"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

84 | ottobre 2010

9788898260294

‘In girum imus nocte et consumimur igni’: intermittenze di un palindromo

Stefano Bartezzaghi

English abstract


 

«























 

"Ma niente traduceva questo presente senza via d'uscita e senza riposo come l'antica frase che ritorna integralmente su sé stessa, essendo costruita lettera per lettera come un labirinto da cui non si può uscire, di modo che essa accorda così perfettamente la forma e il contenuto della perdizione: IN GIRUM IMUS NOCTE ET CONSUMIMUR IGNI. Giriamo in tondo nella notte e siamo consumati dal fuoco”.

Così Guy Debord nel film che proprio al palindromo latino è intitolato e che nei titoli di testa viene ricomposto, nella sua simmetria, a partire dall'esterno:
IN .... NI
IN GI ... IGNI
IN GIRUM .... MUR IGNI
e così via, sino al punto di incontro tra nocte e la congiunzione et.

È il palindromo-indovinello delle lucciole, della cui scaturigine probabilmente medioevale non conosciamo un gran che: l'attribuzione a Terenziano Mauro (II sec.) non è documentata, e pare decisamente troppo antica, visto che le prime testimonianze certe di palindromi latini sono in Sidonio Apollinare (V sec.).

Palindromo, corsa all'indietro, è il nome che viene dato all'artificio letterario che impone il percorrimento delle sequenze in direzione contraria a quella codificata: da noi, quindi, si andrà da destra verso sinistra. Solo l'enigmistica italiana del Novecento ha introdotto una distinzione essenziale tra 'bifronte' e 'palindromo', termini altrove impiegati come sinonimi. Il palindromo è una sequenza che, letta al contrario, lettera per lettera, si ricompone esattamente. Questo è il caso di IN GIRUM IMUS NOCTE ET CONSUMIMUR IGNI; ma è anche il caso di nomi come Anna e Otto, di parole come ingegni, ossesso, onorarono.

Nel caso del bifronte, invece, la lettura in senso contrario produce una sequenza differente, artificio che in inglese produce esiti spettacolari come nel caso di live = evil. In latino, è notissimo il bifronte di ROMA, che una leggenda dice fosse anche uno dei nomi segreti e misterici della città: AMOR.

IN GIRUM IMUS NOCTE ET CONSUMIMUR IGNI è stato considerato come “il verso del diavolo”, diavolo che compare anche nelle leggende collegate ad altri palindromi, come ROMA TIBI SUBITO MOTIBUS IBIT AMOR “Grazie ai miei movimenti arriverai subito a Roma”.

In realtà quasi tutta la mitologia palindromica è posta sotto un segno di diabolicità o, più in generale, di maledizione: il demonio parla frequentemente alla rovescia, modalità che verrà aggiornata nel tardo Novecento con la presenza (presunta, ma a volte effettiva e consapevole) di messaggi satanici nei dischi rock, se registrati su nastro e riascoltati alla rovescia (così, ad esempio, in Stairway to Heaven dei Led Zeppelin sarebbero cifrate invocazioni a Satana, tra cui “Heres to my sweet Satan”, udibili se il nastro viene ascoltato al contrario).

Questo ethos maligno del palindromo è presente sin dall'attribuzione della sua invenzione all'impertinente poeta Sotade (III sec. a.C.) vissuto ad Alessandria e mal sopportato dal sovrano Tolomeo II Filadelfo, che invece provava affetto per il poeta Licofrone, a cui si attribuisce l'invenzione dell'anagramma. Mentre Licofrone aveva composto soavi anagrammi cortigiani sul nome del re e della regina, Sotade fu mandato a morte per i suoi componimenti irrispettosi nei confronti dei sovrani incestuosi (erano fratello e sorella, oltre che marito e moglie). A Sotade si attribuiscono tradizionalmente, oltre a quella del palindromo, anche le invenzioni della satira e della pornografia. In realtà non si conosce alcun verso palindromico a lui attribuibile, mentre a essere disposti in forma simmetrica e reversibile sono gli accenti del verso sotadico: di qui, probabilmente, l'equivoco.

Il vincolo fornito dal palindromo è forse il più stringente di tutti quelli che la combinatoria linguistica ha ispirato alle fantasie vagamente bondage degli scrittori à contrainte. L'ethos satanico non proviene direttamente da questo dettaglio, ma più probabilmente dal carattere maligno di ogni retroversione e capovolgimento (il male come contrario del bene; il mancinismo come perversione della normalità). Però proprio l'estrema difficoltà connessa all'arte del palindromo obbliga l'autore a un'attenzione nei confronti dell'espressione che annulla ogni possibile controllo del contenuto: il palindromo è un'espressione ineluttabile, non pare ammettere intentio auctoris, ciò che qualche addentellato esoterico, se non diabolico, parrebbe proprio averlo.

Essendo con ogni probabilità uno dei più antichi esemplari, IN GIRUM IMUS NOCTE ET CONSUMIMUR IGNI ha contribuito a fondare una tradizione misterica attorno all'artificio letterario del palindromo. Già la presenza della notte e del fuoco dà i connotati del rischio, alludendo alla parte buia dell'esistenza. Di per sé la notte è rovescio del giorno e la consunzione è il controvalore dello scorrere del tempo. Le due annotazioni temporali avvalorano una cruciale osservazione della voce narrativa di un racconto di Primo Levi: “Guai se tutte le frasi reversibili fossero vere, fossero sentenze d'oracolo. Eppure... eppure quando le leggi a rovescio, e il conto torna, c'è qualcosa in loro, qualcosa di magico e rivelatorio: lo sapevano anche i latini, e le scrivevano sulle meridiane” (Calore vorticoso, 1975; ora in Opere, Einaudi, Torino 1997). La reversibilità del tempo è infatti il limite a cui tende, e a cui allude nostalgicamente, ogni palindromo, con il semplice piegare a circolo, quindi a ciclo, la linearità della lingua.

Si diceva però che IN GIRUM IMUS NOCTE ET CONSUMIMUR IGNI non è solo un palindromo, ma anche un enigma, o un indovinello. Le lucciole, che ne dovrebbero essere protagoniste, sono infatti assenti dal circuito reversibile del testo. Chi è il ‘noi’, il soggetto che proferisce la frase? Spesso, nella struttura sintattica dell'enigma (altro pallino della giocosità letteraria medioevale), quello che si nasconde è proprio il soggetto dell'enunciazione, che come un personaggio mascherato dice: ‘Chi sono, io? Mi sai riconoscere?’.

Nel palindromo-enigma, il soggetto di IMUS e CONSUMIMUR descrive sé in modo ambiguo o, se si preferisce, poetico. La possibile attribuzione di senso a quell'implicito ‘noi’, l'investimento figurale del suo posto vuoto, lascia aperte molteplici possibilità.

L'interpretazione letterale della notte e del fuoco è quella che porta alle lucciole (o alle falene, o ad altre analoghe creature aeree attratte dalla luce). Ma quale animale medievale ha mai rappresentato esclusivamente sé stesso? La perifrasi allusiva di IN GIRUM IMUS NOCTE ET CONSUMIMUR IGNI pare così non escludere interpretazioni allegoriche in cui le lucciole rimandano all'immagine delle anime dannate (e la prima immagine su cui apre Come le lucciole di Didi-Huberman è il quadro dantesco di Inferno XXVI, 25-32), degli uomini sottoposti alla tentazione del peccato, degli stessi diavoli, i patroni – certo non santi – del procedimento palindromico su cui si struttura il verso.

Quell'eterno girare attorno, quell'orbita che traccia una sorta di linea di confine tra la luce del fuoco e il buio della notte, l'andamento intermittente della propria luminescenza sembrano però adattarsi anche alle lettere stesse del palindromo: che appunto girano tra il senso e il nonsenso, tra quel che dicono e ciò a cui alludono, tra il loro recto e l'indistinguibile loro verso.

English abstract

The article discusses the Latin palindrome “in girum imus nocte et consumimur igni”, providing a thorough analysis of its possible origin, historical re-uses, and hidden meanings.

 

keywords | Palindrome; Evil; Fireflies.

Per citare questo articolo / To cite this article: S. Bartezzaghi, ‘In girum imus nocte et consumimur igni’: intermittenze di un palindromo, “La Rivista di Engramma” n. 84, Ottobre 2010, pp. 94-97. | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2010.84.0025