo dell’orientamento può essere seguito in un piano spirituale ancora più profondo; può essere inoltre indicato chiaramente il punto di transizione in cui un’opposizione, che in sé e per sé ha la sua radice semplicemente nel senso mitico-religioso, comincia ad elaborarsi e a darsi una forma “oggettiva”, mediante la quale all’intero processo dell’oggettivazione, nonché della comprensione e interpretazione intuitivo-oggettiva del mondo delle impressioni sensibili, viene ormai indicata una direzione nuova (Cassirer [1925] 1964, 135).

Alcune pagine prima, Cassirer chiarisce la distanza tra il pensiero mitico e il pensiero matematico, indicando la “posizione intermedia” (Mittelstellung) dello spazio mitico, tra lo spazio di una percezione puramente sensoriale e lo spazio della conoscenza pura, ponendo l’accento oltre che sulla distanza, anche sulla divergenza tra lo spazio visuale e tattile e lo spazio della matematica pura, a cui corrisponde il Gedankenraum o il Denkraum:

Um die Eigenart der mythischen Raumanschauung vorläufig und in allgemeinen Umrissen zu bezeichnen, kann man davon ausgehen, dass der mythische Raum eine eigenartige Mittelstellung zwischen dem sinnlichen Wahrnehmungsraum und den Raum der reinen Erkenntnis, dem Raum der geometrischen Anschauung einnimmt. Es ist bekannt, dass der Wahrnehmungsraum, dass der Seh- und Tastraum, mit dem Raum der reinen Mathematik nicht nur nicht zusammenfällt, sondern dass zwischen beiden vielmehr eine durchgehende Divergenz besteht. Die Bestimmungen des letzteren lassen sich aus denen des ersteren nicht einfach ablesen oder auch nur in einer stetigen Abfolge des Denkens ableiten; es bedarf vielmehr einer eigentümlichen Umkehr der Blickrichtung, einer Aufhebung dessen, was in der sinnlichen Anschauung unmittelbar gegeben erscheint, um zu dem ‘Gedankenraum’ der reinen Mathematik vorzudringen (Cassirer [1925] 1973, 104).

Per indicare in maniera provvisoria e nelle linee generali la natura specifica dell’intuizione mitica dello spazio, si può partire dal fatto che lo spazio mitico occupa una caratteristica posizione intermedia tra lo spazio della percezione sensibile e lo spazio della conoscenza pura, lo spazio dell’intuizione geometrica. È noto come non solo lo spazio della percezione, lo spazio visivo o tattile, non coincida con lo spazio della matematica pura, ma esista fra essi una divergenza profonda. Le determinazioni di questo secondo spazio non possono essere colte semplicemente in quelle del primo o anche solo esserne derivate in una concatenazione continua del pensiero; occorre piuttosto un particolare rovesciamento del punto di vista, un superamento di ciò che appare immediatamente dato nell’intuizione sensibile, per giungere allo “spazio pensato” della matematica pura (Cassirer [1925] 1964, 121).

Ernst Cassirer non menziona lo Zwischenraum, ma sebbene il termine non compaia nella sua Philosophie der symbolischen Formen, è evidente che ha pensato a questo spazio intermedio sin dalle sue prime formulazioni, nell’Introduzione al primo volume (Die Sprache), in cui affronta il tema del dualismo del sensibile e dell’intelligibile:

Die Idee einer derartigen Grammatik schliesst eine Erweiterung des traditionellen geschichtlichen Lehrbegriffs des Idealismus in sich. Dieser Lehrbegriff war von jeher darauf gerichtet dem ‘mundus sensibilis’ einen anderen Kosmos den ‘mundus intelligibilis’ gegenüberzustellen und die Grenzen beider Welten sicher zu scheiden. Im wesentlichen aber verlief die Grenze derart, dass die Welt des Intelligiblen durch das Moment des reinen Tuns, die Welt des Sinnlichen durch das Moment des Leidens bestimmt wurde. Dort herrschte die freie Spontaneität des Geistigen, hier die Gebundenheit, die Passivität des Sinnlichen. Für jene ‘allgemeine Charakteristik’ aber, deren Problem und Aufgabe sich jetzt im allgemeinsten Umriss vor uns hingestellt hat, ist dieser Gegensatz kein unvermittelter und ausschliessender mehr. Denn zwischen dem Sinnlichen und Geistigen knüpft sich hier eine neue Form der Wechselbeziehung und der Korrelation. Der metaphysische Dualismus beider erscheint überbrückt, sofern sich zeigen lässt, dass gerade die reine Funktion des Geistigen selbst im Sinnlichen ihre konkrete Erfüllung suchen muss, und dass sie sie hier zuletzt allein zu finden vermag. […] In ihnen allen zeigt sich in der Tatdies als das eigentliche Vehikel ihres immanenten Vorgangs, dass sie neben und über der Welt der Wahrnehmung eine eigene freie Bildwelt erstehen Lassen: eine Welt, die ihrer unmittelbaren/Beschaffenheit nach noch ganz die Farbe des Sinnlichen an sich trägt, die aber eine bereits geformte und somit eine geistig beherrschte Sinnlichkeit darstellt. Hier handelt es sich nicht um ein System sinnlicher Mannigfaltigkeiten, die in irgendeiner Form freien Bildens erschaffen werden (Cassirer [1923] 1954, 19-20).

L’idea di una grammatica di questo genere implica un ampliamento della dottrina storica tradizionale dell’idealismo. Questa dottrina è sempre stata diretta a contrapporre al mundus sensibilis un altro cosmo, il mundo intelligibilis, ed a tracciare in modo netto i limiti tra i due mondi. Ma in sostanza il confine era tracciato in modo che il mondo dell’intelligibile era determinato mediante il momento del puro fare, il mondo del sensibile mediante il momento del patire. Nel primo dominava la spontaneità della realtà spirituale, nel secondo il determinismo, la passività della realtà sensibile. Ma per quella “caratteristica universale” il cui problema e il cui compito si sono a noi presentati ora nelle loro linee più generali, questa contrapposizione non è più immediata ed esclusiva. E difatti tra il sensibile e lo spirituale si allaccia qui una nuova forma di relazione reciproca e di correlazione. Il dualismo metafisico di spirituale e di sensibile appare superato in quanto si può mostrare che proprio la pura funzione dello spirito deve necessariamente cercare nel campo del sensibile la sua completa attuazione e che in definitiva solamente qui può trovarla. […] In tutti questi campi si appalesa in effetti come vero mezzo del loro immanente progresso il fatto che essi fanno sorgere accanto al mondo della percezione e al di sopra di esso uno specifico libero mondo di immagini: un mondo che per la sua natura immediata porta tuttavia in sé il colore del sensibile, ma che rappresenta una sensibilità già formata e quindi dominata dallo spirito. Qui non si tratta di un sensibile semplicemente dato e trovato, ma di un sistema di molteplicità sensibili prodotte in una qualche forma del libero immaginare (Cassirer [1923] 1961, 21-22).

Il superamento del dualismo metafisico tra il mondo sensibile e il mondo intelligibile risulta dalla comprensione di un mondo intermedio, un mondo in cui il sensibile e l’intelligibile si incontrano, dove l’intelligibile si mostra nel sensibile e viceversa. È quel mondo di cui tanto si occupò la filosofia iraniana, crocevia di pensieri in cui confluirono l’antica religione zoroastra, il platonismo e l’islam, e che Henry Corbin tradusse come mundus imaginalis.

Pochi mesi prima di scrivere la prefazione al secondo volume della Philosophie der symbolischen Formen, il 10 aprile 1924, Cassirer visitò Warburg. Nella storia clinica di Ludwig Binswanger fu registrata l’importanza della visita e constatato che “quest’ultimo [il paziente] è felice che Cassirer confermi dal punto di vista del suo campo specifico le ipotesi da lui proposte” (Binswanger, Warburg 2005, 141). Lo stesso Binswanger era molto interessato al lavoro filosofico di Cassirer, trovandovi molti punti in comune con il proprio lavoro. Nella sua opera già citata del 1933, Über Ideenflucht, Binswanger parla di spazio e spazialità, e chiarisce come ne parli non nel senso di spazio fisico, quanto nel senso della spazialità del Dasein di Martin Heidegger:

Was wir (Stimmungs-) Optimismus nennen, ist nicht anders, als diese annähernde Übereinstimmung der räumlichen Grenzen der Gedanken – und der Sachwelt. Beide Räume sind hier nahezu gleich weit oder gleich eng. Diese Ausdrucksweise darf natürlich nicht gleichnishaft aufgefasst werden, vielmehr muss sie aus der Ontologie des Daseins und seiner Räumlichkeit verstanden werden [in nota: Räumlich ist hier nicht im Sinne des geometrischen oder irgendeines objektiven oder physikalischen Raums gemeint, sondern im Sinne der Räumlichkeit des Daseins überhaupt Vgl. Heidegger, a.a.O. &22, 23, 24]. Dann ist aber klar, dass sie auch auf den Grund der annähernden Übereinstimmung der Grenzen beider Welten im Optimismus hinzuweisen vermag. Auch dieser Grund lässt sich noch räumlich fassen. Sagen wir doch von diesem Optimismus, dass es hier nicht weit sei vom Gedanken zum Entschluss und zur Tat, und dass hier nur ein Schritt sei von der Möglichkeit zur Wirklichkeit. Das zeigt wieder, dass, wie wir bereits wissen, Gedanken- und Sachwelt an Umfang nahezu gleich sind, überdies aber auch, dass sie hier nahe beieinander liegen. Beide Momente gehören ontologisch zusammen, eines weist auf das andere hin (Binswanger [1933] 1980, 61).

Questo modo di esprimersi non può naturalmente essere compreso per immagini, esso deve piuttosto essere compreso a partire dall’ontologia dell’esserci e della sua spazialità (48: Heidegger, Essere e tempo cit. &22, 23, 24). Ma è allora chiaro che esso è in grado di dare qualche indicazione anche sul fondamento dell’armonia avvicinante i confini dei due mondi dell’ottimista. Si può concepire questo fondamento anche spazialmente. Diciamo quindi di questo ottimismo che non è lontano dal pensiero della risoluzione e dell’atto e che qui non vi è che un passo dalla possibilità alla realtà. Ciò mostra di nuovo, come già sappiamo, che il mondo dei pensieri e il mondo delle cose sono quasi identici in estensione e inoltre che sono vicini l’uno all’altro (Binswanger [1933] 2003, 83).

Due pagine più avanti, si riferisce al Denkraum:

Die Volatilität auch der Denkgegenstände, insbesondere ihre Wandlung – und Gestaltungsfähigkeit, im Verein mit der Gelichtetheit des Denkraums überhaupt, hat zur Konsequenz, dass man hier nie vor einem unüberwindlichen Denkhindernis steht, immer einen Ausblick und Ausweg findet, dass sich hier immer (Denk-)Fäden, ‘nach allen Seiten’ spinnen und sich immer wieder neue Gedanken bilden (Binswanger [1933] 1980, 63).

La volubilità anche degli oggetti del pensiero, in particolare la loro capacità di trasformarsi e di prendere forma, insieme con la luminosità dello spazio del pensiero in generale, ha come conseguenza che qui non si è mai di fronte a un ostacolo di pensiero insormontabile, ma che si trova sempre un punto di vista e una via d’uscita, e che qui ‘a ogni lato’ si tessono sempre dei fili (di pensiero) che formano sempre di nuovo nuovi pensieri (Binswanger [1933] 2003, 85-86).

E nella nota di pagina 58 introduce il termine Zwischenreich (Binswanger [1933] 1980, 58). Già Peter Sloterdijk comprese come “pochi interpreti di Heidegger abbiano capito che sotto il sensazionale titolo programmatico di Essere e tempo si cela anche un trattato potenzialmente rivoluzionario su essere e spazio. Sotto l’influenza dell’analitica esistenziale del tempo in Heidegger, è stato spesso dimenticato come essa sia legata a una corrispondente analitica dello spazio, e che entrambe sono a loro volta fondate in un’analitica esistenziale del movimento” (Sloterdijk [1998] 2009, 325). E, poche righe dopo: “L’analitica heideggeriana della spazialità esistenziale giunge a una ridefinizione positiva della spazialità dell’essere-ci in quanto avvicinamento [Näherung] e orientazione [Orientierung], attraverso due tappe distruttrici”. In Sein und Zeit, Heidegger parla di Zwischenraum per alludere allo spazio tra la sedia e la parete:

Das ‘Sein bei’ der Welt als Existenzial meint nie so etwas wie das Beisammen-vorhanden-sein von vorkommenden Dingen. Es gibt nicht so etwas wie das ‘Nebeneinander’ eines Seienden, genannt ‘Dasein’, mit anderem Seienden, genannt ‘Welt’. Das Beisammen zweier Vorhandener pflegen wir allerdings sprachlich zuweilen z.B. so ausdrücken: “Der Tisch steht ‘bei’ der Tür, ‘der Stuhl berührt’ die Wand”. Von einem ‘Berühren’ kann streng genommen nie die Rede sein und zwar nicht deshalb, weil am Ende immer bei genauer Nachprüfung sich ein Zwischenraum zwischen Stuhl und Wand feststellen lässt, sondern weil der Stuhl grundsätzlich nicht, und wäre der Zwischenraum gleich Null, die Wand berühren kann (Heidegger [1927] 2006, 55).

L’‘essere-presso’ il mondo, come esistenziale, non può in alcun modo significare qualcosa come l’esser presente-insieme, proprio delle cose che si presentano dentro il mondo. Non c’è qualcosa come un ‘essere l’uno accanto all’altro’ di un ente detto ‘Esserci’ e di un altro detto ‘mondo’. È vero che a volte cerchiamo di esprimere la vicinanza di due semplici presenze, dicendo, ad esempio: ‘La tavola sta ‘presso’ la porta …’ ‘La seggiola ‘tocca’ la parete’. Ma non si può, a rigor di termini, parlare di ‘toccare’; e non certo perché un’ispezione accurata accerterebbe sempre un interspazio fra sedia e parte, ma perché la sedia non può assolutamente toccare la parete, anche nel caso che l’interspazio sia nullo.
Cap. II. L’essere-nel-mondo in generale come costituzione fondamentale dell’Esserci. 12. Linee fondamentali dell’essere-nel-mondo a partire dall’in-essere come tale (Heidegger [1927] 1976, 78-79).

Di maggiore interesse per ciò di cui ci occupiamo in questa sede, è la riflessione di Heidegger sul “fra”, tra il soggetto e l’oggetto, considerando quanto sia appropriato, o meno, posizionare l’orientamento in quel “fra”:

Was anderes stellt sich aber dann mit diesem Phänomen dar als das vorhandene commercium zwischen einem vorhandenen Subjekt und einem vorhandenen Objekt? Diese Auslegung käme dem phänomenalen Bestand schon näher, wenn sie sagte: das Dasein ist das Sein dieses ‘Zwischen’. Irreführend bliebe die Orientierung an dem ‘Zwischen’ trotzdem. Sie macht unbesehen den ontologisch unbestimmten Ansatz des Seienden mit, wozwischen dieses Zwischen als solches ‘ist’. Das Zwischen ist schon als Resultat der convenientia zweier Vorhandenen begriffen (Heidegger [1927] 2006, 132).

Che sarà allora questo fenomeno se non l’incontro fra un soggetto e un oggetto semplicemente-presenti? L’interpretazione si avvicinerebbe già abbastanza al fenomeno se intendesse l’Esserci come l’essere di questo ‘fra’. Tuttavia un’impostazione che si imperni sul ‘fra’ finirebbe per condurre fuori strada. Essa è infatti carente quanto alla determinazione ontologica degli enti tra i quali c’‘è’ questo rapporto di ‘fra’. Il ‘fra’ è già assunto come risultato della convenientia fra due semplici-presenze e come prodotto di essa (Heidegger [1927] 1976, 169-170).

2 | Aby Warburg, Grundlegende Bruchstücke, 1888/1896-1905/1912.

Ma torniamo a Gombrich. Mi sembra molto significativo che Gombrich abbia respinto il termine Zwischenraum per mantenere solo Denkraum. Soprattutto perché, come riferisce Claudia Wedepohl, il suo progetto di studio e di edizione dell’opera di Warburg comprendeva una ricerca sulla terminologia warburghiana (Mneme, Engramm, energetische Inversion, Ambivalenz, Denkraumverlust, Schlitterlogik), vale a dire che prestò molta attenzione ai concetti utilizzati da Warburg (Wedepohl 2015, 145). Né, in questa lista, troviamo citato Zwischenraum. Se finora abbiamo insistito sulla prossimità tra Zwischenraum e Denkraum, sul loro impiego come sinonimi in determinati contesti, si impone ora la necessità di segnalare la loro distanza. Che lo spazio del pensiero possa essere uno spazio intermedio, non implica certamente che la nozione di spazio intermedio sia identica a quella di spazio del pensiero. Questo secondo procede dalla necessità di una distanza, dalla creazione di uno spazio che permetta la contemplazione e il pensiero; il primo, invece, oltre che alludere a quello spazio generato fra due poli, suppone necessariamente una ibridazione, perché in quello spazio intermedio è coinvolto sia un polo che l’altro: essendo uno spazio della separazione, lo è anche dell’incontro. Nei Grundlegende Bruchstücke (1888/1896-1905/1912) è possibile vedere un disegno a penna di Warburg in cui “idealismo” e “realismo” appaiono come due poli in oscillazione (Warburg 2015, 110) [Fig. 2]. Tra questi due poli si estende il Zwischenraum, qui non è menzionato, ma che avrà per Warburg un potenziale creativo, perché da esso verrà generata un’espressione decisiva per la comprensione del Mnemosyne Atlas.

Iconologia dell’intervallo

È nel Tagebuch di Warburg che si incontra il concetto Zwischenraum, quantunque si tratti di un impiego del termine molto più concreto, essendo accompagnato al concetto di “iconologia”: eine Ikonologie des Zwischenraumes. Il passaggio è citato da Gombrich nella sua Biografia intellettuale:

Ikonologie des Zwischenraumes. Kunsthistorisches Material zu einer Entwicklungspsychologie des Pendelganges zwischen bildhafter und zeichenmässiger Ursachsetzung (“Journal” VII, 1929, 267; Warburg 2001, 434).

Iconologia dell’intervallo: materiali di storia dell’arte per una psicologia evoluzionistica dell’oscillazione tra l’attribuzione di cause come immagini e come segni (Gombrich [1970] 2003, 219).

Il concetto di Ikonologie fu utilizzato da Warburg per la prima volta nell’ottobre del 1912 nella sua conferenza su Palazzo Schifanoia, sebbene l’uso dell’aggettivo ikonologisch sia attestato già dal 1907 (Heckscher [1967] 1985, 254 e 274). Gombrich introduce la citazione sostenendo che “L’immagine artistica appartiene a quell’ambito intermedio in cui si radicano i simboli” (Gombrich [1970] 2003, 219). Vale a dire che Gombrich riconosce questo spazio come spazio intermedio nel quale si incontrano mondo sensibile e mondo intelligibile, che è effettivamente il luogo del simbolo. Georges Didi-Huberman segnalò come:

L’espressione [Ikonologie des Zwischenraums] è apparsa affatto enigmatica a molti esegeti. Eppure sembra aver definito, nel 1929, il progetto stesso dell’atlante come raccolta di un ‘materiale’ di immagini fatto per formare il corpo visivo dell’ipotetica ‘psicologia dell’evoluzione nella determinazione delle cause’, espressione in cui va riconosciuta una delle innumerevoli denominazioni cercate da Warburg come sottotitolo di Mnemosyne. L’espressione sembra insomma far riferimento al dictum, ispirato a Goethe, secondo il quale ‘il problema’ – ma Warburg scriveva anche: ‘la verità’ – ‘sta nel mezzo’ (Didi-Huberman [2002] 2013, 457).

Quanto mi sembra decisivo, è il fatto che Didi-Huberman relazioni l’iconologia dell’intervallo con il montaggio come procedimento e metodo caratteristico del Mnemosyne Atlas. Anche Philippe-Alain Michaud interpreta l’espressione come un’allusione al modo stesso di costruzione dell’Atlante: “[…] avec Mnémosyne, Warburg fonde ‘une iconologie des intervalles’ (Eine Ikonologie des Zwischenraumes) […] qui ne porte plus sur des objets, mais sur des tensions, analogies, contrastes ou contradictions”. Michaud si riferisce ad essa come una “formula enigmatica” che alluderebbe a “…une iconologie qui porterait non sur la significations des figures – c’est le sens que lui donnera Panofsky – mais sur les relations que ces figures entretiennent entre elles dans un dispositif visuel autonome, irréductible à l’ordre du discours” (Michaud [1998] 2012, 260, 321).

Da parte sua, Maurizio Ghelardi in La lotta per lo stile, aggiunge un secondo riferimento che si trova in L’antico italiano nell’epoca di Rembrandt:

L’ascesa di Elio verso il Sole e la discesa di Proserpina negli Inferi simboleggiano due tappe che appartengono in modo inscindibile al ciclo della vita, come l’inspirazione e l’espirazione. Come unico bagaglio per intra-prendere questo viaggio possiamo portare con noi solo l’intervallo eternamente mobile tra impulso e azione: sta a noi decidere quanto possiamo dilatare, con l’aiuto di Mnemosyne, questo intervallo della respirazione (Ghelardi 2012, 319).

Ghelardi conclude sostenendo che è così possibile intendere l’Atlante come una “iconologia della pausa della respirazione”. I passaggi citati, prosegue lo studioso, “implicano una concezione dell’arte che, fondandosi sul materiale storico artistico, indica per Warburg una ‘fisiologia dello sviluppo’ che oscilla tra immagine e segno, e alla quale inerisce un principio architettonico e grammaticale. L’arte, in sostanza, si colloca tra il mondo della mera espressione e quello della pura significazione. Ciò spiega perché parola e immagine rappresentino per l’autore i termini medi tra mito e logos” (Ghelardi 2012, 327-328).

Quando ci troviamo di fronte alle Tafeln dell’Atlas vediamo come ognuna di esse mostra un montaggio differente delle fotografie appuntate sulla tela nera. A volte è intensificato il principio della serie, come accade nelle Tavole 24 e 25; in altre i dettagli giocano un ruolo chiave come nella Tavole 43 e 54. In altre ancora la riunione delle immagini raggiunge valori lirici, come nelle Tavole 5, 6, 39, 47, perché il pannello disvela intime relazioni tra le immagini, mostra una struttura che procede proprio dalla loro disposizione, e in questa è tanto importante l’immagine stessa, quanto lo spazio intermedio che le separa, come gli spazi bianchi nelle poesie, e i silenzi, solo a partire dei quali è possibile udire la parola.

Se si cerca Zwischenraum nella Historisches Wörterbuch der Philosophie (Ritter, Gründer 1971), alla voce Raum è citato Vitruvio. In effetti, nel libro I, capitolo V, del De Architectura, in riferimento alla costruzione di mura e torri, Vitruvio parla di distanza e intervallo:

Intervalla autem turrium ita sunt facienda ut ne longius sit alia ab alia sagittae missionis, uti, si qua oppugnetur, tum a turribus, quae erunt dextra sinistra, scorpionibus reliquisque telorum missionibus hostes reiciantur. Etiamque contra inferiores turrium dividendos est murus intervallis tam magnis, quam erunt turres, ut itinera sint interioribus partibus turrium contignata, nequeo ea ferro fixa (Vitruvio, De Architectura).

L’intervallo tra un torrione e l’altro non deve superare un tiro di freccia così se uno viene preso d’assalto è possibile respingere il nemico intervenendo da quelli di destra e di sinistra, con scorpioni e con altre macchine da lancio. La cinta muraria interna dev’essere poi interrotta in corrispondenza dei piani inferiori di ciascuna torre e per tutta la sua ampiezza, stabilendo il collegamento tramite soppalchi di legno che non dovranno essere fissati per mezzo di strutture metalliche (Vitruvio, De Architectura, tr. it. di L. Migotto, Pordenone 1991, 41).

Tornando al XX secolo, troviamo che esiste tutto un dibattito architettonico dedicato allo ‘spazio intermedio’. In un articolo-omaggio a Louis Kahn, gli architetti Alison Smithson e Peter Smithson (Smithson 1974), concepivano che la rigenerazione delle idee per un rinnovamento architettonico della città passa necessariamente attraverso la considerazione dello space between: dal recupero della strada-passaggio, fino alla necessità di creare un dialogo tra edifici vecchi e nuovi.

Ho presentato una bozza di questo contributo durante il Seminario Mnemosyne del Centro studi classicA che si è svolto dal 13 al 16 giugno di quest’anno al Palazzone di Cortona, Scuola Normale Superiore. Il Seminario è stato dedicato alla traduzione, al commento e allo studio comparativo delle Introduzioni all’Atlante di Warburg e di Gombrich. I partecipanti al Seminario – Monica Centanni, Simone Culotta, Silvia De Laude, Anna Fressola, Maurizio Ghelardi, Anna Ghiraldini, Clio Nicastro, Alessandra Pedersoli, Sergi Sancho Fibla – hanno discusso e commentato questa bozza. A tutti loro va il mio ringraziamento.

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English abstract

This contribution consists of a comparative study of the two Introductions to the Mnemosyne Atlas, one by Aby Warburg (1929) and the other by Ernst Gombrich (1937), starting from the concept of Zwischenraum (space between) that only appears in Warburg’s. This essay starts out from the peculiar importance given to this concept by philosophers like Henry Corbin who, following Iranian texts, named it mundus imaginalis. The concept of Zwischenraum is linked with another, frequently used by Warburg, Denkraum, which appears in Gombrich’s Introduction and is also present in Ernst Cassirer, Ludwig Binswanger and Martin Heidegger. From the theoretical concept of Zwischenraum as the necessary space for all acts of civilisation to take place, Warburg passes to the expression Ikonologie des Zwischenraumes (iconology of the interval), in which he lays the foundations of the Mnemosyne Atlas, where the space between images, always different, acquires meaning. This article ends with a quick reference to the sense given to the space between in contemporary architecture.

keywords | Mnemosyne Atlas, comporative study, Aby Warbug, Gombrich, Zwischenraum, Coorbin, Denkraum, iconology, contemporary architecture. 

To cite this article: V. Cirlot, Zwischenraum/Denkraum. Oscillazioni terminologiche nelle Introduzioni all’Atlante di Aby Warburg (1929) e Ernst Gombrich (1937), “La Rivista di Engramma” n. 151, novembre-dicembre 2017, pp. 121-146 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2017.151.0011