"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

193 | luglio 2022

97888948401

Indovinelli compositivi

Esercizi di John Hejduk per gli architetti del nuovo millennio

Susanna Pisciella

English abstract

Esercizio n. 125: “Vedere Cristo che mangia con i suoi apostoli, e come beve, come guarda, come parla”. Esercizio n. 63: “Immaginare Cristo davanti a me posto in croce e fare un colloquio, etc.”. Per eseguire l’intero ciclo dei 370 Esercizi Spirituali di Loyola, sono necessarie quattro settimane di solitudine, reclusione e concentrazione (Loyola [1548] 1998). Una palestra per tentare la visualizzazione dell’invisibile. John Hejduk è rimasto in questo stato contemplativo e febbrile oltre trent’anni, portando la tensione tra immagine e parola a un livello mai sperimentato prima nella letteratura architettonica.

New York, Bronx. Al primo piano di una piccola casa di legno in mezzo ai ciliegi, in una stanza di appena due metri per tre occupata interamente dal tavolo da disegno, il suo ritiro. Pur ricoprendo per trent’anni la posizione di rettore e padre fondatore di una delle più prestigiose scuole di architettura americane, la Cooper Union, Hejduk rifiuta riflettori e successi mediatici, come il Bartleby di Melville, con grazia. Per sé sceglie il minimo volume di spazio, la massima concentrazione: il suo studiolo domestico nel verde di Huxley Avenue. Un uomo imponente. E mite. Alto quasi due metri, quando si alzava in piedi sfiorava tutte le maestà delle porte. La sensibilità della sua pelle in aderenza con quella dei muri della piccola casa, in un unico respiro. Come Emily Dickinson con il suo giardino. Dalla sproporzione, l’intensità dei 232 aforismi che Hejduk dedica alla casa, affinando la sensibilità percettiva fino a condurla nel silenzio di cassetti, pareti, soffitte. Sentences on a House esercita il lettore a vedere a occhi chiusi attraverso quella “luce di nerezza” che si nasconde in ogni cosa, rendendo sensibile anche ciò che è inaccessibile. Sentenza n. 22. Il sangue di una casa è la circolazione interna dei suoi abitanti; 25. Il santuario di una casa è la stanza chiusa; 36. Il pomello della porta di casa inverte il tempo; 107. La credenza sente tutte le labbra che hanno toccato i suoi abitanti; 134. La carta da parati è la veste intima della casa; 170. Gli armadi della casa custodiscono il vestito di morte, etc. (Rizzi, Pisciella 2020, 811-831).

La sua opera è un costante esercizio di visione in un’epoca in cui l’iper-produzione di immagini ha disinnescato i naturali processi immaginativi. Ne emerge un programma postbellico molto speciale, la ricostruzione dell’interiorità, della sensibilità, dopo il grande tentativo di autodistruzione di massa della seconda guerra. Al diffuso rigetto di rielaborazione del vissuto recente, di dolore, di morte, Hejduk risponde con oltre cinquanta progetti di processioni, sepolcri, necropoli, per Euridice, Cristo, sua madre, Marat, Jan Palach, per le ceneri del pensiero, l’architettura, per sé stesso. Cimiteri per chi muore ma anche per chi, vivo, fa esperienza continuamente della morte. Hejduk non spiega niente, celebra tutto. Traduce nel progetto le parole di Rilke: “–Dimmi qual è il tuo compito poeta? – Io celebro. – Ma il mostruoso e il terribile, come li accetti, come li sopporti? – Io celebro” (Hejduk 1990; sul tema v. Pisciella 2021). Riaccende la sensibilità al dolore e alla morte per celebrare la vita e le sue molteplici forme. Da qui l’elaborazione di programmi architettonici che si costituiscono come comunità umane, dove a ogni manufatto architettonico – object – corrisponde sempre il rispettivo carattere biografico – subject – a imprimere una specifica direzione alla materia. Nel progetto Victims ci sono 67 architetture, per un totale di 134 figure, in Berlin Night 73 per un totale di 146, etc. Orologi architettonici imprimono alle figure una temporalità diversa, misurata sulla persona, per una urbanità che non sottrae ma restituisce tempo. La complessa articolazione e l’inversione dei programmi funzionali rende molti progetti di Hejduk ermetici.

Chiunque si sia avvicinato alle pubblicazioni più conosciute di Hejduk, Soundings, Mask of Medusa, Vladivostok, avrà notato che molte pagine di progetto sono accompagnate da testi in versi che sembrerebbero offrirsi come chiose o postille, ma che alla lettura risultano invece impenetrabili, a volte più dei progetti stessi. Proprio a quei testi, per un totale di 158 poesie per quasi 6000 versi, è in realtà affidato il nucleo più profondo della sua eredità teorica e la chiave di decodificazione delle sue architetture. Riunire insieme tutti i versi e cercare l’ordine in grado di restituirne il senso diviene fondamentale per permettere un accesso più profondo della sua opera, che tutt’oggi affascina e insieme respinge il lettore. Anche quello anglofono. Infatti se già la forma in versi rende quei testi poco attraenti, l’assoluta mancanza di punteggiatura fa il resto. Occorrono più letture a voce alta per assegnare e posizionare pause, discorsi diretti, interrogative, come nelle antiche iscrizioni. Assumendosi in questo modo anche la responsabilità di attribuire un senso piuttosto che un altro. Una lettura vigile, attiva. Ma lo sforzo richiesto non si esaurisce lì. Quando Hejduk compone i versi ha davanti a sé dipinti, sculture, fotografie che poi nasconde. Se ne ha un chiaro indizio in alcuni componimenti grazie a riferimenti espliciti alla materia, è forse il polso a sanguinare / dentro il palmo / o è il rosso della pittura / che ci finisce dentro (Rizzi, Pisciella 2020, 492-493). Al termine della scrittura i riferimenti vengono eliminati. Quello che rimane è la struttura descrittiva dei versi. La distanza tra le poesie e le immagini deve essere ripercorsa dal lettore. Il quale deve porsi sulla stessa lunghezza d’onda del suo sguardo. La vocazione didattica di Hejduk permea tutta la sua opera. È forte l’analogia tra l’esercizio del Nine Square Grid Problem (Hejduk 1985, 37) che proponeva ai suoi studenti, e le poesie. Sempre un enigma da risolvere. Ma a incognite invertite. Nel Nine Square Grid Problem i vincoli sono posti all’inizio. La griglia quadrata a nove campi è il regolo che registra tutti gli spostamenti. Nelle poesie il regolo della scrittura sono le immagini, che vanno ritrovate proprio attraverso gli indizi della parola.

L’insolita storia delle edizioni delle poesie riflette il progetto di criptazione, per questo è utile ripercorrerne la successione.

1980. Su iniziativa dell’Institute for Architecture and Urban Studies (Iaus), Hejduk pubblica una raccolta di 40 poesie in edizione limitata a 100 copie. Titolo della raccolta: The Silent Witnesses and Other Poems. Non è presente alcuna immagine di riferimento.

1982. “Perspecta” n. 19. La rivista della Yale School of Architecture pubblica una raccolta di 65 immagini prive di testo e di didascalia. Titolo della raccolta: The Silent Witnesses. Chiaro l’indizio. Più oscura la trama. A seguito della ricostruzione delle immagini di tutte le poesie, quasi 200, si scopre che una quarantina sono le immagini sottratte ai testi, le altre lavorano ai margini.

1985. Mask of Medusa (Rizzi, Pisciella 2020, 99-118). Riemergono nuovamente le 40 poesie pubblicate per lo Iaus, sempre sotto lo stesso titolo: The Silent Witnesses and Other Poems. I testimoni silenziosi per l’ennesima volta non parlano. Il rito del nascondimento si ripete. In seguito, le poesie si muoveranno liberamente nelle pubblicazioni delle sue architetture, Adjusting Foundations, Pewter Wings, Soundings, fluttuando nello spazio delle pagine come corpi autonomi tra i progetti.

1998. Il libretto Such Places as Memory raccoglie le 40 poesie iniziali assieme a un gruppo di ulteriori 44 scritte successivamente. Ottantotto poesie incardinate su quasi 200 immagini nascoste. Opere di Giotto, Dürer, Holbein, Duccio, i Bellini, Uccello, Michelangelo, Tintoretto, Ingres, Rodin, Braque, Hopper, etc. Le poesie cercano sempre in ciò che è spirituale qualcosa di fisico che lo renda visibile. Un coefficiente materiale per registrare l’intensità dell’apparire. Ogni opera è riaperta nella sua temporalità interna. All’appena prima e all’appena dopo rispetto all’immagine che si offre immobile, immortalata. Hejduk la riattualizza davanti a sé. Perché non esiste alcuna staticità nelle immagini. Ma solo flussi continui, immagini sparenti. Solo il dettaglio permette di inchiodare il flusso, la sua imprendibilità. Molte cose sono destinate a svanire, ma quell’attimo raccoglierà tutto. Il prima e il dopo delle immagini si diaframma come nelle Sefiroth. I progetti architettonici per ¼ House, ½ House, ¾ House (Hejduk 1985, 258-273) sono una delle molte declinazioni di questa apertura dell’unità chiusa dell’immagine. L’attenzione di Hejduk per la geometria non si riduce affatto a una questione grafica. Piuttosto conduce le immagini in quella dimensione in cui la geometria può ancora misurare un mondo che si sta perdendo. Continua a spostare avanti e indietro l’immagine fino a lasciare emergere ciò che potrebbe sfuggire. O, al contrario, ciò che emergendo troppo evidentemente potrebbe sfuocare lo sguardo. Un infaticabile lavoro sui riposizionamenti interni, per cogliere un’immagine sempre più nitida.

1999. Un anno dopo, l’anno prima di morire, Hejduk pubblica Lines No Fire Could Burn, 74 poesie. Qui non c’è più alcuna immagine fisica di riferimento a offrire un supporto. A parlare è l’immagine interiore di Hejduk. Infatti la scrittura diviene più luminosa, l’osservazione più acuta, l’empatia più profonda. I versi di queste 74 poesie intensificano la visione. Rieducano all’attenzione, alla quale il mito della distrazione ci ha disabituati. Il tema è la Passione di Cristo, le ferite del corpo di lui e le sofferenze del cuore di sua madre. Nascosto sotto lo pseudonimo di un soggetto architettonico, Hejduk confessa: La vita dell’architetto fu stravolta dallo studio delle incisioni di Dürer sulla vita di Cristo. La sua ricerca era concentrata sulle reliquie di Cristo: la croce di legno, la corona di spine, le vesti, i chiodi di ferro (Hejduk 1993, 154). Se gli esuli ebraici dovettero rispondere all’informe del deserto concentrandosi su una tenda e i suoi pochi oggetti, il propiziatorio, l’arca, anche Hejduk si concentra sui dettagli per affrontare quel deserto che oggi è dentro di noi. Non c’è suo disegno che utilizzi la scala metrica, eppure tutti sono perfettamente dimensionati grazie alla massima precisione e minuzia di particolari. Di ogni tema e luogo cerca la condizione originaria di sacralità. Antico e Nuovo Testamento divengono la matrice formale di tutta la sua opera. Stesso destino la Cooper Union. Infatti al suo posto precedentemente si trovava la più grande tipografia biblica d’America. Sul suo sedime è nata l’unica scuola di architettura americana con prestigio da Ivy League e retta gratuita per tutti i suoi studenti.

Il non detto e le lacune della Bibbia diventano per Hejduk il motore per la rappresentazione delle possibilità contenute nel passato. Questa la prerogativa che appartiene allo sguardo atemporale che compete all’opera, all’architettura. Nessuno era mai tornato nella stanza dell’Ultima Cena dopo la Crocefissione. Un luogo inaccessibile, come l’interno buio del nostro corpo. La porta è sprangata. Eppure la poesia Remaining Space improvvisamente fornisce la luce / nascosta / per l’ingresso (Rizzi, Pisciella 2020, 292-293), come recitavano i primi versi di Il sonno di Adamo (Rizzi, Pisciella 2020, 118-119, vv. 5-79). Hejduk apre porte che nessuno aveva mai aperto. Perché il mistero non è in ciò che è misterioso, ma in ciò che apparentemente non ha misteri. Si tratta di un punto di vista inusuale sulle cose, quel modo singolare di osservare l’immobilità che nasconde la fibrillazione del mistero.

Lo svolgimento degli esercizi offerti da Hejduk e il ritrovamento delle immagini nascoste ha allora l'unico scopo di rendere accessibile il contenuto delle poesie affinché possa continuare a sprofondare sempre di più nella sua inaccessibilità. Affinché possa accrescere il senso stesso del mistero, della morte e della vita, che è compito dell’opera – architettura – custodire e alimentare.

Didascalie

Le poesie qui raccolte in veste di didascalie appartengono alla raccolta Such Places as Memory, 1998 e la traduzione in italiano è stata fatta dalla sottoscritta e Renato Rizzi per la pubblicazione John Hejduk. Bronx. Manuale in versi, edita da Mimesis Edizioni di Milano.

Leonardo da Vinci, Sant'Anna, la Vergine e il Bambino, 1501-1504, cartone preparatorio eseguito con gessetto nero, biacca e sfumino su carta, 141,5 × 104,6 cm, London, National Gallery.

All’inizio non c’era l’agnello
E nemmeno il suo orecchio strattonato
Dal bambino immacolato
Solo il dito di Sant’Anna
Puntato verso l'alto
Il piccolo cristo si protende
Verso coloro che si inginocchiano
Accomunati in una luce alla Turner
Il sorriso della madre di Maria
Orgogliosamente soddisfatto
Il busto di Gesù emerge
Dalle maniche della veste
Il viso di Anna sembra di gesso
Con gli occhi scavati
A forma di due grandi ali
In seguito appare l’agnello
Doloroso al bimbo
Piace toccare
Gambe intrecciate coperte di seta
La malinconia della madre Anna avvertiva
La nebbia velare
Un paesaggio italiano
Echi spenti nelle nuvole
Un angelo d’oro va
E viene
Le ali avvolte come in un sudario

Frans Van Mieris, Duetto, 1658, olio su tela, 31 x 24 cm, Schwerin, Staatliches Museum.

Guaisce il levriero
Quando entra il ragazzo
Con il vino caldo
Attraverso il portale in teak
Lei sfiora con il dito
Un tasto d’avorio
Strofina la pergamena
Un pappagallo appollaiato su un trespolo
Il braccialetto è annodato
Sotto le maniche risvoltate
Il nastro scende morbido
Sulla nuca sotto i capelli raccolti
Lui preme con un dito
La corda lucente
Inquadratura di tre quarti
Il paesaggio preannuncia
Una tempesta olandese
Tutte le palpebre
Sono abbassate
Al suono della spinetta

Jean Auguste D. Ingres, Odalisca, 1814, olio su tela, 88,9 x 162,5 cm, Paris, Musée du Louvre.

Sdraiata la grande odalisca
Il turbante di sbieco il cuscino schiacciato
L’occhio ciclopico esattamente al centro
Per rispondere all'inquadratura di tre quarti
L’angolo delle labbra si chiude
In una fossetta
I capelli intrecciati seguono
Il contorno dell'orecchio
La circonferenza della spina dorsale scivola
Venti gradi a sud ovest
Nella penombra seno ascella stomaco
Pelliccia seta e carne convergono
Verso le cavità più intime
Le piume marroni del pavone
Nell’insenatura tra
Il palmo della mano e il polpaccio della gamba
Le dita dei piedi sfiorano il metallo verniciato
Il narghilè d’argento sparge una nebbiolina secca e gialla
Il 1814 è dipinto sul blu cobalto
Il tendaggio si deforma come in un mare

Edvard Munch, Il giorno dopo, 1895, olio su tela, 115 x 152 cm, Oslo, Nasjonalmuseet av kunst arkitektur og design.

Il braccio abbandonato senza vita
E i capelli neri
Cadenti verso il pavimento
È forse il polso a sanguinare
Dentro il palmo?
O è il
Rosso della pittura
Che ci finisce dentro
Lei giace inclinata di appena due gradi
Sotto la linea
Dell’orizzonte
La sua camicetta bianca aperta
Espone seni carnosi
Il piumone
Si gonfia
Al suo affondare
Il peso delle calze nere
Infossa il blu turchese
Della coperta di seta
La stoffa pesante della gonna
Sollevata dalle ginocchia
Forma una piramide
Il letto color terra di siena
Scivola in profondità
Ebbra o morta che sia
Bocca naso occhi
Sarebbero da baciare

Henri Matisse, Lezione di piano, 1916, olio su tela, 245,11 x 212,72 cm, New York, MoMA.

Suoni si propagano in profonde prospettive
Avvolgendosi in spirali
Sfrecciano in avanti
Sulla cornice
Di un tempo ellittico
Il metronomo di ottone
Nell’astuccio di quercia
Il pendolo si blocca
A trentadue gradi
Un’atmosfera
Sospesa
Una matrona su un’alta sedia
Osserva le note
Le imposte di legno si incontrano
Con la ringhiera di ferro a
Cento e ottanta gradi
La statua nell’angolo
Appena abbozzata decisamente piccola
Tende a rinchiudersi
Su sé stessa
La scheggia triangolare
Vigila su ogni singolo
Tasto d’avorio
Densità implodono silenziosamente

Paolo Uccello, San Giorgio e il Drago, 1460, olio su tela, 57 x 73 cm, London, National Gallery.

Fuori da una caverna di cartone dipinto
Un drago a due zampe è tenuto al guinzaglio
Le ali come un triplano del 1918
Conficcate su un corpo di pollo
Per terra gocce di sangue in abbondanza
Orecchie trafitte
Da una lancia di legno
Il destriero bianco di uccello
Ha le zampe anteriori scorciate
Lo sperone è sospeso al piede del cavaliere
I dischi del gomito metallico strofinano
La corazza del petto
La testa del cavallo mostra i denti
Le nuvole creano una morbida ghirlanda
Di fumo nero
Formando una rosa di petali
San Giorgio appena quindicenne
Le vesti dello stesso blu di Piero della Francesca
Così stavano le cose

Riferimenti bibliografici
  • Cacciapaglia 1995
    G. Cacciapaglia, Dimmi qual è il tuo compito poeta, in R.M. Rilke, Sonetti a Orfeo, Pordenone 1995.
  • Hejduk 1985
    J. Hejduk, Mask of Medusa, New York 1985.
  • Hejduk 1986
    J. Hejduk, Victims, London 1986.
  • Hejduk 1990
    J. Hejduk, Oslo Night, Lezione presso la Columbia University, New York 1990.
  • Hejduk 1992
    J. Hejduk, The Lancaster/Hanover Masque, London 1992.
  • Hejduk 1993
    J. Hejduk, Soundings, New York 1993.
  • Hejduk 1993
    J. Hejduk, Berlin Niht, Rotterdam 1993.
  • Hejduk 1995
    J. Hejduk, Adjusting Foundations, New York 1995.
  • Hejduk 1995
    J. Hejduk, Architectures in Love, New York 1995.
  • Hejduk 1997
    J. Hejduk, Pewter Wings, Golden Horns, Stone Veil, New York 1997.
  • Hejduk 1998
    J. Hejduk, Such places as memory, New York 1998.
  • Hejduk 1999
    J. Hejduk, Lines no fire could burn, New York 1999.
  • Hejduk 2003
    J. Hejduk, Sanctuaries, New York 2003.
  • Illich 2009
    I. Illich, La perdita dei sensi, Firenze 2009.
  • Loyola [1548] 1998
    I. Loyola, Esercizi spirituali [Exercitia spiritualia, 1548], trad. it. di I. Giudici, Milano 1998.
  • Melville [1853] 1991
    H. Melville, Barthleby lo scrivano: una storia di Wall Street [Bartleby the Scrivener: A Story of Wall Street, New York 1853], Milano 1991.
  • Pinotti, Somaini 2012
    A. Pinotti, A. Somaini (a cura di), Walter Benjamin, Aura e choc. Saggi sulla teoria dei media, Milano 2012.
  • Pisciella 2021
    S. Pisciella, Scandalo del limite e anestesia della forma nella società a-mortale. “Io celebro” di John Hejduk, una formula oltre la morte, “FaMagazine” n. 57, 222-227.
  • Rizzi, Pisciella 2020
    R. Rizzi, S. Pisciella, John Hejduk. Bronx. Manuale in versi, Milano 2020.
  • Rosa [2010] 2015
    H. Rosa, Accelerazione e alienazione, Torino 2015.
English abstract

John Hejduk’s theoretical legacy is contained in a system of 6000 verses composed in reference to images of artworks by Holbein, Tintoretto, Ingres, Rodin, Hopper, and others that the architect kept in front of him while he was working. Though these images act as references, all iconographic clues are hidden. What remains is the structure of the verses and the distance they represent between poem and image, a distance that must be retraced by the reader who seeks to decipher the hidden references. The process is that of architectural design and the visuality of images. Indeed, the didactic vocation permeates Hejduk’s work and there is a strong analogy between poetry and the Nine Square Grid Problem that the architect always presented to his students as a puzzle to be solved, but with the unknowns reversed. In the Nine Square Grid Problem, the constraints, the grid, are placed at the beginning, while in the poem, they have to be discovered in hidden images. The encryption exercise is only an initial barrier. Reconnecting the poems to their respective images has another purpose, that of making their content accessible so it can retreat further into its inaccessibility, increasing rather than diminishing the sense of mystery which it is the work's task to preserve and nurture.

keywords | John Hejduk; Architectural Poems; Image Theory; Architectural Education.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)

The Editorial Board of Engramma is grateful to the colleagues – friends and scholars – who have double-blind peer reviewed this essay.
(cf. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo: Susanna Pisciella, Indovinelli compositivi. Esercizi di John Hejduk per gli architetti del nuovo millennio, “La Rivista di Engramma” n. 193, luglio 2022, pp. 105-115 | PDF di questo articolo
To cite this article: Susanna Pisciella, Indovinelli compositivi. Esercizi di John Hejduk per gli architetti del nuovo millennio, “La Rivista di Engramma” n. 193, luglio 2022, pp. 105-115 | PDF of the article

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2022.193.0001