"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

12 | novembre 2001

9788894840100

Iter per labyrinthum

Saggio interpretativo di Mnemosyne Atlas, Tavole A, B, C

a cura del Seminario Mnemosyne, coordinato da Monica Centanni e Katia Mazzucco, con la collaborazione di Sara Agnoletto, Maria Bergamo, Lorenzo Bonoldi, Giulia Bordignon, Claudia Daniotti, Giovanna Pasini, Alessandra Pedersoli, Linda Selmin, Daniela Sacco, Valentina Sinico

English abstract 

Lettura aggiornata di A, B, C (marzo 2015)

L’apertura tematica e l’architettura dell’Atlante

      

In questo numero di Engramma non presentiamo l’analisi di una tavola di Mnemosyne, ma una rielaborazione del materiale documentario che compone l’Atlante a partire dalla lettura comparata dei primi tre pannelli (A, B, C).

Le immagini, che come fantasmi sono richiamate e attratte dalle associazioni create in ogni tavola (magnetismo che rintraccia ‘arie di famiglia’ di natura geografica, cronologica, estetica), non solo esuberano dall’Atlante (come negli esempi delle innumerevoli impronte impresse dal pathos del cordoglio: v. la ‘Tavola fantasma’ evocata dalla tavola 42, proposta in La Rivista di Engramma 6, febbraio 2001) – ma sono annidate anche in esso. Le “storie di fantasmi per adulti”, che Warburg voleva narrare – attivare – attraverso la sua ultima opera, si rivelano anche un gioco interattivo di infinite possibilità combinatorie delle tracce e delle orme della memoria.

Durante la fase finale di elaborazione dell’Atlante come vera e propria opera, enucleatasi nell’ambito delle attività espositive della Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg, i pannelli subirono una serie di modifiche mirate a complicare i percorsi semantici dei montaggi fotografici creati fino ad allora. Alcuni motivi, inizialmente rappresentati su tavole singole specificamente dedicate a quei temi, furono dispersi e le singole immagini, o gruppi di esse, vennero inserite all’interno di nuovi assemblaggi di opere.

La struttura compositiva di Mnemosyne acquisiva in questo modo una fitta rete di rimandi a distanza che andavano a tracciare una trama sotterranea e trasversale alla sequenza dei pannelli, e aprivano possibilità di sfondamento tra essi (su questa stessa traccia ha svolto la sua interessante argomentazione Claudia Cieri Via, nell’intervento al Congresso Le forme del pensiero attraverso le immagini, Roma, novembre 2001).

Questa duplice possibilità di lettura – di tavola in tavola o attraverso le tavole – riflette un processo spontaneo di orientamento all’interno di un’opera tanto complessa – ma non esoterica, come spesso si è ripetuto (cfr. soprattutto la lettura dell’Atlante non come opus infectum ma come nullum opus proposta da Ernst Gombrich).

Dopo un approccio sequenziale ai pannelli, e quindi la visione globale dell’opera, la mente concretizza, in un processo automatico di associazione, i nessi disseminati tra le immagini appuntate sulle tavole – e in qualche maniera già annunciati nelle prime tre A, B e C, siglate con lettere e non con numeri, a differenza delle altre tavole – attraversando i punti di connessione nevralgica, i “pori nervosi” (Poros, passaggio ed espediente, genitore di Eros nel Simposio platonico e nel commento ficiniano al Simposio) di cui la materia plastica di Mnemosyne è composta.

Il percorso di ricomposizione di una certa ‘famiglia’ di immagini, rappresenta un’inversione dei processi compiuti da Warburg nell’ultima fase di realizzazione dell’Atlante, ma non un avvilimento della densità semantica, né tanto meno la costruzione di una sequenza iconografica ‘deduttiva’, di tipo panofskiano.

Sottratta dal sistema contestuale del pannello originario e ri-associata ad altri elementi in un immaginario montaggio (implicito, sottinteso già nell’Atlante), ogni immagine attrae magneticamente il proprio ‘parentado’: inevitabilmente, le opere apparentate – i “cugini”, per dirla con Warburg che cita Goethe (1920) – si chiamano, riallacciando un filo (o meglio disegnando un circolo) che non le dispone in ordine generazionale o gerarchico, bensì trascina con sé tutto il “vicinato”. È la stessa regola che governa la biblioteca di Warburg – ricreando un nuovo equilibrio, fertile proprio in quanto instabile e precario: una nuova catena, un nuovo filamento.

Nelle tre tavole di apertura A, B e C vengono prefigurate diverse modalità di schematizzazione interpretativa dei fili che innervano l’Atlante (e, per figura, la tradizione occidentale di cui l’Atlante è repertorio e disegno).

In Tavola A, per schema, si presentano forme di scrittura grafica: genealogica, topografica, astro-cosmografica (saggio interpretativo di Tavola A).

In Tavola B, per soggetto, si presenta lo sviluppo del tema dell’antropocentrismo e dell’homo cosmicus, dall’antropopatia astrologica medievale, all’antropopoiesi rinascimentale, fino al riemergere dell’antropopatia magica (saggio interpretativo di Tavola B).

In Tavola C, per tema, si presenta la traiettoria della acquisizione del sapere tecnologico, tra Ares e Prometeo, come arma di conquista che ha insieme efficacia costruttiva e potenza distruttiva (saggio interpretativo di Tavola C).

Le tre proposte di lettura del reale – per schema, per soggetto, per tema  – offrono percorsi di apparente semplificazione e sembrano promettere la possibilità di tracciare, in modi diversi, un metodo, una via perseguibile nella selva di simboli, temi, miti e figure e nell’intreccio delle loro peregrinazioni.

Ma anche soltanto dal confronto interno alle tre tavole di apertura emergono intrecci e snodi che articolano altri ‘modi di dire’ la realtà, traversali rispetto agli schemi proposti. 

Per fare un solo esempio, le prime tre tavole sono attraversate dal tema dell’astrologia che richiama l’attenzione su un’altra dimensione ermeneutica. Lo schema-griglia di Tavola A presenta l’astrologia come disegno astrale, come cosmografia. In Tavola B l’astrologia – in testa e in coda nell’ordine compositivo della Tavola – è intesa come astropatia, che si traduce nell’astrodiagnostica e nell’astroterapia, fino a ridursi alla magia esoterica dell’astrofilia; non senza che, però, l’itinerario abbia toccato le figure centrali della Hominis dignitas rinascimentale: l’uomo di Leonardo e l’uomo di Dürer, le uniche figure libere dalla religio astrale che, con moto inverso, al cosmo impongono le loro proporzioni e la loro misura. In Tavola l’astrologia è presentata come un mezzo di orientamento che nel processo storico della formalizzazione del sapere sfuma nella disciplina astronomica.

Nelle tre tavole di apertura emerge quindi con insistenza la questione di una ricerca di orientamento, di disegni, nel cielo o sulla terra, che traccino rotte; e con altrettanta insistenza ritorna il quadro di una polarità, mai risolta, tra tecnica e magia: ricorrendo alle immagini nietzscheane che Warburg riprende, la tensione tra logos e pathos (ovvero tra Apollo e Dioniso).

La stratificazione multipla di letture possibili, tra loro intessute e proliferanti, è pertanto già visibile sovrapponendo gli schemi interpretativi delle prime tre tavole: le tavole ABC, dunque, se da un lato ‘orientano’ introducendo alla selva dell’Atlante, contemporaneamente confermano l’irriducibile complessità del meccanismo compositivo e di funzionamento interattivo delle singole tavole e di tutta Mnemosyne.

ABC, infatti, focalizzano l’attenzione e visualizzano in modo essenziale un altro percorso importante per la lettura dell’intero Atlante: la ‘migrazione’, ‘il ritorno’. Ovvero l’andirivieni tra Oriente e Occidente, e poi tra Occidente e Oriente, e ancora ritorno: mobilità e trasformazione come fattori costitutivi e caratterizzanti della tradizione classica lungo i tracciati che ruotano attorno al Mediterraneo.

ABC segnalano che tutto l’Atlante è un viaggio, una selva di percorsi non semplificabili, pena la lacerazione della trama discontinua della memoria, l’interruzione della dissonante rapsodia. ABC mostrano altresì che i confini di irradiazione, la mappa del viaggio, non sono rigidi e definiti; intorno al bacino del Mediterraneo si disegnano mappe e percorsi in cui continuamente Oriente e Occidente si penetrano.

Figura del vincolo tra Oriente e Occidente era il mitico nodo di Gordio, che teneva bloccata, con magia vincolante, la comunicazione tra le due parti del mondo. Alessandro – figura emblematica di viaggio nell’Atlante stesso - diventa signore del cosmo perché risolve il problema tagliando con un colpo netto di spada il viluppo inestricabile; ovvero, secondo una variante presente già nelle fonti antiche, perché scopre il punto di sutura in cui la correggia era collegata al timone, e ‘semplicemente’ lo scioglie. Comunque l’atto di Alessandro conferma la fluidità, precariamente serrata dal nodo, del confine tra Oriente e Occidente e inaugura un nuovo flusso:

La contrapposizione geografica tra Oriente e Occidente è qualcosa di fluttuante e indeterminato: è soltanto un contrapposto fluire di una minor quantità di notte e di luce (Carl Schmitt, Il nodo di Gordio).

Il limes, soprattutto il limes mentale tra Oriente e Occidente, sfugge alla cattura grafica. La definizione topografica serve a orientare e a disegnare le coordinate di un campo polare, ma se intesa in modo assoluto e non precario uccide la vitalità delle immagini e dei simboli, bloccandone la sopravvivenza migratoria.

Nella tradizione occidentale nulla è dato per definitivo, ma ogni fenomeno importante si esprime in forma dinamica: quindi segni e figure sopravvivono solo se resistono all’esperienza del viaggio, sia attraverso lo spazio che attraverso il tempo: solo in quella trasmigrazione – fisica, concettuale e simbolica – che la parete permeabile tra Oriente e Occidente permette.

Nella tradizione occidentale dalla Grecia classica all’Ellenismo, dall’Ellenismo al Cristianesimo, attraverso il Medioevo, fino al Rinascimento e alla modernità, sopravvivono solo figure e segni meticciati e bastardi, in quanto tali selezionatisi come più adatti a quella ‘lotta biologica per la vita’ che, metaforicamente, si ritrova anche nelle dinamiche culturali. Solo il movimento, la posizione e la trasgressione continua del limes – soprattutto del limes tra Oriente e Occidente – permette la trasmissione-tradizione ed è un segnale verificabile della vitalità di segni e figure.

Darwinianamente (per usare un’ipotesi di lettura mediata dal pensiero scientifico che Warburg segnalò come “utile”), chi e che cosa non produce le variazioni infinite dettate dalla selezione per la sopravvivenza è destinato a soccombere e ad estinguersi. Per simboli, miti e figure il destino è la scomparsa o la consegna ai repertori eruditi.

L’Atlante insegna che molti segni di Mnemosyne nella tradizione classica non sono scomparsi per esaurimento, ma hanno lasciato tracce consistenti, anche se a volte difficilmente decifrabili, nonostante la varietà delle traslazioni, ma anche degli attacchi frontali: i vari assalti, teorici e pratici, delle iconoclastie; i tentativi di monoteizzazione; le moralizzazioni; la tentazione della riduzione all’univocità di significato; le banalizzazioni e gli oblii. Ma questa sopravvivenza, evidente o carsica, è la prova che la tradizione non va custodita né tanto meno ‘conservata’: anche quando i motivi resistono solo sotto forma di engramma, se sono abbastanza forti si difendono da sé. Altrimenti rimangono semi infecondi.

Si presentano a noi cose, segni, immagini, spettri, ovvero fantasmi [...]. Non senza motivo Socrate definì l’oblio come una perdita di percezione; ma se per la stessa ragione avesse definito anche il seme del memorabile sparso e non concepito dalla memoria, egli avrebbe certo esplicato la cosa più in profondità. Se infatti la fantasia non bussa con vivacità sufficiente valendosi di immagini sensibili, la facoltà cogitativa non apre le porte, e se la facoltà cogitativa che ne è custode non apre, Mnemosyne, la madre delle Muse, sprezzando simili immagini non le accoglierà (Giordano Bruno, Il sigillo dei sigilli 11, 19-20).

Il primo pannello dell’Atlante esibisce l’immagine che più eloquentemente – come “un atlante storico della creazione figurativa” (Bing) – visualizza il tema del “viaggio”. Viaggio inteso come tradizione testuale e figurativa che si snoda geograficamente attorno al bacino del Mediterraneo, in circoli di risonanza che legano Baghdad e Toledo, Alessandria e Wittenberg, segnando le tappe dell’andirivieni tra Occidente e Oriente, tra Nord e Sud.

Viaggio che inoltre riflette, e in alcuni casi ripete, i cammini mitologici e storici compiuti delle figure stesse della tradizione: il tragitto che compie, nelle sue peregrinazioni, l’eroe warburghiano per eccellenza, Perseo; ma anche la traiettoria ‘solare’ di Cibele, di Medea, di Alessandro, di Mitra, figure-guida di possibili trasgressioni attraverso le tavole dell’Atlante.

Esempio di figura della migrazione

Cibele, la Matar Kubile frigia, fa la sua prima comparsa nell’Atlante nelle vesti originarie di Mater oreia – la ‘madre montana’ venerata in tutta l’Asia Minore e l’Oriente – nell’immagine in Tavola 5 di un bassorilievo rupestre sul monte Sipylos, presso Magnesia. Archetipo del viaggio da Oriente a Occidente, nella tavola immediatamente successiva (Tavola 6) la Grande Madre è in viaggio proprio verso Roma (emblema e simbolo fondativi del mito dell’ ‘Occidente’ cui è dedicata Tavola 7), raffigurata sulla piccola imbarcazione scolpita a rilievo in una pietra votiva romana. Un balzo in avanti attraverso i pannelli sino a Tavola 33 ci riconduce a un’altra raffigurazione di Cibele, questa volta in viaggio verso il Nord dell’Europa, non come immagine di culto ma come elemento della tradizione testuale moralizzante. Il disegno a penna, infatti, illustra un manoscritto tedesco del 1100 ca. con il commento di Remigio di Auxerre a Marziano Capella.

Nella stessa tavola che aveva per incipit il bassorilievo raffigurante la Grande Madre, compare la figura di Medea, evocata anch’essa come madre di vita e di morte (percorso Madre di vita e di morte di Tavola 5).

Nella mostra sulle illustrazioni ovidiane, organizzata presso la Biblioteca ad Amburgo nel 1926, Warburg dedica a Medea un intero pannello intitolato Menschenopfer, costruito in parte con i materiali che troviamo ora disseminati nelle diverse tavole di Mnemosyne.

Nell’Atlante, come nell’immaginario antico, la memoria di Medea pare collegata non solo, e non tanto, alla figura della madre assassina. La figlia di Eete è la donna che – in ciò apparentabile con Cibele – ha potere sulla fertilità e la sterilità del maschio, ma è anche – come le altre barbare menadi – la femmina selvatica irriducibile alla dimensione della ragione, la potente maga barbara, che arriva in Occidente e all’Oriente fa ritorno, attraverso il più sanguinoso dei sacrifici.

Il pannello 5 mostra l’eroina tragica in due contesti narrativi: nel momento di tensione psicologica che precede l’infanticidio, in due immagini tratte da pitture parietali di Pompei (Casa dei Dioscuri, IV stile ) ed Ercolano (IV stile ); in una composizione scultorea che ne narra la storia intera tratteggiandone gli episodi famosi, tratta da un sarcofago romano del 150 d.C. ca. – riprodotto anche nell’acquaforte di Giulio Bonasone (sec. XVI ) appuntata sopra il modello romano.

Le immagini di Tavola 5 richiamano due rappresentazioni molto più tarde di Medea nella sua accezione di assassina: il quadro attribuito a Ercole de’ Roberti di Tavola 41 e l’incisione rembrandtiana di Tavola 72. Nell’opera del ferrarese la tensione è sciolta nella postura aggressiva di chi afferra e la donna sta per compiere l’assassinio dei propri figli. Nell’acquaforte di Rembrandt, invece, l’artista ha ricreato la stessa impressione di energia ed emozione trattenuta della Medea pompeiana, ritraendo l’eroina che scruta nell’ombra le nozze dell’amato e di Creusa, meditando vendetta.

Da un altro punto di vista – seguendo lo stesso destino già toccato a Cibele e a tutti gli eroi e le divinità pagane – i fili energetici che attraggono altre figure dell’Atlante sono le vicende biografiche trasformate in soggetto allegorico e moralizzato che circolavano in tutta Europa grazie alla produzione di manoscritti illustrati. In queste vesti, Medea appare, infatti, di nuovo in Tavola 41, oltre che nella silografia da Ovidio, nelle due miniature appuntate in apertura del pannello, una realizzata da Niccolò di Giacomo da Bologna, illustrazione delle Tragoedie di Seneca, l’altra, inglese, tratta da Lydgate.

Entrambe le immagini richiamano quasi spontaneamente un’altra raffigurazione ‘funzionale’ delle storie di Medea, rappresentata come dama cortese con il suo cavaliere Giasone, in un’acquaforte attribuita a Baccio Baldini inserita nel montaggio di Tavola 38: a differenza delle due miniature l’incisione presenta, però, i personaggi in vesti all’antica, anche se ancora incrostate di accessori e attributi di fantasia.

Medea donna ‘barbara’, figlia del figlio del Sole, prima del tradimento per amore per cui si fa complice del greco Giasone, prima di distaccarsi dal suo Oriente per approdare in Occidente “talamo di Ade”, nella sua terra ai confini del mondo era sacerdotessa di Ecate: la dea triforme, dea della morte e della vita, è presente in chiusura proprio di Tavola 41 in due immagini di una statuetta di bronzo di Andrea Riccio.

Medea e Cibele (così come la menade del seguito di Dioniso: il dio migrante che da Oriente giunge-ritorna in Occidente) sono figure di un viaggio che a differenza della trasmigrazione culturale di dei ed eroi – da Occidente a Oriente e di ritorno – muovono originariamente da Oriente, approdano miticamente (Medea) o ritualmente (Cibele) in Occidente, ma restano comunque ‘straniere’ perché conservano un carattere di irriducibile, ontologica estraneità al linguaggio del logos su cui l’Occidente fonda la sua grammatica. Il loro nostos non si compie mai: o, meglio, avviene ‘sempre’. Strano non-ritorno ad Oriente che forse dimostra che dalla Colchide o dalla Frigia la dea o la maga non sono mai, veramente, partite.

English abstract 

This paper on Mnemosyne Atlas aims to read the Panels A, B, C, already analyzed in previous  Mnemosyne Atlas editions, showing the relationship between these ones. Reading the panels we can understand how they become a ‘family’ and how many similarities we can witness, focusing on the theme of migration. In the pagan tradition there’s a constant migration of divinities, like Medea and Cibele, from East to West, that are always opposed: dynamism is the key word. So how can we explain those migrations, that are presented in an exemplary manner by Alexander the Great? This essay focus on the figure of Medea, not only a killer mother, but also a traveler, and Cibele, the Great Mother, but it seems that they are still perceived as foreign, from East; the question is: did they really leave?

keywords | Warburg; Mnemosyne Atlas’ Panel A, B, C.

Per citare questo articolo / To cite this article: Seminario Mnemosyne, Iter per labyrinthum. Saggio interpretativo di Mnemosyne Atlas, Tavole A, B, C, “La Rivista di Engramma” n. 12, novembre 2001, pp. 49-56 | PDF