"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

127 | maggio/giugno 2015

9788898260720

“Il peso sulle spalle del nostro Atlante moderno”

Silvia De Laude

Se Warburg ha tanto parlato di “psicomachie”
nei suoi studi di storia culturale,
non bisognerebbe prendere sul serio anche il suo disastro psichico,
come sintomo di una tragedia della cultura
che si svolgeva al di là di lui, e tutt’intorno a lui,
dall’inizio della Grande Guerra?
Georges Didi-Huberman, Science avec patience (2013)

Si mette davanti alla porta, e si esprime come segue:
“Figliolo, ci sei? Sono tuo padre,
Non essere arrabbiato con me, carissimo figliolo.
La banda Binswanger mi ha trattenuto così a lungo.
Hai assolutamente ragione, se mi dici come Cappuccetto Rosso:
Papà, che voce forte che hai!
Me l’ha data la banda Binswanger, caro figliolo!…
Dimmi, figliolo, io t’ho veramente sparato nel 1918?
No, papino, non mi hai colpito.
Mio caro ragazzo, non essere arrabbiato con me
e fa’ che possa tornare presto a casa.
Adieu, caro figliolo, il tuo vecchio papino ti saluta, salutami tutti”.
Ludwig Binswanger, Cartella clinica del paziente A.W. (1922)

Pagine del diario di guerra di Aby Warburg, London WIA.III.10.

a sinistra: appunti per la “Rivista illustrata” della guerra; a destra: un layout per la rivista, London WIA.III.10.

Il 2 novembre 1918 – mentre si avvicinava la capitolazione della Germania e la fine di un conflitto che avrebbe lasciato 9 milioni di morti e 21 milioni di feriti, invalidi, persone segnate per sempre dal trauma della guerra – alle 4 del mattino Aby Warburg fu ricoverato d’urgenza nella clinica privata del dottor Arnold Lienau, ad Amburgo. Poco prima con una pistola in pugno aveva minacciato la sua vita e quella dei suoi familiari. Gli furono somministrate forti dosi di Pantopon, Veronal e Tropfen. Lo racconta Georges Didi-Huberman, commentando che lo svolgimento di quella crisi sarebbe stato simile allo svolgimento della guerra stessa – non un “episodio” ma un “processo”, che avrebbe portato lo storico delle immagini a essere internato in varie cliniche psichiatriche fino al 1924:

La guerre était, certes, terminée en tant qu’épisode historique; mais la psychomachie mémorielle continuait, avec son poids de douleurs toujours plus lourdes sur les épaules de notre Atlas moderne.
(Didi-Huberman 2013, 1)

Esiste un certificato medico redatto in seguito a quel ricovero precipitoso dal medico di famiglia, Heinrich Embden:

Gravi manifestazioni patologiche sembrano essere emerse in maniera piuttosto immediata nell’autunno del 1918. (Io allora ero al fronte.) Come già comunicato oralmente, credeva che una governante inglese, rimasta ad Amburgo nei primi mesi della guerra, fosse il “capo dei servizi segreti di George Lloyd”, e che lui di conseguenza sarebbe stato considerato responsabile dell’esito infausto della guerra, e perciò punito. Aspettava da un momento all’altro una catastrofe (l’arresto, ecc.) e l’agitazione derivata da questo complesso lo portò al suo primo atto inequivocabilmente psicotico – minacciò la sua famiglia con una pistola, per risparmiarle il peggio – e poi al ricovero in clinica. Qui le sue allucinazioni, molto forti, presero un carattere esclusivamente minaccioso e angosciante. Sentiva delle voci che accusavano lui e la sua famiglia. Gli sembrava di udire che la moglie fosse colpita con armi da fuoco e rispondeva con agitazione estrema alle sue richieste di aiuto. A questo si aggiungeva un delirio di tipo psico-chimico: paura del metallo e degli oggetti di metallo, a causa dell’influenza elettrica; paura dell’avvelenamento, perché l’acqua conteneva del sublimato [cloruro di mercurio]. (Binswanger, Warburg 2005, 51-52, traduzione leggermente modificata)

Dopo Amburgo, fu la volta di Jena (clinica psichiatrica universitaria), e poi di Kreutzlingen (clinica Bellevue, diretta da Ludwig Binswanger), dove Warburg sarebbe entrato il 16 aprile 1921 e uscito non prima del 1924, dopo un itinerario terapeutico culminato nella famosa conferenza sul Rituale del serpente, al termine della quale, scrive ancora Didi-Huberman, “l’interminable psychomachie aura pris le visage d’une interminable guérison de l’âme” – una “guarigione infinita”, come ha intitolato il suo libro su Warburg a Kreutzlingen Davide Stimilli (Binswanger-Warburg 2005).

Il rapporto tra la malattia di Warburg e la guerra non è mai stato messo in dubbio da chi lo ha avuto in cura, oltre che da lui stesso (cfr. Warburg [1927] 2002, su cui De Laude 2015 in “La Rivista di Engramma” 125). Carl Georg Heise paragona l’amico, di fronte alla “catastrofe mondiale”, ad un “animale braccato”:

La guerra era finita. Con l’impossibilità di catalogare, con l’esautorazione definitiva della comprensibilità – almeno esteriormente, in quanto avvicendamento storico di fatti, e con l’inizio di naufragi non più comprensibili che sconvolgevano l’esistenza, Warburg ebbe un tracollo definitivo. (Heise [1947] 2005, 57)

Produttiva mi sembra la nozione sviluppata da Didi-Huberman di psycomachia. Davvero la prima Prima guerra mondiale dà libero sfogo nello studioso delle immagini a una lotta dolorosa e senza esclusione di colpi fra gli astra e i monstra – dove da ricostruire sono gli effetti dell’esplosione del mondo in milioni di cadaveri (la guerra reale) e del riemergere spaventoso di fantasmi della mente, un’altra guerra, che con l’altra si avviluppa in un nodo inestricabile:

Warburg ne voyait une âme dans chaque chose que parce qu’il voyait une mort en chaque chose ou en chaque image: effet d’une guerre ou d’un meurtre obsidional disposant ses poisons, ses complots, ses armes fatales et ses cadavres tout autour de lui. Warburg, à Kreuzlingen, ce fut d’abord Saturne hanté par l’angoisse d’avoir dévoré — ou de devoir dévorer — sa propre famille, avant d’être mis à mort à son tour: dans les pralines il suspectait la chair de son frère dont il éprouvait l’horreur qu’elle passe dans son ventre puis finisse dansles toilettes; c’est pourquoi, écrit Binswanger, “il laisse nécessairement un reste chaque fois qu’il mange quelque chose. Si par mégarde il mange un de ces restes, il est extrêmement malheureux et se lamente d’avoir dévoré l’un de ses enfants” (jammert, eines seiner Kinder verzehrt zu haben). Toute chose, tout aspect deviennent alors les instruments d’un mensonge et d’un danger: le pain suisse (Bürli) semble à Warburg si suspect qu’il réclame des galettes azymes; la fleur devient menaçante, le thé n’est qu’une décoction de sang humain ou le philtre imaginé par quelque “clique antisémite”; le poisson contient son propre fils et, depuis sonassiette, l’implore en ces termes: “Père, ne me mange pas” (Vater, du wirst mich doch nicht essen); son gâteau d’anniversaire, le 13 juin 1922, est “fait avec quelque chose de bien pire que le sang humain”.
(Didi-Huberman 2013, 12-13)

Questo è lo stato di guerra immaginato da Warburg, da cui continuava a essere ossessionato a Kreutzlingen:

Comme à la guerre, toute situation recelait un danger. Comme à la guerre, toute information était faussée par le mensonge et la propagande (l’un de ses grands thèmes de recherche entre 1914 et 1918). Ainsi, “le beurre est de la graisse de mouche, le pain n’est pas du pain”; les épreuves de son article sur Luther sont “fausses”; “le chou frisé est la cervelle de son frère, les pommes de terre sont les têtes de ses enfants, la viande est la chair des membres de sa famille”; les articles de journaux sur la nomination de son frère au rang de docteur honoris causa sont des mensonges.
(Didi-Huberman 2013, 13)

Se questo è il dopo, l’angosciato dopoguerra del “sismografo” sensibilissimo che è stato Aby Warburg, appena incominciato e ancora da continuare è un ingrandimento su cosa sia stato il durante – uno studio su come Warburg abbia vissuto, e facendo cosa, gli anni della Prima guerra mondiale, vissuti con l’angoscia di un incubo. Qualcosa si sapeva già dalla biografia di Ernst Gombrich:

Coerentemente con la sua formazione e il suo temperamento di studioso, cominciò a raccogliere ritagli di giornale e a ordinarli in rubriche. La sua famiglia dovette collaborare a questo sforzo di Sisifo, che tuttavia non portò ad alcun chiarimento. (Gombrich [1970] 2003, 181)

Il termine usato da Gombrich per qualificare il risultato dello “sforzo di Sisifo” può sembrare ambiguo, ma è assolutamente proprio, se si considera il significato, negli scritti di Warburg, di Aufklärungsversuche (tentativo di chiarificazione, o di ‘orientarsi’), spesso applicato per speculum alla “psicologia del Rinascimento”.

Di fatto, ogni giorno dallo scoppio della guerra Warburg leggeva dieci quotidiani, di cui due stranieri, ritagliava le notizie di guerra, le catogava e le ordinava in appositi cassetti del suo schedario, accompagnandoli in genere con commenti o didascalie. Diverso materiale è andato perduto, ma finalmente si è cominciato a studiare quello rimasto (cfr. in particolare Spagnolo-Stiff 1999 e per il cassetto 117, dedicato alle “superstizioni di guerra”, Korff 2007). Warburg parlava di Verzettelung, con un termine ambiguo che significa ‘catalogazione’, ma anche ‘frammentazione’, ‘smembramento’ (Sanvito 2009, 52). Gli interessavano non tanto fatti ed eventi bellici, quanto “le reazioni mentali sintomatiche” di questi fatti ed eventi “ovunque nel mondo” (Heise [1947] 2005, 57).

Qualcosa (poco, ma prezioso) è emerso anche dei diari di Warburg (Notizbücher 1894-1918, 10 voll., in WIA.III.10.1), che comprendono fra l’altro precise rilevazioni grafiche del fronte di guerra. Risulta dalla corrispondenza che Warburg considerava questa attività apparentemente maniacale di somma “scientificità”. Il materiale cartaceo era quotidianamente e metodicamente collazionato in vista della stesura di un “manuale della menzogna” – così una lettera alla redazione della “Frankfurter Zeitung”, il 2 febbraio 1915. Dopo lo scoppio della guerra – aveva scritto a un altro giornale, la “Norddeutschen Allgemeinen Zeitung”, 27 febbraio 1915 – la “lotta contro la menzogna” doveva essere “intrapresa scientificamente”, e “con tutte le energie” (Spagnolo-Stiff 1999).

Giustamente Ulrich Raulff ha stabilito un parallelo tra il progetto di Warburg e quello dello storico Marc Bloch, che a differenza di Warburg aveva partecipato direttamente alla guerra, ne aveva riferito a caldo in un diario – i Souvenirs de guerre, del 1914-1915 – e anni dopo nelle Réflexions d’un historien sur le fausses nouvelles de la guerre del 1921 (Bloch [1914-1915 e 1921] 2014). Warburg riteneva di primaria importanza, a quell’altezza, un esercizio di filologia del quotidiano (se possibile “con dita e occhi delicati”, quelli che – mi ricorda Giulia Bordignon – Friedrich Nietzsche riteneva prerogativa del buon filologo): in pratica, un esercizio di collatio e interpretatio applicato con effetti auto-difensivi a eventi spaventosi, o l’equivalente dei “tentativi di orientamento” di fronte all’inconoscibilità della natura di cui Warburg aveva parlato in tanti suoi scritti (De Laude 2015).

I monstra rischiavano di prendere il sopravvento. Si trattava di “squarciare la nebbia della propaganda bellica attraverso un cross-reading di quotidiani, corrispondenze e telefonate, quindi attraverso una attiva e critica ricerca di informazioni” (Raulff 2007).

Ovvie le implicazioni auto-terapeutiche dell’esercizio, in chi si era detto “comandato dalle idee” (Warburg [1927] 2002) e viveva nella sua persona come una lotta interna lacerante (una psicomachia, appunto) il combattimento tra gli astra (il filologo preciso, il ricercatore illuminista, lo scrupoloso e intelligente raccoglitore di libri e immagini) e i monstra (l’uomo tragico, il filosofo ispirato, il visionario allucinato dalle “onde mnestiche” prodotte dai sismi della storia).

Impressionante invece, anche a una prima esplorazione degli scritti di Warburg in tempo di guerra, l’eco lasciata dall’esperienza del conflitto su idee centrali anche nelle tavole introduttive dell’Atlante. Se l’obiettivo ritenuto ‘scientifico’ e salvifico negli anni di guerra è l’“orientamento”, si capisce la fobia (quante volte Warburg ha parlato di Phobos) maturata da Warburg nei confronti di chi intorbida le acque, confonde la visibilità, riporta e riannega nel mondo dei monstra. Già il 14 novembre 1914, quando la guerra era appena iniziata, Warburg aveva scritto al fratello Paul, riferendo del suo lavoro di schedatura:

Una informazione non tendenziosa [è] amaramente necessaria quando la diretta rottura del tessuto della menzogna è resa impossibile dallo stupro praticato dal filo telegrafico. (Spagnolo-Stiff 1999)

Quattro anni dopo, l’8 settembre 1918, avrebbe confessato a Heinrich Embden di aver cercato di interrompere per un certo periodo il suo lavoro sui giornali, perché “il trauma della guerra non si presentasse sempre di nuovo nella sua fantasia”:

Dopo 4 anni di accanito lavoro sulla guerra con un ritmo di 9-10 ore al giorno – mi ritrovo in un tale stato di latente eccitazione che ho dovuto prendermi almeno tre settimane di ‘ferie dal mondo’ e perciò non avrei dovuto avere contatto con persone e giornali di nessun genere, affinché il trauma della guerra non si ripresentasse sempre di nuovo nella mia fantasia. (Warburg 1918)

L’isolamento di cui aveva parlato al suo dottore di famiglia evidentemente non era bastato. Ancora a Kreutzlingen, per quanto possibile, Warburg avrebbe continuato a rimeditare sul suo tentativo di schedatura della “menzogna” e razionalizzazione del disastro bellico. Nella cartella clinica della clinica Bellevue, redatta da Binswanger o dai suoi collaboratori, si legge che Warburg custodiva gelosamente un pacco di corrispondenza e giornali ritagliati, scheletri cartacei risalenti al periodo in cui era stato ricoverato per la prima volta ad Amburgo, nella clinica del dott. Lienau (Binswanger-Warburg 2005 e Didi-Huberman 2013).

Con la guerra non aveva chiuso i conti. Lui stesso aveva parlato – coi neologismi che inventava soprattutto nei momenti di crisi – di “auto-liberazione attraverso il ricordo” (Selbstbefreiungs-Versuch durch die Erinnerung). Il ricordo (o trauma) della guerra era ancora a Bellevue tra quelli di cui liberarsi, ma già a partire dal 1914 erano state messe in atto dal futuro paziente di Ludwig Binswanger strategie per scongiurare quella che avrebbe definito Weltcatastrophe (Heise 1947) – “la catastrofe del mondo”.

Ognuno ha i suoi mezzi. Chi adolescente, come ricorda la vulgata warburghiana, baratta il diritto di primogenito con “un piatto di lenticchie” (la possibilità di comprare tutti i libri che avesse ritenuto necessari per la sua biblioteca), spera di poter agire attraverso un’opera di “orientamento”. La schedatura dei quotidiani, già tra l’agosto del 1914 e il maggio del 1915, era approdata un lavoro concreto: una rivista in italiano considerata da Warburg, principale finanziatore, come mezzo di chiarimento e “istruzione” (così nella corrispondenza).

L’idea della rivista, sembra, era nata dopo un incontro di Warburg con il principe von Bülow, ex cancelliere sposato con un’italiana. Testi e immagini sarrebbero stati messi a disposizione degli italiani per capire il punto di vista del nemico, allarmarsi, allertarsi sui pericoli di una guerra che avrebbe avuto esiti disastrosi. Della rivista uscirono due soli numeri, nel 1914 e nel 1915. Se ne conservano diversi materiali preparatori. L’ingresso in guerra dell’Italia rese il progetto inutile.

La rivista, intitolata direttamente alla guerra (“La guerra del 1914” e “La guerra del 1914-1915”) raccoglieva e traduceva in italiano articoli già apparsi, indicandone le fonti. Scritto ex novo era solo nel primo numero un breve editoriale firmato con la sigla “G.G.” (probabilmente Giuseppe Giacchi, console italiano ad Amburgo). Warburg figura nel colophon come “editore”, insieme a studiosi suoi conoscenti (il prof. Georg Thilenius, direttore del museo di tradizioni popolari di Amburgo; il dottor Giulio Pancocelli-Calzia, esperto di fonologia, e il dott. Paul Gustav Hübner, che lavorava a Roma a contatto con il gruppo di studiosi gravitanti intorno alla Biblioteca Hertziana).

Tra gli articoli selezionati, nel primo numero (di cui è esposto in mostra un facsimile) interventi di Wilhelm von Bode, Domenico Gnoli e dello storico Robert Davidsohn. Warburg, in quanto storico dell’arte, selezionava le immagini, e redigeva il menabò. In copertina era un disegno, affidato al pittore Willy von Beckerath, conoscente di Warburg. Le due immagini hanno la stessa struttura: una cornice marcata, che racchiude due immagini – un sommergibile e una trincea d’inverno, lineari e di colori tenui; immagini stilizzate, non drammatiche; anche nella seconda i soldati hanno il fucile rivolto verso il nulla, riprendendo “un motivo stilistico frequente nella fotografia di genere” (Spagnolo-Stiff 1999, 256).

La rivista non si proponeva un effetto-choc, faceva appello alla ragione e allo spirito critico. Era il periodo in cui Warburg, come avrebbe ricordato in una conferenza tenuta alla Hamburger Gesellshaft für Bücherfreunde il 15 luglio 1919, credeva ancora che “parole e immagini diffuse attraverso la stampa” fossero “da interpretare, proprio come le vere armi, per il combattimento in quella guerra civile dell’intelletto che l’Italia doveva combattere per la salvaguardia della neutralità nell’inverno 1914-15”.

a sinistra: la copertina del primo numero della “Rivista illustrata” della guerra (“La guerra del 1914”); a destra: il secondo e ultimo numero della rivista (“La guerra del 1914-15”).

Riferimenti bibliografici
  • Binswanger, Warburg 2005
    L. Binswanger, A. Warburg, La guarigione infinita. Storia clinica di Aby Warburg, a c. di D. Stimilli, Vicenza 2005.
  • Bloch [1914-1915 e 1921] 2014
    M. Bloch, La guerra e le false notizie. Ricordi (1914-1915) e riflessioni (1921), Roma 1914.
  • Didi-Huberman 2013
    G. Didi-Huberman, Science avec patience, in “Images Re-vues” [En ligne], hors-série 4, 2013.
  • De Laude 2015
    S. De Laude, “Symbol tut wohl!” Il simbolo fa bene! Sulla genesi del blocco ABC del Bilderatlas Mnemosyne di Aby Warburg, “La Rivista di Engramma” 125, marzo 2015.
  • McEwan 2007
    D. McEwan, Ein Kampf gegen Windmühlen. Warburgs pro-italienische publizistische Initiative, in G. Korff, a c. di, Kasten 117. Aby Warburg und der Aberglaube im Ersten Weltkrieg, Tübingen 2007.
  • Korff 2007
    U. Korff, hrsg von, Kasten 117. Aby Warburg und der Aberglaube im Ersten Weltkrieg, Tübingen 2007.
  • Gombrich [1970] 2003
    E.H. Gombrich, Aby Warburg. Una biografia intellettuale [1970], prefazione alla nuova edizione di K. Mazzucco, Milano 2003.
  • Heise [1947] 2005
    C.G. Heise, Persönliche Erinnungen an Aby Warburg [1947], a c. di B. Biester e H.-M. Schäfer, Wiesbaden 2005.
  • Raulff 2007
    U. Raulff, Parallel gelesen. Die Schriften von Aby Warburg und Marc Bloch, in Aby Warburg. Akten des internationalen Symposiums Hamburg 1990, a c. di H. Bredekamp, M. Diers, C. Schoell-Glass, Weinheim 1991, 167-178.
  • Sanvito 2009
    P. Sanvito, Warburg, l’antagonismo Italia-Germania e la Guerra. Analisi di un cortocircuito politico e interiore, in C. Cieri Via e M. Forti, a c. di, Aby Warburg e la cultura italiana. Fra sopravvivenze e prospettive di ricerca, Milano-Roma 2009, 51-62.
  • Spagnolo-Stiff 1999
    A. Spagnolo-Stiff, L’appello di Aby Warburg a un’intesa italo-tedesca. “La guerra del 1914-15. Rivista illustrata”, in Storia dell’arte e politica culturale intorno al 1900. La fondazione dell’Istituto Germanico di Storia dell’Arte di Firenze, Venezia 1999, 249-264.
  • Warburg [1927] 2002
    A. Warburg, Da arsenale a laboratorio. Uno sguardo retrospettivo sulla mia vita [1927], in A. Warburg, Mnemosyne. L’Atlante delle immagini, a c. di M. Ghelardi, Torino 2002, 140-143.

Per citare questo articolo / To cite this article: Silvia De Laude, “Il peso sulle spalle del nostro Atlante moderno”, “La Rivista di Engramma” n. 127, maggio-giugno 2015, pp. 277-287 | PDF dell’articolo