"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

181 | maggio 2021

97888948401

Il demone del non finito

Pasolini e la pratica della pittura

Alessandro Zaccuri

English abstract

1 | Pier Paolo Pasolini sulla spiaggia di Skorpios disegna il volto di Maria Callas durante l'estate 1969, Graziella Chiarcossi-Archivio Bonsanti del Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Viesseux, Firenze.

Pier Paolo Pasolini aveva imparato dal suo maestro Roberto Longhi che per l’arte le mani non sono meno importanti degli occhi. Ed è con le mani – o, meglio, con le dita disposte a imitare l’obiettivo di una macchina da presa – che nel Decameron lo stesso Pasolini dichiara la continuità fra la tradizione figurativa italiana e il suo “cinema di poesia”. Riservando per sé il ruolo dell’allievo di Giotto, testimone e in parte filo conduttore della narrazione filmica ispirata al capolavoro di Boccaccio, il regista compone un anacronismo di straordinaria efficacia: quello che prima si faceva con pennelli e colori adesso avviene grazie alla mediazione della tecnica. Ma sono sempre le mani, unite all’acutezza dello sguardo, a rendere possibile l’avventura dell’immagine (Focillon [1934] 2014, Sennett 2008, Galluzzi 2015, Rizzarelli 2015, Leader 2016). Nella premessa al suo volume, Maria Rizzarelli osserva in modo suggestivo che la miglior introduzione:

Dovrebbe essere affidata a un corredo fotografico in cui Pasolini viene ritratto mentre dipinge o disegna. Un collage di frammenti che rappresentano le sue mani mentre tracciano i segni grafici delle sue visioni consentirebbe al lettore di essere immesso senza mediazioni nella rete di discorsi che la scrittura di Pasolini apre, sovrapponendo e facendo dialogare forme e generi diversi. Per esempio, la foto ingiallita e un po’ sgranata del poeta, che nell’estate del 1970 sulla spiaggia di Skorpios disegna il profilo di Maria Callas, mette in quadro la performance involontaria del suo viscerale rapporto con la rappresentazione visuale e innesca un cortocircuito di rimandi a tutta una serie di immagini presenti nei suoi testi letterari, filmici e grafici (Rizzarelli 2015, 9).

Le fonti iconografiche del cinema di Pasolini (ma anche di gran parte della sua opera letteraria) sono da tempo oggetto di un’analisi critica che ha portato all’individuazione di una lunga serie di modelli, da Piero della Francesca a Pontormo, da Bruegel il Vecchio a Mantegna. Un’attenzione meno continuativa è stata invece riservata al ruolo che la pratica della pittura riveste nella formazione di Pasolini e nella successiva formulazione delle sue scelte. Si tratta di un elemento che stabilisce un’ulteriore analogia tra l’attività dell’autore friulano e quella del gemello allergico Giovanni Testori, che come lui aveva contemplato in gioventù l’ipotesi di diventare pittore (Agosti, Dall’Ombra 2012). Con le dovute differenze, si capisce: laddove Pasolini risolve nel cinema la sua riflessione sull’arte, Testori la prosegue principalmente attraverso l’esercizio della critica, salvo ritornare alla pittura in seguito, attorno agli anni ‘80, sotto l’influsso dichiarato delle figure dilacerate e contorte del prediletto Francis Bacon.

Eppure non andrà trascurato che proprio a Testori si deve la rivalutazione dell’importanza del disegno nel metodo del già ricordato Longhi (Testori 1980). Più che copie da connoisseur, i bozzetti che Longhi trae dalle opere che sta studiando sono annotazioni visive già inserite in un progetto di interpretazione. Sono, di nuovo, l’esito dell’alleanza dell’occhio con la mano. In un certo senso, è già il gesto che Pasolini compirà nel Decameron, solo che nel caso di Longhi la destinazione ultima è costituita dalla scrittura di un saggio e non dalla realizzazione di un film, come sarà poi per Pasolini. Il quale, tuttavia, anche in veste di pittore non rinuncia mai a cercare un equilibrio fra documentazione e visione, tra rappresentazione di sé e registrazione della realtà.

2 | Pier Paolo Pasolini, Autoritratto col fiore in bocca, 1947, Archivio Bonsanti del Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux, Firenze.
3 | Massimo Listri, Pier Paolo Pasolini con alle spalle Autoritratto col fiore in bocca, Roma 1973 (da Zabagli 2000, 5).

A confermare il significato di questa tensione contribuisce il nucleo di dipinti e disegni – diciannove in tutto, alcuni dei quali geminati su recto e verso – recentemente restaurato e reso disponibile online su iniziativa del Centro Studi di Casarsa della Delizia. Risalenti agli anni 1941-1947, quando più intensa è la frequentazione di Longhi, sono prove che richiamano in larga misura la ricerca di artisti pressoché coetanei di Pasolini e ugualmente attivi nell’area friulana, quali Giuseppe Zigaina e Renzo Tubaro. Anche in queste immagini, come nel famoso Autoritratto con fiore in bocca (risalente a sua volta al 1947 e oggi conservato presso l’Archivio Bonsanti del fiorentino Gabinetto Vieusseux), Pasolini dimostra la tendenza a lasciare incompleti i volti, accentuando le zone d’ombra con una tecnica che davvero sembra mimare le anamorfosi di Bacon.

Gli stessi ritratti, come quelli della cugina Franca Naldini e della poetessa Giovanna Bemporad, sono insidiati dal demone del non finito, che quasi obbliga Pasolini ad accennare appena i tratti del viso, senza per questo rinunciare a dare forma all’espressione, che risulta invece straordinariamente intelligibile.

Perché le immagini escano da questo statuto di instabilità bisognerà attendere la conversione di Pasolini al cinema, alla quale il desiderio di ritrovare l’esattezza del visibile contribuisce in misura non minore di quanto faccia l’insoddisfazione per i limiti del dicibile. È a queste condizioni, e a queste solamente, che per Pasolini si spiegano “la profonda qualità onirica del cinema, e anche la sua assoluta e imprescindibile concretezza, diciamo, oggettuale” (Pasolini [1966, 1972] 1999). Come di qualcosa che si contempli con lo sguardo, appunto, ma che nel contempo si possa e si debba toccare con mano.

4 | Pier Paolo Pasolini, Ritratto della cugina Franca, 1943, china su cellophane, 12,5x18,7 cm, Fondo Pier Paolo Pasolini presso il Centro Studi Pier Paolo Pasolini, Casarsa della Delizia.
5 | Pier Paolo Pasolini, La madre allo specchio, 1943, china su cellophane, 15x25 cm, Fondo Pier Paolo Pasolini presso il Centro Studi Pier Paolo Pasolini, Casarsa della Delizia.

Riferimenti bibliografici
  • Agosti, Dall’Ombra 2012
    G. Agosti, D. Dall’Ombra, Pasolini a casa Testori, catalogo della mostra, Cinisello Balsamo 2012.
  • Focillon [1934] 2014
    H. Focillon, Elogio della mano [Eloge de la main, Paris 1934], a cura di A. Ducci, Roma 2014.
  • Galluzzi
    F. Galluzzi, Vedere con gli occhi di un altro. Strategie dell’autoritratto in Pasolini, “Arabeschi” 6, maggio-luglio 2015.
  • Leader 2016
    D. Leader, Hands. What We Do with Them – and Why, London 2016.
  • Pasolini [1966, 1972] 1999
    P.P. Pasolini, Il cinema di poesia, “Marcatré” n. quadruplo 19-20-21-22 aprile 1966, poi in Empirismo eretico, Milano 1972, ora in Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti e S. De Laude, Milano 1999, t. I, 1461-1489.
  • Rizzarelli 2015
    M. Rizzarelli, Una terra che è solo visione. La poesia di Pasolini tra cinema e pittura, Lentini 2015.
  • Sennett 2008
    R. Sennett, L’uomo artigiano [The Kraftsman, New Haven-London 2008] traduzione it. di A. Bottini, Milano 2008.
  • Testori 1980
    G. Testori, Disegni di Roberto Longhi, Milano 1980.
  • Zabagli 2000
    F. Zabagli (a cura di), Pier Paolo Pasolini. Dipinti e disegni dall’archivio contemporaneo del Gabinetto Vieusseux, catalogo della mostra, Cremona 2000.
English abstract

The paper focuses on Pier Paolo Pasolini's pictorial practice and its continuity with the cinematographic image. Particular importance is given to the pictorial nucleus preserved at the Centro Studi in Casarsa della Delizia consisting of nineteen paintings made between 1941 and 1947 when Pasolini was a student of Roberto Longhi. Observing them reveals the artist's tendency to leave faces incomplete while giving them strong expressiveness. Thus, in his pictorial practice, Pasolini also confirms his search for balance between documentation and self-expression.

keywords | Pasolini’s painting; self portrait; unfinished; facial expression; photography.

Per citare questo articolo/ To cite this article: Alessandro Zaccuri, Il demone del non finito. Pasolini e la pratica della pittura, “La Rivista di Engramma” n. 181, maggio 2021, pp. 13-17. | PDF dell’articolo

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2021.181.0004