"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

166 | giugno 2019

97888948401

Breve riflessione sul rapporto tra Adriano Olivetti e il territorio eporediese

In risposta a 11 domande su Olivetti

Anna Marson*

English abstract

*Anna Marson, professore di Pianificazione del Territorio. Si occupa di paesaggio, patrimonio e territorio. È responsabile scientifica del Progetto di Sperimentazione per l'Attuazione del Piano Paesaggistico del Piemonte.

Da alcuni mesi sto partecipando come responsabile scientifica a una attività di ricerca promossa dalla Compagnia di San Paolo, sulla base di un contratto con Università Iuav di Venezia. Oggetto di un protocollo tra il Segretariato regionale per il Piemonte del Ministero dei Beni e delle attività culturali, la Regione Piemonte e la Compagnia, la ricerca che coordino si propone di avviare una sperimentazione di azioni e buone prassi nell’attuazione delle componenti strategiche del Piano Paesaggistico in alcuni territori. Per diverse ragioni, il primo territorio di sperimentazione scelto è stato l’eporediese, ovvero la parte centrale di quel Canavese, in Piemonte, che ha rappresentato l’ambito di riferimento dell’azione di Adriano Olivetti. Pur non trattando direttamente di Olivetti, per una ricerca che ha come riferimento questo territorio è difficile prescindere dal lascito olivettiano, di cui si trovano continue tracce sia nei manufatti che nelle narrazioni e nelle argomentazioni espresse delle persone che vivono e operano nell’eporediese.

I manufatti olivettiani sono moltissimi, assai diversi fra loro, e pur essendo presenti con una particolare concentrazione a Ivrea sono dislocati anche in territori rurali abbastanza lontani dalla città. È interessante notare, a questo proposito, come l’unico manufatto olivettiano tuttora in funzione con la destinazione originaria sia la sede della Cantina sociale della Serra, a Piverone – un edificio non particolarmente eccezionale dal punto di vista architettonico, ma estremamente significativo dell’approccio olivettiano al ‘progetto di territorio’ capace di guardare al futuro in modo consapevole e riflessivo, trattandone i rischi.

Consapevole che le comunità di quel territorio non potevano vivere delle sole attività di Olivetti, né di sole attività industriali, nel 1954 Olivetti fonda l’IRUR, Istituto di Rinnovamento Urbano e Rurale. L’Istituto fornisce assistenza e consulenza tecnica a privati, gruppi, e amministrazioni comunali, oltre a realizzare in proprio iniziative in diversi settori economici, per combattere disoccupazione e spopolamento attraverso la creazione di una serie di “industrie sociali autonome” e di “associazioni agricole autonome”. Queste attività produttive non sono connesse alla filiera della produzione Olivetti, ma spaziano dagli abiti per bambine alle gabbiette per spumanti, dalla componentistica meccanica alla vinificazione, dalle valigette ai vivai (Serafini [1982] 2015).

Nel settore agricolo Adriano Olivetti promuove la costituzione di diverse cooperative, fra le quali la cooperativa agricola di Montalenghe, la cooperativa avicola canavesana e la cantina sociale della Serra a Piverone (Serafini [1982] 2015). L’IRUR non si limita a costituire queste attività, ma ne segue l’avvio, ne sostiene la qualità della produzione e la ricerca degli sbocchi di mercato; ed è lecito ipotizzare che anche quanto intrapreso dall’IRUR vedesse l’attivazione di varie competenze del mondo olivettiano, e che esso agisse in modo simile all’Ufficio consulenza Case Dipendenti, che – stando al recente approfondimenti di Olmo, Bonifazio e Lazzarini – lavorava in relazione con la Direzione dei Servizi Sociali, la Direzione Fabbricati e il GTCUC (Gruppo tecnico coordinamento urbanistico canavese). La natura cooperativa dello stesso IRUR metteva quindi in gioco competenze e risorse diversificate.

La Cooperativa della Serra viene fondata nel 1953 per dare una prospettiva economica ai viticoltori della Serra di Ivrea, proprietari di piccoli appezzamenti collinari. Tuttora in funzione, sulle proprie pagine web ricorda con orgoglio come Adriano Olivetti sostenesse che “l’economia di un territorio non può basarsi esclusivamente sull’industria ma devono coesistere economie alternative” e richiama la fondazione da parte di “99 soci arditi con un’idea in testa, vivere di viticoltura in una terra di industrie. Nel 1957 diventarono già 617 soci, nel 1961 toccarono un picco di 1018”. Pur avendo attraversato successivamente periodi di crisi e contrazione della produzione, oggi ha circa duecentocinquanta soci, è gestita direttamente dai coltivatori, e sta sperimentando nuove produzioni di Erbaluce a certificazione biologica. La sede della cantina cooperativa è ancora nell’edificio, intatto, costruito fra 1953 e 1954.

La Cooperativa agricola di Montalenghe, fondata nel 1956 da settantasei capi-famiglia che mettono in comune l’80% delle loro proprietà, cedendo in affitto alla cooperativa 130 ettari complessivi lavorati dai soci seguendo i suggerimenti dei tecnici che l’IRUR mette a disposizione, avrà un edificio celeberrimo, la stalla modello n.1 progettata da Giorgio Raineri con la collaborazione di Antonietta Roasio, ma assai minor fortuna. La cooperativa non sopravvive infatti al passaggio generazionale, e ad alcuni anni di distanza si scioglie. Parte dell’appezzamento viene occupato da capannoni artigianali, alterando pesantemente il contesto. La stalla stessa, pubblicata su prestigiose riviste di architettura di rilevanza internazionale, schedata dal Ministero dei beni culturali fra le Architetture del secondo 900 e considerata un unicum per la capacità di reinterpretare i materiali e le tecniche costruttive tradizionali in modo innovativo e funzionalmente all’avanguardia, viene pesantemente manomessa con un frazionamento a fini residenziali interrotto a cantiere già avanzato. Oggi è un edificio abbandonato, per il quale le norme urbanistiche comunali vigenti prevedono, con un ardito ossimoro, la categoria del restauro e la destinazione residenziale.

I manufatti costituiscono dunque, nel loro insieme, soltanto la permanenza più facilmente esperibile dei processi di sviluppo locale attivati dall’azione di Adriano Olivetti. La loro valorizzazione è senza dubbio importante, e a questo riguardo è quasi superfluo citare il MAAM (Museo a cielo aperto delle principali architetture olivettiane lungo via Jervis, riconosciuto sito Unesco nel 2018), mentre merita ricordare il lavoro analitico raccolto nelle pubblicazioni di Patrizia Bonifazio ed Enrico Giacopelli, più ampio, ed esteso all’intero territorio di Ivrea, esempio di come si potrebbe operare per i manufatti presenti negli altri territori comunali dell’eporediese, per i quali manca tuttora uno studio sistematico. Ma oltre alla valorizzazione sarebbe importante l’adozione di corrette modalità d’intervento per le necessarie innovazioni edilizie (mi riferisco ad esempio alle prestazioni energetiche) e in qualche caso funzionali, ma ancor più lo è la comprensione e la valorizzazione dei processi all’interno dei quali sono stati prodotti anche quegli edifici. Si trattava di processi collettivi, di sperimentazione e innovazione indirizzata al benessere delle comunità insediate su quei territori, guidati da una forte etica sociale messa al lavoro per rendere quelle stesse comunità più evolute e meno dipendenti dalla stessa “fabbrica Olivetti”. Le stesse architetture non privilegiavano uno stile, un materiale o un progettista, ma costituivano un aspetto (anch’esso sperimentale e orientato all’innovazione) che concorreva a realizzare un progetto di territorio molto più ambizioso, nel quale gli aspetti formali dei manufatti erano chiamati a corrispondere all’innovazione sociale, economica e culturale della comunità territoriale:

Ma i più gravi problemi della riorganizzazione della vita sociale ed economica non potranno essere visti e risolti che attraverso un’opera di pianificazione generale e particolare, capace di sostituire alle divisioni e suddivisioni […] Tale coordinamento non sarà quindi realizzabile che in piccole unità territoriali, sulla scala della comunità concreta […] Nell’ambito della comunità s’inquadreranno, nelle forme più sopra delineate, le attività di carattere economico, sociale, assistenziale ed educativo. E pure nell’àmbito della comunità concreta si svilupperà quello che può essere considerato il terzo grado della pianificazione: la pianificazione edilizia […] e la coordinazione tra produzione e consumo. (Direzione Politica Esecutiva del Movimento di Comunità, Manifesto programmatico di Comunità. Tempi Nuovi, Metodi Nuovi, 1953, in Maffioletti 2016, 332)

Come evidenzia Marco Maffioletti:

Tramite l’IRUR Adriano intendeva anche rendere le popolazioni canavesane meno dipendenti dalla Olivetti, poiché un tessuto di piccole e micro imprese nell’area attorno a Ivrea avrebbe costituito un’alternativa e dinamizzato territori rurali non interessanti per la grande industria, che erano intaccati dallo spopolamento. Nelle piccole imprese si sarebbe inoltre offerta la possibilità di agire autonomamente ed assumere responsabilità a un numero di persone maggiore di quanto accadesse nella grande fabbrica. Il fondatore dell’IRUR sperava infatti che divenissero progressivamente delle comunità di lavoro, dove grazie alla condivisione delle tecniche specifiche e della cultura generale i lavoratori partecipavano attivamente alla gestione delle imprese e all’amministrazione dei problemi della vita sociale (Maffioletti 2016, 423).

Un atteggiamento nei confronti del futuro che oggi, alla luce delle pesanti sfide che ci attendono, andrebbe ri-scoperto e ri-praticato, anziché sostenere anche attraverso i pochi fondi pubblici a disposizione l’ulteriore gerarchizzazione dei territori, rendendo le città globali ancor più attraenti e finanziando di fatto lo spopolamento e la decadenza di tutte le altre aree. Il “principio territoriale”, di cui Olivetti proclama la superiorità su quello funzionale, può “costituire un riferimento ideale per la rinascita dell’Italia” (Magnaghi 2015, 95). A patto di assumerlo nella ricchezza dei suoi molteplici aspetti sociali, economici, culturali, e di accettare di valutarne l’efficacia anche in relazione alla qualità complessiva delle comunità e dei loro luoghi di vita collettiva.

Bibliografia
  • Maffioletti 2016
    M. Maffioletti, L’impresa ideale tra fabbrica e comunità, Roma 2016.
  • Magnaghi 2015
    A. Magnaghi, Dal territorio della comunità concreta alla globalizzazione economica e ritorno, in A.Bonomi, M.Revelli, A.Magnaghi (a cura di), Il vento di Adriano. La comunità concreta di Olivetti tra non più e non ancora, Roma 2015.
  • Olmo, Bonifazio, Lazzarini 2018
    C. Olmo, P. Bonifazio e L. Lazzarini, Le case Olivetti a Ivrea, Bologna 2018.
  • Serafini [1982] 2015
    U. Serafini, Adriano Olivetti e il movimento comunità, Roma [1982] 2015.
English abstract

With reference to the research she is conducting in the implementation of the Landscape Plan in some areas of the Piedmont regions, in particular Ivrea, Anna Marson interweaves the themes of territory and community between Olivetti and the present. She recalls the experience of the IRUR, Institute of Urban and Rural Renewal, founded by Olivetti in 1954 with the awareness that, in the words of Olivetti himself, “the economy of a territory cannot be based exclusively on industry but alternative economies must coexist”. These alternatives were supposed to take the shape of working communities based on the sharing of cultures and techniques. A project still feasible today as a means to avoid the hierarchization of territories and their depopulation, if taken on in the multiplicity of its social, economic and cultural aspects.

keywords | Ivrea; IRUR; Olivetti; Territory; Industry. 

Per citare questo articolo / To cite this article: A. Marson, Adriano Olivetti e il territorio eporediese. In risposta a 11 domande su Olivetti, “La rivista di Engramma” n.166, giugno 2019, pp. 143-147 | PDF


doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2019.166.0026