"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

194 | agosto 2022

97888948401

Filottete, il più lontano possibile... a contatto col mito

Riflessioni dell’autore-attore di Filottete dimenticato

Daniele Nuccetelli

English abstract

§ In questo stesso numero di Engramma: testo integrale della drammaturgia di Filottete dimenticato.

Daniele Nuccetelli è Filottete in Filottete dimenticato.

When logic and proportion have fallen floppy dead
And White Knight is talking backwords
And the Red Queen’s off with her head
Remember what the dormeuse said
[Quando la logica e la proporzione sono cadute in rovina / E il cavaliere bianco parla al contrario / E la regina rossa se ne va con la testa. /Ricorda cosa ha detto il ghiro]
Jefferson Airplane, White Rabbit

Policlinico SS. Annunziata: Chieti, 21 gennaio 2020, ore 14.25

Mancano cinque minuti al mio primo appuntamento presso il reparto ambulatoriale della Clinica neurologica del Policlinico Universitario di Chieti. Mi guardo intorno! C’è un via vai di persone che, come me, sembra abbiano perso l’orientamento; ognuno alla ricerca del proprio reparto per una visita o per andare a trovare un parente o un amico ricoverato.

Io no! Io sono qui per un altro motivo. Mi pervade un sentimento di vergogna. Ma allora che ci faccio qui?

Mentre percorro freneticamente un dedalo infinito di corridoi del grande ospedale di Chieti alla ricerca del reparto presso cui ho un appuntamento, all’improvviso, mi ritrovo faccia a faccia con la persona che devo incontrare, la Prof.ssa Bonanni. Sta mangiando qualcosa dal suo porta pranzo prima dell’inizio delle visite ai pazienti malati di DLB, acronimo inglese per “demenza a corpi di Lewy”, una particolare forma di malattia neurodegenerativa. La professoressa mi spiega come arrivare all’ambulatorio visite, e che tra cinque minuti mi aspetterà lì per incontrare insieme a lei i suoi pazienti.

Ho sempre creduto alle imprese dei supereroi e credo che i medici ci somiglino molto; apparentemente sono come noi ma in realtà sono persone dotate di poteri simili a quelli di Batman o Superman. Sono esseri umani speciali e per questo sono in grado di fare cose straordinarie, proprio come i personaggi della Marvel.

Dopo cinque minuti esatti dal nostro primo casuale incontro, la Prof.ssa Bonanni è pronta ad accogliermi davanti la porta del suo ambulatorio. Per un supereroe possedere un potere significa aver ricevuto dal destino un dono; a volte, però, quello stesso potere può rivelarsi una spaventosa maledizione. Bonanni è tra i maggiori esperti italiani nella ricerca scientifica svolta nel campo delle demenze, in particolare sulla “demenza a corpi di Lewy”. Per i risultati ottenuti negli studi sulla DLB, la professoressa è riconosciuta come uno dei maggiori esperti mondiali nell’ambito dei progetti di ricerca sulle demenze. I supereroi sono spesso donne come Bonanni, e le donne, si sa, sono in grado di vincere contro qualsiasi sventura.

Dopo questo primo incontro ne sono seguiti molti altri durante i quali ho cominciato il mio personale ‘tirocinio’ a contatto con le patologie neurodegenerative, sostenuto e aiutato dalla competenza dei medici e degli operatori che mi hanno introdotto nel mondo “dell’insostenibile leggerezza” dell’essere umano. Questo particolare apprendistato è il primo stadio del processo di studio – come ama definirlo Gianpiero Borgia – che ha dato vita al concetto di artista-reporter. Esso non fa parte di ciò che erroneamente viene chiamato in ambito professionale, percorso d’avvicinamento dell’attore al personaggio. È bene specificarlo per non creare equivoci sia nei confronti dei colleghi attori ma soprattutto per rispetto delle persone malate. Piuttosto è il contrario, e cioè che solo attraverso una concreta presa di coscienza attinente al problema sociale preso in esame, l’attore può avere l’opportunità di esprimersi e di interrogarsi sul senso profondo di quella specifica realtà, e che solo per mezzo del lavoro svolto sul campo sia possibile mettere a confronto le tematiche irrisolte della nostra contemporaneità con i racconti espressi dal mito greco.

L’arte ha come compito prioritario quello di provocare, nella società, una sorta di cortocircuito; l’incendio che si propaga è la metafora necessaria per porsi domande. In questi anni ho approfittato dell’accoglienza ricevuta da parte degli operatori delle RSA visitate, così come degli ospedali e dei centri d’accoglienza che si occupano delle diverse forme di demenza, per conoscere da vicino le persone affette da malattie neurodegenerative e attraverso l’incontro ravvicinato con alcuni pazienti – i quali mi hanno permesso di conoscere sia il loro passato che il loro inafferrabile e crudele presente – di essermi concesso anch’io di poter soffrire un poco insieme a loro. È questa che definisco la “catabasi dell’attore”.

Residenza assistenziale “Casa Lea”: Brescia, 16 luglio 2021, ore 11.00

Gulliver è seduto dietro un tavolo. Non voglio svelare il suo vero nome, preferisco ricordarlo con quello del personaggio protagonista del romanzo di Jonathan Swift e narrare l’incredibile mattinata passata a parlare con quel gigante buono presso una delle strutture residenziali che fanno parte della Cooperativa La Rete di Brescia. In questo racconto, perciò, il signor G. sarà per il lettore Lemuel Gulliver.

Le braccia di Gulliver sono poggiate su un tavolo anni ’70 col piano in formica. Ha la testa piegata di lato; forse è già annoiato per l’attesa di quelli che, gli hanno annunciato le educatrici, vorrebbero fare una chiacchierata con lui. Quando, insieme a Elena Cotugno e al fotografo Luca Dal Pia, entro nella cucina di Casa Lea, la prima cosa che noto è la figura di un gigante stanco imprigionato dentro la sua stessa vita. Ha gli occhi azzurri, i capelli bianchi, radi; il suo volto è nascosto da una barba incolta e dalla mascherina di protezione anti Covid. Ha le unghie lunghe e ricurve; per l’occasione indossa una giacca e una camicia pulita sotto cui indossa una canottiera che però, invece, ha macchie sparse. Durante l’incontro preliminare infatti Giulia, l’educatrice che ci accompagna, ci avverte dell’originale “pensiero filosofico” di Gulliver a proposito del suo aspetto curato ma un po’ démodé da lui stesso sintetizzato da una frase: “… Se ti capita di fare l’elemosina, le persone devono credere che tu abbia realmente bisogno dei loro soldi; se sei vestito troppo bene nessuno ti darà niente…”. Ci presentiamo come una compagnia di teatro e diciamo che siamo lì per un progetto sulle storie degli ospiti di Casa Lea.

Il nostro amico ‘gigante’ è stato uno dei primi ospiti della residenza e oggi ha: “… 64 anni, 7 mesi e 72 giorni”. Gulliver è un patito di date e numeri; esperto conoscitore della toponomastica della città di Brescia dagli anni ’60 a oggi, memoria storica di un mondo lontano e ormai scomparso. Non vedo l’ora di ascoltare la sua di storia. Dopo avergli chiesto se potevamo fotografarlo e aver ricevuto un secco “No!”, Gulliver inizia a raccontarsi.

Gli avvenimenti che ci narra sono sempre infarciti di giorni, mesi e anni che lo accompagnano all’interno di quei ricordi ormai svaniti. Mi viene in mente un programma televisivo serale molto famoso che vedevo da piccolo, si chiamava Rischiatutto. Sono sicuro sarebbe diventato un campione. La storia di Gulliver è un vero e proprio giro del mondo: ci racconta di aver viaggiato per tutta l’Italia, che ha vissuto nelle più importanti città europee, di essere arrivato fino in Iran e in altri paesi esotici – precisa sempre la data di arrivo e di partenza - di aver lavorato come gommista, cameriere, meccanico, operaio e che una volta stava anche per diventare attore. Un giorno gli capitò di partecipare a un provino in cui avrebbe dovuto recitare con Barbara Bouchet, per un film con la regia di Damiano Damiani. Il provino era andato bene ma lui non era stato preso per via di una balbuzie che lo aveva colto quando si era ritrovato faccia a faccia con la bellissima attrice ceca vestita con solo una sottoveste trasparente. Mi convinco che anche come attore avrebbe avuto successo.

Gulliver ha iniziato a vivere da ‘adulto’ dall’età di 10 anni; il padre lo portava con sé nelle vinerie e dopo averlo fatto bere insieme a lui, spesso lo picchiava. Ha vissuto nei vagoni dei treni, nei dormitori della Caritas, sotto i ponti, in ogni posto utile per ripararsi dal freddo o dagli attacchi notturni di altri come lui o, in apparenza, diversi da lui. Il racconto è infarcito di dettagli e poi parla con una proprietà di linguaggio che farebbe invidia a molti attori. Lo ascolterei per ore. C’è da imparare molto da quel gigante buono.

A un certo punto mi faccio coraggio e riesco a interromperlo per fargli una domanda, di getto, senza un motivo preciso: “… Signor Gulliver, lei sogna?”. Lui fa una pausa, lo sguardo sembra fuggire verso un passato lontano, poi risponde: “Sogno mio padre e mia madre … perché loro mi hanno dato la vita”. Nella cucina cala un silenzio irreale. Dopo qualche minuto Gulliver riprende a parlare, altre date, altre storie, altri ricordi. Poi di colpo s’interrompe, si alza per andarsene ma prima di uscire dalla cucina si ferma, senza guardarci e dice: “… Adesso basta! Vado in camera. Sono stanco. Arrivederci!”.

Mi ritrovo all’esterno della torre di cemento che ospita la residenza di Casa Lea col desiderio e il bisogno di conoscere altri Gulliver, di avvicinarmi a loro – forse per comprendere meglio chi siamo noi.

Festival FUME: Cesena, 29 giugno 2022, ore 18.30

Filippo, lo scenografo della compagnia, mi ha appena dato i trenta minuti all’inizio dello spettacolo. Per un attore che si prepara ad affrontare un monologo non c’è cosa più stressante che stare solo nel proprio camerino in attesa d’iniziare. Non basta diventare, da lì a poco, ‘l’osservato speciale’ del pubblico; egli deve superare anche il momento che precede l’entrata in scena, la tragicità della propria solitudine.

Penso ai tanti Filottete, ai tanti Gulliver, a coloro che vivono ai margini della società e mi viene in mente una breve filastrocca che scrissi alla fine di una delle numerose improvvisazioni preparate durante la prima fase di lavoro scenico sul testo di Sofocle, grazie alle quali, incoraggiato da Gianpiero Borgia, cominciavo a esplorare il significato di abbandono e di dolore.

Un cancro mi mangia la carne del piede, Banchetta felice, è l’unico erede. 
Ci tiene davvero al suo prigioniero, Ha tenacia e valore il forestiero. 
Non ha fretta il mio male, gli piace aspettare. Non cerca vendetta … vuol solo pappare.

Credo che il teatro sia un’azione politica necessaria da condividere ma, da quando ho iniziato a lavorare a questo progetto, non nego di essere stato accompagnato, incessantemente, da una domanda: “Sono in grado di assumermi la responsabilità e il rischio di raccontare una storia così terribile e reale?” E gli amici, i mariti, le mogli, i figli, chiunque abbia vissuto in relazione diretta con la malattia dei propri cari quali domande si sarà posto per provare a resistere al dolore? Chissà se si guarisce da tali incubi!

Ecco di nuovo Filippo. Mi dà i cinque minuiti. Ci siamo quasi! Sono assalito di nuovo dalla stessa domanda di sempre; non credo che riuscirò mai a trovare la risposta. Quindi non mi resta che un solo modo per affrontare il mio, di incubo … “Chi è di scena?”.

Ho deciso di raccontare la mia esperienza trascorsa in questi anni ne La Città dei Miti scegliendo tre momenti che sintetizzassero il percorso fin qui svolto insieme ai miei amici e colleghi del Teatro dei Borgia, grazie ai quali mi è stato permesso di entrare in contatto con una delle questioni più controverse della nostra società e cioè, quale azione, comportamento, intervento adottare nel rapporto con le persone malate di demenza e quali principi utilizzare dal punto di vista etico, medico e nondimeno filosofico intorno al concetto di ‘compassione e accettazione’.

Il mito greco sembra, ancora oggi, essere uno dei pochi strumenti capaci di farci riconoscere – ma non di comprendere – l’inafferrabile senso della vita, dar sfogo ai sentimenti, costruire nuovi paradigmi, raggiungere la catarsi.

Il mito ci invita ad aggiornare continuamente la nostra vita e almeno per un giorno, provare a essere eroi.

I, I will be king.
And you, you will be queen.
Though nothing will drive them away.
We can beat them, just for one day.
We can be heroes, just for one day.
[Io, io sarò Re. E tu, tu sarai Regina. Anche se niente li porterà via. Possiamo batterli solo per un giorno. Possiamo essere eroi solo per un giorno.]
David Bowie, Heroes.

English abstract

Daniele Nuccetelli, actor in Filottete dimenticato (The Forgotten Philoctetes), shares his personal experience of approaching the world of neurodegenerative diseases. By retracing the myth of Philoctetes through the story of an abandoned father, Nuccetelli suggests a new interpretation for the word ‘hero’, and asks that we should question whether Philoctetes is alone in his suffering.

keywords | Teatro dei Borgia; La Città dei Miti; Filottete dimenticato; Daniele Nuccetelli; tragedy.

Per citare questo articolo / To cite this article: D. Nuccetelli, Filottete, il più lontano possibile... a contatto col mito. Riflessioni dell’autore-attore di Filottete dimenticato, “La Rivista di Engramma” n. 194, agosto 2022, pp. 59-65 | PDF dell’articolo 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2022.194.0011