"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

199 | febbraio 2023

97888948401

Interrogare i simboli

Presentazione di: M. Ghelardi, Aby Warburg, uno spazio per il pensiero, Roma 2022

a cura del Seminario Mnemosyne

Aby Warburg, uno spazio per il pensiero raccoglie undici saggi che ripercorrono alcuni dei principali temi di ricerca che Warburg – in modo più o meno compiuto – ha affrontato nella sua opera. Una semina resa proficua da Maurizio Ghelardi che attinge alla fonte degli scritti editi, ma soprattutto inediti, dello studioso. Una raccolta di contributi che incorpora in sé lo spirito della “logica associativa” e della “fisica del pensiero” di Warburg, pone interrogativi diversi e ‘scomoda’ diverse discipline perché:

Warburg non ha mai inteso dar vita a una disciplina specifica, ma ha cercato di ripercorrere, muovendo dai risultati che gli offrivano la psicologia, l’antropologia, la filosofia e la linguistica del tempo, l’evoluzione dei meccanismi fondamentali dell’espressione umana che aveva condotto la cultura dall’antropomorfismo al pensiero simbolico (Ghelardi 2022, 10).

Tutto il volume è permeato dal tentativo di definizione di ‘pensiero simbolico’, in virtù del quale Warburg “non rimuove i simboli per individuare un nucleo sepolto di verità che è stato dimenticato o rimosso, ma interroga i simboli riguardo a ciò che essi hanno comunicato”. Alcuni capitoli di questo libro derivano dalla rielaborazione di appunti e scritti già pubblicati, tra i quali il testo di introduzione al volume Astrologica. Saggi e appunti 1908-1929 (la fondamentale raccolta di scritti di Warburg per i “Millenni” Einaudi, curata da Ghelardi nel 2019); Una torretta girevole corazzata in terra straniera. A. Warburg per Firenze (“Belfagor” 6, 1998, 649-662); Edgar Wind, Percy Schramm e il Warburg-Kreis. Sui concetti di NachlebenRenovatioCorrectio (“La Rivista di Engramma” 176, 2020, 13-42). Per concessione dell’autore e dell’editore, pubblichiamo qui un paragrafo dall’Introduzione e il Sommario del volume.

Sommario

Introduzione
1. La ricerca di una fisica per il pensiero
2. Aby Warburg: il pathos del vincitore e la lotta per lo stile
3. Magia bianca: Aby Warburg e l’astrologia
4. Per monstra ad sphaeram!
5. Giordano Bruno martire dell’eliotropismo
6. Aby Warburg, Francesco Sassetti
7. Aby Warburg e Jacob Burckhardt
8. L’umano senza umanesimo: Warburg e Nietzsche
9. Karl Giehlow e Aby Warburg
10. Sopravvivenza (Nachleben), renovatio, correctio dell’Antico
11. Rembrandt, l’Antico e la rappresentazione del patto sociale

Introduzione

I saggi raccolti in Aby Warburg, uno spazio per il pensiero, composti in momenti diversi, talvolta distanti nel tempo, rappresentano dei sondaggi nel vasto e variegato corpus della ricerca warburghiana, la cui riflessione è simile alla rete tessuta da un ragno, una rete che si stende in modo difforme, irradiando la fitta trama del suo pensiero. L’intento è di ripercorrere alcuni momenti salienti della riflessione di Warburg, soprattutto riguardo ad autori e temi che finora non sono stati sufficientemente indagati, cercando così di gettare nuova luce su un autore la cui riflessione comporta continui ripensamenti, anche alla luce del materiale inedito conservato. D’altronde Warburg ha sempre frantumato e metabolizzato tutto quello che gli si era fatto incontro: filosofia, storia dell’arte, principio di causalità e di individuazione, origine del linguaggio… La sua ‘vocazione’ è stata di ampliare e amplificare la vita psicologica umana attraverso un metodo che lui stesso ha definito psicostorico, indagando aspetti e figure fondamentali dell’espressione e dell’esistenza umane attraverso la ‘variabile’ che intercorre tra l’esperienza figurativa e il linguaggio parlato.

Pensata in tale prospettiva, questa raccolta cerca di riannodare alcuni fili della ricerca di Warburg, soprattutto di disancorarla dall’idea che egli si sia occupato eminentemente di storiografia artistica e di iconologia. L’identificazione di modelli letterari e plastici non è mai per Warburg una conferma del principio poetico dell’imitazione, ma un tentativo di penetrare nel senso interno di un’opera a partire dalle fonti e dalla loro utilizzazione. Non solo. Anche l’eredità dell’Antico si presenta come la declinazione storica di un problema costitutivo della percezione e dell’espressione umane. D’altra parte Warburg non è stato certo il primo ad affrontare tale questione. Tutti i periodi storici si sono confrontati con la ‘rinascita’ e la sopravvivenza del passato, e neppure il Rinascimento ha esaurito tale problema. L’Antico resta per Warburg una guida, un indicatore, uno strumento per rivelare la duplicità e tragicità della cultura europea, una duplicità e tragicità che si rispecchiano continuamente in quello che è il continuo ruminare del suo pensiero e del senso della sua esistenza.

Sarebbe sufficiente leggere con maggior acribia e attenzione i suoi scritti editi e inediti, il Nachlaß e, almeno in parte, la sua vastissima corrispondenza e i suoi taccuini per comprendere che Warburg non ha mai inteso dar vita a una disciplina specifica, ma ha cercato di ripercorrere, muovendo dai risultati che gli offrivano la psicologia, l’antropologia, la filosofia e la linguistica del tempo, l’evoluzione dei meccanismi fondamentali dell’espressione umana che aveva condotto la cultura dall’antropomorfismo al pensiero simbolico. In tale cornice il linguaggio dell’arte figurativa era inevitabilmente destinato ad assumere un ruolo preminente, in quanto ambito intermedio tra religione e scienza, fobia antropomorfa e linguaggio simbolico. Né l’uomo gli era mai apparso in “fuga dalle idee”. Anzi, Warburg ha più volte espresso apertamente, talvolta con ironia, talvolta con rabbiosa passione, e non senza un riferimento autobiografico, la sua insofferenza verso ogni forma di decadente estetismo e delle rigide distinzioni, definite come “i mostruosi guardiani dei confini” (Warburg 2019, 432).

Warburg scriveva spesso su fogli e foglietti sparsi, oppure su taccuini ove registrava ogni evento privato e scientifico, procedendo senza seguire un piano apparentemente preciso, mescolando dati personali e riflessioni teoriche e storiche. Il materiale giunto fino a noi, e in mezzo al quale finiamo per aggirarci in modo rabdomantico, appare spesso caotico, informe, costituito da elementi etereogenei, talvolta contraddittori, e solo in parte riconducibile agli scritti che egli ha pubblicato in vita. La sensazione è quella di avere di fronte un insieme di fili attaccati alla barrra di un telaio. Può così accadere che all’interno di una pagina o di un testo più o meno abbozzati si abbia l’impressione di trovarsi di fronte a una cometa, a un nucleo forte e alla sua coda dispersa in un pulviscolo di densità variabile, ove circolano e si richiamano altri testi e altri temi sorti dalla combinatoria di riflessioni, schemi, elenchi di immagini che, a loro volta, appaiono come il residuo di un ordine che in seguito è stato travolto da una sorta di deriva inerziale. Quando ci si addentra in questo laboratorio vivente si cammina su un pavimento mobile sotto il quale si avvertono quelle che Warburg riteneva fossero le forze costitutive della civiltà umana. La sua evoluzione intellettuale non può essere ridotta infatti a una sorta di récolté, e il senso della sua produzione non può sorgere da una provvisoria e malcerta incollatura di testi, idee, frammenti, abbozzi, schemi. Neppure può essere ordinata per temi rigidi, poiché essa segue e applica una logica associativa che mira a dilatare continuamente il pensiero e la percezione della realtà. Parafrasando un detto di Archiloco ripreso da Isaiah Berlin (Berlin 1986), Warburg non era solo una volpe che sapeva molte cose e usava continuamente la sua mente per sondare i pozzi della cultura. Ma era anche un riccio che perseguiva un’unica, grande idea. Essa consisteva nel cercare di formulare un linguaggio figurativo, che egli faceva dipendere in ultima istanza da un presupposto psichico e biologico, e di costruire una grammatica figurativa, i cui presupposti pensava risiedessero nel rapporto tra linguaggio ed espressione, tra simbolo e pathos. Così nelle parole egli cercava di concentrare l’energia che si trovava racchiusa nel gesto figurato, nell’intreccio tra singolarità e universalità. Quest’ultima caratteristica spiega l’uso che egli fa della lingua tedesca, che spesso forza e ricrea sintatticamente, poiché la descrizione deve emergere dal dettaglio, e la visibilità di ciò che piccolo, apparentemente marginale deve essere leggibile in una forma verbale o preverbale. Talvolta negli appunti si assiste così a una ripresa incessante di alcune parole, in quanto strumenti che devono essere perfezionati o dilatati continuamente nel loro effetto e nella loro estensione. Questo modo di trattare le parole è per Warburg strettamente funzionale alla definizione incessante dei problemi che egli si pone.

Il suo patrimonio linguistico copre così come un’ombra il campo delle sue indagini, giacché le sue domande lo costringono ad adattare le sue espressioni a campi sempre nuovi guidandolo al perfezionamento dei suoi strumenti linguistici.

Si comprende dunque perché egli intendesse il mutamento dello stile a partire dai dettagli, da elementi che sembrano subentrare marginalmente all’interno delle composizioni, in modo del tutto simile alle varianti filologiche. Nella loro relazione le fonti scritte e le opere visive si presentano infatti nella loro tensione polare, e ciò spiega la selezione e l’aggregazione del materiale storico-psichico del passato (dolore, malinconia, morte…) in relazione al linguaggio delle arti figurative. Anche se il tentativo di catturare il riflesso di un evento o di una situazione, di dare un senso all’orientamento nel mondo da parte dell’uomo non produce necessariamente un’immagine: può essere un motivo letterario, un racconto di fate, una leggenda, una figura mitologica che le incrostazioni del tempo hanno dotato di un messaggio, un rito sociale, religioso o politico, un semplice gesto, una metafora o una iscrizione. L’immagine è un Werkzeug, cioè uno strumento, un mezzo per espandere la funzione conoscitiva dell’individuo al di là del perimetro del suo organismo.

Una delle esperienze fondamentali nella formazione di Warburg è costituita dalla psicologia che, sulle tracce di Wilhelm Wundt e attraverso la mediazione dell’insegnamento di Hermann Ebbinghaus e di August Schmarsow, è concepita come etnologia. Wundt muove dai problemi più semplici della vita psichica, che nascondono le manifestazioni della percezione sensoriale, attraverso i metodi sperimentali della psicologia. La relazione tra fisiologia e psicologia si propone di comprendere come la trasformazione delle sensazioni e delle percezioni può gettar luce sui processi più complessi della vita mentale. Ne è esempio il gesto, concepito come radice emotiva del linguaggio. Il gesto è simile alla parola, soggetto a mutamento di significato attraverso cui si conforma al pensiero. Esso diventa simbolo o geroglifico giacché è uno strumento della comunicazione umana prodotto dalle emozioni espressive (Wundt 1900, 143 ss.). I simboli sono forme semplici di associazione, rispondono cioè a quella logica associativa che Warburg utilizzerà nei suoi progetti come Mnemosyne e soprattutto nelle sue conferenze pubbliche.

Altro aspetto finora mai considerato è l’influenza che su Warburg aveva avuto la filosofia di Kant riguardo al rapporto tra le rappresentazioni e le sorgenti di conoscenza (Kant [1787] 1967, 280). Warburg aveva dedicato a Kant un seminario, tuttora inedito, nel novembre del 1889. Dal breve schema conservato emerge come le singole opere d’arte non siano mai intese come semplici dati naturalisticamente spiegabili, bensì soluzioni prodotte da un pensiero finalistico, da una finalità immersa nella problematica strutturale dello stile. L’interpretazione degli oggetti deve trovare una propria funzione tra la rilevazione fattuale e la categorizzazione astratta, in quella che Warburg definirà “teoria dei tipi”. Non solo. Warburg sottolinea come per Kant sia fondamentale la congiunzione tra diversi momenti dell’attività spirituale.

Ma la formazione di Warburg non si era certo esaurita nella metabolizzazione della psicologia sperimentale e della filosofia.

Warburg era cresciuto anche all’ombra della scuola dell’archeologia classica tedesca e aveva saputo metabolizzare aspetti della cultura greca che gli sembravano in forte sintonia con la sensibilità del tempo. Anzitutto il principio che le arti visive costituiscono un veicolo espressivo che incarna la scala delle espressioni emotive. E poi: il concetto greco di rhythmos, che struttura periodicamente il movimento, indica l’ordine della rappresentazione delle emozioni intese nel loro significato cognitivo. Di qui il rapporto tra danza, musica, movimento e gesto (AWO 2, 348), dato che nell’intervallo tra ogni passo del danzatore i Greci avevano saputo cogliere anche un momentaneo arresto, una sorta di fotogramma, e dedurre da un singolo rhythmos l’intera natura del movimento. Questa concezione greca era apparsa a Warburg in sintonia con le idee di August Schmarsow sul movimento e sullo spazio, e al contempo aveva segnato la sua distanza dal Classicismo. Non a caso muovendo da tali presupposti, Warburg aveva cercato di analizzare negli affreschi di Masaccio e Ghirlandaio il carattere cinetico e la direzione potenziale di talune figure, confrontandosi criticamente fin dall’inizio con la distinzione tra poesia e arte figurativa posta da Lessing (Warburg [1889] 2013). Queste idee erano state sollecitate anche dalla lettura di Friedrich Nietzsche (Günther 2008, Ghelardi 2021, V ss.).

Un ulteriore elemento cardine della ricerca warburghiana è l’idea di cultura che, sulle orme di Burckhardt e di Nietzsche, Warburg concepisce come il complesso di manifestazioni dello spirito umano, come un concetto aperto alle suggestioni dalla nascente antropologia. Warburg relaziona strettamente l’idea di cultura a quella che definisce come il carattere essenzialmente psicostorico della sua ricerca (Warburg 2021, 221 ss.). Con ciò egli intende mostrare come la comparsa di ogni nuova credenza si accompagna, come nel caso del Rinascimento, a una nuova disposizione psichica, a un nuovo universo psichico che segna un progresso nella vita dello spirito. Perciò egli non cerca una presunta verità storica, bensì il suo valore simbolico; non rimuove i simboli per individuare un nucleo sepolto di verità che è stato dimenticato o rimosso, ma interroga i simboli riguardo a ciò che essi hanno comunicato. Sotto questa luce si comprende il suo apprezzamento per l’opera di Thomas Carlyle nel Sartor Resartus (Warburg 2021, 84, 181, 512; cfr. Warburg 2011). La cultura implica infatti sempre la valutazione della consistenza e del peso degli ‘abiti’ che gli uomini indossano per affrontare il mondo, giacché essi non nascondono l’uomo, neppure si limitano a completarne e a perfezionarne la figura, ma coniano quella variegata realtà che sono gli esseri umani nelle loro differenze culturali (Geertz [1973] 1988, 71-107):

L’uomo non è solo un animale manipolatore (Carlyle, Sartor Resartus), ma anche un animale che “indossa” (Carlyle 1836, cap. 5).

In particolare, la decorazione delle vesti, il loro panneggio è per Warburg l’indice dinamico che mostra l’adattamento della persona che lo indossa all’obiettivo perseguito. Di qui discendono le sue osservazioni sul movimento, la direzione, la spazialità, effettiva e potenziale, delle figure rappresentate ad esempio da Masaccio e da Ghirlandaio (Warburg 2021, 59). D’altro canto, l’essere umano non è una struttura che si ritrova intatta in ogni tempo e luogo, ma coincide con la pluralità delle forme particolari attraverso cui gli uomini realizzano di volta in volta il loro orientarsi nel mondo (Remotti 2011, 16). E la cultura non interviene quando lo sviluppo organico si è compiuto, ma si innesta direttamente nell’evoluzione organica, in quanto sua componente imprescindibile (Remotti 2011, 17).

Nelle ricerche sulla cultura figurativa degli indiani Hopi, così come nella caratterizzazione della psicologia dell’individuo rinascimentale, Warburg ha cercato di mostrare come la cultura, intesa nella sua vasta accezione, consista nell’affidare a un sistema simbolico, che può essere variamente sviluppato e complesso, il controllo del comportamento umano e quello della realtà esterna. Concepire la cultura come insieme di simboli implica rigettare l’idea che l’uomo sia un essere naturale che acquisisce o produce solo in un secondo tempo la sua seconda natura. Come non esiste l’uomo ‘naturale’ che poi inventa, scopre o produce cultura, così non vi è neppure l’individuo che in modo isolato entra successivamente nella società. Il comportamento culturale dell’uomo è sempre mediato dall’uso dei simboli. Perciò Warburg concepisce la capacità simbolica come un fatto originario della cultura umana. Si potrebbe dire che il corpo della cultura consiste nella sostanza simbolica partecipata, “in un sistema regolato di significati e di simboli” (Geertz 2015, 87), e che l’arte è in fondo per Warburg una sorta di enigma antropologico.

Anche la sua celebre Biblioteca non è una struttura statica, ma un pensiero materializzato: è un’“impresa”, e allo stesso tempo una sorta di espansione del suo Io, la sua oggettivazione fisica e mentale. Risponde al presupposto che la scienza è una funzione unitaria, le cui forze dipendono dalla struttura dei suoi organi e dei suoi strumenti. Il libro è allo stesso tempo strumento e organo. La funzione della Biblioteca è pensata come sede per l’apprendimento dei processi di scambio tra le culture del passato e del presente, in particolare dell’interscambio e allo stesso tempo della polarità tra Nord e Sud:

La forma non è un ideale immutabile, bensì l’indice di una trasformazione di quella energia migratoria di motivi, dei traffici e degli scambi artistici e culturali, nel loro intreccio e nei lori reciproci rimandi (Lescourret 2013, 11).

Significativo in tal senso è un passo della lettera inviata a Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff il 24 aprile 1924:

La meraviglia di fronte al miracolo della creazione dello spazio del pensiero e l’imbarazzo di fronte allo scempio quotidiano della distruzione di spazio nell’epoca a noi soprastante della trasformazione delle forze, in cui è possibile, a ogni scellerato manipolatore che lo voglia, apporre il terminale radio al corpo eterico dell’eterno Zeus, ha ampliato il tema delle ricerche a cui deve servire la Biblioteca. Oltre alla rivitalizzazione dell’antichità fino a includere la questione sulla funzione del simbolo nel ritmo della storia della cultura. Si può comprendere ciò che chiamiamo simbolo come una funzione della memoria sociale? Qui si origina l’accensione – inibitoria o stimolante – che produce, a metà tra la kinesis istintuale-passionale e la theoria ordinatrice cosmologica, la coscienza e la volontà di una sophrosyne equilibratrice come suprema forza culturale (pubblicata in “aut aut” 321-322, 2004, 23-24, traduzione leggermente modificata).

Il 29 maggio 1929 Fritz Saxl scrive a Warburg, che in quel momento si trova a Napoli, una lunga lettera:

Avevo iniziato a riflettere [sul Vostro sviluppo intellettuale] a partire dall’inizio, e mi è risultato chiaro che sarebbe stato fantastico esporre l’intera Vostra evoluzione partendo […] dal fatto che siete stato un vero discepolo dell’umanesimo di Lessing e che la Vostra esperienza originaria risale al significato del Laocoonte, cioè all’interpretazione di un’antica formulazione di pathos. Non è stato l’Antico in generale la Vostra esperienza originaria […] ma l’interpretazione di un fenomeno espressivo dell’opera figurativa […] cioè il legame tra parola e immagine. Da qui si arriva direttamente a Dürer (Orfeo). Ma allo stesso tempo erano subentrati tre aspetti. Anzitutto la questione della nuova storia dell’arte, del tutto assente in Lessing […] inoltre lo studio della filosofia, vale a dire il ritorno di un problema, cioè il rapporto tra l’antica formulazione di pathos e il simbolo in generale. Infine, il legame con l’America, vale a dire l’inserimento del simbolo cultuale nel simbolo artistico […] la migrazione e la trasformazione dei simboli rinascimentali verso il Nord, in una parola la questione della carta geografica della migrazione costituisce la conclusione della Vostra riflessione (McEwan 2004, 203).

Saxl ricorda poi gli autori che erano stati importanti per Warburg: Nietzsche, Burckhardt, Usener, Boll, Schmarsow e Cassirer.

Warburg non risponderà mai, e pochi giorni prima di morire annoterà, non senza una certa amarezza, in quale misura egli avesse perseguito un’etica della conoscenza:

Alla fine della mia esistenza dovrò quindi pensare che ho potuto aiutare tutti più di me stesso (Warburg 2001, 545).

La collocazione storica di Warburg, così come quella di Burckhardt e Nietzsche, può tuttora apparire ad alcuni eccentrica, una sorta di anticlassicismo di matrice romantica che non ha avuto effetti visibili e non ha dato vita a una disciplina specifica. Per altri, Warburg sembra essere diventato una sorta di totem che viene ripetutamente citato nonostante sia poco letto.

L’eredità di Warburg costituisce un patrimonio che, pur nella sua apparente diversità di accenti, impostazioni e linguaggi, ha tessuto e delineato la filigrana di un sapere che non risiede essenzialmente in un metodo applicato a un oggetto inerte poiché ci spinge a studiare il passato:

Tra la storia dell’arte e lo studio delle religioni si stende ancora un territorio incolto, ricoperto da sterili frasi. L’auspicio è che menti lucide e dotte, alle quali sarà concesso di giungere più lontano di quanto non sia riuscito all’autore […] possano incontrarsi a un comune tavolo di lavoro all’interno di un laboratorio di una storia delle immagini intesa come parte di una più generale storia della cultura (Warburg 2019, 272).

Riferimenti bibliografici
  • AWO 2
    A. Warburg, Opere, a cura di M. Ghelardi, vol. 2, 1917-1929, Torino 2007.
  • Warburg [1889] 2013
    A. Warburg, Entwurf zu einer Kritik des Laokoon an der Kunst des Quattrocento in Florenz, hrsg. von M. Ghelardi, “Cassirer Studies” V-VI, 2012-2013, 17-27.
  • Warburg 2001
    A. Warburg, Tagebuch der Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg, hrsg. von K. Michels und Ch. Schoell-Glass, Berlin 2001.
  • Warburg 2011
    A. Warburg, Grundlegende Bruchstücke zu einer pragmatischen Ausdruckskunde / Frammenti sull’espressione, hrsg. von S. Müller, Pisa 2011. 
  • Warburg 2019
    A. Warburg, Astrologica, a cura di M. Ghelardi, Torino 2019.
  • Warburg 2021
    A. Warburg, Fra antropologia e storia dell’arte, a cura di M. Ghelardi, Torino 2021.
  • Berlin 1986
    I. Berlin, Il riccio e la volpe e altri saggi, Milano 1986.
  • Carlyle 1836
    T. Carlyle, Sartor Resartus (1833-34), Boston 1836.
  • Geertz [1973] 1988
    C. Geertz, Interpretazione di culture, Bologna 1988.
  • Ghelardi 2021
    M. Ghelardi, Einleitung zu Friedrich Nietzsche und die “Griechische Culturgeschichte” von Jacob Burckhardt (Mitschrift von Louis Kelterborn), Firenze 2021.
  • Günther 2008
    F. Günther, Rhythmus beim frühen Nietzsche, Berlin 2008.
  • Kant [1787] 1967
    I. Kant, Critica della ragion pura, Torino 1967.
  • Lescourret 2013
    M.A. Lescourret, Aby Warburg ou la tentation du regard, Paris 2013. 
  • McEwan 2004
    D. McEwan, “Wanderstrassen der Kultur”. Die Aby Warburg-Fritz Saxl Korrespondenz, 1920 bis 1929, Hamburg 2004.
  • Remotti 2011
    F. Remotti, Cultura, ora in Cultura. Dalla complessità all’impoverimento, Bari 2011.
  • Wundt 1900
    W. Wundt, Völkerpsychologie, Leipzig 1900. 
English abstract

We publish here the Introduction from Maurizio Ghelardi’s new book, Aby Warburg, uno spazio per il pensiero. The volume is a collection of essays by Maurizio Ghelardi that represent an investigation into the vast and variegated corpus of Warburg's research, whose thinking spreads out in different ways, “radiating the dense web of his thought”. Thus, Ghelardi's essays collected in this volumee emphasises the need to continue research into Warburg vast unpublished materials.

keywords | Aby Warburg; Jacob Burckhardt; Friedrich Nietzsche; Denkraum; Philosophy.

Per citare questo articolo / To cite this article: Seminario Mnemosyne, Interrogare i simboli. Presentazione di: M. Ghelardi, Aby Warburg, uno spazio per il pensiero, Roma 2022, “La Rivista di Engramma” n. 199, febbraio 2023, pp. 195-205 | PDF of the article 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.199.0014