"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Il fregio vegetale dell'Ara Pacis

Luigi Sperti

Il grande sviluppo del fregio figurato dell’Ara Pacis e l’importanza che esso riveste per la ritrattistica aulica di età augustea hanno fatto sì che l’interesse per il pur ricco apparato ornamentale del monumento si sia sviluppato, nella storia degli studi, con un certo ritardo. Sia il Petersen che più tardi Giuseppe Moretti dedicano alla decorazione del recinto e dell’altare interno poche pagine descrittive (Petersen 1902, pp. 18 ss., 161 ss.; Moretti 1948, pp. 146 ss., 273 ss); mentre nella manualistica, sino ad epoca relativamente recente, si tende a mettere in risalto il carattere puramente esornativo – e quindi gratuito – dell’insieme (ad es. Bianchi Bandinelli 1969, p. 185 ss., e in partic. 192 s.).

A Theodor Kraus è da ascrivere, nel 1953, una prima messa a punto dei numerosi aspetti legati alla decorazione del recinto e dell’altare interno, in significativa concomitanza con lo sviluppo degli studi, soprattutto da parte della scuola tedesca e anglosassone, dedicati alla decorazione architettonica romana. Il contributo di Kraus sottolinea da un lato il ruolo, difficilmente sottovalutabile, che ebbe il fregio vegetale nella creazione in età augustea di un nuovo linguaggio decorativo, applicato sia ai grandi monumenti pubblici che all’ambito privato; dall’altro i legami con la tradizione decorativa precedente, e in particolare quella sviluppatasi a partire dalla fine del III sec. a.C. a Pergamo (Kraus 1953, in particolare p. 68 ss.). L’influenza che ebbero i modelli pergameni nella definizione degli schemi e di molti dettagli dell’apparato vegetale è indubbia; ma molti altri, come numerosi studi successivi hanno dimostrato, sono i riferimenti dell’Ara Pacis alla tradizione artistica precedente: dalle elaborate decorazioni di vasi e candelabri marmorei di produzione neoattica, alle pitture parietali e i mosaici pompeiani di epoca tardorepubblicana, agli elementi decorativi della scultura funeraria nella Grecia di età classica (si vedano ad esempio Börker 1973 sull’influsso del cd. neoatticismo; Castriota 1995, p. 46 ss. sui confronti con Pompei; Sauron 1978, in particolare p. 210 ss., sui rapporti con modelli funerari classici).

La ricchezza e la varietà dei rapporti con la cultura figurativa classica ed ellenistica ha indotto a riconsiderare l’apparato ornamentale del monumento augusteo anche sotto il profilo semantico: l’esibito rigoglio del fregio vegetale trova stretti paralleli con la letteratura coeva – in particolare l’Eneide e l’Egloga IV di Virgilio (sull'importanza delle fonti antiche v. in "Engramma" il saggio di Monica Centanni, Maria Grazia Ciani) – e celebra dunque gli effetti della ritrovata pace e il ritorno dell’aurea aetas, dopo un secolo di lotte e disordini (L’Orange 1962); tra il fregio vegetale del recinto e i personaggi rappresentati nel registro soprastante si colgono inaspettate corrispondenze, tali da ipotizzare che nell’intrico di volute d’acanto, fiori e piccoli animali nascosti nel fogliame si celi un messaggio dinastico (Büsing 1977); sul “messaggio simbolico” delle volute dell’Ara Pacis, e sulle sue implicazioni dal punto di vista della religione e della propaganda augustee, si è spesso soffermata la critica archeologica più recente, con esiti talora viziati da qualche eccesso ermeneutico (si vedano ad es. Sauron 1982, Sauron 1988, Sauron 1998 e Sauron 2000; su alcune interpretazioni v. la recensione di Cohon 2002; per gli aspetti religiosi v. Castriota 1995).

Il recinto dell’Ara Pacis è articolato all’esterno in due registri separati da un ornamento a meandro, che nella rigidezza geometrica del disegno contrasta con la resa naturalistica dell’ornato. Il registro inferiore, posto sopra una base modanata decorata da guilloches e da una fila piuttosto inusuale di fogliette verticali, è costituito da una complessa struttura, formata da racemi d’acanto disposti con accentuata simmetria ai lati di un asse centrale. I frammenti superstiti sono stati integrati da calchi tratti dagli originali del lato opposto: l’operazione implica ovviamente come presupposto un perfetto parallelismo tra i lati del monumento – il che peraltro non è affatto scontato.

Su ciascun lato l’asse della composizione è costituita da una candelabra sorgente da un grande cespo d’acanto, che genera inoltre da entrambi i lati una serie di grandi volute acantacee apparentemente disordinate, ma disegnate secondo uno schema di precisione quasi geometrica: un universo vegetale di inusuale ricchezza e abbondanza, dove spighe di grano, capsule di papavero, rami di quercia, edera e vite nascono dallo stesso tralcio d’acanto, il tutto reso con una qualità di esecuzione e un grado di naturalismo che non ha confronti, a qualsiasi livello e in qualsiasi ambito, nella scultura coeva (sugli aspetti formali v. Sauron 1978, p. 202 ss.; La Rocca 1983, p. 18 ss.; Schörner 1995, p. 47 ss.; Vandi 1999, p. 9 ss; sul fregio esterno dell’Ara Pacis è in corso uno studio tassonomico, che ha portato ad individuare più di cinquanta specie diverse: Rossini 2006, p. 92 s.). Al pervasivo apparato vegetale corrisponde una altrettanto intensa vita animale: la sommità degli steli principali dei lati nord e sud è occupata da una figura di cigno ad ali spiegate, e lo stesso motivo si ripete nei quattro pannelli posti ai lati delle entrate nei lati est e ovest, per un totale di venti. Meno visibile, ma egualmente significativa, è la miriade di animali che popola i racemi: lucertole, rane, serpenti, piccoli uccelli, insetti di vario genere, talora combinati in scene inusuali, come il piccolo dramma che si consuma all’ombra del cespo d’acanto nel lato nord, dove un serpente insidia un nido di uccellini terrorizzati. La composizione è chiusa agli angoli da due lesene decorate da una candelabra, che reggono capitelli corinzieggianti molto frammentari (v. Gans 1992, n. 17 p. 16 ss.).

 

Con ogni probabilità il fregio era in origine dipinto, il che accentuava la resa naturalistica del recinto esterno. L’attuale inserimento in un ambiente asettico di marmi tirati a lucido è quanto di più lontano si possa immaginare dalla originaria collocazione del monumento nel Campo Marzio, a ridosso della vasta distesa dell'Horologium Augusti, in una zona ricca di prati e alberi, dove la vegetazione reale trovava nel fregio del recinto idealizzata continuazione.

Il tema del fregio di girali d’acanto sviluppati da un unico cespo assiale e popolato di piccole figure di animali non è invenzione romana. Theodor Kraus e altri hanno segnalato numerosi monumenti di eterogenea datazione e provenienza – sculture, mosaici, pitture, manufatti toreutici – che presentano con il fregio dell’Ara Pacis evidenti affinità formali. Tra i confronti con la scultura pergamena il più significativo è senz’altro quello con due rilievi conservati al Museo Archeologico di Istanbul, pertinenti probabilmente a un grande altare monumentale ipoteticamente eretto nel grande santuario di Demetra della capitale attalide (Kraus 1953, p. 66 s.; Börker 1973, p. 303 s. fig. 12; Castriota 1995, p. 14 ss., figg. 47 ss.; Sauron 2000, p. 54 ss. fig. 14). Le lastre presentano uno schema decorativo molto vicino a quello dell’altare augusteo, caratterizzato da un grande cespo d’acanto che genera uno stelo assiale e rami d’acanto da cui spuntano piante di ogni sorta e raffigurazioni in miniatura di divinità. Il riferimento al mondo divino è confermato nei lati minori, dove compare una torcia accompagnata da spighe di grano (chiara allusione alla dea delle messi) e dalla parte opposta un caduceo alato.

Il frammentario rilievo pergameno non costituisce soltanto un importante precedente formale, ma può servire secondo alcuni (in particolare Castriota 1995, Sauron 2000) a gettare luce sul significato simbolico – o su uno dei significati – del fregio vegetale dell’altare augusteo. Nel rilievo di Istanbul i racemi d’acanto, gli attributi divini e i vegetali emblematici (la vite e l’edera di Dioniso, l’alloro di Apollo, le spighe di Demetra) stanno a indicare la celebrazione di divinità importanti nella politica religiosa degli Attalidi: alla presenza degli dei si allude dunque per via metonimica. In parallelo nell’Ara Pacis – dove compaiono, per inciso, le stesse piante che ornano l’altare pergameno ­– la compresenza di piante e di animali simbolici (tra cui spiccano per numero, dimensione e valore i venti cigni, collegabili ad Apollo ma anche a Venere) andrebbe letta come segno metaforico della concordia degli dei e dunque della sua conseguenza terrena, la pax augusta. Si è discusso, in verità oltre i limiti del ragionevole, se la celebrazione divina elaborata per immagini nel fregio vegetale dell’Ara Pacis riguardi solamente Apollo, notoriamente il numen protettore di Ottaviano, e l’artefice della vittoria di Azio (Sauron 2000, p. 53 ss. Sul ruolo di Apollo nella propaganda per immagini di Ottaviano/Augusto, v. anche Zanker 1987 (1989), p. 52 ss.); o se invece il princeps abbia voluto onorare congiuntamente anche Dioniso/Liber Pater, una volta liberato il dio dalla compromettente contiguità con Marco Antonio: in questo secondo caso si tratterà della celebrazione di un numen mixtum, un tema ricorrente nella letteratura coeva, che sottolinea la pacificazione degli dei e annuncia il ritorno del saeculum aureum vaticinato nell’Egloga IV virgiliana (Pollini 1993; Castriota 1995, p. 87 ss. e passim.).

Che il concetto di palingenesi cosmica sia ben presente nel programma ideologico del monumento lo dimostra la stretta relazione tra quest’ultimo e l’Horologium Augusti, la gigantesca meridiana collocata nell’area a nord dell’attuale piazza del Parlamento, e che utilizzava come gnomone un obelisco egiziano alto più di 20 metri trasportato da Heliopolis. Secondo una suggestiva ipotesi di Edmund Buchner l’Ara Pacis e l’Horologium, insieme con il Mausoleo di Augusto, erano collegati in un unico grande complesso monumentale fortemente connotato in senso ideologico (Buchner 1976). Il 23 settembre, compleanno dell’imperatore, l’ombra dello gnomone si proiettava direttamente sull’altare, enfatizzando da un lato il ruolo di Augusto come pacificatore dell’ecumene, dall’altro le connessioni con il culto del sole del suo divino protettore, Apollo.

A fianco delle ipotesi sulle implicazioni religiose del monumento, altre se ne sono avanzate su eventuali allusioni a vicende e temi della propaganda contemporanea, con particolare attenzione verso gli aspetti dinastici e la celebrazione della decisiva vittoria di Ottaviano ad Azio (31 a.C.). L’erroneo presupposto, tante volte ribadito nella letteratura archeologica, che tra il fregio figurato e quello vegetale del recinto esterno non vi sia alcun immediato rapporto è stato sconfessato da tempo dallo studio del Büsing, che ha messo in rilievo coincidenze certamente non casuali tra la posizione di alcuni dettagli dell’apparato vegetale e quella di personaggi rappresentati nella processione (Büsing 1977). Se la ricostruzione proposta dal Moretti è corretta, a ciascuna delle figure di Augusto e Agrippa, poste nel fregio sud in posizione equidistante dall’asse della composizione, corrisponde nel registro sottostante un motivo a tridente formato da un elemento centrale e da una coppia di fiori non dischiusi ai lati: è verosimile qui un riferimento a Caio e Lucio Cesare, i due figli di Agrippa, all’epoca bambini, raffigurati entrambi nel fregio processionale, e destinati negli intenti di Augusto a succedergli (Büsing 1977, p. 253 ss. V. anche La Rocca 1983, p. 20 s.; Sauron 2000, pp. 46 ss., 70 ss).

 

Molto si è discusso inoltre sullo stelo assiale del fregio vegetale sud, terminante in un elemento di forma ovale, e posto in corrispondenza del flamen martialis e del flamen iulialis (i maggiori sacerdoti rispettivamente del culto di Marte e di quello appena instaurato di Giulio Cesare divinizzato), che occupano il centro della processione meridionale. Secondo alcuni lo stelo desinente in bocciolo alluderebbe, con il riferimento al padre adottivo di Ottaviano/Augusto e al capostipite mitico della gens Iulia, all’origine della famiglia regnante; ma altri interpretano il coronamento dello stelo come un uovo, in allusione all’identificazione – peraltro assai incerta, in quanto scarsamente confortata dalle fonti – di Caio e Lucio Cesare come Dioscuri, nati appunto dall’uovo di Leda (v. La Rocca 1983; Sauron 2000, p. 65 ss.; Cohon 2002, p. 417 ss.).

Ancora più problematici sono presunti riferimenti a episodi della storia recente, in particolare alla disfatta di Marco Antonio e Cleopatra, ipotizzati da Sauron sulla base di una quantomeno libera interpretazione di alcuni dettagli del fregio vegetale: così una serie di indizi posti nella zona destra del lato meridionale, come le semipalmette poste di profilo, richiamerebbero nella forma simile all’aplustre di una trireme la battaglia navale di Azio; altrove, i viticci che si dispongono a spirale alluderebbero all’aspide con cui Cleopatra si suicidò (Sauron 2000, pp. 85 ss., 118 ss.).

Nonostante la quantità di studi recenti, il fregio dell’Ara Pacis rimane per alcuni aspetti ancora problematico. L’analisi delle implicazioni politiche e religiose più o meno implicite nell’apparato vegetale ha in questi ultimi anni quasi monopolizzato l’interesse degli archeologi, mentre gli aspetti formali, la tradizione decorativa in cui il monumento si colloca e l’influsso che ebbe nel repertorio decorativo di età imperiale, rimangono temi non ancora del tutto esplorati. Da definire meglio ad esempio è ancora il ruolo dei modelli pergameni: un ambito di indagine che potrebbe essere rivisto alla luce degli studi più recenti, che hanno evidenziato l’inventiva e la qualità di produzione di altre cosiddette scuole di scultura microasiatiche, e tra queste in primis Afrodisia. Lo stesso discorso vale anche per quanto riguarda i rapporti, rilevati già più di cinquant’anni fa (cfr. Kraus 1953, p. 50 ss.), con la produzione ‘neoattica’, e in particolare con quelle classi di scultura decorativa che in questi ultimi vent’anni sono state oggetto di accurate indagini, come candelabri, vasi e puteali marmorei (v. ad es. Cain 1985; Grassinger 1991; Golda 1997).

Infine, l’approfondita riconsiderazione delle centinaia di frammenti conservati presso il Museo Nazionale Romano (v. in questo numero di "Engramma" il saggio di Simona Dolari), la cui pertinenza al monumento è stata di recente accertata (Rossini 2006, p. 94 ss.), potrebbe fornire elementi utili anche per il dibattuto problema del rapporto tra il fregio vegetale e la soprastante processione.

Questo contributo è stato pubblicato in versione cartacea nel Quaderno del Centro studi Architettura Civiltà e Tradizione del Classico dell'Università Iuav di Venezia Ara Pacis. Le fonti, i significati e la fortuna (in occasione della lezione e degli incontri con Eugenio La Rocca e Henner Von Hesberg, 6 e 7 febbraio 2007), Venezia 2007

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Per citare questo articolo / To cite this article: L. Sperti, Il fregio vegetale dell’Ara Pacis, “La Rivista di Engramma” n. 75, ottobre/novembre 2009, pp. 191-200 | PDF di questo articolo