"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

10 | luglio 2001

9788894840087

NEWS | luglio 2001

Katia Mazzucco | Recensione al convegno: Per una filosofia dell’immagine, Centro Warburg Italia, Siena, Certosa di Pontignano, 31 maggio / 1 giugno 2001

Il 31 maggio e il 1 giugno ha avuto luogo la prima vera iniziativa del “Centro Warburg Italia“, dopo l’organizzazione nel 1998 della mostra e del convegno su Mnemosyne. Le attività del seminario Per una filosofia dell’immagine sono state ospitate presso la Certosa di Pontignano, Siena. In apertura alla prima giornata dei lavori Gioachino Chiarini – presidente del Warburg Italia e coordinatore dell’evento – ha esposto le ragioni del convegno: iniziare dalla filosofia per seguire una delle più importanti eredità del pensiero di Warburg, in linea con la sua “personale percezione di una istanza dell’immagine”. L’iniziativa, in rispetto del fare warburghiano, è nata da un lavoro di gruppo del Dipartimento di Studi Classici dell’Università di Siena, del Centro Internazionale Studi di Estetica di Palermo e del Dipartimento di Filosofia dell’Università Statale di Milano. Dai diversi interventi dei relatori e degli altri partecipanti ai dibattiti e alla tavola rotonda finale, sono emersi alcuni snodi di riflessione comune: l’indefinitezza del concetto di immagine – “essere in sottrazione” (Borutti) – e rappresentazione (Di Liberti; Pizzo Russo), e il rapporto irrisolto con la parola (Cherchi); il concetto di “aria di famiglia” ed emergenza del dettaglio dall’opacità dello sfondo (Di Giacomo); l’idea del modello originario mancante (Pinotti) e di temporalità ritmica e non narrativa dell’immagine (Tavani). Frequenti gli accenni a Warburg – un intervento sviluppava il tema della statua votiva (Corrain) – soprattutto nelle linee generali del suo pensiero e del suo metodo di ricerca in rapporto a quello di altri storici della cultura.

Per citare questo articolo / To cite this article: K. Mazzucco, Recensione al convegno: Per una filosofia dell’immagine, Centro Warburg Italia, Siena, Certosa di Pontignano, 31 maggio / 1 giugno 2001, “La Rivista di Engramma” n. 10, luglio 2001, p. 47 | PDF 

Daniela Sacco | Recensione a: Karl Jaspers, Leonardo Filosofo, a cura di Ferruccio Masini, Abscondita, Milano 2001

La scelta di immagini che correda la nuova riedizione del saggio di Jaspers su Leonardo sembra mirata a sostenere la tesi che guida tutta l’argomentazione. Si tratta di infatti di disegni di progettazione di macchinari, ritratti umani, studidi anatomia, e studi di vegetazione. Ma a ben vedere, d’accordo con l’autore, potrebbero figurare anche la Monna Lisa, come l’Ultima Cena. La tesi infatti è che l’accezione più esauriente a rendere il genio sfuggente ad ogni categorizzazione che fu Leonardo sia quella di filosofo. La modalità del conoscere, il contenuto del conoscere, e l’esemplarità esistenziale della vita sono le tre dimensioni dell’universo leonardesco analizzate per esplicitare il senso di questa accezione. Ad essere rivelata è anzitutto la potenza della capacità visiva e creativa del conoscere di Leonardo: la contemplazione attiva che nel momento della percezione dello spirituale che è nel sensibile e nella sua riproduzione artistica raggiunge il pieno compimento. In questo gioco di rifrangenze è resa tutta la grandezza dell’opera in grado di realizzare massimamente la corporeità nello spirituale e la spiritualità nel corporeo. Il visibilizzarsi dell’invisibile è permesso dal giudizio dell’uomo che coglie l’intelligibilità matematica del sensibile di per sé caotico; il sensibile è quindi cifra di un’ulteriorità trascendente, è cifra dell’Avvolgente – Umgreifende – che lo contiene, e che si offre all’autonoma ricezione dell’artista. 

Questa analisi porta  Jaspers a una convinzione, malgrado alcune caratteristiche analitiche che rientrano apieno nella metodologia investigativa della scienza moderna, quali ad esempio l’ideale di certezza, il valore dimostrativo dell’esperimento, la visualizzazione matematica della realtà, Leonardo non può di fatto essere considerato un esponente della scienza matematico-naturale. La visione cosmica del tutto e la devota religiosità che la accompagna; la fragile sensibilità alla prorompenza del mistero universalmente avvolgente, e la frammentarietà della sua opera che la documenta, hanno infatti la priorità su qualsiasi sistematica indagine del reale. A far da contrappunto dialettico alla tesi di Jaspers sono i commenti di Ferruccio Masini. All’interno di una generale comprensione che riconosce il fenomeno Leonardo costretto alla concezione filosofica jasperiana, Masini mette in discussione la svalutazione del Leonardo scienziato. Sfugge con questa svalutazione il valore storico del trapasso attuato da Leonardo: il superamento della contrapposizione tra regnum naturae e regnum hominis, affine alla concezione matematica ed estetica di Niccolò da Cusa oltre che al valore simbolico della matematica affermato da Ficino. La metodologia scientifica si affranca dalla pura speculazione nella globalità tutta rinascimentale del senso della visione leonardesca, comprensiva quindi tanto delle determinazioni estetico qualitative quanto quelle scientifico quantitative.

Appellandosi a Cassirer, Masini rivendica la posizione preminente di Leonardo nello sviluppo della scienza, in virtù dell’affermazione platonica dell’autonomia della ragione teoretica, principio primo della successiva speculazione galileiana. Ma è utile fare fruttare quello che intende essere da contrappunto come un’amplificazione o un intelligente accessorio capace di completare e puntualizzare l’argomento condotto da Jaspers. Il tutto deve infatti ricomporsinelle conclusioni tratte dal filosofo tedesco: la grandezza sovrastorica di Leonardo sfondando ogni costrittiva definizione trova dimora nella dimensione filosofica più consona a farne da eco. L’identità di scienziato, quella di tecnico, quella di artista sono ricondotte all’unità spirituale dell’essere filosofo. Dove per filosofia si intende “non già comeramo delle scienze, non già come dottrina, bensì come un conoscere universale che va prendendo coscienza di sé come di un tutto e se stesso riconduce sotto la sua propria guida: come una forma vitale, quindi, di questa umana esistenza che assume in sé il conoscere”. La rivoluzione micro-macro cosmica attuata da Leonardo è quindi inserita in un più comprensivo sfondo filosofico che rende giustizia della qualità universale della sua vicenda esistenziale.

Per citare questo articolo / To cite this article: D. Sacco, Recensione a: Karl Jaspers, Leonardo Filosofo, a cura di Ferruccio Masini, Abscondita, Milano 2001“La Rivista di Engramma” n. 10, luglio 2001, pp. 48-49 | PDF 

Lorenzo Bonoldi | Il Rinascimento è di scena. Recensione a: Il mestiere delle armi, regia di Ermanno Olmi, Italia 2001

Interpreti: Hristo Jivkov (Joanni de’ Medici), Sergio Grammatico (Federico Gonzaga), Susa Vulivevic (Pietro Aretino), Giancarlo Belelli (Alfonso d’Este), Paolo Magagna (Francesco Maria Della Rovere). 

Medici, Gonzaga, Este, Della Rovere. Sono questi gli altisonanti nomi dei personaggi portati sul grande schermo da Ermanno Olmi nel suo ultimo film: Il Mestiere delle Armi. Ma a rivivere sullo schermo non sono solamente nomi. Grazie al sapiente casting di Olmi infatti, tali ruoli sono stati affidati non a figure dello star system hollywoodiano, ma ad attori che presentassero forti somiglianze con i reali personaggistorici. Federico II Gonzaga, Alfonso d’Este, Pietro Aretino e Francesco Maria Della Rovere sembrano così essere usciti dai ritratti di Tiziano che, ancora oggi, ne consegnano fedelmente le parvenze alla memoria dei posteri. In alcune scene tali personaggi sono addirittura affiancati da elementi iconografici che permettono all’occhio allenato di identificare l’opera alla quale il regista si è ispirato. E così, nel sottile gioco costruito sulla linea che separa la citazione dotta dalla vera e propria imitazione, ritroviamo un cane bianco in braccio al Gonzaga e un cannone vicino all’Estense. 

È poi da segnalare un singolare omaggio di Olmi a un’altra figura chiave del Rinascimento Italiano: Isabella d’Este. In una scena del film, mentre i Lanzi si apprestano a oltrepassare il mantovano per raggiungere Roma (novembre 1526), si vede la corte gonzaghesca riunita per un concerto. Su un importante scranno posto accanto a quello di Federico II è seduta una donna anziana dall’aspetto austero. Questa donna non può essere altri che Isabella, madre del marchese di Mantova. La figura compare solamente in questa scena e non pronuncia nessuna battuta. Di essa non si fa menzione nemmeno nei titoli di coda. Colei che le fonti dell’epoca indicano come “la prima donna del mondo”, sembra essere qui ridotta a comparsa. Ma non è così. Ci troviamo infatti davanti ad una forma particolare di ciò che in gergo cinematografico è denominato cameo appearance, una comparsata d’eccezione, generalmente di un attore famoso: in questo caso invece, è un personaggio illustre a onorare la scena. E non a caso l’omaggio di Olmi è un omaggio silenzioso. In esso, infatti, è contenuto un anacronismo: Isabella d’Este non era a Mantova in quei giorni cruciali... Si trovava già a Roma, meta ultima della discesa del Lanzi. Di là fu spettatrice in prima fila della fine di quel periodo, chiamato Rinascimento, di cui seppe essere la primadonna.

English abstract

Three reviews for the NEWS column: Katia Mazzucco reviews the conference Per una filosofia dell’immagine in Siena. Daniella Sacco reviews Karl Jasper’s Leonardo Filosofo, edited by Ferruccio Masini. Lorenzo Bonoldi reviews Ermanno Olmi’s Il mestiere delle armi (2001)

.keywords | Aby Warburg; Leonardo da Vinci; Ermanno Olmi

Per citare questo articolo / To cite this article: L. Bonoldi, Il Rinascimento è di scena. Recensione a: Il mestiere delle armi, regia di Ermanno Olmi, Italia 2001, “La Rivista di Engramma” n. 10, luglio 2001, pp. 50-51 | PDF 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2001.10.0000