"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

193 | luglio 2022

97888948401

Finestre letterarie e finestre visive

Sguardi esteriori e interiori fra tecnica e metafora

Silvia Urbini

English abstract

Parte prima. Finestre letterarie

La finestra è un soggetto paradigmatico nella cultura letteraria e visiva occidentale. Questo “strumento bifaccia” (Grazioli 2012, 296, da Wajcman 2004) che nei secoli verrà utilizzato dagli artisti e dai letterati in molte declinazioni, è stato ampiamente indagato.

Nell’universo occidentale la finestra fonda e raggruppa antropologicamente quasi tutte le antinomie: luogo e tempo dell’io e dell’altro; occhio e tempo del privato/pubblico, dello spazio interno e dello spazio esterno; interiorità/esteriorità; appartenenza/mancanza (con reversibilità dei due termini nei due spazi); uomo/mondo, che vuol dire visibilità-invisibilità del soggetto/visibilità-invisibilità del mondo; buio/luce nella sua forma nucleare tipica (Bertone 1999, 30).

Alla “plurivalenza della metafora finestrale” (Stoichita [1993] 1998), a mio parere, è possibile aggiungere alcuni elementi per arricchire il ventaglio delle fonti testuali e delle interpretazioni da parte degli artisti.

Francesco Petrarca e la finestra veneziana

1 | Bartolomeo Sanvito, Petrarca alla finestra e le Visioni, in Petrarca, Rime e Trionfi, miniatura nell’antiporta alla seconda sezione delle Rime, Genève, Biblioteca Bodmeriana, ms. it. 130 (da Maddalo 2002, Tav. XXXIV).

Mi sembra innanzitutto che l’esegesi storico-artistica non abbia considerato il ruolo che Francesco Petrarca ha avuto per la fortuna di questo tema. Francesco Petrarca risiedette a Venezia dal 1362 al 1367 nel Palazzo delle due Torri o Molin sulla Riva degli Schiavoni (Tassini 1915, 601). In una lettera diretta a Pietro da Moglio, descrive l’arrivo nel porto della flotta di Luchino dal Verme che aveva riconquistato Creta:

Il giorno 4 giugno di questo 1364, all’incirca all’ora sesta del giorno, mi trovavo casualmente alla finestra guardando l’alto mare ed era con me l’arcivescovo di Patrasso. […] Ecco che all’improvviso una di quelle navi da guerra chiamate ‘galee’ coronata di rami frondosi entra a remi nella bocca del porto interrompendo con la sua vista inaspettata il nostro colloquio. Subito presagimmo che portava qualche buona notizia, tale era l’alacrità con cui i marinai frangevano i flutti coi remi e giovani coronati di fronde con lieti cenni e agitando sopra la testa vessilli salutavano dalla prua la patria vincitrice ma ancora ignara. […] (Petrarca, Res Seniles, IV, 3; ed. Rizzo 2006, 299).

L’anno dopo, sempre a Venezia, Petrarca scrisse le prime due strofe della cosiddetta Canzone delle Visioni, che completerà nel 1368 (v. Bettarini 2005, 1409).

Standomi un giorno solo a la fenestra,
onde cose vedea tante, et sí nove,
ch’era sol di mirar quasi già stancho,
una fera m’apparve a man destra,
con fronte humana, da far arder Giove
cacciata da duo veltri, un nero, un biancho;
che l’un et l’altro fiancho
de la fera gentil mordean sí forte,
ch ‘n poco tempo la menaro al passo
ove, chiusa in un sasso, vinse molta bellezza acerba la morte:
et mi fe’ sospirar sua dura sorte.

Indi per alto mar vidi una nave,
con le sarte di seta, et d’or la vela
tutta di avorio et d’ebeno contesta;
e’ l mar tranquillo, et l’aura era soave,
e ‘l ciel qual è se nulla nube il vela,
ella carca di ricca merce honesta:
poi repente tempesta
orïental turbò sì l’aere t l’onde,
che la nave percosse ad uno scoglio.
O che grave cordoglio!
Breve hora oppresse, et poco spatio asconde,
l’alte ricchezze a nul’altre seconde.
[…]
(Petrarca, Rerum Vulgarium Fragmenta, CCCXXIII; ed. Bettarini 2005, 1406).

E in tempi più remoti, durante il soggiorno a Valchiusa, la finestra aveva costituito l’incipit di un’altra poesia.

Quella fenestra ove l’un sol si vede,
quando a lui piace, et l’altro in su la nona;
et quella dove l’aere freddo suona
n’ brevi giorni, quando borrea ‘l fiede;
[…]
(Petrarca, Rerum Vulgarium Fragmenta, C; ed. Bettarini 2005, 468).

Di questi testi, il più celebre è certamente la Canzone delle Visioni, soprattutto per “l’eccezionalità della struttura a polittico in sei quadri” che la caratterizza (Stroppa, 2007, 154). Il poeta è da solo, affacciato alla finestra, in uno stato di sovreccitamento visivo [Fig. 1]: si manifestano davanti ai suoi occhi sei scene dove i soggetti – la fiera, la nave, il lauro, il bosco, la fenice, la donna – trascorrono magicamente da una stanza in quella successiva, in una sequenza di episodi che sembrano descrizioni di quadri o di miniature. Oggetto di profonde letture, soprattutto volte allo scioglimento del portato simbolico e all’individuazione delle fonti (Agosti 1993, Bettarini 2005, Stroppa 2007), la Canzone delle Visioni, con la sua descrizione dalla finestra, avrà “conseguenze incalcolabili per l’idea di paesaggio” (Stroppa 2007, 161) sia reale che intellettuale, sia nella lirica che, a mio avviso, nelle arti figurative. La finestra qui riveste già molte delle possibili accezioni di cui sarà di volta in volta investita: è una cornice che serve a circoscrivere e quindi a ‘creare’ l’immagine; è una visione a distanza che consente di abbracciare in un solo colpo d’occhio l’intera scena; è una finestra che guarda fuori ma che guarda anche dentro l’anima, attingendo all’inconscio e alle fantasticherie.

L’altro racconto petrarchesco ‘alla finestra’, quello veneziano dalla Riva degli Schiavoni (evocato nella Canzone delle Visioni sia per la presenza della finestra che della nave), ispirò Pietro Aretino: egli nel 1544, in un celebre lettera indirizzata a Tiziano Vecellio, descrive a sua volta un paesaggio navale mentre è affacciato da una finestra sul Canal Grande.

A messer Tiziano,
avendo io, signore compare, con ingiuria de la mia usanza cenato solo o, per dir meglio, in compagnia dei fastidi di quella quartana che più non mi lascia gustare il sapore di cibo veruno, mi levai da tavola sazio de la disperazione con la quale mi ci posi. E così, appoggiate le braccia in sul piano de la cornice de la finestra, e sopra lui abbandonato il petto e quasi il resto di tutta la persona, mi diedi a riguardare il mirabile spettacolo che faceva le barche infinite, le quali piene non men di forestieri che di terrazzani, ricreavano non pure i riguardanti ma esso Canal Grande, ricreatore di ciascun che il solca (ed. Procaccioli 1999, vol. III, 78-79). 

Leon Battista Alberti e Leonardo da Vinci fra tecnica e metafora

2 | Albrecht Dürer, Autoritratto con pelliccia, München, Alte Pinakothek, Bayerische Staatsgemäldesammlungen (particolare).

Leon Battista Alberti e Leonardo da Vinci hanno riservato alla finestra pochi ma emblematici passaggi rispettivamente nel De Pictura e nelle Intercenales, e nel Libro di pittura. Per i due artisti la finestra è innanzitutto un’immagine e un espediente al servizio della tecnica pittorica, ma indubbiamente contiene, come hanno messo in evidenza gli studiosi di questi loro testi, anche un forte portato simbolico e metaforico.

Nella redazione in volgare del De Pictura, per codificare le regole della prospettiva Leon Battista Alberti utilizza alcune immagini esemplificative al servizio della pratica artistica: la finestra, lo specchio, il velo (Bertolini 2000; Bacchi 2021):

Principio, dove io debbo dipignere scrivo uno quadrangolo di retti angoli quanto grande io voglio, el quale reputo essere una finestra aperta per donde io miri quello che quivi sarà dipinto [...]. E sappi che cosa niuna dipinta mai parrà pari alle vere, dove non sia certa distanzia a vederle (Alberti, De Pictura, 19; ed. Grayson 1975, 12-13).

Per Alberti, che in un passaggio precedente aveva definito la pittura la sezione della piramide visiva, lo spazio deve essere circoscritto come fosse una finestra aperta, e per ottenere la verosimiglianza nella rappresentazione della natura è necessario adottare una adeguata distanza.

È grazie a una nuova riflessione su un frammento dedicato alla finestra nelle Intercenales, che comprendiamo come essa per Alberti fosse anche un “dispositivo direzionale dello sguardo” che, a seconda di come è utilizzato, ci permette di dare un determinato significato al mondo (Di Stefano 2020). Nel capitolo Defunctus lo sguardo non è dalla finestra sul mondo, come nel De Pictura, ma è rivolto dall’esterno all’interno. Neophronus, il protagonista, è morto: ha nostalgia della famiglia e decide di guardare da fuori, attraverso la finestra, la moglie, il figlio, i servi, i parenti. Cambiando punto di vista, scopre la reale natura infedele e meschina delle anime di chi in vita aveva sempre ritenuto amorevole e devoto nei suoi confronti.

La locuzione “l’occhio è la finestra dell’anima”, utilizzata da Leonardo sia nel Libro di pittura (capitoli 19 e 28; ed. Pedretti 1998, 527-528), sia nel Codice Atlantico (Difesa dell’occhio), è un topos della letteratura classica e medievale (Curtius 1948, 144-145; Horn 1968, 738-739). Leonardo, “appassionato lettore, ma anche insaziabile cacciatore di libri e manoscritti” (Galluzzi in Vecce 2021, 7), poteva accedere, oltre che alla sua biblioteca, a quelle dei signori che lo ospitavano e degli amici umanisti, e fra le pagine trovare i predecessori della metafora che utilizzò nel Libro di Pittura. Dovette leggere anche i passaggi che le avevano dedicato Petrarca e Alberti, e anche il bellissimo e poco citato motivo della ‘finestra sul petto’ in Vitruvio: secondo Socrate “era necessario che i petti degli uomini fossero dotati di finestre e aperti, cosicché non avessero pensieri occulti ma esposti a essere osservati” (Vitruvio, De Architectura III, Praefatio, 1; ed. Gros 1997, 235, 264).

Albrecht Dürer – come ha proposto Jan Bialostocki (Bialostocki 1988, 92) – tradurrà in pittura la locuzione leonardesca dipingendo una finestra nell’occhio di chi ritrae a partire dal cosiddetto Autoritratto con pelliccia (Monaco di Baviera, Alte Pinakothek, Fig. 2) e poi in varie altre occasioni in dipinti, disegni, acquarelli, incisioni (Bialostocki 1988, 79, 83).

Dürer utilizzando questo stratagemma era principalmente interessato a rendere il ‘lustro’ conferito dal riflesso sulla cornea e a sottolineare la curvatura dell’occhio. La critica si è interrogata sulla presenza di un ulteriore valore simbolico di questa sua scelta, dal momento che in alcune opere, ad esempio nelle due incisioni che ritraggono Filippo di Melantone e Willibald Pirckheimer, la rappresentazione della finestra nell’occhio non è giustificata dal contesto dell’immagine: in un caso il cielo indica che siamo all’aperto, in un altro lo sfondo è neutro. A sostegno di questa ipotesi, il fatto che nella finestra rappresentata, sempre suddivisa in quattro riquadri, la cornice fra di essi forma una croce. La conclusione assai condivisibile ed equilibrata di Bialostocki è che la presenza della finestra permette di coniugare l’interesse nei confronti della riproduzione realistica, dell’osservazione della natura e della resa della luce, valori che si affermano dal XV secolo, con la tradizione del pensiero simbolico. La luce che filtra dai vetri ha un potente portato simbolico (Meiss 1945), e così anche la croce che si forma all’interno della finestra: ma con Leonardo e Dürer la loro essenza mistica è sottomessa alle leggi della natura, e si vengono così a sfumare i confini fra artificio tecnico e simbolo:

Dürer’s window was certainly not a “mystical window”, but the light shining in the eyes was perhaps not just a reflection of exterior light but also the radiating of the divine element in every person, the lux vera quae illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum (Gv 1, 9) (Bialostocki 1988, 92).

Parte seconda. Finestre visive

Cambi di prospettiva e di significato

Nelle arti visive l’inquadratura della finestra dall’esterno, come nel caso dell’opera con la quale si chiuderà questa riflessione, la fotografia di Dora Maar Dawn, è più rara. Dal punto di vista dell’economia esecutiva, per il pittore era più pratico disporre il cavalletto dentro la stanza e raffigurare la persona alla finestra mentre guarda fuori: di profilo (come la fanciulla disegnata da Raffaello in un foglio degli Uffizi, inv. 1973F, da cui una celebre incisione di Marcantonio Raimondi, Faietti 2012, Faietti 2015a), di tre quarti (André Breton fotografato da Man Ray, di cui si dirà a breve) o di spalle, come Goethe affacciato alla finestra della sua casa romana nel celebre acquerello di Tischbein del 1787 (Frankfurt a.M., Goethe Museum, Rewald 2011, 16-17).

L’inquadratura dall’esterno prevede invece che l’artista stia all’aperto per un tempo prolungato e sia alla stessa altezza della finestra, circostanze complicate e improbabili. Si tratta di solito quindi di ricostruzioni in atelier: così fu ad esempio nel caso de Le balcon di Éduard Manet (Paris, Musée d’Orsay), per il quale sono note le sessioni di prova alle quali furono sottoposti i protagonisti, nello studio del pittore.

Le finestre
Chi guarda da fuori attraverso una finestra aperta non vede mai tante cose come chi guarda una finestra chiusa. Non c’è oggetto più profondo, più misterioso, più fecondo, più tenebroso, più abbagliante d'una finestra illuminata da una candela. Ciò che si può vedere alla luce del sole è sempre meno interessante di quello che succede al di là di un vetro. In quel buco nero o luminoso vive la vita, sogna la vita, soffre la vita. Oltre l’onda dei tetti, scorgo una donna matura, già segnata dalle rughe, sempre china su qualche cosa, e che non esce mai. Dal suo volto, dalle sue vesti, dal suo gestire, da quasi nulla, ho ricostruito la storia di quella donna, o meglio la sua leggenda, e qualche volta la racconto a me stesso piangendo. Se si fosse trattato di un povero vecchio, avrei ricostruito la sua vita altrettanto facilmente. Mi corico fiero di aver vissuto e sofferto dentro un altro, oltre che me stesso, Forse mi direte: “Sei certo che questa leggenda sia vera?”. Che importa quale possa essere la realtà posta al di fuori di me, se mi ha aiutato a vivere, a sentire che sono e cosa sono? (Baudelaire, Les Fênetres, ed. Rella 1992, XXXV).

Il fascino particolare dell’inquadratura dall’esterno – oltre ad attivare l’immaginazione che evocano le vite delle quali cogliamo solo qualche frammento, come scrive Baudelaire, o a svelare verità nascoste, come nelle Intercenales di Alberti – risiede nel particolare effetto di trompe-l’œil che la caratterizza: una finestra su una parete che invece di aprirsi sul paesaggio, come sarebbe logico, si apre su un altro interno, è un trompe-l’œil (che porta in sé premesse surrealiste, come si vedrà a breve).

Chi si affacciava alla finestra nei dipinti della storia dell’arte moderna? Chi viveva la propria vita prevalentemente fra le mura di una casa, ovvero le donne. Senonché, l’atto di mostrarsi era considerato di per sé come un gesto equivoco, che solo alcune ostentavano deliberatamente (Wolfthal 2009). E così avvenne che, una delle declinazioni iconografiche della cortigiana, o quanto meno dell’immagine di una femminilità ammiccante, fu quella rappresentata in un dipinto come le Galiziane alla finestra di Esteban Murillo (Washington, National Gallery).

3 | Anonimo (attr. a Palma il Vecchio), Cortigiana alla finestra, olio su tavola, London, National Gallery, inv. NG2146. Fotografia dell’opera prima della pulitura, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Fototeca dell’Istituto di Storia dell’Arte.
4 | Anonimo, Cortigiana alla finestra, olio su tavola, London, National Gallery, inv. NG2146 (foto tratta dal sito del Museo).

Consideriamo brevemente una bizzarra e misteriosa vicenda pittorica significativa per il tema in questione. Nel 1855 giunge alla National Gallery di Dublino, dall’asta della collezione veneziana di Francesco Galvagna a Palazzo Savorgnan, un dipinto intitolato Ritratto della figlia del pittore, attribuito a Palma il Vecchio [Fig. 3]. Nel 1929 fu catalogato come scuola italo-fiamminga e datato intorno al 1540. La data è inammissibile, innanzitutto perché la veste della fanciulla rimanda al secondo decennio del Cinquecento: è affine, come è stato notato, all’abito della fanciulla nell’Amor sacro e profano di Tiziano del 1514.

Sempre nel 1929, da quanto è riportato nella documentazione relativa all’opera, una comunicazione di Roberto Longhi riferisce il dipinto a Lorenzo Lotto "nella sua fase palmesca”. Bernard Berenson (Berenson, 1957, I, 145) attribuisce il quadro a Pordenone e Cecil Gould, nel catalogo dei dipinti italiani della National Gallery di Londra, dove fu poi trasferito il dipinto, accettò questa ipotesi (Gould 1975, 204-205).

Ora però, affacciata alla finestra, al posto della dolce figlia del pittore, c’è una donna dallo sguardo rapace. I gesti e gli attributi – con una mano indica allusivamente, con l’altra tiene una sfera, forse un campanellino per attirare l’attenzione – potrebbero essere il manifesto della sua professione [Fig. 4]. Nel 1978, notando che in alcuni punti del quadro con la sedicente figlia di Palma il giovane emergeva una pittura sottostante, è stata rimossa la versione superiore, ritenuta un falso ottocentesco: i restauratori della National Gallery visto che lo strato superiore si rimuoveva molto facilmente, ritennero infatti che fosse un intervento relativamente recente. La ridipintura, secondo i curatori, sarebbe stata realizzata in vista della vendita del quadro per moralizzare l'immagine originale, dal soggetto troppo equivoco.

Vari misteri avvolgono ancora la storia del dipinto: questa non è l’occasione appropriata per indagarli, ma solo per accennarli brevemente. Berenson e Longhi non pensarono che la versione soprastante fosse un falso, e stupisce che occhi così affilati possano essersi sbagliati. Forse quindi la storia è diversa, e la censura della cortigiana fu più antica, addirittura cinquecentesca?

Una visione ravvicinata dell’opera, attualmente nei depositi del museo londinese, permetterà di comprendere il suo stato attuale, dopo gli interventi sulla pellicola pittorica necessari al disvelamento: è ancora possibile tentare un’attribuzione? Per individuare l’autore della cortigiana con la tenda verde, potremmo intanto sfogliare i portfolio dei cosiddetti ‘pittori eccentrici’, con particolare attenzione nei confronti di quelli che lavoravano al confine fra il Veneto e la Lombardia nel primo quarto del Cinquecento.

Finestre surrealiste

Risale a dieci anni fa l’ultima mostra – ricca ed esaustiva – fra le non poche destinate alla fortuna del soggetto che stiamo indagando (Franciolli, Iovane, Wuhrmann 2012, 329 per l’elenco delle esposizioni precedenti, e altri titoli nella Bibliografia di questo articolo). Nondimeno, come ho cercato di dimostrare, mi è sembrato che ci sia ancora spazio per qualche considerazione riguardo alle fonti letterarie e alle interpretazioni del tema nella pittura moderna.

Dedico ora un passaggio finale al fronte novecentesco, con particolare riferimento agli artisti che gravitavano nella galassia surrealista: scorrendo, ad esempio, le fotografie di Man Ray e Dora Maar nei cataloghi digitali del Centre Pompidou (alcuni esempi nell’elenco in calce), ci accorgiamo che la finestra fu una scelta particolarmente amata per i loro set. Lo confermano anche recenti acquisizioni al catalogo della Maar: sono infatti riemersi, da un corposo fondo di fotografie di proprietà degli eredi, due suoi intensi autoritratti alla finestra declinati nelle due accezioni, con la veduta dall’esterno e dall’interno (Artcurial 2022) [Fig. 5 e 6].

5 | Dora Maar, Autroritratto alla finestra, Paris, 1935 circa, ©Copyright Artcurial SAS – Estate Dora Maar.
6 | Dora Maar, Autroritratto alla finestra, 1935 circa, ©Copyright Artcurial SAS – Estate Dora Maar.

Nel 1934 due nuove spose surrealiste incarnano differenti aspetti dell’ideale femminile del movimento: Jacqueline Lamba, moglie di Breton, rappresenta la componente solare, volitiva e ribelle, mentre Nusch Éluard, moglie del poeta Paul, quella lunare e onirica. Insieme a loro, facevano parte del movimento un nutrito gruppo di donne - come in nessun’altra avanguardia artistica - delle quali Breton e compagni esaltarono il ruolo di muse ma tennero in scarsa considerazione quello di artiste e intellettuali (Solomon-Godeau 2019, Amao, Maddox, Ziebinska-Lewandowska 2019, 130-133). Dora Maar – che a lungo, nella percezione comune, è stata la Femme qui pleure in una serie di dipinti del compagno Picasso, e non un’importante fotografa e pittrice – ritrasse più volte le amiche Lamba e Nusch, alle quali la legava un forte sodalizio affettivo, artistico e nel caso di Jacqueline, anche politico [Fig. 7].

Maar dedica a ciascuna delle due amiche una fotografia che cattura l’essenza delle loro nature [Figg. 8-9].

7 | Dora Maar (?), Dora Maar, Nusch Éluard et Jacqueline Lamba a Mougins, estate 1936 o 1937, ©Centre Pompidou, MNAM-CCI /Dist. RMN-GP.
8 | Dora Maar, Ritratto di Nusch Éluard, 1935, da Amao, Maddox, Ziebinska-Lewandowska 2019.
9 | Dora Maar, Ritratto di Jacqueline Lamba a seno nudo, 1934 ca., ©Centre Pompidou, MNAM-CCI /Dist. RMN-GP.

Lo splendore fragile e sognante di Nusch viene esaltato dalla posizione delle braccia e delle mani che sostengono il volto, come fossero lo stelo e la corolla di un fragile fiore. Lamba, a differenza di Nusch, ci guarda negli occhi e sorride sicura: il busto è di profilo come quello del dipinto noto come la Gioconda nuda – che esiste in molte versioni, fra la quali quella del Musée Condé a Chantilly – mentre il braccio sinistro è rivolto verso l’alto, in una posa avvitata che ricorda il San Giovanni Battista di Leonardo al Louvre.

Che questi riferimenti fossero effettivamente presenti nell’immaginario della parigina Maar, magari ricordi inconsapevoli intrappolati in qualche recesso della sua retina, o che siano associazioni attivate dalla nostra ipersensibile propensione combinatoria, quello che è certo è che, sia nel ritratto di Lamba che in quello di Nusch, la composizione fa riferimento alla più consolidata tradizione figurativa del tema dal Rinascimento all’Ottocento, complice anche il parapetto, quella soglia della finestra-quadro sulla quale si affacciano le protagoniste. Siamo qui però allo stadio iniziale della realizzazione delle due opere: le fotografie vennero infatti poi elaborate con fotomontaggi che intrappolarono il volto di Nusch sotto una ragnatela, mentre la bionda Lamba divenne una sorta di Artemide surrealista con una freccia in mano (Amao, Maddox, Ziebinska-Lewandowska 2019, fig. 33, fig. 35). Un dettaglio nel ritratto finale di Nusch – che si intitolerà Les années vous, come a dire che la ragnatela ha trasformato il soggetto in un memento mori – cattura la nostra attenzione: è un ragno inserito simbolicamente nella posizione del terzo occhio, un’altra soglia, quella simbolica tramite la quale si accede a realtà inaccessibili alla visione ordinaria, all’inconscio.

Nell’estate del 1935, i Surrealisti – Breton e Lamba, Nusch e Paul Éluard, Dora Maar, Man Ray… – profondamente turbati a causa del suicidio dell’amico René Crevel, che aveva cercato inutilmente di ricomporre i violenti dissidi fra Breton e i vertici del partito Comunista riunito a Parigi, si rifugiarono nella villa della facoltosa amica Lise Deharme a Montfort-en-Chalosse, a nord-est di Biarritz (Romano Pace 2010, 64).

Man Ray, come sempre, filma tutto (un altro filmato di una vacanza insieme, questa volta nel 1937 a Mougins, in Provenza, è stato recentemente recuperato nel mediometraggio Un été a la Garoupe di François Lévy-Kuentz): si propone di fare una film surrealista, ma sarà un fallimento.

Il frammento più bello, secondo lo stesso artista, è l’immagine di Breton che guarda fuori da una finestra, colto quando inaspettatamente una libellula gli si posa fra gli occhi [Fig. 10].

Dopo il ragno di Nusch e la libellula di Breton, anche nella celebre fotografia solarizzata di Man Ray a Dora Maar (Man Ray [1963] 2014, 185), lo stesso punto del volto è marcato, questa volta dall’indice della protagonista.

Dawn (Aube) di Dora Maar

Anche il ritratto fotografico di Jacqueline Lamba affacciata alla finestra di una casa diroccata [Fig. 11], così come quello precedentemente citato che le dedicò la Maar [Fig. 9]:, corrisponde ai canoni della rappresentazione di questo soggetto. Questo scatto però insinua nelle pieghe dell’impostazione tradizionale gli interrogativi e le ossessioni delle Avanguardie: sia dal punto di vista della forma, vista l’ambiguità dei piani di rappresentazione e del confine fra interno ed esterno, che da quello dei contenuti, perché l’opera è un coagulo di temi psicanalitici. Lamba è una donna sulla soglia fra il qui e l’altrove, a conferma che la fotografia, e direi in special modo quella surrealista, non è una rappresentazione di questo mondo, ma di quello “del sogno, della visione, del ricordo, dell’allucinazione, del pensiero, del desiderio” (Grazioli 2012, 294).

11 | Dora Maar, Dawn (Aube), 1935, da “Minotaure” 8 (giugno 1936).

Dawn fu realizzata nel 1935. Dopo la vacanza corale durante la quale Man Ray fotografò Breton, Lamba e Maar partono da sole, in settembre, per Saint Jean des Bois, nella Bassa Normandia. Lamba in questa nuova foto non è più la volitiva Artemide [Fig. 9], non ha più l’aspetto quasi architettonico che evoca solidità e sicurezza: si è trasformata in una creatura fluida, una languida ninfa dei boschi, inconsapevole di noi e rapita in una sua rêverie. Emerge da una casa diroccata, dove il tetto è crollato, gli interni sono invasi dalla natura, i rami hanno forzato una rete che doveva precludere l’ingresso in quel luogo fatiscente. I capelli sciolti, le braccia appoggiate al parapetto della finestra, intrecciate: Lamba è come fosse un frutto biondo della pianta che invade la casa. E dentro Lamba un altro frutto sta crescendo, la figlia che sarà chiamata Aube (ovvero Alba, Dawn in inglese), in un gioco di mise en abyme che già il suo essere ritratta entro la cornice della finestra ha attivato. Oppure: Lamba – la donna, l’artista – è prigioniera della natura prevaricante e sta per esserne inghiottita, una natura che ora la vuole madre e moglie. L’ambiguità dell’immagine incoraggia il meccanismo di proiezione di chi osserva che, senza accorgersene, è stato attirato in una inquietante trappola psicanalitico-surrealista.

La fotografia sarà il regalo di Maar per la nascita della bambina di Lamba e Breton. L’accompagnerà con questa dedica: La premièr lueur d'Aube  La rue Fontaine à la lumière d'Aube, ovvero “Il primo bagliore dell'Alba – La rue Fontaine alla luce dell’Alba” (rue Fontaine è la strada parigina che ospitava il mitico appartamento di Breton; Romano Pace 2010, 68).

Nelle mostre dei Surrealisti della metà degli anni Trenta (1935, Tenerife e La Louvière, 1936 London e 1936-37 New York, 1937 Giappone, 1938 Amsterdam) il ruolo della fotografia era limitato. Maar è l’unica fotografa il cui lavoro compare in tutte le mostre. In particolare, alla International Surrealist Exhibition londinese sono esposte tre sue fotografie: Portrait of Ubu (1936), la più nota foto surrealista di Maar, The Pretender/ Le Simulateur (un photocollage rifotografato) e Dawn, la meno nota, forse perché apparentemente non corrispondeva ai canoni più evidenti del Movimento.

Le uniche due occasioni in cui il ritratto di Jacqueline Lamba alla finestra fu esposto con il titolo inglese Dawn furono a Londra e a New York, mentre sull’ottavo numero della rivista “Minotaure”, subito prima dell’inaugurazione della mostra di Londra, la fotografia fu pubblicata senza alcuna didascalia. Per la maggior parte del pubblico anglofono questo titolo conferiva un’aura poetica a una foto naturalistica, ma come abbiamo visto si tratta di un’apparenza. La traduzione del titolo nell’inglese Dawn istituisce una distanza dalla natura biografica dell’opera, che Maar fa scorrere come sottotesto (Solomon-Godeau 2019, Amao, Maddox, Ziebinska-Lewandowska 2019, 130-133): Alba (Dawn, Aube) c’è, ma è invisibile.

Con il favore della notte
Scivolare nella tua ombra con il favore della notte.
Seguire i tuoi passi, la tua ombra alla finestra.
Quest’ombra alla finestra sei tu, non è un’altra, sei tu.
Non aprire la finestra dietro le tende dove ti muovi.
Chiudi gli occhi.
Vorrei chiuderli con le mie labbra.
Ma la finestra si apre e il vento, il vento che fa dondolare
bizzarramente la fiamma e la bandiera, cinge la mia fuga con il suo cappotto.
La finestra si apre: non sei tu.
Già lo sapevo.
(Robert Desnos, À la faveur de la nuit [1926]; ed. Di Palmo 2020, 102).

Le finestre in alcune fotografie di Dora Maar e Man Ray
Dora Maar

Autoportrait de Dora Maar à la fenêtre

AM2004-0163(1401)

Da Le Crime de M. Lange, Jean Renoir

AM2004-0163(1180)

AM2004-0163(1181)

AM2004-0163(1182)

Picasso peignant Guernica agenouillé

AM2004-0163(1532)

À Ménerbes, en Provence

AM 2004-0164 (150)

AM 2004-0163 (1226)

Portrait de Léona

AM 2004-0163 (348)

Man Ray

Juliet Man Ray à la fenêtre

Nég. c, AM 1994-393 (3661)

Nég. a, AM 1994-393 (3672)

AM 1995-281 (668)

Man Ray

AM 1994-394 (4345)

Man Ray et Nusch

AM 1994-394 (4158)

Nusch et une inconnue à la fenêtre

AM 1994-394 (4560)

Elisa Breton à la fenêtre de la maison de Saint-Cirq-Lapopie

AM 1994-393 (3363)

Silhouette de Lee Miller

AM 1994-393 (4016)

Lee Miller

AM 1994-393 (746)

Meret Oppenheim et Man Ray

AM 1994-394 (4395)

Bibliografa
Fonti. Edizioni di riferimento
  • Leon Battista Alberti, De Pictura, a cura di C. Grayson, Roma-Bari 1975.
  • Leon Battista Alberti, Intercenales, a cura di F. Bacchelli e L. D’Ascia, premessa di A. Tenenti, Bologna 2003.
  • Pietro Aretino, Lettere, a cura di P. Procaccioli, 6 voll., Roma 1997-2002.
  • Charles Baudelaire, Lo spleen di Parigi. Piccoli problemi in prosa, trad. it e cura di F. Rella, Milano 1992.
  • Leonardo da Vinci, Libro di Pittura. Codice Urbinate lat. 1270 nella Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di C. Pedretti, trascrizione di C. Vecce, 2 voll., Firenze 1995.
  • Leonardo da Vinci, Il Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano, trascrizione diplomatica e critica di A. Marinoni, 2 voll., Firenze, 1975-80.
  • Robert Desnos, La colomba dell’arca. Poesie 1922-1944, a cura di P. di Palmo, Milano 2020.
  • Francesco Petrarca, Canzoniere. Rerum Vulgarium Fragmenta, a cura di R. Bettarini, 2 voll., Torino 2005.
  • Francesco Petrarca, Res Seniles, a cura di S. Rizzo, con la collaborazione di M. Berté, Firenze 2006.
  • Man Ray, Autoritratto, traduzione di M. Pizzorno, Milano 2014.
  • Vitruvio, De Architectura, a cura di P. Gros, trad. it. e commento di A. Corso e E. Romano, 2 voll., Torino 1997.

Bibliografia critica
  • Agosti 1993
    S. Agosti, Gli occhi e le chiome. Per una lettura psicoanalitica del Canzoniere di Petrarca, Milano 1993.
  • Amao, Maddox, Ziebinska-Lewandowska 2019
    D. Amao, A. Maddox, K. Ziebinska-Lewandowska (eds.), Dora Maar, London 2019.
  • Artcurial 2022
    Dora Maar, inédits, fonds photographique, Artcurial, Paris (asta del 27-28 giugno 2022).
  • Bacchelli, D’Ascia 2003
    F. Bacchelli,  L. D’Ascia (a cura di), Leon Battista Alberti, Intercenales, premessa di A. Tenenti, Bologna 2003.
  • Bacchi 2021
    E. Bacchi, Strategie dello sguardo/Strategie della parola: specchio, finestra e velo nel De pictura di Leon Battista Alberti, in Letteratura e Scienze. Atti delle sessioni parallele del XXIII Congresso dell’Associazione degli Italianisti, Pisa, 12-14 settembre 2019, a cura di A. Casadei, F. Fedi, A. Nacinovich, A. Torre, Roma 2021 (www.italianisti.it/pubblicazioni/atti-di-congresso/letteratura-e-scienza).
  • Bensimon 1972
    M. Bensimon, The Significance of Eye Imagery in the Renaissance from Bosch to Montagne, in “Yale French Studies”, XLVII (1972), 266-90.
  • Berenson 1957
    B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance. A list of the principal artists and their works with an index of places. Venetian school, vol. 1, Oxford 1957.
  • Bertolini 2000
    L. Bertolini, Sulla precedenza della redazione volgare del De Pictura di Leon Battista Alberti, in Studi per Umberto Carpi: un saluto da allievi e colleghi pisani, a cura di M. Santagata e A. Stussi, Pisa 2000, 182-210.
  • Bertone 1999
    G. Bertone, Lo sguardo escluso: l’idea di paesaggio nella letteratura occidentale, Novara 1999.
  • Bettarini 2005
    R. Bettarini (a cura di), Francesco Petrarca, Canzoniere. Rerum Vulgarium Fragmenta, 2 voll., Torino 2005.
  • Bialostocki (1970) 1988
    J. Bialostocki, The Eye and the Window. Realism and Symbolism of Light-reflection in the Art of Albrecht Dürer and his Predecessor, in Festschrift für Gert von der Osten, Köln 1970, 159-176, riedito con lo stesso titolo in J. Bialostocki, The Message of Images. Studies in the History of Art, Wien 1988, 77-92.
  • Bisceglia, Ceriana, Procaccioli 2020
    A. Bisceglia, M. Ceriana, P. Procaccioli (a cura di), “Pietro Pictore Arretino”. Una parola complice per l’arte del Rinascimento, Atti del convegno internazionale di studi, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 17-19 ottobre 2018, Venezia 2020.
  • Caroli 1998
    F. Caroli (a cura di), L’Anima e il Volto. Ritratto e fisiognomica da Leonardo a Bacon, Milano 1998.
  • Curtius 1948
    E. R. Curtius, Europäische Literatur und Lateinisches Mittelalter, Bern 1948.
  • Di Palmo 2020
    P. Di Palmo (a cura di), Robert Desnos, La colomba dell’arca. Poesie 1922-1944, Milano 2020.
  • Di Stefano 2020
    E. Di Stefano, La finestra e lo specchio: l’Alberti e la pluralità dei punti di vista, in “Albertiana”, XXIII, 2 (2020), 263-277.
  • Faietti 2012
    M. Faietti, Il sogno di Raffaello e la finestra di Leon Battista Alberti, in M. Faietti, G. Wolf, Giochi, seduzioni, metamorfosi della linea, Firenze 2012, 14-29.
  • Faietti 2015
    M. Faietti (a cura di), Raffaello, Parmigianino, Barocci. Metafore dello sguardo, a cura di M. Faietti, Roma 2015.
  • Faietti 2015a
    M. Faietti, Parmigianino, Raffaello e la metafora della finestra, in Faietti 2015, 163-177.
  • Franciolli, Iovane, Wuhrmann 2012
    M. Franciolli, G. Iovane, S. Wuhrmann (a cura di), Una finestra sul mondo: da Dürer a Mondrian e oltre: sguardi attraverso la finestra dell’arte dal Quattrocento ad oggi, Milano 2012.
  • Giusti 2009
    A. Giusti (a cura di), Inganni ad arte. Meraviglie del trompe-l’œil dall’antichità al contemporaneo, Firenze 2009.
  • Gould 1975
    C. Gould, The Sixteenth-Century Italian Schools, London 1975.
  • Grazioli 2012
    E. Grazioli, Fotografia e finestra, in Franciolli, Iovane, Wuhrmann 2012, 292-297.
  • Grayson 1975
    C. Grayson (a cura di), Leon Battista Alberti, De Pictura, Roma-Bari 1975.
  • Gros 1997
    P. Gros (a cura di), Vitruvio, De Architectura, trad. it. e commento di A. Corso e E. Romano, 2 voll., Torino 1997.
  • Horn 1968
    H.J. Horn, Fenster, in Das Reallexicon für Antike und Christentum, a cura di T. Klauser, Stuttgart 1968, vol. 53, 735-747.
  • Maddalo 2002
    S. Maddalo, Sanvito e Petrarca. Scrittura e immagine nel codice Bodmer, Messina 2002.
  • Marinoni 1975-1980
    A. Marinoni (trascrizione diplomatica e critica a cura di), Leonardo da Vinci, Il Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano, 2 voll., Firenze, 1975-80.
  • Meiss 1945
    M. Meiss, Light as a Form and Symbol in Some Fifteenth-Century Paintings, in “Art Bulletin” XXVII (September 1945), 175-181
  • Müller 2012
    M. Müller (hrsg. von), Fresh Widow. Fenster-Bilder seit Matisse und Duchamp, Düsseldorf 2012.
  • Pedretti 1995
    C. Pedretti (a cura di), Leonardo da Vinci, Libro di Pittura. Codice Urbinate lat. 1270 nella Biblioteca Apostolica Vaticana, trascrizione di C. Vecce, 2 voll., Firenze 1995. 
  • Pedretti 1998
    C. Pedretti, Leonardo: la finestra dell’anima, in Caroli 1998, 523-528.
  • Pizzorno 2014
    M. Pizzorno (a cura di), Man Ray, Autoritratto, Milano 2014.
  • Procaccioli 1997-2002
    P. Procaccioli (a cura di), Pietro Aretino. Lettere, 6 voll., Roma 1997-2002.
  • Rella 1992
    F. Rella (a cura di), Charles Baudelaire, Lo spleen di Parigi. Piccoli problemi in prosa, Milano 1992.
  • Rewald 2011
    S. Rewald (ed.), Rooms with a view. The Open Window in the 19th Century, New York 2011.
  • Rizzo 2006
    S. Rizzo (a cura di), Francesco Petrarca, Res Seniles, con la collaborazione di M. Berté, Firenze 2006.
  • Romano Pace 2010
    A. Romano Pace, Jacqueline Lambda. Peintre rebelle, muse de l’amour fou, Paris 2010.
  • Solomon-Godeau 2019
    A. Solomon-Godeau, Bande à part. Jacqueline Lambda, Dora Maar, and the Surrealist women’s network, in Amao, Maddox, Ziebinska-Lewandowska 2019, 130-133.
  • Stoichita [1993] 1998
    V.I. Stoichita, L’invenzione del quadro [Paris 1993], trad. it. B. Sforza, Milano 1998.
  • Stroppa 2007
    S. Stroppa, “Quid Vides?”. La canzone delle visioni e Ugo di San Vittore, in “Lettere italiane” 2 (2007), 153-186.
  • Tassini 1915
    G. Tassini, Curiosità veneziane, Venezia 1915.
  • Vecce 2021
    C. Vecce (a cura di), La Biblioteca di Leonardo, Firenze 2021.
  • Wajcman 2004
    G. Wajcman, Fenêtre. Chronique du regard et de l’intime, Paris 2004.
  • Ward 2020
    O. Ward, The frame – the window as optical device or trompe l’oeil from Mantegna to Ryan Gander, Tokyo 2020.
  • Wolfthal 2009
    D. Wolfthal, La donna alla finestra: desiderio sessuale lecito e illecito nell’Italia rinascimentale, in Sesso nel Rinascimento. Pratica, perversione e punizione nell’Italia Rinascimentale, a cura di A. Levy, Firenze 2009, 57-71.
English abstract

The ‘window’ is a paradigmatic subject in Western literary and visual culture.Over the centuries it has been interpreted by artists and writers in myriad ways, extensively investigated. This brief essay adds some elements to these investigations to enrich the range of textual sources and interpretations of the theme by writers and artists, focusing on photographer Dora Maar’s work on the subject.

keywords | Window; Photography; Women Artists; Courtesans; Surrealism.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)

The Editorial Board of Engramma is grateful to the colleagues – friends and scholars – who have double-blind peer reviewed this essay.
(cf. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo: Silvia Urbini, Finestre letterarie e finestre visive. Sguardi esteriori e interiori fra tecnica e metafora, “La Rivista di Engramma” n. 193, luglio 2022, pp. 117-138 | PDF di questo articolo
To cite this article: Silvia Urbini, Finestre letterarie e finestre visive. Sguardi esteriori e interiori fra tecnica e metafora, “La Rivista di Engramma” n. 193, luglio 2022, pp. 117-138 | PDF of the article

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2022.193.0008