"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

11 | ottobre 2001

9788894840094

Hoc est corpus. Il sacrificio e il patto

Saggio interpretativo di Mnemosyne Atlas, Tavola 79

a cura del Seminario Mnemosyne, coordinato da Monica Centanni e Katia Mazzucco, con la collaborazione di Sara Agnoletto, Maria Bergamo, Lorenzo Bonoldi, Giulia Bordignon, Claudia Daniotti, Giovanna Pasini, Alessandra Pedersoli, Linda Selmin, Daniela Sacco, Valentina Sinico

Materiali Tavola 79 | appunti di Warburg e collaboratori e didascalie

English abstract English full version 

La Tavola 79 è il pannello che chiude l’ultima versione di Mnemosyne cui Warburg mise mano, e, sotto diversi aspetti, il suo montaggio rivela e svela elementi programmatici e strutturali dell’opera intera.

Come già visto per i primi pannelli dell’Atlante – cfr. soprattutto Tavola C – l’impaginazione di Tavola 79 si presenta apparentemente semplice e chiara. Possiamo infatti identificare tre sezioni verticali. A

sinistra sono raggruppate immagini di opere d’arte, scultoree (la Cattedra di San Pietro, Figg. 1, 2, 3) e pittoriche (Raffaello, Giotto, Botticelli, rispettivamente Figg. 4, 11, 12); le immagini della Cattedra di San Pietro, seggio eburneo probabilmente di epoca carolingia [Fig. 1], inquadrato nella complessa struttura barocca berniniana [Fig. 3], fungono da incipit alla tavola e inquadrano logisticamente (Roma, il Vaticano) e contenutisticamente (l’apostolo Pietro, l’origine e la fondazione della Chiesa cattolica) i temi suggeriti dall’accostamento delle immagini. Particolare rilievo nella colonna sinistra, ma anche nell’intera composizione della tavola, è dato all’affresco di Raffaello delle Stanze vaticane che raffigura la Messa di Bolsena [Fig. 4], il miracolo dell’ostia sanguinante da cui trasse origine la festa del Corpus Domini: un soggetto che introduce immediatamente al filo tematico della sezione centrale.

Questa porzione del montaggio [Figg. 8, 10, 13, 14, 15, 19] è costituita da immagini di attualità: si tratta di fotografie scattate in occasione della processione eucaristica di Papa Pio XI, svoltasi a Roma il 25 luglio del 1929. In basso, simmetricamente disposte rispetto a una immagine della sfilata militare, sono appuntate due xilografie del XV sec. (una di ambito nordico Fig. 18, e una italiana Fig. 20) che raffigurano profanazioni dell’ostia.

In alto, la fotografia apparentemente 'fuori luogo' di una scena di seppuku [Fig. 5, cfr. Fig. 6] ci introduce alla sezione di destra, costituita nuovamente da immagini di attualità, in questo caso veri e propri prelievi da giornali: due pagine del supplemento illustrato dell’ “Hamburger Fremdenblatt” del 29 luglio 1929 [Figg. 9-17]; due ritagli con le notizie della firma di un trattato (1925, Fig . 7) e di un incidente ferroviario [Fig. 21] che aprono e chiudono – anche queste simmetriche rispetto ai due fogli della rivista – la ‘colonna dei ritagli di giornali’.

L’inserzione delle Figg. 9 e 17 – e in modo particolare la prima, una pagina intera – ribalta e complica l’ordine di lettura proposto su schema tripartito: si rivela così l’insufficienza di questa prima griglia di orientamento e si apre una finestra sul meccanismo di funzionamento delle singole tavole e dell’intero Atlante.

Il 30 luglio del 1929 Warburg tenne una lezione commentando proprio il foglio di giornale di Fig. 9, attratto non solo dalle notizie in esso riportate (fili non lasciati sospesi bensì intrecciati nei percorsi della Tavola), ma anche dal tipo di linguaggio e dai meccanismi utilizzati per la composizione di un inserto illustrato di attualità. Nel corso della lezione, Warburg definì il foglio “un’insalata di immagini”, ma questa definizione, in apparenza di spregio, cela un intento che va al di là della pura ironia – e autoironia, niente affatto assenti dal montaggio del pannello. Così Warburg in apertura della lezione del 30 luglio:

Il supplemento illustrato di un quotidiano non è solo pensato per ravvivare una conversazione un po’ stagnante; esso ha uno scopo ben più ambizioso: in questa sera di festa dovrà servire a fondare la missione della KBW.

Come è stato evidenziato da Wolfram Pichler e Gudrun Swoboda (nel corso di una comunicazione al Convegno di Siena del 1998), la Tav. 79 ci pone di fronte a un “montaggio nel montaggio”: la pagina di giornale è composta da fotografie riferite ai fatti più diversi (una partita di golf, una commissione di studi portuali, una regata, un banchetto, una processione liturgica, una gara di nuoto, una corsa di cavalli), accompagnate da brevi didascalie e impaginate in base alle necessità editoriali, e in questo senso il foglio rappresenta un ‘duplicato interno’ della tavola. In questo modo, notano Pichler e Swoboda: “il giornale si fa strada nell’Atlante e l’Atlante nella pagina di giornale”.

C’è però una diversità tra il montaggio della pagina illustrata di un rotocalco e la composizione di un pannello warburghiano. La necessità di un giornale è quella di far rientrare in uno spazio delimitato tutte le foto, ordinate in base a criteri puramente spaziali e sottoposte a una gerarchia d’impatto visivo o di richiamo di audience – la notizia di maggior rilievo (così valutata dalla redazione in base al proprio pubblico) si guadagna spazio, forma e margini di maggior spicco. Al contrario, il meccanismo del montaggio fotografico adottato da Warburg – e dichiarato proprio dalla presenza in Tavola 79 della Fig. 9 – si libera totalmente dei pericoli della banalizzazione, del fraintendimento, dell’inflazione di valore delle immagini (l’effetto ‘insalata’), divenendo, al contrario, struttura che nell’accostamento, nella giustapposizione o nel distanziamento delle figure, crea senso.

Ancora: inserita all’interno della struttura ermeneutica della tavola (come all’interno delle argomentazioni della lezione tenuta da Warburg nel luglio del ’29), la pagina illustrata è sottratta dal caos del non-senso, e attivata, grazie alle immagini che la circondano, come elemento sintomatico di forme del pensiero contemporaneo: la catarsi della violenza rituale [Fig. 5] nel gesto del campione sportivo, i giocatori di golf, Fig. 9), il contrasto violento (e frainteso) fra esibizione del ‘corpo fisico’ (il nuotatore, Fig. 9) e ostensione del ‘corpo mistico’ (tutta la sezione centrale del pannello).

Le immagini composte nel foglio di giornale divengono quindi, nell’ottica della teoria warburghiana della polarità del simbolo, elementi di una figura unica e complessa che possono caricarsi di valenze opposte. A loro volta, le singole fotografie che compongono la pagina illustrata possono entrare in una sintassi diversa se polarizzate da immagini-catalizzatore diverse da quelle imposte dalla redazione giornalistica che risponde ai fini della ‘commerciabilità’. Warburg – abile ‘decostruttore’ e ‘rivalorizzatore’ – dimostra di saper sfruttare anche questo potenziale utilizzando brani singoli della pagina illustrata del 29 luglio all’interno del montaggio di altre tavole (Tavola 72; Tavola 77, Fig. 2 ): le stesse immagini proposte come elementi compositivi della Fig. 9 del pannello 79 acquistano così autonoma eloquenza e offrono, grazie ad accostamenti efficaci, nessi formali e contenutistici inediti.

Sia dal punto di vista compositivo che sotto il profilo tematico, la Tavola 79 si propone come una apertura programmatica dell’Atlante. Il dato è interessante perché si tratta dell’ultimo pannello di Mnemosyne: dunque un prospetto “sul presente, sullo scopo e sul metodo dell’Atlante” (Pichler-Swoboda) posto in coda anziché in capo all’opera.

Tema centrale della tavola è la sublimazione del sacrificio del corpo nella ritualità: per dirla con Warburg “l’espulsione della parte grossolanamente materiale degli atti sacrificali”.

La prima forma di ritualità è ancora violenta: il corpo sacrificato nell’harakiri [Fig. 5], ma vengono mostrate nella tavola due modalità di traduzione e di sublimazione simbolica che, tenendo al centro il corpo, superano però qualsiasi residuo letteralista: l’ostensione del corpo mistico nell’eucarestia; l’esibizione del corpo sportivo. Le Figg. 4, 8, 10, 11, 13, 14, 15, 19 rimandano all’ostensione del corpo divino nella festa di celebrazione del rito eucaristico. Le Figg. 9 e 10 richiamano l’attenzione sull’esibizione della fisicità: sul versante mistico il corpo simbolicamente più potente – ovvero il corpo del Dio-Uomo – si offre al sacrificio. Ma prima, nell’Ultima Cena, Cristo prefigura e trasfigura il sacrificio cruento che si compirà sul suo proprio corpo, con l’istituzione dell’Eucarestia.

La transustanziazione in corpo e sangue del pane e del vino e la distribuzione del corpo ai discepoli, è insieme un’anticipazione simbolica dell’evento sacrificale, una chiave di lettura del suo significato come sparagmos dionisiaco e la enunciazione della sua ripetitibilità nella liturgia del rito. Warburg, nella lezione del 30 luglio 1929, gioca sull’opposizione tra i sintagmi: “Hoc est corpus meum” e “Hoc meum corpus est”.

La seconda proposizione potrebbe essere il motto di un altro tipo di sublimazione dell’atto sacrificale, che enfatizza il corpo come paradigma formale e pone l’accento su un altro registro semantico e culturale: la fisicità dell’atleta. Warburg focalizza questa visione della forma corpo senza porla in un rapporto gerarchico subordinato rispetto all’ostensione del corpo mistico: d’altronde proprio alla centralità del corpo, e in particolare all’antropocentrismo è dedicata, significativamente, una delle tavole di apertura dell’Atlante (v. Tavola B).

L’ostentazione della fisicità trova una sua figura topica nel corpo dello sportivo: come dimostra la relazione instaurata tra la postura del golfista [Fig. 9] e quella del decapitatore [Fig. 5], si tratta ancora di una forma di sublimazione: postura ‘esemplare’ ma anche, comunque, catarsi dalla violenza. La Tavola 79 può essere letta dunque, nel suo complesso, come una traduzione di un atto violento in atto simbolico.

In questo senso la Pathosformel – ad esempio il gesto del golfista; la postura dell’atleta (in realtà quest’ultima più ascrivibile all’ambito delle Statusformeln) – sarà da considerare come “cicatrice di un atto sacrificale” (Swoboda-Pichler), segno di una ferita originaria, ma insieme forma di conversione culturale della violenza originaria del sacrificio. La movenza atletica, espressione di un pathos tutto fisico, produce anch’essa catarsi: per dirla con le parole di Warburg, una vera e propria ‘catarsi motoria’.

Le due forme di sublimazione nel simbolico – il rito, lo sport – trovano un loro ribaltamento (ancora rituale ma di segno nettamente negativo) nella profanazione del corpo mistico: le xilografie antiebraiche con l’ostia pugnalata [Figg. 18, 20].

La profanazione viene presentata come deriva violenta della sublimazione rituale: se l’istituzione dell’eucarestia è la sublimazione del letteralismo della violenza sacrificale, la pugnalazione dell’ostia, pur considerata alla stregua di un atto rituale rovesciato, riporta il sacrificio al suo originario statuto di letterale violenza. Warburg propone il rito rovesciato ebraico come contrappunto alla sublimazione culturale cristiana.

In questa lettura di documenti storici di smaccata propaganda antiebraica, non si può non cogliere un dato biografico, che forse sfiora lo spirito dell’autoironia – o almeno di una certa rinascimentale ‘sprezzatura’.

Ma sarà anche importante, in questa prospettiva, tenere conto dell’accalorata difesa che Warburg stesso fa, nella citata lezione coeva alla composizione della Tavola, della sua ‘conversione’ al cattolicesimo. Warburg sottolinea il dissidio insanabile tra ebraismo e cristianesimo proprio nel disconoscimento/riconoscimento dell’incarnazione divina e quindi nel rapporto con l’istituzione dell’eucarestia (“Hoc est corpus meum”). Gli Ebrei non solo mettono a morte, fisicamente, il corpo di Cristo, ma disprezzano (poi nella propaganda antigiudaica pugnalano-profanano) il suo corpo simbolico, l’ostia. L’insistenza sui ‘sacrifici umani’ degli Ebrei (topos dell’antisemitismo dalle origini fino all’età moderna; cfr. la leggenda di San Simonino) al di là degli aspetti di demonizzazione, è un riflesso esasperato del dato reale dell’ostilità degli Ebrei a Cristo e all’eucarestia; ma anche della qualità ancora ‘primitiva’, non sublimata, dei loro riti.

L’altro ripiegamento rispetto alla sublimazione catartica è l’irruzione dell’evento accidentale che riconferma l’ineluttabilità della morte: la ‘banalità’ dell’evento catastrofico tratto dalla cronaca (il disastro ferroviario di Fig. 21) che riconsegna il corpo martoriato alla caotica brutalità del male.

Il dissidio teologico sul Corpo sacrificato per eccellenza – il corpo dell’uomo-dio – non oppone soltanto ebraismo a cristianesimo, ma anche spiritualità nordica a religiosità mediterranea. Nella figura più in vista nella sintassi della tavola [Fig. 4], il soggetto dell’affresco di Raffaello, commissionato da Giulio II (che compare ritratto tra i prelati in preghiera) riguarda il miracolo avvenuto nel 1263 a Bolsena a seguito del quale il papa Urbano IV istituì la festa del Corpus Domini: un sacerdote boemo, che nutriva dubbi sulla transustanziazione, durante la celebrazione della messa avrebbe visto l’ostia consacrata stillare sangue. Il difetto di fede nell’eucarestia – che sarà uno dei punti cruciali della protesta riformista – miracolosamente riconverte il simbolo sacrificale alla dimensione della cruda letteralità: il sangue reale della vittima sacrificata.

Nel porre la Messa di Bolsena di Raffaello come uno dei fuochi compositivi della tavola, Warburg sembra voler sottolineare proprio questa centralità tematica dell’opera sul Corpus Domini: d’altronde, nel solito, fecondo intreccio fra dati biografici e interessi della ricerca, nel testo della lezione ai dottorandi del 30 luglio, Warburg descrive il suo proprio percorso religioso anche come un processo dal Nord al Sud: una conversione non solo dall’ebraismo al cristianesimo, ma anche dallo spirito del letteralismo nordico alla religiosità specificatamente cattolica e mediterranea.

Nella fitta trama semantica di Tavola 79 c’è un conflitto innegabile tra le attualità rappresentate (esibizione del corpo/esibizione dell’ostia), ma non appare evidente un’intenzione marcatamente misoneista. Anche quando Warburg parla di “degradazione”, ciò che gli sta a cuore (e che mette al centro del discorso figurativo e dell’articolazione del suo ragionamento teorico) alla fine dei conti è la sopravvivenza di formule posturali e di nuclei tematici forti: importante è ciò che resta e persiste, non quello che si perde nella trasmissione, senza alcuna nostalgia restaurativa. Non c’è sentimento di ‘un’offesa’ – come invece avvertono Pichler e Swoboda – nell’irruzione dell’attualità nel religioso, del profano/pagano nella sfera del sacro.

Anche la stigmatizzazione di Warburg sulla “insalata di immagini“ del foglio di giornale non pare leggibile negativamente, come segnale di una “crisi della memoria sociale”, che si esprimerebbe in un disordine casuale e privo di senso: al contrario Warburg pare proporre una opposta lettura del documento di attualità.

Anche un foglio di giornale, apparentemente caotico e confuso, può ‘dare senso’, essere sintomo di una temperie culturale, testimonium di un discorso sul corpo, frammento per la ricostruzione di un significato costante nella nostra memoria culturale. Opera dello studioso è ‘conferire senso’, trovare i nessi, nella materia apparentemente caotica che l’attualità – sempre, non solo ora – gli propone come un testo da leggere e interpretare.

Ancora in questo senso, la critica benjaminiana alla riproducibilità dell’immagine, potenziata nella modernità dall’esplosione dei mezzi tecnologici, è sul fronte opposto rispetto alla visione che Warburg propone già delle immagini a stampa come “ali delle idee figurate”.

Anche sul piano metodologico e della pratica della ricerca, peraltro, Warburg ha un atteggiamento assolutamente positivo, alieno da qualsiasi pregiudizio e addirittura pionieristico, nell’utilizzo dei più moderni mezzi tecnologici. Sulla presunta critica alla tecnica (e alla modernità) di cui Warburg sarebbe un propugnatore, pare gravare sempre la cattiva suggestione antimodernista presa di peso dal finale del Rituale del Serpente.

Il processo della memoria culturale, senza idealizzazioni, è esattamente questo – visibile in Tavola 79: la comunicazione, anche la demonizzata ‘comunicazione di massa’ (soprattutto nel ’900) non è materiale confuso e inerte, ma ha in sé, e nel dettaglio minuto dei suoi documenti, valore euristico per l’intelligenza storica.

      

        

*La numerazione delle singole riproduzioni contenute nelle tavole fa riferimento alla numerazione dell'edizione dell'Atlante Vienna 1994.

English abstract 

Panel 79 closes the latest version of Mnemosyne which Warburg put his hand to, and, under various aspects, its editing reveals and reveals programmatic and structural elements of the entire work. The layout of Panel 79 is apparently simple and clear. We can in fact identify three vertical sections. On the left are grouped images of works of art, sculptures and paintings. On July 30, 1929, Warburg gave a lecture commenting precisely on the newspaper sheet of Fig. 9, attracted not only by the news reported there, but also by the type of language and the mechanisms used to compose an illustrated topical insert. In the course of the lesson, Warburg defined the sheet as “a salad of images”, but this definition, apparently contemptuous, conceals an intent that goes beyond pure irony - and self-irony, not at all absent from the assembly of the panel.

keywords | Warburg; Mnemosyne Atlas’ Panel 79.

Per citare questo articolo / To cite this article: Seminario Mnemosyne, Hoc est corpus. Il sacrificio e il patto. Saggio interpretativo di Mnemosyne Atlas, Tavola 79, “La Rivista di Engramma” n. 11, ottobre 2001, pp. 23-34 | PDF