"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

108 | luglio/agosto 2013

9788898260539

O come Olympia.

Recensione della mostra Manet. Ritorno a Venezia (Venezia, Palazzo Ducale, 24 Aprile-1 Settembre 2013)

Antonella Sbrilli

english abstract

Nell’epoca della riproducibilità digitale delle opere d’arte (in cui il Musée d’Orsay è pioniere); nell’epoca di Google Art Project, grazie al quale si attraversano virtualmente le maggiori collezioni del mondo (e gli Uffizi sono stati fra i primi a partecipare al progetto), è tanto più affascinante trovare l’Olympia di Manet e la Venere di Urbino di Tiziano (provenienti rispettivamente dal d’Orsay e dagli Uffizi) accostati – e accostate – eloquentemente in una stessa stanza del Palazzo Ducale di Venezia, nella mostra Manet. Ritorno a Venezia (Manet 2013). Quante volte nelle lezioni di storia dell’arte le due opere sono proiettate o mostrate vicine una all’altra, per ribadire i contatti fra gli artisti, la vita delle immagini, la vitalità dei collegamenti. Tanto più in un pittore come Édouard Manet, profondo innovatore che cercò sempre di “comprendere e trasfigurare i significati per così dire trascendenti della pittura del passato” (Volpi 2008 [2007], 98). 

Immagine dell’allestimento della mostra (dal sito <www.bella.it>).

Vòlta a presentare, con la forza della vicinanza delle opere, il dialogo fra l’arte veneta e Manet, l’esposizione crea, nell’appartamento del Doge, un museo immaginario di capolavori collegati nel tempo. I nessi di Manet con Venezia, città che l’artista francese visitò in due occasioni, e con i maestri veneziani, conosciuti e copiati al Louvre e – nel caso della Venere di Tiziano – a Firenze, sono indagati sulla base di documenti, evidenze e proficui collegamenti.

Il Ritratto di Émile Zola (1868), esposto accanto al Giovane gentiluomo nello studio (1530 ca.) di Lorenzo Lotto, provoca un confronto visivo e narrativo formidabile, un esercizio di stile per visitatori-lettori. Nel Ritratto di Zola, fra le carte appoggiate sullo scrittoio, si vede bene il saggio con la copertina celeste che nel 1867 lo scrittore aveva dedicato a Manet; una copia dell’opuscolo è significativamente presente in mostra in una teca. Il titolo della pubblicazione, peraltro, col nome dell’artista in lettere maiuscole, vale anche come firma del dipinto, in uno scambio fra reale e rappresentato in cui Manet fu maestro. Basti ricordare che, nel 1872, il pittore fece recapitare a Berthe Morisot, artista ella stessa e sua futura cognata, un piccolo quadro con un mazzolino di violette, un ventaglio di lacca rossa e la dedica, un dipinto “concepito con la crudeltà di un rebus che non ha bisogno di essere risolto” (Volpi 1998, 191), un bouquet che è vero e finto allo stesso tempo come la pittura.

La fisionomia espressiva di Berthe Morisot si ritrova in mostra nel celebre ritratto del 1872 che la raffigura proprio con le violette (fiore e nome emblematico per artisti e poeti fra Simbolismo e Surrealismo, per Mallarmé, per Duchamp – che lo ibrida in voilette – per Breton, Magritte, Ernst, per Joseph Cornell). La figura di Berthe “in una posa da sfinge” (Guégan) si ritrova, ieratica e sperduta, nel Balcone del 1868-69. Dietro il sorprendente verde della ringhiera e delle persiane, il gruppo formato dalla stessa Berthe, da Fanny Claus e dal pittore Guillemet è stato sovente messo in rapporto con Le majas al balcone di Goya e con la tradizione spagnola, a cui rimanda anche la figura sullo sfondo del ragazzo che porta il vassoio. Ora, in mostra, il quadro dialoga anche con il Carpaccio delle Due dame veneziane del Museo Correr (de Seta [Manet 2013]), di cui ritrova “inconsapevolmente o meno l’imponderabilità triste” (Géugan [Manet 2013], 142). 

Immagine dell’allestimento della mostra (dal sito <www.bella.it>).

Il dipinto più avviluppato di richiami al passato, tanto numerosi quanta è la sua flagranza, è Le Déjeuner sur l’herbe, presente in una versione ridotta proveniente da Londra, The Courtauld Gallery. Lì si vede la figura della modella prediletta di Manet, Victorine Meurent, la ninfa impertinente che guarda verso fuori, dove siamo noi spettatori, dove fu il pittore. Nella tavola 55 dell’Atlante Mnemosyne di Aby Warburg, il dipinto di Manet Le Déjeuner sur l’herbe è accostato al Concerto campestre e a diversi Giudizi di Paride (fra cui quello di Raffaello tramite la traduzione di Marcantonio Raimondi), in un convegno di iconografie e schemi compositivi che alludono a una “ascesa e ricaduta degli dèi sulla terra”, al riconoscimento dell’antico nella vita moderna: carne nuova per una vecchia cerimonia.

Victorine Meurent (1844-1927) è la modella che posa anche per la figura di Olympia. Fulcro dell’esposizione, nel rapporto con Tiziano, l’Olympia è l’oggetto – in catalogo – di analisi ascendenti e discendenti sulla linea della storia, dal Rinascimento al Novecento italiano (Fergonzi [Manet 2013]), in un intreccio di fonti, confronti, diffusioni, riprese, e sorprese che coinvolgono opere grafiche e pittoriche – fra le altre – di Boccioni, Casorati, Carena, Oppo. 

Talvolta sveglie, talvolta dormienti, osservate da uomini o da una cameriera-ancella, queste fanciulle sdraiate sono le recenti personificazioni di un tema che viene da lontano. Monica Centanni – rileggendo i Fasti e le Metamorfosi di Ovidio come fonti del Festino degli dei di Bellini e Tiziano (Centanni 2011, 355-56) – ripercorre il tema della ninfa addormentata, “risvegliata o insidiata dal desiderio maschile”: un mitologema che “resiste in forza della sua energia simbolica e iconografica”, tanto da arrivare “fino alla ‘bella addormentata’ in attesa del dio della rinascita, che nella tradizione folklorica indosserà le vesti inattese del Principe azzurro”.

E qualche anno dopo Olympia, un’altra giovane donna sdraiata è dipinta dal pittore inglese Edward Burne-Jones, ispirata proprio alla principessa dormiente delle favole di Perrault e Grimm, nel ciclo detto della Briar Rose (rosa selvatica), 1885-90, ma una prima idea risale già al 1861.

Sleeping Beauty, la bella addormentata che prenderà il nome di Aurora nel balletto di Čajkovskij (1890) e nella trasposizione di Walt Disney (nome che è presente già nella versione di Perrault, dove indica però la figlia della principessa), compare nel dipinto di Burne-Jones dal titolo The Rose Bower (la pergola di rose), delicata figura in un contesto in cui trapelano suggestioni rinascimentali e manieriste, il ricordo delle miniature e l’eco delle illustrazioni di fiabe, l’impronta della cultura accademica e l’occhio per il dettaglio naturale, in uno scenario che unisce teatro, décor e design. Stella Bottai (Bottai 1999) ha analizzato la lettura astrologica e cosmologica del ciclo dipinto da Burne-Jones – come della fiaba di Perrault – ricostruendo la cultura esoterica degli ultimi anni dell’Ottocento, in rapporto alle versioni poetiche del tema (Tennyson) e al corpus di illustrazioni esistenti, fra cui quelle di Gustave Doré.

Burne-Jones, The Rose Bower, 1890, Buscot Park, Oxfordshire (UK).

Nell’Inghilterra vittoriana – dove “nulla si vide più di nudo” come dirà Virginia Woolf in Orlando – il risveglio dell’amore è vestito e travestito, pittoricamente e letteralmente.

In Francia trionfa la nudità splendente, olimpica, sfrontata, di Olympia, una nudità del corpo femminile e della pittura stessa. Olympia è il nome che dalla Grecia arriva a connotare, nella Parigi dell’Ottocento, un certo tipo di prostituta e poi un leggendario teatro. Un secolo dopo darà il nome alla casa editrice Olympia Press, grazie alla quale sono usciti – in Francia – libri come Lolita di Nabokov (1955), The Naked Lunch di Burroughs (1959), la versione inglese di Histoire d’O. Olympia Press, la casa editrice di Maurice Girodias (1919-1990) specializzata in letteratura erotica e in testi censurati, deve il suo nome anche alla tradizione di scandalo che l’Olympia di Manet, nella sua perfezione, ha portato con sé. 

English abstract

The exhibition Manet. Return to Venice, hosted in the Doge’s Palace, focuses on the importance of Venice (where Manet went twice) and Venetian painting in the development of Manet’s choices of subjects and style. Masterpieces such as Olympia, The Balcon, Emile Zola’s portrait, can be observed close to Titian’s Venere di Urbino, Carpaccio’s Two Venetian Ladies, Lotto’s Portrait of a Gentleman, highlighting Manet’s deep connections with Venetian masters and models. The case of Olympia (1863) introduces to the transformations of the “reclining female nude” since antique and Renaissance art, moving from a mythological context to a modern, independent one. While in England, a Pre-Raphaelite painter such as Burne-Jones would have illustrated the story of Sleeping Beauty, a reclining dressed young woman, waiting for love, in France, Olympia is showed naked in a naked style. Olympia, in mid-20th century, will give her name to Olympia Press, a publishing house devoted to censured, erotic books, where Nabokov’s Lolita would first appear. 

 

keywords | Olympia; Manet; Venice; Exhibition; Doge’s Palace; Return to Venice; Titian; Lotto; Sleeping Beauty; Nudity; Nabokov.

Riferimenti bibliografici
  • Bottai 1999
    Stella Bottai, Burne-Jones e le sue fonti letterarie, tesi di laurea quadriennale discussa nell’a.a. 1999-2000, Sapienza Università di Roma, Facoltà di Lettere e Filosofia.
  • Centanni 2013
    Monica Centanni, A pedibus tracto velamine: il satiro e la ninfa addormentata. Un mitologema in versione ovidiana nel Festino degli dei di Bellini e Tiziano, in Atti del convegno Il gran poema delle passioni e delle meraviglie. Ovidio e il repertorio letterario e figurativo fra antico e riscoperta dell’antico, a cura di I. Colpo, F. Ghedini, Padova, 15-17 settembre 2011 (Antenor Quaderni 28).
  • De Seta [Manet 2013]
    Cesare de Seta, Manet e i “Voyages d’Italie”, in [Manet 2013].
  • Fergonzi [Manet 2013]
    Flavio Fergonzi, La fortuna italiana di Manet, 1865-1948, in [Manet 2013].
  • Guégan [Manet 2013]
    Stéphane Guégan, Tra musica e teatro, in [Manet 2013].
  • Manet 2013
    Manet. Ritorno a Venezia, mostra a cura di Stéphane Guégan, Guy Cogeval e Gabriella Belli,Venezia, Palazzo Ducale 24 aprile – 18 agosto 2013, catalogo Skira.
  • Volpi 1998
    Marisa Volpi, Ridere con Manet, in Fatali stelle, Milano 1998.
  • Volpi 2008 [2007]
    Marisa Volpi, Edouard Manet. “Mystère en plein jour” in Studi in onore di Gianna Piantoni, Roma 2007, ora anche in L’occhio senza tempo, Roma 2008.

Per citare questo articolo / To cite this article: A. Sbrilli, O come Olympia. Recensione della mostra Manet. Ritorno a Venezia (Venezia, Palazzo Ducale, 24 Aprile-1 Settembre 2013) , “La Rivista di Engramma” n. 108, luglio/agosto 2013, pp. 75-80 | PDF di questo articolo

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2013.108.0006