"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Le mani fiorentine di Lolita.

Coincidenze warburghiane in Nabokov (e viceversa)

Antonella Sbrilli

English abstract


 

What a magnet for Mnemosyne! Vladimir Nabokov, 1955

Mentre in Europa, nel corso degli anni venti e trenta, la Ninfa declinava come l'aura benjaminiana e i suoi panneggi cadevano al suolo in forma di cenci (come ha raccontato Didi-Huberman in Ninfa moderna), pur tuttavia la formula della Ninfa, il suo engramma, si apprestava a un ulteriore spostamento verso ovest e a un'altra sopravvivenza, trasferendosi, con attributi antichi e altri nuovi di zecca, negli Stati Uniti d'America. È stato Roberto Calasso a individuare che "l'ultima grandiosa e fiammeggiante celebrazione della Ninfa è in Lolita, storia del professore Humbert Humbert, 'cacciatore incantato', che entra nel regno delle Ninfe seguendo un paio di calzini bianchi e di occhiali a forma di cuore" (Calasso 2001, p. 37). 

Nel suo scritto, Calasso collega la giovane Dolores Haze, detta Lolita, alla figura della Ninfa antica, che è insieme "fanciulla pronta alle nozze" e "polla d'acqua", ma anche araldo "di una forma della conoscenza, forse la più antica, certo la più rischiosa: la possessione". Nabokov viene visto, in questa prospettiva, come colui che obbliga, "con i mezzi proditori e matematici dell'arte, la mente a risvegliarsi all'evidenza, all'esistenza di questi esseri – le Ninfe – che possono anche presentarsi sotto la specie di una ragazzina americana" (Calasso 2005, pp. 49-50). Nabokov, allora, viene attirato anch'egli a suo modo nell'onda mnemica, di cui risente in modo del tutto peculiare, disseminando gli attributi e gli effetti della ninfolessia in un paesaggio più che moderno, trasformando l'enigma antico in continuo gioco di parole, riversando la percezione della materia mentale in un linguaggio, che ha ancora molto da rivelare sull'istante in cui l'immagine di una storia si fa sequenza di parole e di nuovo immagine (e storia) in chi legge.

Lolita dunque (pubblicato nel 1955, ambientato fra il 1947 e il 1952, con un antefatto – l'amore adolescente del protagonista per Annabel Lee del 1923-24) racchiude, fra i suoi tanti "colori emotivi" e pattern, anche la reviviscenza in età moderna della Ninfa, che appare numinosa e fatale a un uomo (nella fattispecie uno studioso, un professore, caratterizzato da tratti di insanity e melancholia: Lolita [1955] 2005, p. 48) e lo porta fuori di determinati confini, in un viaggio, più o meno letterale, dall'incerto ritorno. È un motivo che richiama nel suo nucleo quello contenuto nel progetto di narrazione epistolare che coinvolse, al principio del Novecento, Warburg e l'amico olandese André Jolles intorno al tema della cosiddetta Ninfa del Ghirlandaio (per un recento commento: Contarini, Ghelardi 2004, pp. 32 ss.).

In quello scambio embrionale di esperienze sull'effetto di rapimento prodotto dall'immagine della fanciulla leggiadra e inquietante sono racchiusi i temi intrecciati della Ninfa, della farfalla, della polarità passato/presente, della perdita della ragione, della mania erotica e filologica. Sono dorsali di una ricerca incompiuta che avrebbe preso strade diverse sia per i due interlocutori, sia per il motivo stesso, rifratto e trasformato, nel corso del secolo, nella letteratura, nella pittura, nel teatro, nel cinema e anche nel fumetto, in Europa, negli Usa, fino ai manga giapponesi. La presenza dunque di questo motivo induce a pensare alla modulazione di altre affinità fra il complesso dell'esperienza intellettuale e psicologica di Warburg e il complesso-Nabokov.

Se allora, seguendo il motivo della ninfa Lolita, si prova a rileggere il romanzo sub specie warburghiana, non sono pochi i temi che suggeriscono dei collegamenti nei due versi: di una cultura warburghiana in Nabokov e di una, anacronistica, affinità di Warburg con lo scrittore russo: dal tema centrale della Ninfa "demoniaca" che si impossessa di chi è destinato a riconoscerla, alla presenza plasmante della memoria nella vita e nell'esperienza creativa, dal richiamo diretto e frequente a Mnemosyne ("la più dolce e birichina fra le Muse") alla fascinazione scientifico-poetica e naturalistico-metaforica per le farfalle, dall'osservazione dei dettagli come chiavi di accesso a un codice del mondo, alla tecnica di comporre in modo non sequenziale, procedendo per schede che ricompongano, come in un puzzle, il disegno di un possibile intero.

Intanto la protagonista: come le ninfe antiche, Lolita è connaturata all'elemento liquido in molti modi, e prima di tutto nel nome, dove non solo trionfa la elle, consonante liquida, limpida e luminosa, ma dove l'acqua è letteralmente racchiusa nella prima sillaba Lo, omofona con l'eau, il suono francese della parola 'acqua' (Bouchet). La ninfa Lolita, anche se spogliata del panneggio, è pur sempre designata, nelle frasi, da linee rinascimentali: mentre prepara la recita scolastica (con tanto di ninfe), le sue "affusolate mani fiorentine" sono unite con "incantevole grazia"; anche i suoi seni, verso la fine del libro, sono descritti come "fiorentini" nel senso di botticelliani; i piedi hanno dita lunghe e sembianze scimmiesche (come in una immaginaria tavola di Giovanni Morelli), e la carnagione è colorata da tinte "sfumate di miele", che hanno la "sfumatura di rosa botticelliano".

Traspaiono, nell'immagine di questa ragazzina fra i dodici e i tredici anni, elementi pittorici e grafici, lineari e cromatici, che riportano all'interpretazione rinascimentale di una "sensual but melancholy femininity" (Annotated Lolita [1955, 1970] 1991, p. 366), che sintetizza i tipi botticelliani (le Grazie, la Primavera, la Venere) con i loro precedenti antichi. La camminata e lo sguardo provengono dallo stesso ambiente figurativo e colpisce la descrizione del modo di giocare a tennis della ragazza, la sua tenuta, i suoi movimenti bilanciati a cogliere il momento opportuno:

La mia Lolita aveva un modo impareggiabile di alzare il ginocchio sinistro flesso nell'ampio, scattante inizio del ciclo del servizio, allorché veniva a crearsi, e restava un istante sospeso nel sole, un vitale ordito d'equilibrio tra il piede sulla punta, l'ascella ancora imberbe, il braccio brunito e la racchetta gettata all'indietro, mentre lei sorrideva con denti scintillanti al piccolo globo sospeso così in alto, allo zenith del cosmo possente e armonioso da lei appositamente creato per piombargli addosso con il netto schiocco sonoro della sua frusta dorata" (Lolita [1955] 2005, pp. 289-290).

Il servizio di Lolita è descritto come un'opera d'arte di ascendenza classica, le sue qualità infatti sono: beauty, directness, youth, a classical purity of trajectory (leggiadria, schiettezza, gioventù, una classica purezza di traiettoria). Mentre gioca a tennis, Lolita è propriamente l'immagine perfetta della "vita in movimento", portatrice di un'originaria forza espressiva. È un 'dinamogramma', una sequenza in azione, che Humbert Humbert rimpiange di non aver ripreso in un film ("I could have filmed her!").

Quando la osserva addormentata nel primo albergo in cui si recano, Humbert Humbert confessa che i suoi pensieri sono influenzati da una "breeze from wonderland": una brezza che viene dal paese delle meraviglie, che increspa fantasmaticamente la superficie dove i suoi pensieri stessi si riflettono (Lolita [1955] 2005, p. 167). Oltre al palese riferimento ad Alice in Wonderland (libro che Nabokov aveva tradotto in russo nel 1923), è sorprendente che, di fronte alla ninfa dormiente, l'uomo percepisca una brezza immaginaria, quella brise imaginaire che Warburg individua come traccia dell'engramma della ninfa nella cultura del Rinascimento (Warburg [1932, 1966] 1996, p. 19). È un vento che si muove nella materia mentale della scrittura, toccando nel suo percorso tutta una famiglia di ninfe, di prigionieri di ninfe, di percezioni che catturano l'esperienza ineffabile e potente che imparenta questi elementi.

Lolita è a buon diritto un'incarnazione moderna di una formula di pathos antichissima, a cui appartengono anche Beatrice ("fanciullina radiosa" "nella sua veste cremisi") e Laura ("bionda ninfetta dodicenne che correva nel vento"). Da questo punto di vista, Nabokov aggiunge a una immaginaria, multimediale tavola di Mnemosyne la sua Lolita, insieme ad annotazioni da storico di una cultura fantastica come quella, buttata lì all'inizio del libro: "Nelle regioni polari le ninfette non esistono", che connette la diffusione di 'costituzioni morfologiche' alla geografia.

Verificare se e in che modo tali affinità provengano da un contatto più o meno diretto fra Nabokov e l'atmosfera warburghiana è un compito più difficile, a cui si può anche provare ad accennare, sulla base ad esempio della presenza contemporanea e contigua di Nabokov e dello storico dell'arte Erwin Panofsky negli Stati Uniti negli anni quaranta. Al di là dei motivi, singoli e intrecciati, si può comunque trarre profitto nel considerare Warburg e Nabokov su una stessa piattaforma di indagine. Entrambi hanno lasciato un'opera-laboratorio, da cui si continua ad attingere da punti di vista metodologici e creativi imprevedibili perché non esplicitati in toto e in chiaro. Li accomuna infatti un carattere crittografico: in Nabokov si tratta di una crittografia sistematica perché sottesa alla creazione di un'opera; in Warburg di una crittografia diffusa perché appoggiata sulla variegata (e irrecuperabile) stratificazione della storia. Tale crittografia interna al procedimento di indagine e restituzione del pensiero consente di ricombinare gli elementi messi nell'arena in sempre nuove forme plausibili, che appaiono sensate (per contenuto o pattern) a ogni nuova svolta del pensiero critico, della scoperta scientifica, dell'evoluzione linguistica.

Fra le somiglianze soprattutto impressiona, in un passo dell'autobiografia di Nabokov, la descrizione del gesto di appuntare con lo spillo la farfalla catturata, il crepitìo del metallo che fora il torace del lepidottero, l'attenzione nell'inserire la punta dello spillo nel pannello espositivo: non si può non pensare all'Atlante Mnemosyne con le sue tavole che accolgono ciò che resta di opere d'arte catturate nel loro lungo volo fra Oriente e Occidente, essiccate in immagini su carta, sistemate con spilli e mollette su pannelli espositivi, spostabili per specie, generi, famiglie, somiglianza esteriore o strutturale. Ma soprattutto si pensa all'analogia, sottolineata a suo tempo da Settis, fra l'osservazione dell'entomologo e l'approccio di Warburg alla ninfa-farfalla (Settis [1981] 1990, pp. XV-XVI).

Il Warburg "entomologo" per metafora si rifrange nel vero entomologo Nabokov, che a sua volta carica l'esperienza dell'entomologia di caratteri inusitati. Nel passo citato, infatti, la rievocazione dell'appuntare un insetto sulla tavola scaturisce nella mente dell'autore durante un'operazione di appendicectomia, sotto l'effetto dell'etere. La sostanza narcotica, usata anche per uccidere gli insetti, scatena in Nabokov un'immagine sinestetica, vivida come una decalcomania, in cui si sostanzia un episodio del passato: una falena stordita con l'etere dalla madre, mentre nella visione la madre stessa viene trasfigurata, la falena ingigantita, la sensazione dello spillo che buca l'insetto si produce proprio mentre le viscere dello scrittore sono esposte durante l'operazione. E dietro quest'immagine si affastella il ricordo di altre farfalle inseguite dalle siepi di caprifoglio intorno a casa attraverso i continenti, delle loro ali che somigliano a quelle degli angeli del Beato Angelico, in un nesso indistricabile di morfologia e coscienza balenato in un istante di presente. Questo rapporto fra le viscere vitali e la memoria, fra il grumo originario di se stessi e i fenomeni del mondo, fra il riconoscimento di forme trasmigranti e il tentativo di catturarle non può, a sua volta, non far pensare alla materia stessa del lavoro e dell'esistenza di Warburg.

Va ricordato, poi, l'intimo e sostanziale interesse di Nabokov per la pittura. Ricadono in questa sfera: l'intenzione giovanile di dedicarsi al paesaggismo; la formazione con vari insegnanti di disegno fra i quali il russo Mstislav Dobuzhinski (1875-1957), che lo indirizza all'osservazione analitica del dettaglio e al quale Nabokov dedica una composizione dal paradigmatico titolo Ut pictura poesis (Shapiro 2003, p. 241); lo studio empatico dell'universo pittorico olandese e fiammingo, con i temi dello specchio, della finestra, del quadro nel quadro, della miniaturizzazione, del particolare naturale e quotidiano; il ricorso alla forma dell'ekphrasis e a false ekphraseis nella narrazione; l'utilizzo di meccanismi metalinguistici basati sul tema dell'interazione fra quadro e "realtà" esterna; il richiamo frequente ai rapporti fra immaginazione pittorica e racconto e infine il sorprendente anelito a una forma narrativa non sequenziale, in cui venga privilegiata la percezione simultanea (visiva) di un evento/storia sia dalla parte dello scrittore, sia da quella del lettore.

È spesso citato un passo tratto dalle Lezioni di letteratura in cui lo scrittore afferma che l'idea della sequenza non ha un'esistenza reale: "Se la mente fosse costruita su linee opzionali e se un libro potesse essere letto nel modo in cui un quadro viene percepito dall'occhio, cioè senza il fastidio di lavorare da sinistra a destra e senza l'assurdità degli inizi e delle fini, avremmo il modo ideale di apprezzare un romanzo, perché così l'autore lo ha visto nel momento in cui lo ha concepito" (Nabokov [1980] 1982, p. 443). Anche questo tratto del pensiero di Nabokov può far pensare, con le dovute modifiche, alla ricerca inquieta, da parte di Warburg, di una tecnica non lineare di organizzazione dei contenuti dei suoi studi, delle sue intuizioni e creature intellettuali. Una ricerca che lo ha portato (con l'aiuto di Saxl) alla forma dell'atlante scientifico, del pannello, del ri-quadro che l'occhio può catturare sinotticamente e insieme smontare e rimontare come un album di figure, come un puzzle, come una storia senza inizi né fini.

Fra le connessioni possibili fra Nabokov e Warburg, eccone alcune, proposte in forma abbreviata, quasi di appunto di studio (e in ordine alfabetico), per far risaltare coincidenze a analogie anche al di là del loro intreccio storico documentabile. Alla fine dell'elenco, un accenno al possibile contatto fra Nabokov e la tradizione warburghiana.

Alice

Le strade di Alice incrociano il Warburg Institute.
Oltre ad essere stato il primo traduttore russo di Alice in Wonderland (Anja v strane chudes, Berlin 1923), ad aver alluso al capolavoro del reverendo Dodgson, alias Lewis Carroll, in molti luoghi della sua opera, ad aver giocato giochi di parole codificati dallo stesso Carroll, come i metagrammi (doublets) e le parole-valigia (portmanteau-words) (Bartezzaghi 1999, pp. 221 ss.), Nabokov, secondo alcuni studiosi: "Did allude to Carroll in Lolita through what might be called 'the photographic theme'" (Annotated Lolita [1955, 1970] 1991, p. 382). Nabokov si è dunque riferito a Carroll attraverso il tema della fotografia, in rapporto dunque all'attività fotografica dell'autore di Alice. Che questa osservazione sia più o meno rilevante, il riferimento ad Alice e alla fotografia consente di introdurre in questa rete di collegamenti il fotografo tedesco Helmut Gernsheim (1913-1995). Nato a Monaco, dopo aver studiato storia dell'arte inizia a dedicarsi alla fotografia per dare una base tecnica ai suoi studi sull'immagine. Nel 1937 partecipa all'Esposizione Internazionale di Parigi e, vista la situazione politica tedesca, si trasferisce in Gran Bretagna.

A Londra, negli anni della seconda guerra mondiale, Gernsheim lavora come fotografo al Warburg Institute (la Biblioteca Warburg era stata trasferita a Londra nel 1933 e dal 1943 era stata incorporata dall'Università di Londra), partecipando a una vasta campagna fotografica di documentazione degli edifici dell'area londinese. Una mostra di sue fotografie di soggetto architettonico si tiene al Courtauld Institute. Accanto all'attività di fotografo, Gernsheim intraprende lo studio della storia della fotografia, che lo porta a scoperte rilevantissime, a una produzione imponente di saggi e cataloghi e alla messa a punto di una collezione senza pari. Considerato fra i fondatori della moderna storia della fotografia, Gernsheim è l'autore di una delle prime monografie dedicate proprio all'attività fotografica di Carroll: Lewis Carroll, Photographer, Max Parrish, London 1949.

Se Nabokov ha avuto in mano questo volume, ha avuto occasione di venire in contatto con uno storico dell'arte di origine tedesca, attivo nell'ambiente del Warburg Institute. Una curiosità: una copia del libro di Carroll, Through the looking-glass and what Alice found there by Lewis Carroll, with fifty illustrations of John Tenniel, Macmillan, London 1897, si trova nella Biblioteca Warburg, con ex libris di Aby Warburg (collocazione: NEH 7220. T36).

Biblioteca

Le citazioni palesi o crittate di libri, incastonate nelle pagine di Nabokov, costruiscono delle biblioteche in cui i testi sono uniti da vincoli di affinità, da catene di senso e di canone stabilite dall'autore: una forma, a suo modo, di "legge del buon vicinato", come quella che unisce i libri nella biblioteca di Warburg. La posizione stessa dei libri, negli scaffali virtuali evocati dalla scrittura di Nabokov, è significativa e quasi apotropaica. Appel (Annotated Lolita [1955, 1970] 1991, p. 382) parla di una linea di famiglia, una "family line established on Sebastian Knight's neatest book shelf, where Alice in Wonderland and Ulysses stand side by side, along with other works by some of Nabokov's favorite writers (Stevenson, Chekhov, Flaubert, Proust, Wells and Shakespeare, who encloses the shelf at either end with Hamlet and King Lear)".

Della biblioteca contenuta in Ada, o ardore sappiamo che è composta di 14.841 volumi (un numero, fra l'altro, palindromo). Accanto ai libri, vanno ricordati i tanti album che compaiono fra le pagine di Nabokov: album naturalistici e scientifici (soprattutto di botanica ed entomologia), album di riproduzioni d'arte, album di immagini pornografiche, album inventati o sagomati su esemplari esistenti. Raccolte di immagini da sfogliare, ad accesso non sequenziale ma con un ordine ricomponibile.

Botticelli

I numerosi riferimenti alle figure femminili e alla gamma cromatica del Botticelli sono commentati da Alfred Appel nel più volte citato Annotated Lolita. Lo studioso, che basa le sue note anche sulla conoscenza diretta di Nabokov, della sua cultura storico-artistica, delle sue preferenze pittoriche, individua per ciascun passo, in un esercizio di attribuzionismo, i riferimenti alle figure delle Grazie nella Primavera e alla Nascita di Venere. Inoltre rintraccia i richiami a Botticelli anche in altre opere dello scrittore, come ad esempio Laughter in the Dark.

Ma oltre alle esplicite citazioni, non è difficile registrare allusioni indirette alla Stimmung delle figure femminili di Botticelli. In un passo come questo: "C'era qualcosa di strano in quei suoi grandi occhi grigi, mi domandai, o eravamo entrambi immersi nella stessa nebbia incantata? Nello spazio che andava dilatandosi lei si avvicinò con la lentezza di chi cammini sott'acqua o fugga in sogno [...]" (Lolita [1955] 2005, p. 154) sembra di ritrovare lo sguardo di Warburg quando, in chiusura del saggio La "Nascita di Venere" e la "Primavera" di Sandro Botticelli, parte terza: Origini esterne della composizione dei dipinti. Botticelli e Leonardo, incastona questa osservazione: "Di parecchie donne e giovani del Botticelli si sarebbe inclini a dire che in quel momento appena sono giunti a consapevolezza del mondo esteriore destandosi da un sogno e che, sebbene a questo mondo si volgano di nuovo attivi, le immagini del sogno pervadano ancora la loro coscienza" (Warburg [1932, 1966] 1996, p. 57).

Dettagli

"Quando si legge bisogna cogliere e accarezzare i particolari". E ancora: "Accarezzate i particolari", diceva Nabokov, arrotando le r, con una voce che era come la ruvida carezza della lingua di un gatto, "i divini particolari (the divine details)" (Nabokov [1980] 1982, pp. 31, 15). Leggendo questi inviti di Nabokov ai suoi studenti e lettori, può balzare agli occhi una connessione con il motto di Warburg: Il buon Dio si nasconde nel dettaglio (Der liebe Gott steckt im Detail) per la convergenza dei termini: 'divino','Dio','dettaglio'/'particolare'.

Nell'autobiografia (Nabokov [1967, 1969] 2000, p. 73), Nabokov fa risalire la sua attenzione ai particolari all'insegnamento del maestro di disegno Mstislav Dobuzhinski, che lo invitava a disegnare a memoria, "in the greatest possible detail", oggetti visti innumerevoli volte, il lampione, la cassetta della posta, il motivo del tulipano sulla porta d'ingresso. Più avanti, il suo interesse per l'arte olandese e fiamminga, mutuato anche dalla lettura dell'opera di Panofsky Early Netherlandish Painting, rafforza l'attitudine a fare dei particolari il perno degli universi creati con la narrazione, come se singoli piccoli elementi o parti di oggetti, descritti con eccezionale vividezza, reggessero il peso della storia e fossero in grado di materializzarsi fuori del testo come minuscoli testimoni di una realtà parallela creata dall'autore-demiurgo. I dettagli come prova dell'esistenza di un Dio.

Il tema del dettaglio in Nabokov si lega anche a quello che Marco Belpoliti (Belpoliti 1999, p. 230) chiama acutamente "l'aspetto di ologramma che ogni sua pagina possiede: tutto è lì, davanti agli occhi di chi legge, tridimensionale, ma al tempo stesso non c'è, è un inganno, un magnifico imbroglio del linguaggio; e come in un ologramma in ogni pagina c'è tutto: l'insieme è contenuto in ogni dettaglio". L'attenzione al dettaglio è poi una prerogativa dell'attività dell'entomologo, che affina le sue competenze sui caratteri costitutivi dei vari esemplari di insetti, in base a una sensibilità assoluta verso il particolare minuscolo, osservato sia a occhio nudo sia al microscopio. Il richiamo al dettaglio in Warburg, nella pittura fiamminga e olandese, nell'osservazione scientifica, nella tecnica narrativa rivela una comune attrazione verso gli aspetti morfologici dell'esistente, che l'occhio può captare in ogni punto delle cose (anche nel più piccolo e laterale) per inferire da esso la struttura, la trama, il senso, l'autografia dell'intero.

Farfalle (e ninfe)

Francesco M. Cataluccio nel suo saggio Farfalle russe (Cataluccio 1999, p. 246) fra le molte nuove farfalle scoperte da Nabokov e quelle battezzate in suo onore, segnala l'esistenza di una "'farfalla marrone', scoperta da lui nel 1943 e chiamata, nella letteratura scientifica, Nabokov's Nymph: quasi una svolazzante anticipazione di Lolita". Una farfalla che si chiama Ninfa di Nabokov è una coincidenza straordinaria che intreccia insieme il tema della ninfa warburghiana con quello della farfalla e di Lolita. Come riporta Gombrich, Warburg, in vari abbozzi della corrispondenza con Jolles, "parla della 'Ninfa' come di una bella farfalla che non si lascia prendere. 'La più bella farfalla che io abbia mai collezionato improvvisamente mi appare attraverso il vento e beffardamente danza nell'aria azzurra. [...] Accostandomi alla nostra agile fanciulla, vorrei roteare via con lei pieno di gioia. Ma questi slanci non sono fatti per me. A me è solo permesso guardare indietro e assaporare nei bruchi lo sviluppo della farfalla'" (Gombrich [1970] 1983, p. 103).

Più d'uno ha sottolineato lo sguardo da entomologo di Warburg che indaga la permanenza e la metamorfosi delle forme inseguendole nel loro viaggio culturale. Dal suo canto, l'entomologo Nabokov utilizza, nei suoi studi, una tecnica di osservazione che ha molto in comune con quella usata dagli storici dell'arte per riconoscere le varianti e le invarianti degli stili e operare le attribuzioni. Come cerniera fra i due temi, si può citare l'intenzione di Nabokov di scrivere un libro (mai apparso) sulle farfalle nell'arte. Come ricorda il figlio Dmitri (D. Nabokov 1999, p. 211): "Scoprire un perfetto esemplare di Vanessa atalanta dissimulato in un cespuglio di Bruegel lo emozionava quasi quanto individuare un raro mutante in volo". Ma l'occhio di Nabokov cercava riferimenti alle farfalle anche in altri elementi pittorici, per esempio nelle ali degli angeli. Sempre il figlio riporta un'annotazione dello scrittore sulle iridescenti ali dell'angelo nell'Annunciazione di Fra' Beato Angelico, osservate in una riproduzione proveniente dall'Italia: "Reminiscenza di Iphiclides podalirius con un'esile traccia di Papilio machaon e forse un accenno di Panaxia quadripunctaria, la falena diurna..." (D. Nabokov 1999, p. 211).

Se torniamo per un momento alla corrispondenza fra Warburg e Jolles sull'apparizione della Ninfa, è curioso notare come Jolles confessi di aver riconosciuto la Ninfa, oltre che nella fanciulla del Ghirlandaio, o in Giuditta o in Salomè, anche "in un serafino che vola verso Dio in adorazione, e ancora in un Gabriele che sta annunciando la buona novella" (Gombrich [1970] 1983, p. 101). Mentre Jolles vede la Ninfa nell'angelo annunciante, Nabokov vede la farfalla nell'ala del medesimo angelo, dando vita così a un engramma ben complesso, a un oggetto culturale dove simbolo, morfologia, memoria si incatenano in modo indistricabile.

Un altro intreccio è costituito dal termine 'ninfa' usato in relazione alla vita delle farfalle: infatti, benché in entomologia il termine ninfa sia impiegato per indicare lo stadio giovanile di insetti diversi dalle farfalle, non è raro sentir indicare come ninfa la crisalide della farfalla. Non certo Nabokov, che usa sempre termini scientificamente corretti, ma molti commentatori (e anche alcune enciclopedie) indicano con ninfa uno degli stadi della farfalla. Il nesso dunque fra Ninfa classica e farfalla, anche se non preciso terminologicamente, è presente nell'uso. Del resto, una grande famiglia di Lepidotteri, comprendente farfalle come le Vanesse, porta il nome di Ninfalidi (Nymphalidae).

Un ultimo accenno al fatto che nel 1921, mentre è ricoverato nella casa di cura del dottor Binswanger a Kreuzlingen, Warburg è afflitto da diverse manie, fra le quali un'attrazione anomala per farfalle e falene. Fa impressione leggere, nei rapporti medici riportati nel recente studio La guarigione infinita (Binswanger, Warburg 2005, pp. 79, 77), annotazioni come queste: "Vero e proprio culto per le piccole falene e le farfalle che di notte volano nella sua stanza. Le chiama animaletti animati, può intrattenersi con loro per ore". "Si agita quando la sera alcune falene, attirate dalla luce, volano nella sua stanza. Ha paura che vengano uccise dal custode, perciò non riesce ad addormentarsi per ore, e confida alle farfalle il proprio dolore".

Giochi di parole (e di immagini)

"Che cosa avrei dovuto mettere: Humbert e figlia? Humberg e figlioletta? Homberg e fanciulla immatura? Homburg e bambina? Il ridicolo errore – la "g" finale – che fu effettivamente trasmesso poteva essere l'eco telepatica di quelle mie esitazioni. E poi nel velluto di una notte d'estate, i patemi sul filtro che avevo con me! Oh, gretto Hamburg!" (Lolita [1955] 2005, p. 140). Nel prenotare la camera d'albergo per sé e Lolita, Humbert Humbert ipotizza diverse firme e descrizioni dei rapporti di parentela, approdando infine, attraverso diverse modifiche successive, al termine Hamburg (Amburgo). La città natale di Warburg, prima sede della sua Biblioteca, è richiamata qui casualmente in virtù di un gioco di parole, conosciuto come metagramma, in inglese doublets. Stefano Bartezzaghi (Bartezzaghi 1999 pp. 221 ss.) lo analizza a proposito di un'altra opera di Nabokov, Fuoco pallido, dove il gioco viene indicato come Word golf (golf delle parole) e consiste nel passare da un termine a un altro cambiando una lettera per volta con il minor numero di passaggi. Nabokov gioca a golf con le parole andando dal cognome Humbert a Hamburg.

Nella tavola 77 dell'Atlante Mnemosyne Warburg propone un accostamento di immagini sui temi della cacciatrice di teste, della Ninfa-Nike, fra le quali spiccano la giocatrice di golf e la viaggiatrice che pubblicizza la linea Amburgo-America ("La signorina viaggiatrice del manifesto è una Ninfa degradata": Gombrich [1970] 1983, p. 256).

Anche qui, si può dire, il meccanismo è quello di una catena di cambi, in cui il mutamento riguarda il significato e la funzione delle immagini. Un gioco del golf giocato con le immagini invece che con le parole.

Immagini

Un'analogia che meriterebbe di essere approfondita con strumenti neuroscientifici adeguati è quella del "pensiero per immagini", comune, pur nella diversità, a Warburg e Nabokov. Di Warburg, Gombrich afferma: "Quanto più egli penetrava un problema, tanto più pensava per immagini". E più di recente Mazzucco, a proposito del metodo usato in Mnemosyne, scrive: "Cercare nella parola le qualità proprie della visione, per non rimanere intrappolati nella sequenza lineare dell'esposizione, e proporre documenti e immagini facendo leva sulla loro forza di evocazione [...] mirava alla possibilità di cogliere, contemporaneamente, la prospettiva generale e l'analisi del particolare, l'una contenuta nell'altra, e ciò significava non separare der Liebe Gott dal Detail". E ancora: "Nella creazione di allegorie e metafore, invece, si scoprono vere e proprie immagini nelle parole" (Forster, Mazzucco 2002, pp. 67, 66).

Di Nabokov è nota l'attitudine (anche sinestetica) a vedere il linguaggio, ed è stato più volte sottolineato che "il suo codice è tutto di immagini", così che la "scrittura narrativa diventa una forma visiva, un fenomeno che rientra nel campo di uno sguardo" (Sasso 1999, pp. 286, 289).

Metamorfosi (morfologia, mimetismo)

La trasformazione della forma è stata riconosciuta da vari studiosi come un tema di Lolita, che coinvolge il romanzo in senso stilistico, tematico e intertestuale, con riferimento alle Metamorfosi di Ovidio, alla Metamorfosi di Kafka, alla metamorfosi della farfalla, del corpo della ragazza, dei dati della memoria. Riconoscere l'impronta di uno stesso essere, o di una stessa esperienza, in forme che mutano nel tempo e nello spazio, in forme che si ibridano e che si mimetizzano sotto altre spoglie è un tema che si può avvicinare alla ricerca warburghiana.

Come afferma Marco Belpoliti (Belpoliti 1999, p. 242): "La questione più interessante dell'opera di Nabokov, questione ancora tutta da esplorare, è quella della morfologia, il problema del cambiamento di forma, non solo nell'ambito di una medesima forma, ma più in generale nell'intero mondo visibile": un'osservazione che conduce all'interno degli studi warburghiani e indietro alla tradizione della morfologia goethiana, come indagato da Pinotti (Pinotti 2001). L'arguzia artistica del mimetismo naturale, sottolineata da Nabokov a proposito delle farfalle come un tratto che non è spiegabile soltanto con la lotta per la sopravvivenza e "sembra essere stato inventato da un pittore spiritoso proprio per gli occhi intelligenti dell'uomo" (Nabokov [1963] 1991, p. 145), rivela la capacità di Nabokov di collegare a un qualche livello sotterraneo il dato naturale-evolutivo con l'affinamento della percezione e del linguaggio visuale; di cogliere un nesso fra emergenza del dato artistico e storia della natura e dell'uomo.

In aggiunta, fra le "magiche maschere del mimetismo" nelle farfalle, Nabokov si trova a descrivere, ne Il dono, "l'enorme sfingide che in stato di riposo assume le sembianze di un serpente che ti scruta". Questo rapporto visivo fra farfalla e serpente può riportare al collegamento fra la Ninfa e il serpente nell'esperienza di Warburg e alla connessione ad anello, individuata da Calasso (Calasso 2005, p. 18) fra fonte, serpente, Ninfa, serpente.

Mnemosyne (memoria)

La madre delle Muse è invocata più volte in Lolita, e numerosi e pregnanti sono i richiami alla forza e alla funzione della memoria negli scritti di Nabokov. Con una punta di ironia e parodia, anche lo studioso Humbert Humbert si dedica a ricerche sulla memoria in un saggio, Mimir and memory, dove viene sviluppata "una teoria del tempo percettuale basata sulla circolazione del sangue e (in poche parole) dipendente, dal punto di vista concettuale, dal fatto che la mente è consapevole non soltanto della materia, ma anche di se stessa e crea così un incessante collegamento fra due punti (il futuro immagazzinabile e il passato immagazzinato" (Lolita [1955] 2005, p. 325). Nell'introduzione all'edizione aggiornata dell'autobiografia: Speak, Memory, Nabokov afferma di aver pensato di intitolare l'edizione inglese Speak, Mnemosyne, proprio in onore della divinità della memoria e di aver abbandonato la parola greca per paura di una sua difficoltà di pronuncia da parte del pubblico.

Panneggio

Anche se le Ninfe moderne non indossano vesti rigonfie e mosse dal vento, la descrizione delle pieghe delle gonne, le loro morbide incavature, legate ai movimenti della fanciulla, è un tratto che si ritrova non solo in Lolita, ma anche in un racconto precedente, dal tema embrionalmente simile, L'incantatore. In Lolita, fra la morte di Annabel Lee, la prima fanciulla amata da Humbert Humbert adolescente e l'apparizione di Lolita, fa la sua breve comparsa una giovane prostituta parigina, Monique, che, "dopo essersi svestita con ammaliante rapidità, rimase per un istante parzialmente avvolta nella sudicia mussola della tenda, ascoltando con appropriato piacere infantile un organetto nel cortile sottostante, già colmo del crepuscolo" (Lolita [1955] 2005, p. 33). Proprio in quegli anni venti e trenta in cui la Ninfa cittadina decade accanto agli scarti, sui marciapiedi, nel libro di Nabokov compare una ninfa panneggiata da una tenda sporca. In una scena che potrebbe virtualmente appartenere a un appunto (multimediale) di Benjamin.

Sopravvivenza

Se la Ninfa, per Warburg, è l'eroina del Nachleben, la "sopravvivenza" di cose antichissime e indistruttibili (Didi-Huberman [2002] 2004), Lolita, per Nabokov, è l'incarnazione del prototipo della Ninfa, che torna ventiquattro anni dopo la prima esperienza con Annabel Lee; nell'intervallo fra le due apparizioni, si situa la ricerca di altre reviviscenze, di altre incarnazioni del prototipo stesso. Come per la Pathosformel di Warburg, come nota Agamben (Agamben 2004, p. 56), "nessuna delle immagini è l'originale, nessuna è semplicemente una copia". Il tema della sopravvivenza poi chiude il libro, con l'appello finale di Humbert Humbert, il posseduto, a Lolita, in cui spiega la necessità per lui di sopravvivere, per poter trasferire nell'arte la loro esistenza e consegnarla (come formula di pathos narrata) alle generazioni successive.

Negli Stati Uniti

Queste dunque alcune delle affinità che intrecciano l'inventore della Ninfa Lolita con il cacciatore di Ninfe. Quando Warburg muore, nel 1929, Nabokov è un uomo di trent'anni, che ha lasciato la patria, ha abitato a Berlino e studiato a Cambridge. Fino al 1939 si trattiene in Europa, tenendo conferenza a Parigi, Bruxelles, Praga. Nel 1940 arriva in America, dove insegna a Stanford, a Harvard e poi alla Cornell University. Più che ipotizzare una conoscenza europea, è più agevole pensare che siano arrivati a Nabokov degli echi degli studi warburghiani nel periodo del suo soggiorno americano, durante la sua attività universitaria, in particolare per il tramite di Erwin Panofsky.

Erwin Panofsky si era stabilito negli Usa in forma stabile dal 1933, prima all'Università di New York e poi presso l'Institute for Advanced Study di Princeton e la sua presenza aveva contribuito con forza alla diffusione della storia dell'arte come "disciplina accademica nonché come argomento di pubblico interesse" (Panofsky [1955] 1962, p. 314). L'attività di Panofsky segna anche l'ingresso "della tradizione warburghiana negli Stati Uniti" con conseguente spostamento, negli studi, "dagli interessi puramente formali a quelli contenutistici fortemente caratterizzati in senso storico e filosofico oltre che filologico e letterario" (Cieri Via 1994, p. 113).

Gavriel Shapiro (Shapiro 2003, pp. 241 ss.) ha messo in luce le affinità fra le vite di Nabokov e Panofsky: nati nella stessa decade del XIX secolo in famiglie di alto livello culturale, formatisi in Europa, vissuti in Germania per un periodo, emigrati negli Stati Uniti con l'avvento del Nazionalsocialismo e della guerra, hanno entrambi abbandonato la lingua madre per scrivere in inglese opere di risonanza mondiale. Nabokov ha sicuramente conosciuto e apprezzato le opere di Panofsky, in particolare Meaning in the Visual Arts, pubblicato nel 1955 e di cui parla con ammirazione in una lettera a Edmund Wilson del 1957, con riferimento al saggio "Et in Arcadia ego"; ed Early Netherlandish Painting, pubblicato dalla Harvard University Press nel 1953, mentre lo scrittore era alle prese con il romanzo Pnin, ricco di riferimenti alla pittura nederlandese.

Ma ciò che interessa è l'annotazione di Shapiro secondo cui Nabokov possa essere venuto in contatto con il metodo di Panofsky ben prima della pubblicazione dei due libri in volume. Secondo Shapiro non si può escludere che Nabokov abbia potuto conoscere il saggio "Et in Arcadia ego" all'epoca della sua prima pubblicazione nel 1936. Quanto a Early Netherlandish Painting, si tratta di un libro cresciuto nel corso delle Norton Lectures, le conferenze tenute da Panofsky nell'anno accademico 1947-48 a Harvard. In quell'anno, Nabokov era ancora residente a Cambridge, Massachusetts, e non è improbabile che egli abbia assistito alle conferenze di Panofsky ("It is not unlikely that he attended Panofsky's lectures": Shapiro 2003, p. 242).

Le analisi sviluppate da Panofsky in quegli interventi, poi raccolti in volume, sono rilevanti per lo stile di Nabokov in molti modi. La cultura pittorica olandese e fiamminga che vi viene trattata offre un sorprendente analogo dell'attitudine dello scrittore alla creazione di microuniversi autosufficienti, in cui ogni piccolo dettaglio quotidiano e laterale risalta metonimicamente, rovesciando la scala gerarchica di percezione dell'intero e offrendo rinnovate chiavi di significato. Numerosi passi delle conferenze di Panofsky, dedicati a grandi artisti come Jan van Eyck, il Maestro di Flémalle, a cicli di miniature e decorazioni, racchiudono analisi di una tecnica creativa che, trasferita dalla pittura alla scrittura, si ritrova in Nabokov in modo suggestivo e ha come elementi costitutivi: lo sguardo a fuoco su dettagli vicini e lontani (come se si guardasse alternativamente in un microscopio e in un telescopio), l'analogia fra sguardo e calcolo, la creazione di una trama fittamente ordita. I dettagli non solo nascondono un carico di significati e rimandi, ma sono a loro volta nascosti nella scena (il dipinto, le pagine, la storia) e l'occhio (dello spettatore, del lettore, dello storico) per scoprirli deve mettere in atto una strategia di esplorazione, ricostruzione, risoluzione. Tale "strategia metonimica" (De Mambro Santos 2002, p. 193), ricca di elementi interattivi, si può così ritrovare nell'arte fiamminga e olandese, come nel metodo di Warburg, come nella scrittura di Nabokov.

Ma al di là dei riferimenti all'arte fiamminga, se torniamo alle conferenze di Panofsky del 1947-48, leggiamo, proprio in apertura, un esplicito riferimento a Warburg e alle sue formule di pathos ("'pathos formulae', as Aby Warburg used to call them": Panofsky [1953] 1971, p. 21). Se Nabokov ha assistito, come probabile, alle Norton Lectures, il nome di Warburg e la definizione di Pathosformel è risuonata nelle sue orecchie. Il vocabolario di posture, gesti, motivi di drappeggio ed espressioni facciali sviluppate dall'antichità classica, l'immagine che "identifica forma e contenuto in una superiore unità di valenza espressiva al di là delle modificazioni stilistiche", la formula che esprime l'intensità emotiva di un gesto, di una situazione (per esempio l'apparizione della Ninfa) al grado superlativo, è qualcosa che avrebbe riguardato anche lui, di lì a poco, nel momento in cui avrebbe dato inizio alla scrittura di Lolita, sviluppando in modo del tutto originale un tema presente nella narrativa e nel mito.

Fra l'altro, l'interesse per la Ninfa nei primi anni cinquanta, oltre che in letteratura, è testimoniato, nella storia dell'arte di ascendenza warburghiana, da un saggio di Otto Kurz, pubblicato sul "Journal of the Warburg and Courtauld Institutes" del 1953. Lo studioso di origine viennese, emigrato a Londra e importante esponente del Warburg Institute, indaga il tema della ninfa dormiente vicino a una fontana, custode della fonte d'acqua, e che non va disturbata. Kurz aggiunge alle fonti classiche relative al tema una ricorrenza più recente, contenuta nell'immaginazione poetica, nella fattispecie nel romanzo Der Nachsommer (Tarda estate, 1857) dello scrittore austriaco Adalbert Stifter. Si tratta di una ninfa di marmo, la cui presenza accanto alla fonte d'acqua riempie il giardino con quel senso di "reverenza che circondava i santuari pagani delle Ninfe" (Kurz 1953, p. 174). Solo una nota, per ricordare che la prima apparizione di Lolita a Humbert Humbert è nel giardino della casa di Ramsdale: "Un'azzurra onda marina si gonfiò sotto il mio cuore, e su una stuoia immersa in una polla di sole, seminuda, sdraiata [...] ecco la mia innamorata della Costa Azzurra" (Lolita [1955] 2005, p. 54). Il film di Lyne non manca di aggiungere, nella scena, lo spruzzo d'acqua dell'innaffiatoio che gira intorno alla figura di Lolita sdraiata sul prato.

Lolita, allora, è una formula di pathos che si materializza usando i mezzi di una scrittura, che a sua volta usa i mezzi della visione. Botticelli introiettato dal gusto dell'Europa nord-orientale, la pittura fiamminga assimilata tramite la storia dell'arte tedesca e anglosassone, la disciplina del disegno mutuata dalla pratica dell'entomologia sono le attrezzature visive che si innestano sul tema antico dell'attrazione fatale per la fanciulla, dell'inarrestabile passaggio della bellezza, della concrezione pungente della memoria che cerca di diventare forma e linguaggio. Nabokov esprime questa matassa di temi non solo nel pieno della loro visibilità, ma li insegue in ogni particella della storia, in ogni dettaglio, in ogni metamorfosi.

Uno scrittore "dell'invisibile che si nasconde in ogni cambiamento di forma" lo definisce Marco Belpoliti (Belpoliti 1999, p. 243), e anche in questa definizione può risuonare qualcosa della ricerca di Warburg. Entrambi si trovano su un versante di quell'intelligenza multipla che lavora sulla connessione, sull'inferenza, sulla presa d'atto degli enigmi (puzzle, rebus, figure nascoste) che ogni singola opera d'arte propone al pubblico, alla storia e al suo stesso autore. Entrambi lasciano incastonate nelle loro opere, come perle di scienza, tracce affascinanti e criptiche di come funziona la mente creativa.

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<http://www.libraries.psu.edu/nabokov/hist.htm> (portale di studi su Nabokov curato da Jeff Edmunds)


Desidero ringraziare per l'aiuto e i consigli: Marisa Volpi, Ricardo De Mambro, Francesco Nazzi, Eugenia Querci, Emanuele Trevi, Stefano Bartezzaghi e Chiara Lagani.

Settembre 2005


English abstract

The essay deals with the relationship between Lolita, the protagonist of the novel written by Russian-American novelist Vladimir Nabokov, and the Nymph, the incarnation of the female figure in movement according to Warburg. Based on the hypotheses of Roberto Calasso, this contribution focuses on the possible connections between Nabokov and Warburg.

 

keywords | Nabokov; Lolita; ninfa; Warburg.

Per citare questo articolo / To cite this article: A. Sbrilli, Le mani fiorentine di Lolita. Coincidenze warburghiane in Nabokov (e viceversa), “La Rivista di Engramma” n. 43, settembre 2005, pp. 1-20 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2005.43.0004