"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Intorno a Mnemosyne

Incontro con Kurt W. Forster al Seminario di tradizione classica. Venezia, Ca' Badoer, 5 dicembre 2003

interventi di Monica Centanni, Kurt W. Forster, Katia Mazzucco, raccolti in forma di appunti e corredati da note a cura di Linda Selmin

Monica Centanni | Sull’Atlante Mnemosyne ci sono due linee interpretative che possiamo esemplificare così:
1. la prima, che si potrebbe definire 'negativa', è ben rappresentata dalla lezione di Gombrich che interpreta l’Atlante come opera che in qualche modo non esiste e che non è 'finibile', perché manca di una consistenza propria. Questa visione è anche legata alla vicenda della malattia di Warburg e considera l’Atlante come una sorta di espediente terapeutico.
2. La seconda linea di interpretazione 'positiva' e costruttiva sostiene che l’Atlante è l’esito finale di un metodo di lavoro perseguito con tenacia. A favore di questa seconda lettura si possono citare diversi, autorevoli, testimoni. La prima prova sta nel proposito dello stesso Warburg che nel 1929 scriveva:

Ho dato inizio al progetto di mettere insieme i risultati delle mie ricerche, o almeno quelle che hanno a che fare con l’influenza dell’Antico nella cultura europea, in un grande Atlante tipologico. Una pubblicazione di questo genere permetterebbe di fornire una solida cornice, pur sempre elastica, a tutto il mio materiale. 

Ma è da tenere in considerazione anche la valutazione dell'Atlante come opus magnum di Giorgio Pasquali del 1930

"Warburg lascia pronto per la pubblicazione un atlante figurativo che prende nome dalla memoria, Mnemosyne, e deve mostrare come i diversi paesi e le diverse generazioni (l’Oriente mediterraneo del Medioevo e il Medioevo Europeo, il Rinascimento italiano e tedesco, infine la generazione e la cerchia del Rembrandt) abbiano successivamente concepito, e concependo trasformato, l’eredità “patetica” dionisiaca dell’antichità. In quell’Atlante egli ha voluto vivere per i posteri".

Si possono individuare tre fasi nel lavoro di Warburg sulle tavole:
I. 1924: Warburg al ritorno da Kreuzlingen (“Perseus redux”) trova alcuni pannelli predisposti come segno di bentornato da Saxl e collaboratori. Non si sa quali e quanti siano questi pannelli.
II. 1924-1928: il lavoro procede coralmente e le tavole assumono anche una funzione di espediente divulgativo della ricerca; in questa fase infatti si succedono conferenze, mostre, allestimenti e sistemazione dei materiali. Il 1927 è l’anno della mostra su Ovidio con l’allestimento dei pannelli nella sala ovale nella quale le tavole sono appoggiate agli scaffali della biblioteca e, in corrispondenza ad esse, sono esposti alcuni testi aperti su illustrazioni specifiche.
III. 1928-1929: si perfeziona e si configura il progetto-Atlante pensato anche in funzione di una pubblicazione.

I. Nella prima fase, che potremmo definire 'tavole à la Saxl', i pannelli potevano forse essere assimilabili alle cosiddette “tavole dei gesti”, montaggi di serie iconografiche intorno a un soggetto preciso, appuntato come titolo sul pannello stesso: tavole molto vicine nell’impaginazione e nella struttura agli studi e agli interessi di Saxl (attenzione al periodo medievale e un andamento di tipo lineare, cronologico, diacronico).

II. Nella seconda fase (la fase delle mostre: l'allestimento del Planetarium di Amburgo, la mostra ovidiana e altre) i temi, come ad esempio quello del , sono esposti secondo una ratio che conserva ancora una certa linearità. Ma ora le tavole vengono esposte insieme ai manoscritti e ai testi di riferimento, nel tentativo di illustrare il meccanismo ermeneutico messo in atto dallo studioso e di rendere trasparente il modo e il procedimento della ricerca.

III. Per la terza fase abbiamo un importante terminus post quem: la lettera/relazione di Warburg al consiglio di amministrazione della Fondazione sullo stato dell’arte dell’Istituto e quindi delle sue ricerche [1]. In questa relazione, datata al dicembre del 1928, Warburg tratta diffusamente di molte iniziative e progetti, ma non nomina mai l’Atlante. Nei mesi successivi però il progetto-Atlante subisce un'accelerazione e si configura in modo così chiaro e urgente che Warburg scrive un’Introduzione/lettera all’editore dell’Atlante, pensando alla sua pubblicazione.

Salvatore Settis in occasione del suo contributo al Convegno di Siena del 1998 (contributo purtroppo non presente negli Atti del convegno da poco pubblicati [2]), e in seguito in un suo intervento al Seminario di tradizione classica di Venezia del marzo del 1999, faceva notare che l’Atlante in sé non è, dal punto di vista editoriale, un progetto così originale; esisteva infatti nell'editoria tedesca dell’Ottocento una tradizione 'di genere' di materia archeologica, che prevedeva convenzionalemente atlanti con tavole di immagini. Proprio Teubner (l’editore a cui Warburg si rivolse) pubblicava tra 1925 e 1927 una serie di atlanti tipologici di questo tipo.

Ovviamente il Bilderatlas di Warburg è cosa diversa. La genesi dell’Atlante è, in questo senso, una storia ancora aperta, tutta da indagare e bisogna passare dall’interno delle tavole, entrare dentro la loro struttura per seguirla e ricostruirla.

Kurt W. Forster | Per capire l’originalità del lavoro di Warburg, in effetti è importante – come suggerisce Settis – cogliere gli intrecci con pratiche già ampiamente diffuse, e quindi i riferimenti ad altri interessi e ad altri tipi di Atlanti. Esistevano ad esempio grandi raccolte di tavole di tipo numismatico, anche con tavole slegate in modo da permettere un confronto mobile tra i pezzi.

Anche il metodo didattico si fondava sulla visualizzazione degli oggetti in tavole tipologiche: per esperienza personale posso testimoniare che ancora quando io frequentavo le elementari, nella scuole di Vienna si spiegavano "la mela, la pera, la prugna" attaccando sulla lavagna nera le figure. Quelle figure che risaltavano sul fondo nero (che diverrà poi il fondo nero dei pannelli dell’Atlante) producevano sull’immaginazione un impatto fortissimo, come un buco di luce nel buio dell’ignoranza.

È importante soffermarsi su un concetto: nel XX secolo nascono in ambiti disciplinari diversi filoni di indagine che hanno un carattere quasi enciclopedico, che tendono ad abbracciare tutto il sapere, tutte le conoscenze; contemporaneamente si assiste a una iperspecializzazione, una iperdivisione dei campi, in cui una cosa, un fatto, un'opera, un oggetto non hanno più una cornice, un contesto generale e non hanno più il proprio sfondo culturale.

Walter Benjamin nei Passagenwerk immaginava un’opera che non contenesse le sue stesse parole, ma fosse scritta dai documenti della storia trovati, recuperati, filtrati e associati. Questa è l’opera secondo me più vicina al Bilderatlasdi Warburg. Benjamin intende creare un nuovo tipo di lavoro che si nutre di una tradizione materialistica per cui niente è più forte della testimonianza dei fatti stessi, dei materiali, dei documenti; in cui la teoria è un Überbau, una sovracostruzione.
Nell’Atlante di Warburg le vecchie categorie, disciplinari e metodologiche, sono sospese. 

Questo procedimento di ricerca ha qualcosa di vicino alla pratica artistica di quegli anni: penso in particolare a Dada o a certi lavori di Picasso. Picasso negli stessi anni costruisce immagini che sono un collage di sue opere: entrambi escono da una tradizione di autoriproduzione delle opere che funziona anche come una sorta di archivio, di memoria del lavoro (in questo senso vedi anche Lo studio in rosso di Matisse).

Katia Mazzucco | Il riferimento a Benjamin è prezioso: nel lavoro di Warburg si legge una riflessione vicina a quella di Benjamin. E, non casualmente, i due autori si incrociano anche dal punto di vista storico-culturale: è interessante notare che negli anni ’70 del Novecento si assiste sia al recupero di Benjamin che a quello di Warburg (si pensi agli studi di Giorgio Agamben), come se il pensiero di Benjamin aprisse in certo modo la strada alla comprensione di quello di Warburg [3]. Si deve comunque considerare un elemento essenziale, ogni qual volta si accostano i Passagenwerk e Mnemosyne: comporre un'opera di citazioni in forma di parole è ben diverso dall'esporre riproduzioni fotografiche di immagini. Nel secondo caso, nel caso del progetto warburghiano, si innesta un filtro rispetto all' "originale" riprodotto che non sterilizza il potere dell'immagine, bensì lo rivitalizza attraverso lo straniamento, la ricontestualizzazione, l'energia che si sprigiona dagli accostamenti nelle fotocomposizioni dei pannelli. Questo differente nesso con il procedimento del prelievo (la citazione) e l'originale uso della fotografia nell'Atlante, costringono a riconsiderare il concetto stesso di "aura" in relazione alla riproduzione di opere d'arte.

Kurt W. Forster | Il discorso su riproduzione-riproducibilità è importante per chiarire problematicamente il rapporto tra Warburg e Benjamin. Senza riproduzione il progetto Mnemosyne sarebbe stato impossibile. Warburg però è stato capace di costruirsi un concetto di aura dell’immagine che si sviluppa e si nutre grazie alle riproduzioni. L’aura proviene proprio dalla riproducibilità di un’immagine: sorge proprio se praticata per riprodurre l'immagine, praticarla, diffonderla. Per Benjamin la riproducibilità comporta una perdita di memoria e di senso dell'immagine e dell'opera, mentre per Warburg la riproducibilità stimola forme di memoria [4].

E proprio questa aura di secondo livello – non l'aura benjaminiana dell'originale, ma l'aura warburghiana della riproduzione – pare trasmettersi anche ai montaggi delle tavole warburghiane: voi stessi, in questo seminario, trattate le tavole di Mnemosyne non solo come materiali di ricerca, ma anche come opere d’arte, come inesauribili fonti di lettura.

Warburg quando è in difficoltà ricorre ai poeti, li cita, li usa: cerca parole che abbiano una carica poetica. La relazione tra immagini e testo è un grande progetto di salvare la memoria della cultura, un progetto che ha per il suo autore un’urgenza molto forte. È anche un progetto che ha a che fare con la metodologia, è il tentativo di far vedere un meccanismo. È una riflessione sull’attività di ricerca che così si autorivela, è la recherche mis a nude. L'immagine è quella che ci viene restituita dal lavoro di Marcel Duchamp: La sposa messa a nudo dai suoi pretendenti [5].

Monica Centanni | In questo senso l’Atlante è anche lo smascheramento del processo di ricerca dello studioso (di ogni studioso): esporre le tavole è come aprire le porte dello studio del ricercatore, ribaltare in verticale la scrivania, il tavolo di lavoro, per mostrare anatomicamente i meccanismi della ricerca: l'effetto che si ottiene è che il lavoro viene presentato senza filtri, nudo e scheletrico, e, insieme, che si comunica al pubblico (alla comunità degli studiosi ma anche a un pubblico genericamente colto) l'esercizio stesso della ricerca. Le tavole sono complesse perché stanno al saggio come un corpo scorticato (sezionato e analizzato in tavole anatomiche) sta al corpo integro: fanno vedere – sotto la superficie del labirinto – i nessi e i circuiti, i canali e i nervi. Warburg redux anziché sedare/obliare i mostri del labirinto, prova con l'Atlante a rappresentare la cultura occidentale – l'oggetto del suo studium, ricerca e passione – in forma di labirinto. 
Anche da questo punto di vista l'Atlante è, come scriveva Fritz Saxl poco dopo la morte del maestro, la ricapitolazione di tutto il percorso di ricerca di Warburg:

"Con l’Atlante Warburg è riuscito a presentare agli studiosi, in modo pieno e unitario, i risultati complessivi di tutto il suo lavoro scientifico".

Ma è anche un vademecum: o piuttosto l' "omnia mecum porto" di un moderno clericus vagans

Kurt W. Forster | È come se Warburg si trovasse di fronte a un doganiere che ti ferma e ti chiede: cosa porti con te? La ricerca – re-search – è un viaggio, un'impresa che si ripete, continuamente si riavvia, si rimette in crisi. Warburg ha praticato questo stile di ricerca in una vertigine esistenziale.

Ma tornando a noi, al nostro uso del metodo di Warburg e dell'Atlante, dobbiamo chiederci: cosa impariamo da Warburg sul concetto di ricerca? Da dove vengono le domande continue che Warburg si pone e ci propone? In Warburg c’è anche una continua revisione delle formule verbali che dovrebbero darci la chiave per il perplesso confronto messo in scena sulle tavole.

Katia Mazzucco | Per quanto riguarda l’Atlante nel nostro lavoro ci siamo resi conto che le vie di accesso a quest'opera devono essere costantemente cambiate, revisionate, aggiustate. E che una volta entrati in quel labirinto è molto difficile uscirne. È necessario avere il coraggio di affrontare la frammentarietà del lavoro. Il pensiero di Wittgenstein ci ha guidato: costruire uno schema per avvicinarsi all’opera e poi liberarsi di quello stesso schema, nel momento in cui rivela la sua insufficienza.

Kurt W. Forster | Io sono incline a una lettura del Bilderatlas (e più in generale del metodo sotteso ad esso e mediante esso progettato) che privilegia la tecnica di registrazione e confronto e stabilisce un legame con tutti gli altri campi di ricerca. Tutti gli ambiti di ricerca hanno bisogno di un elemento, di uno sguardo che viene da fuori, da un altro campo.  Alla fine l'Atlante si presenta come un teatro attraversato da molteplici sguardi. Le tavole di immagini sono altresì sottoposte alla pressione dell'ordine logico-verbale: devono subire questa tremenda complicazione, la relazione complessa con le parole (e in questo c’è una relazione precisa con la forma-tipologica degli atlanti). 

È fondamentale la percezione di ambiguità che emerge dalla connessione/giustapposizione di immagini, così come l’ambiguità, teorizzata da Warburg, di certi gesti e di alcune "espressioni antitetiche" (il gesto di protezione/aggressione; le lacrime di dolore/di gioia). Questo fattore rende mobile la formula espressiva, ma la fissa anche a un contesto legato alla vita. Forse il dato dell’esperienza ha suggerito a Warburg questa continuità.

Monica Centanni | Il ritorno di Warburg all’evidenza delle fonti, degli oggetti, delle cose può essere legato all'esperienza condivisa con Ludwig Binswanger, il terapeuta, anzi colui che 'assistette' alla guarigione di Warburg. Potrebbe essere interessante vedere quanto Warburg mutua teoreticamente da Binswanger (nonché quanto delle teorie di Binsawanger passi nella fenomenologia di Husserl): l’analisi e l’osservazione rigorosa del fenomeno psicologico e in generale di tutte le affezioni patetiche che producono esperienza – e quindi vita e arte.

Kurt W. Forster | Per l'importanza di Binswanger, ricordiamo che fra i primi lavori di Foucault c'è l’introduzione a un testo di Binswanger [6].

Monica Centanni | Quella di Binswanger è una medicina dell’anima. Si pensi anche al dialogo Binswanger-Freud sulla risolubilità del complesso. Binswanger accetta il fattore-complessità, lo guarda, non si ostina a ri-solverlo. Il lavoro che fa Warburg nell'Atlante è un processo di smascheramento, di messa a nudo, di de-corazzamento: il ricercatore smette la corazza (ma non depone le armi dell'arte). È questa la reazione di Warburg alla malattia, la sua "guarigione": una malattia che si può interpretare come l'esasperazione patologica dello stato mentale di ipersensibilità che caratterizza costantemente la figura dell'intellettuale e dello studioso, e in generale di chiunque metta in gioco nella propria opera, oltre che cervello ed energie fisiche, anche nervi e passioni. L'Atlante è dunque una messa a nudo del laboratorio, ma anche del corpo dello studioso.

Kurt W. Forster | Pensiamo al viaggio in America di Warburg: un’esperienza eccezionale per uno studioso di fine Ottocento. Il viaggio in America in qualche modo precede la sua carriera intellettuale e poi, alla fine, ne è la chiave di uscita. È un’esperienza fatta all’inizio delle sua attività, in cui il ricercatore guarda ai rituali come a un’esperienza culturale in senso lato, come a un'esperienza legata alla vita.
Più in generale: c'è un aspetto importante che distingue Warburg dai suoi 'seguaci' (penso ad esempio a Panofsky) nei quali il presente non sembra entrare in alcun modo nelle ricerche. In Warburg il presente c’è.

Monica Centanni | Il linguaggio di Warburg – abbiamo detto – è un linguaggio scientifico e insieme profondamente poetico, ma proprio in quanto non è un linguaggio astratto: è lingua poetica perché Warburg vive e ci restituisce, in forma di studio, il pathos del presente.

Note

[1] Questo testo è stato pubblicato di recente nell’edizione italiana dell’Atlante: Aby Warburg, Da arsenale a laboratorio. Uno sguardo retrospettivo sulla mia vita, in Aby Warburg, Opere. Mnemosyne. L’Atlante delle immagini, a cura di Maurizio Gelardi, Nino Aragno editore, Torino 2002, pp. 140-143.
[2] L'Atlante della Memoria. Filosofia delle immagini per un lessico warburghiano, Quaderni Warburg Italia 1, a cura di Gioachino Chiarini, Cadmo, Siena 2003.
[3] Walter Kemp è stato il primo studioso a mettere in relazione Warburg e Benjamin, attraverso l’indagine dei tentativi di Benjamin di stabilire un contatto con il Warburg Institute: W. Kemp, Walter Benjamin und die Kunstwissenschaft, 2. Walter Benjamin und Aby Warburg, "Kritische Berichte" 3, 1973, pp. 30-50 e 1, 1975, pp. 5-25; tr. it. Walter Benjamin e la scienza estetica, "autaut" 189-190, 1982, pp. 215-262. Le ricerche di Giorgio Agamben su Warburg, invece, si sono svolte in un rapporto di contiguità cronologica con la curatela, a lui affidata, degli scritti di Benjamin: G. Agamben, Aby Warburg e la scienza senza nome, già in "Settanta" luglio-settembre 1975; ora in "autaut" 199-200, 1984, pp. 51-66.
[4] Per una lettura della complessa relazione tra l'opera di Benjamin e l'opera di Warburg, vedi, in questo stesso numero di Engramma, Daniele Pisani, Mnemosyne, tappa Parigi. Aby Warburg e Walter Benjamin: problematiche affinità.
[5] Su questa opera di Marcel Duchamp, vedi in Engramma n. 13, Roberto Diodato, L’ombra di Bruno (Giordano Bruno, Marcel Duchamp, Octavio Paz) 
[6] Nel 1954 Michel Foucalt curò l'edizione francese di Traum und Existenz di Ludwig Binswanger, la cui prima edizione tedesca era stata pubblicata nel 1930.

English abstract

On the occasion of the exhibition "Mnemosyne: l’Atlante di Aby Warburg", it was intended to combine the display of all the tables of the Atlas and the indication of some suggestions for reading a series of events, held in the exhibition spaces of the Levi Foundation : a series of visits to the exhibition and conferences, insights, presentations that attempted to shed light on the work in its entirety from specific points of view.
This contribution is composed by the interventions of Monica Centanni, Kurt W. Forster and Katia Mazzucco transcribed and accompanied by notes by Linda Selmin.

 

keywords | Exhibition; Venice; Mnemosyne: l’Atlante di Aby Warburg; Warburg; Mnemosyne Atlas.

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2004.35.0004