"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

200 | marzo 2023

97888948401

Cos’è che fa una festa?

Feste nazionali e feste individuali

Gabriele Vacis

English abstract

Il figlio di una coppia di amici, fino a dodici o tredici anni, era terrorizzato dal “tanti auguri a te”. Difficile portarlo a un compleanno perché quando si avvicinava il momento di cantare tutti insieme lui si nascondeva, e i genitori imbarazzati cercavano di convincerlo, ma lui si metteva a piangere e rovinava la festa. È una delle poche persone che ha una soglia d’imbarazzo più bassa della mia. Infatti credo di aver rovinato anch’io la mia dose di feste. Che è ben strano visto il mestiere che faccio.

In un bel film di Roland Joffé del 2000, Gerard Depardieu interpreta il ruolo di François Vatel, che era il ‘pasticcere’ del principe di Condé. Vatel era quello che organizzava le feste, praticamente il regista. E queste feste incidevano pesantemente sulle politiche del Re Sole. In quel film Joffé racconta benissimo come, per qualcuno, la festa è progettazione, allestimento, attesa, speranza. Cerco di spiegare: oggi, per esempio, mentre scrivo, è Carnevale, la festa per eccellenza. La sfilata dei carri allegorici sta passando sotto casa mia. Adesso i carri hanno impianti acustici formidabili. Visto che i subwoofer mi stavano facendo vibrare il pavimento, scendo a vedere. E si rinnova la malinconia di sempre. Quand’ero un ragazzino andavano di moda quei randelli di plastica colorati con cui andavamo a picchiare le ragazze, oggi per fortuna sono caduti in disuso, i bambini sono vestiti da cheeseburger invece che da cowboy, ma la malinconia dei coriandoli e delle stelle filanti, anche se sono in bomboletta spray, è la stessa. Altroché festa, fiera della tristezza! Infatti Carnevale sta per essere soppiantato da Halloween, che almeno ha “dolcetto o scherzetto”, cioè: qualcosa da fare.

Perché il problema è questo: cos’è che si fa ad una festa? Cos’è che fa una festa? Restiamo sul Carnevale. Con i miei amici della parrocchia avevamo deciso di allestire un carro. Avrò avuto tredici o quattordici anni. Eppure, dopo più di cinquant’anni, ricordo le discussioni su cosa dovesse rappresentare il carro. Bisticciammo a lungo, alla fine si decise che avremmo dedicato il carro ai Peanuts. Il progetto, che aveva comportato ancora discussioni infinite e bisticci e riconciliazioni campali, prevedeva la cuccia di Snoopy al centro e ai quattro angoli del carro Charlie Brown, Lucy, Linus e Piperita Patty: quattro grandi sagome che avrebbero dovuto girare ma si scassarono ancora prima che partisse il corteo. La progettazione e la preparazione durarono due o tre mesi. Ogni incontro erano liti per poi fare pace, ma erano anche le mamme che preparavano panini e bibite: la scoperta dei cibi degli altri, quella era la festa, immaginare come sarebbe stato il nostro carro, quella era la festa; scoprire le attitudini di ognuno, per esempio di quelli che, mentre agli altri discutevano, prendevano martelli e compensato e costruivano, quello era la festa; mentire ai genitori: devo andare a preparare il carro e invece vedersi con la ragazza, quella era festa. E mi ricordo tutto. Del corteo ricordo solo che mi sentivo un cretino, vestito da Pig-Pen, mentre all’epoca nessuno sapeva cosa fossero i Peanuts.

Ancora sul Carnevale, ma molti anni dopo. Sono i primi anni Ottanta. Avevamo appena fondato il Laboratorio Teatro Settimo. Il Comune ci chiede di ‘animare’ il Carnevale. Quella volta però eravamo abbastanza grandi da pretendere di entrare a gamba tesa proprio sul momento della festa. Abbandonammo al suo mesto destino il corteo, tenete conto che all’epoca i carri non avevano impianti di amplificazione, quindi sfilavano con la banda musicale in testa, che al terzo carro non si sentiva già più. Noi concentrammo tutto all’arrivo dei carri in piazza, quando la gente si affollava senza sapere cosa fare. Montammo quattro casse Bose che diffondevano musica. Allestimmo un tetto di strisce di plastica bianca che copriva la piazza, ma la cosa più importante era che, nel momento di massima concentrazione di pubblico, incuriosito dalla copertura bianca, dalla terrazza della scuola cominciammo a lanciare grandi palloni sonda. Noi, dal terrazzo, vedevamo tutto dall’alto, e quello che vedevamo erano masse che si spostavano per far volare i palloni producendo una danza pazzesca. Era festa. Durò una ventina di minuti, finché tutti i palloni furono scoppiati, ma l’allegria collettiva che avevano provocato surclassava, e rimediava, tutto il resto della giornata. La cosa che aveva fatto la festa era quel muoversi insieme per tenere in volo i palloni. I genitori che abbandonavano i bambini e poi tornavano a cercarli, quelli se li prendevano in spalla per arrivare prima a toccare, gli anziani che si spostavano ai margini per non essere travolti, ma invece di protestare battevano le mani sul ritmo di One step beyond dei Madness. A vedere tutto questo dall’alto ci si rendeva conto dello scatenamento che avevamo provocato. Avevamo anche paura che la folla in movimento finisse per calpestare qualche bambino. Era rischioso. Ma era una cosa diversa dalla violenza con cui bande di ragazzini battevano la città in cerca di ragazze da picchiare con le clave di plastica colorata. Era, appunto, rischio, componente irrinunciabile della festa, non violenza che è degenerazione della festa. Anche in quel caso la festa era stata la preparazione, la ‘novena’, celebrazione della fondazione dell’impresa, il Laboratorio Teatro Settimo, che ci avrebbe dato vita per vent’anni. Lo scatenamento della piazza ne era solo la logica conseguenza.

Fig. 1 | Festa per la nuova 500, luglio 2007.

E qui dovrei parlare della dimensione celebrativa della festa. In tutti i siti Internet che definiscono la parola “Festa” c’è anche la parola “solenne”, perché le feste hanno a che fare con l’essere comunità, sanciscono l’esistenza di “società”. Ci arriverò, ma prima voglio passare per un’altra dimensione della festa: un capodanno di metà anni settanta. I miei genitori avevano una casa al mare, ce la concessero in esclusiva. Eravamo una dozzina di quasi ventenni. Anche qui la preparazione della festa aveva comportato discussioni, fratture e riconciliazioni: chi viene e chi non viene, chi ha la macchina, chi dovrà andare in treno, chi fa la spesa per il cenone, quanto si mette a testa?… Tutto molto appassionante. Mentre si preparava il cibo ci ritrovammo a chiacchierare nella cucina, che era molto grande. Per chissà quale motivo, invece delle solite sciocchezze ci si ritrovò a confessarsi aspettative per il futuro, sentimenti reciproci, parole che non ci eravamo mai dette. Il programma prevedeva il cenone e poi, a mezzanotte, i fuochi artificiali sul mare. Invece continuammo a parlarci, a ridere e a piangere finché sentimmo i botti: era già passata la mezzanotte, e nessuno se n’era accorto. Una delle feste più belle della mia vita, perché quella notte eravamo veramente ‘noi’. E poi non avevamo fatto niente di quello che avevamo previsto. Perché le feste vere sono imprevedibili. Si immagina, si progetta, si prepara tutto, e invece la festa esplode, o, come in questo caso: implode, in un altro modo.

Ho già detto che poi racconterò anche una grande festa collettiva, che ha coinvolto un’intera città. Ma la festa può anche essere solitaria, intima, personale. Io sono nato nel 1955, praticamente nel cuore della generazione boomers. Noi boomers, da baby, eravamo tantissimi. Una mattina andai al distretto, convinto che sarei partito militare, per chiedere quando. Mi dissero che ero in soprannumero, nel mio contingente eravamo troppi e io sarei rimasto a casa. Oggi, che il servizio militare non è più obbligatorio, è difficile capire la felicità che poteva metterti addosso una notizia del genere, voleva dire un anno e mezzo di vita in regalo, così, improvvisamente e gratis. Erano le dieci di mattina e avevo bisogno di fare festa subito. Era un’emozione troppo grande da contenere. Ma la mia ragazza, i miei amici erano a scuola o al lavoro. Non c’erano gli smartphone. Cosa potevo fare? Era uscito da poco Reggatta de blanc dei Police, andai a comprarmi la cassetta, la infilai nell’autoradio, mio padre mi aveva prestato la macchina per andare al distretto, una Fulvia blu che adorava. Raggiunsi la tangenziale lanciai la musica a palla e l’auto fino ai 200 all’ora: una festa pazzesca! Non durò molto, ma anche questa me la ricordo più di quarant’anni dopo. Perché per un imprevisto che ti cambia la vita ci vuole la festa. Anche se sei solo. Perché per le feste ci vogliono ragioni potenti, roba che ti cambia la vita.

Peccato non esserci stati il 25 aprile del ’45. Quando finisce la guerra è festa per un paese intero, festa nazionale. Però è anche una bella botta di fortuna aver vissuto settantacinque anni di pace. Dove troviamo adesso ragioni per fare festa, ma festa davvero, proprio come comunità?

A luglio del 2007 è stata presentata la nuova 500, figlia o nipote della superutilitaria che dal 1957 ha accompagnato la vita di tanti italiani. La FIAT vuole mettere in scena un grande spettacolo per il lancio della nuova 500. Proponiamo di farlo sul Po, naturalmente a Torino. Lo spettacolo sarà la costruzione di un nuovo ponte sul fiume della città, perché la 500 è l’auto di tutti, poveri e ricchi, giovani e vecchi, uomini e donne, è un ponte che unisce le differenze. Il lavoro di progettazione comincia molti mesi prima, poi parte la preparazione. Vivere sul fiume nelle settimane di allestimento fu di per sé una festa. Avevamo previsto una gradinata da cinquemila posti proprio davanti al ponte che sarebbe apparso durante lo spettacolo. Ma si poteva vedere bene tutto anche dalle sponde del fiume, calcolavamo quindi che potessero assistere alla festa anche trentamila persone. La ragione per cui avevo deciso di curare la regia di un evento commerciale, perché di questo in fin dei conti si trattava, erano diverse. Intanto la 500 non è un’auto qualunque, basti ricordare che era piccolissima ma aveva i sedili ribaltabili, di conseguenza era stato il luogo della rivoluzione sessuale per generazioni di ragazze e ragazzi. Poi era la macchinetta che potevano permettersi anche i poveracci, insomma era il simbolo della rinascita dopo il ventennio fascista, l’immagine del boom demografico ed economico. Era Qualcosa che apparteneva profondamente alla memoria della città. Infatti nessuno capiva, a Torino, perché avessero smesso di farla, la 500. Anche se si sospettava che la FIAT avesse smesso di essere fabbrica, di produrre, per mettersi a fare finanza. Ma finalmente era arrivato un amministratore delegato che sembrava avere tutte le intenzioni di tornare a fabbricare auto. E la nuova 500 ne era la prova. Provare lo spettacolo sul fiume significava avere pubblico tutti i giorni e anche la sera e la notte. Il lavoro era febbrile. E giorno dopo giorno ci rendevamo conto che la città aspettava lo spettacolo perché significava rinascita della città che avrebbe ritrovato il proprio ruolo nella geografia della nazione e anche del mondo. Poi le cose non andarono proprio così, ma insomma, in quei giorni tutti noi torinesi volevamo che andassero così.

A un certo punto, pochi giorni prima dello spettacolo, ci rendemmo conto che le persone che sarebbero venute a celebrare il lancio della 500 sarebbero state molte più di trentamila. L’idea fu: grandi schermi in piazza Vittorio, in piazza Castello e in piazza San Carlo, che riportassero quello che accadeva sul fiume. Dicevo all’inizio che per qualcuno, la festa è progettazione, allestimento, attesa, speranza. La sera dello spettacolo il regista non ha altro da fare che sperare che tutto funzioni come previsto. Verso le 19, inusuale per Torino, specie a luglio, si alzò un vento che portò dove voleva il pallone aerostatico che riproduceva perfettamente la 500 facendola volare, Lauryn Hill, che doveva cantare in playback sulla chiatta che andava a formare il ponte non volle saperne e si dovette provvedere perché potesse cantare dal vivo, il vigile del fuoco che avrebbe dovuto tuffarsi armoniosamente nel Po si buttò a bomba trasformando quello che avevamo pensato come un momento poetico in una scena comicissima… insomma lo spettacolo fu pieno d’imprevisti ma proprio questo contribuì a trasformare il tutto in festa. Arrivarono non trentamila ma più di trecentomila persone. I più non videro assolutamente nulla dello spettacolo. Tra loro c’era anche il figlio di quella coppia di miei amici, che ormai era adolescente e giorni dopo mi raccontò che, con i suoi amici, avevano scorrazzato tutta le sera tra la folla, naturalmente non erano neanche riusciti ad avvicinarsi alla gradinata, nonostante gli avessi procurato i biglietti, allora si erano spostati di piazza in piazza per vedere lo spettacolo sui ledwall, ma anche lì era una confusione. E mentre mi raccontava la serata di follia rideva. Alla fine mi ha ringraziato e ha concluso dicendo: che figata avete fatto!

Fig. 2 | Festa per la nuova 500, luglio 2007.

Ecco, quella era la festa. È la cosa che più si avvicina alla definizione che la Treccani dà di questa parola: “giorno o periodo di tempo destinato a una solennità, al culto religioso, a celebrazioni patriottiche o d’altro genere. Momento di aggregazione, durante il quale si recupera il senso di appartenenza a una comunità, la f. è spesso anche una temporanea sospensione dell’ordine che regola la società”.

English abstract

The author reflects on his experiences with parties and how they can be both exciting and disappointing. He remembers how as a child, a friend was afraid of singing "tanti auguri a te" and would cry during birthday celebrations. The author also confesses that he, himself, has ruined his fair share of parties, which is ironic given his profession. He references the film Vatel, which tells the story of Francois Vatel, the event planner for the Prince of Condé. The author reflects on how parties can be a source of hope and excitement, but he finds them to be disappointing, especially during Carnevale, where he notes the focus has shifted to Halloween. He discusses his own experiences with creating a float for Carnevale with his friends from the parish and the excitement of the preparation process, which was ultimately more fun than the actual parade. He also describes his work with the Laboratorio Teatro Settimo and how they aimed to liven up the Carnevale festivities in their town, but found that it was more fun to concentrate their efforts at the main event.*

*The English abstract above was written by ChatGPT and strictly unedited by the editors of this issue (> Editoriale). This sentence itself was automatically translated with DeepL.

keywords | Parties; Festivals; Planning; Memories; Celebrations; FIAT.

Per citare questo articolo / To cite this article: G. Vacis, Cos’è che fa una festa? Feste nazionali e feste individuali. ”La rivista di Engramma” n.200, vol.2, marzo 2023, pp. 331-336 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.200.0035