"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

166 | giugno 2019

97888948401

L’azienda come attore politico e sociale

In risposta a 11 domande su Olivetti

Enrico Morteo*

English abstract

*Enrico Morteo, architetto, storico e critico del design. Ha curato la mostra “Olivetti. Una bella società” (Torino 2008), e condotto il programma Adriano Olivetti: progettare per vivere, andato in onda su Radio3 nel 2010. Di recente è intervenuto a Milano e sui media affrontando la questione dell’architettura e il design della Olivetti.

[Redazione di Engramma] Come va interpretata l’idea di Comunità olivettiana rispetto al dibattito attorno al conflitto tra società e comunità che costituiva sino a poco tempo fa il fronte tra politiche di sinistra e politiche di destra?

Difficile – in ogni caso – collocare il pensiero politico di Adriano Olivetti su di una scacchiera meramente bipolare, governata dalla pura contrapposizione fra destra e sinistra. Se così non fosse stato – e, in definitiva, tutt’ora non fosse – non avremmo assistito al radicale ostracismo di quel pensiero e di quelle idee. Olivetti, con la sua idea di Comunità, tenta di scavalcare la contrapposizione tradizionale fra le classi e, allo stesso tempo, propone una più definita articolazione del generico (o universale) concetto di società. Di certo la Comunità olivettiana si fonda su di un luogo preciso; vive di una dimensione di prossimità; si nutre di un particolare habitat sociale e culturale. Allo stesso tempo, la Comunità mai dimentica di far parte di un organismo di maggiore dimensione: la Comunità – allo stesso tempo e in egual misura – costituisce l’unità fondante dello Stato, lo determina, ma ineluttabilmente vi appartiene. La Comunità non è mai una monade, ma dialoga e si confronta con le Comunità più o meno prossime. La Comunità non è una entità chiusa, ma accoglie chi entra nella sua orbita, si tratti di persone o di idee.

Ma non è solamente lo Stato l’unica dimensione collettiva di cui la Comunità è parte ed espressione: impossibile capire l’ideologia olivettiana se non consideriamo una condizione spirituale i cui valori condivisi sono fondamento e fine della Comunità. O meglio della vita stessa. Non una teosofia, ma una disciplina etica e morale che deve informare l’agire dei singoli e della Comunità tutta. In assenza di questa struttura di valori che trascendono la mera dimensione materiale, o meglio che la elevano e la completano, nessuna forma collettiva o comunitaria può reggere alla sfida del presente e del futuro.

[RE] Che legame esiste (se esiste) tra le esperienze di comunitarismo produttivo come i villaggi operai di Saltaire in Inghilterra, Mulhouse in Francia, Crespi d’Adda e Schio in Italia e l’esperienza Olivetti?

Parlando della Olivetti di Adriano, esistono poche similitudini con altre esperienze. Se Camillo ancora mostrava atteggiamenti di assistenzialismo sociale se non paternalistico, Adriano si muove su una diversa orbita. Per Adriano l’azienda è un attore sociale che in qualche modo deve restituire alla comunità quanto dalla comunità riceve. Lo scambio non è semplicemente uno squilibrato rapporto fra lavoro e denaro (sempre a vantaggio del padrone), bensì una restituzione più complessa, che comprende denaro, servizi sociali, assistenza medica, istruzione, attività culturali, attrezzature sportive, occasioni formative. L’azienda non produce semplicemente ricchezza in forma di profitto o dividendi, bensì offre ricchezza in forma di crescita collettiva della Comunità di cui fa parte ed è espressione, sia la Comunità locale che la comunità nazionale.

Alcuni fatti possono essere esemplificativi: nei corsi formativi dei suoi dipendenti, Olivetti non mancava mai di inserire la storia del Sindacato, al fine di rendere i lavoratori coscienti della propria identità sociale e culturale. Olivetti non forniva quasi mai alloggi standardizzati ai dipendenti, bensì offriva loro la possibilità di costruirsi una propria casa con prestiti a tasso agevolato e, volendo, usufruendo dei progetti e consulenze forniti dall’ufficio architettura interno all’azienda. Olivetti non ha mai limitato a Ivrea il proprio agire, ma, da Pozzuoli a São Paulo, ha scelto il mondo come propria Comunità d’azione. Adriano Olivetti si era dato quale fine ultimo la ‘socializzazione’ della proprietà dell’azienda stessa: passo mai compreso dal sindacato né tantomeno accettato dai partiti, tanto di sinistra che di destra.

[RE] In quali termini si pone la relazione tra l’emergere di una dottrina sociale della chiesa, di una economia sociale di mercato, di riflessioni teologiche, filosofiche e politiche come quelle di Jacques Maritain, e il pensiero di Olivetti?

Adriano Olivetti, in egual misura figlio di cultura ebraica, cattolica e valdese, non ha la ‘chiesa’ come proprio orizzonte. Olivetti apprezza e cerca alcuni aspetti del pensiero religioso e non a caso fu Olivetti a pubblicare in Italia il pensiero di Jacques Maritain. Ma è una dimensione etico-spirituale quella a cui mira, senza simboli confessionali ma con chiari valori. Olivetti anticipa in certa misura – forse involontariamente – la crisi del positivismo modernista, che coinciderà con una progressiva messa in discussione di un paradigma di stampo industriale che ha governato l’occidente e di cui Olivetti è indubbiamente partecipe. L’unica cosa certa, è che Adriano volle sempre guardare di là dalla fabbrica, traguardando con il proprio sguardo la società, le persone, l’uomo.

[RE] Quale la funzione degli intellettuali e del lavoro intellettuale nei processi di socializzazione capitalistica? Che funzione assume progressivamente l’intelligenza e la creatività collettiva? Come reinterpretare il marxiano general intellect partendo dal caso Olivetti?

Se l’azienda è un attore sociale, catalizzatore e scambiatore di energie, allora occorre che gli intellettuali vi partecipino attivamente, sia nell’orientare i fini della ricerca e lo sviluppo dei nuovi prodotti, sia nel contribuire a redistribuire i profitti, a guidare l’attività sociale dell’impresa. Di più, agli intellettuali spetta il compito di gestire i rapporti fra azienda e lavoratori, facendosi carico del dialogo vivo, talvolta doloroso, altre volte entusiasmante, fra il singolo e l’impresa collettiva. Poiché non si può obbligare nessuno a studiare o ad apprezzare la cultura, l’intellettuale deve non solo offrire occasioni, ma anche studiare proposte che inglobino i valori della cultura in azioni semplici e quotidiane.

Per accettare una compiuta socializzazione del lavoro (e nel caso di Olivetti anche la socializzazione della proprietà dell’azienda) occorre un pensiero la cui altezza oltrepassa spesso anche quello dei migliori intellettuali, non solo il comprensibile scetticismo del lavoratore. Difficile pensare ad una figura di ‘imprenditore collettivo’. O quanto meno, sinora né Olivetti né altri sembrano aver ottenuto buoni risultati.

[RE] Esiste un qualche legame tra l’esperienza olivettiana e l’emergere recente del tema della comunità nel dibattito filosofico contemporaneo?

Lo spererei, anche se quasi sempre lo spirito comunitario olivettiano viene deliberatamente frainteso e tirato strumentalmente per la giacchetta al fine di confermare l’una o l’altra posizione ideologica.

[RE] Quali sono i fattori socio-economici e politici che hanno impedito all’utopia possibile di Adriano Olivetti di realizzarsi?

Come accennavo, il suo porsi di là dalle convenzioni del pensiero politico e lo scavalcare la divisione fra destra e sinistra. Inoltre, determinante, la volontà di sottrarre ai partiti l’organizzazione e il controllo politico del consenso. Non ultimo, l’afflato spirituale del pensiero comunitario olivettiano, quasi del tutto incompatibile con gli interessi spiccioli della politica di governo.

[RE] Qual è stato l’effettivo contributo di Olivetti alla digitalizzazione globale nella quale ci troviamo immersi?

Adriano Olivetti ha sicuramente intuito la vertiginosa prospettiva tecnologica e culturale dell’elettronica, ma è però morto prima che si delineassero i contorni dell’odierna rivoluzione digitale e telematica. Alla Olivetti in quanto azienda rimane il merito di aver dato forma agli aspetti più propriamente ‘personal’ del computer. La ricerca delle minime dimensioni e la precoce intuizione delle potenzialità ludiche della macchina rimangono intuizioni interpretate con largo anticipo dalla Olivetti e dai suoi designers.

[RE] Come la questione territorio si trasforma in relazione alla socializzazione del sistema produttivo e alla nuova formazione dei valori sia economici che sociali?

Il territorio è il campo d’azione dell’interazione fra comunità e impresa. Il suo disegno, il suo governo, sono parte integrante di una contrattazione costante. Nel pensiero olivettiano, ancora tutto inscritto in una dimensione urbanistica di stampo modernista, la razionalizzazione del territorio per un verso favorisce la funzionalità del lavoro dell’industria, dall’altro partecipa di un più ampio disegno volto a compensare quanto l’azienda sottrae in termini di tempo ed energia. In questa prospettiva l’industria (o le diverse forze speculative) non possono disporre del territorio come di una risorsa a loro concessa, ma debbono muoversi entro i confini definiti dalla preventiva contrattazione sociale e formalizzati nei piani regolatori. In fondo, un pensiero di tipo classico, sebbene di fatto mai compiutamente applicato.

[RE] Qual è la specificità dellesperienza olivettiana nell'uso di design e grafica per la creazione di un immaginario collettivo legato al prodotto?

Per la Olivetti design e grafica sono stati essenzialmente strumenti di comunicazione e di incontro. Incontro fra le macchine e le persone; incontro fra la tecnologia e le sue applicazioni; incontro fra l’azienda e la comunità. Design per rendere gli oggetti più accessibili e comprensibili nei loro valori, usi e significati. Grafica per spiegare quanto di nuovo l’azienda andava sviluppando in termini di tecnologia, strategia, tipologia di prodotto. Non mai una Corporate Identity, bensì una narrazione continua e aperta, condotta non tanto per stupire quanto per spiegare. Spiegare il nuovo che la Olivetti quotidianamente produceva.

[RE] In quale modo architettura e urbanistica hanno influito sulla nascita del modello produttivo e sociale della Olivetti?

Architettura e urbanistica non sono mai state premesse dell’agire olivettiano, bensì sempre e solo conseguenze del pensiero di Adriano e dell’azienda. Adriano in primis e poi tutti i responsabili coinvolti nei diversi progetti esprimevano con grande competenza le proprie esigenze e i propri obiettivi, fisici e ideali. Solo entro questo perimetro poteva poi esprimersi la massima libertà progettuale dell’architetto. Non furono certo Figini e Pollini ad avere il coraggio della parete vetrata di via Jervis, a Ivrea, ma fu Adriano a imporre la soluzione più ambiziosa e simbolica. Non fu certo Scarpa che pensò in piazza San Marco a Venezia di realizzare una vetrina, ma fu Adriano che lì volle non un negozio (in quegli spazi non si è mai venduto nulla) ma un meraviglioso show-room.

[RE] Quali sono gli aspetti dellattualità o inattualità di Olivetti?

Il mondo è radicalmente cambiato dai tempi di Camillo e di Adriano. L’Olivetti non è più quotata in borsa dal 2003, avendo perso da tempo la propria leadership tecnologica e produttiva. Rimane l’idea di fondo che l’azienda è attore politico e sociale; che il suo agire deve essere orientato all’interesse collettivo entro un orizzonte di comunità; che i suoi valori, soddisfatto il mero orizzonte capitalistico del profitto, debbono trascenderlo nel modo in cui le ricchezze prodotte saranno impiegate e redistribuite. Insegnamenti non facili, neppure per la più evoluta delle democrazie.

English abstract

Enrico Morteo asserts that, with his idea of ‘community’. Olivetti attempted to unsettle the classical opposition between social classes, proposing a more definite articulation of the generic (or universal) concept of society. Founded on a specific site, the ‘community’ is both the founding unity of the State and the ethical and moral discipline that informs the actions of individuals. The company contributes to the community’s collective growth while intellectuals lead its research, the development of new products, and social activity. The territory, place of interaction between community and business, is designed through the rationalization of the regulatory plan intended as a formalization of a social contract. Within it, architecture and urban planning – consequences and not preconditions of Olivetti’s thought – become the concretization of objectives defined by Olivetti himself whose role in defining these forms was decisive. The principle that the company is a political and social actor, oriented towards the collective interest, is what remains timely in Olivetti’s work.

keywords | Olivetti; Community; Buisness; Territory; Architecture; Urban planning. 

Per citare questo articolo / To cite this article: E. Morteo, L’azienda come attore politico e sociale. In risposta a 11 domande su Olivetti, “La rivista di Engramma” n.166, giugno 2019, pp. 161-166 | PDF


doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2019.166.0021