"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

132 | gennaio 2016

9788898260775

Ritmo e schema

Editoriale di Engramma 132

Monica Centanni, Alessandra Pedersoli

English abstract

Francesco di Giorgio Martini, La Menade sotto la croce, particolare della Lamentazione sulla Morte di Cristo, bronzo fuso, 1476 ca, Venezia, Chiesa dei Carmini.

“Potrebbe essere il compito di una psicologia dei movimenti e dei gesti studiare parallelamente i termini che li denotano e i meccanismi psichici che essi dominano, il significato inerente dei termini e le rappresentazioni, spesso molto diverse, che essi suscitano”. Così, con una provocazione rivolta agli psicologi e agli studiosi di estetica e di rappresentazione a fare esercizio di filologia e insieme di intelligenza, si apre la straordinaria pagina che Émile Benveniste dedica alla nozione di ‘ritmo’ (Benveniste [1951, 1966] 1971, 390).

Il primo richiamo è all'etimologia che collega il termine ῥυθμός al verbo ῥέω: il concetto di ‘ritmo’ è convenzionalmente collegato al moto fluido di ogni corrente che scorre, e in particolare al profilo e al movimento delle onde del mare. Ma subito, scartando dal vincolo di tipo banalmente naturalistico, il linguista ci ricorda che nel lessico greco arcaico e classico il termine ‘ritmo’ non si trova mai in riferimento alle onde del mare: ῥυθμός è invece termine tecnico del vocabolario della filosofia atomistica.

Benveniste richiama un passaggio importante di Leucippo e Democrito citato e parafrasato da Aristotele (Metaph. 935b, 4-17):

Λεύκιππος δὲ καὶ ὁ ἑταῖρος αὐτοῦ Δημόκριτος στοιχεῖα μὲν τὸ πλῆρες καὶ τὸ κενὸν εἶναί φασι, λέγοντες τὸ μὲν ὂν τὸ δὲ μὴ ὄν, τούτων δὲ τὸ μὲν πλῆρες καὶ στερεὸν τὸ ὄν, τὸ δὲ κενὸν τὸ μὴ ὄν (διὸ καὶ οὐθὲν μᾶλλον τὸ ὂν τοῦ μὴ ὄντος εἶναί φασιν, ὅτι οὐδὲ τοῦ κενοῦ τὸ σῶμα) αἴτια δὲ τῶν ὄντων ταῦτα ὡς ὕλην. καὶ καθάπερ οἱ ἓν ποιοῦντες τὴν ὑποκειμένην οὐσίαν τἆλλα τοῖς πάθεσιν αὐτῆς γεννῶσι, τὸ μανὸν καὶ τὸ πυκνὸν ἀρχὰς τιθέμενοι τῶν παθημάτων, τὸν αὐτὸν τρόπον καὶ οὗτοι τὰς διαφορὰς αἰτίας τῶν ἄλλων εἶναί φασιν. ταύτας μέντοι τρεῖς εἶναι λέγουσι, σχῆμά τε καὶ τάξιν καὶ θέσιν. διαφέρειν γάρ φασι τὸ ὂν ῥυσμῷ καὶ διαθιγῇ καὶ τροπῇ μόνον. τούτων δὲ ὁ μὲν ῥυσμὸς σχῆμά ἐστιν ἡ δὲ διαθιγὴ τάξις ἡ δὲ τροπὴ θέσις.

Leucippo e il suo seguace Democrito pongono come elementi il pieno e il vuoto, e chiamano l'uno "essere" e l'altro "non essere", ovvero l'elemento pieno e solido "essere" e il vuoto "non essere" (e perciò affermano che l'essere non è affatto più esistente del non essere, in quanto il corpo non è più esistente del vuoto). E come causa delle cose esistenti pongono questi elementi (pieno e vuoto) come materia. E come coloro che pensano sia una cosa unica la sostanza di sostrato e fanno derivare tutte le diversità dalle modificazioni (πάθη) che la sostanza subisce, ponendo la rarefazione e la densità come principi di quelle modificazioni, allo stesso modo anche loro [Leucippo e Democrito] affermano che quella differenza [di densità] è causa di tutte le altre diversificazioni. E dicono che tre sono queste differenze: schema, ordine e posizione. I corpi infatti differiscono soltanto per ritmo, per contatto e per direzione: di questi il ritmo è la forma, il contatto è l'ordine, la direzione è la posizione.


Pieno e vuoto sono principio di tutte le cose che sono; la varietà tra i corpi si dà soltanto per densità o rarefazione di materia e le possibili diversificazioni possono essere raggruppate in tutto sotto tre nomi: forma (nelle due varianti: ῥυσμός/σχήμα), contatto/ordine (διαθιγὴ/τάξις) direzione/posizione (τροπὴ/θέσις). Il primato della diversificazione per ῥυσμός (variante ionica di ῥυθμός, che conferma la derivazione filosofica del termine) nel pensiero atomistico è comprovato dal fatto che Democrito aveva dedicato un intero trattato alla varietà tra le forme degli atomi richiamando nel titolo propriamente il loro ‘ritmo’: Περὶ τῶν διαφερόντων ῥυσμῶν.

Soffermiamoci, come ci insegna Benveniste, sulla coppia di termini che indica il primo nome della differenza tra i corpi: la coppia ῥυθμός/σχήμα, che Aristotele propone come sinonimica (ὁ μὲν ῥυσμὸς σχῆμά ἐστιν) è tale solo apparentemente e va scomposta e interrogata nella differenza che l'etimologia dei due termini garantisce. Σχήμα è un deverbativo connesso alla radice di ἔχω che al medio ἔχομαι ha il significato di ‘stare in una posizione’: ‘schema’, dunque, in corrispondenza con il latino habitus, definisce la forma statica. Dice bene Benveniste: è “la forma fissa, realizzata, posta in certo qual modo come un oggetto”. Invece per la sua, indubbia anche se come abbiamo visto non ‘naturalistica’, derivazione da ῥέω, ῥυθμός indica:

La forma nell'attimo in cui è assunta da ciò che si muove: mobile, fluida, la forma che non ha consistenza organica. Si addice al pattern di un elemento fluido, a una lettera arbitrariamente modellata, a un peplo che si dispone a piacimento, a una particolare disposizione del carattere o dell'umore. È la forma improvvisata, momentanea, modificabile.

Sarà poi Platone a traslare la nozione di "ritmo" e applicarla a ordinare l'andamento prosodico dei metri della poesia, della musica e della danza e perciò, di conseguenza, alle movenze che nella danza assumono i corpi, imprigionando i ‘ritmi’ in determinate sequenze tenute in armonia. Ma prima l'idea di ritmo come forma delle cose in movimento è – ed è ancora Benveniste a sottolinearlo – del tutto consentanea alla filosofia eraclitea e democritea a cui fanno capo le prime attestazioni del termine. Così Benveniste chiude il suo saggio magistrale:

Si è ben lontani dalle semplicistiche descrizioni suggerite da un'etimologia superficiale, e non è nella contemplazione del gioco delle onde sulla riva del mare che l'elleno primitivo ha scoperto il "ritmo"; siamo noi oggi che metaforizziamo quando parliamo del ritmo delle onde.

Se la coppia ‘schema/ritmo’ è, come abbiamo visto, già data come sinonimica nella parafrasi aristotelica del passo democriteo (in cui un termine è perfetto succedaneo dell'altro), si tratta di due parole, e di due nozioni che, pur logorati da un'usura linguistica millenaria, conservano traccia di una profonda differenza. Leggiamo le definizioni dei due lemmi in due autorevoli dizionari della lingua italiana: 

Schema | "1. complesso delle linee principali di un disegno, un progetto, un fenomeno; 2. trama, abbozzo, progetto; 3. sistema, modello che non ammette variazioni, mutamenti, innovazioni" (Dizionario Zanichelli); "modello convenzionale, semplificato rispetto alla più complessa realtà di un problema, di un fenomeno, di un oggetto, di un meccanismo, di un processo" (Vocabolario Treccani).

Ritmo | "1. successione regolare nel tempo di suoni, accenti, cadenze, movimenti; 2. ordine nella successione dei suoni di un brano musicale; 3. movimento cadenzato risultante dal ripetersi degli accenti metrici ad intervalli determinati nella struttura di una poesia; 4. il succedersi più o meno ordinato di varie fasi all'interno di fenomeni di diversa natura; 5. il succedersi nello spazio di forme, linee architettoniche o di motivi ornamentali" (Dizionario Zanichelli); "il succedersi ordinato nel tempo di forme di movimento, e la frequenza con cui le varie fasi del movimento si succedono; tale successione può essere percepita dall’orecchio (con alternanza di suoni e di pause, di suoni più intensi e meno intensi, ecc.), o dall’occhio (come alternanza di momenti di luce e momenti di ombra, di azioni e pause, di azioni fra loro simili e azioni di diverso tipo, ecc.), oppure concepita nella memoria e nel pensiero" (Vocabolario Treccani).

Lo schema è necessario come ‘trama’ o ‘progetto’ di qualsiasi opera, ma il termine stesso richiama la fissità del "modello che non ammette variazioni, mutamenti, innovazioni". Lo schema è indispensabile purché si ricordi che si tratta sempre di un "modello convenzionale e semplificato" in cui mai potrà essere compresa la complessità dell'impresa.

E se il ritmo suona ancora (platonicamente!) nella nostra lingua come ‘successione regolare’, ‘succedersi ordinato nel tempo’, la parola nasconde ancora in sé l'idea della ‘forma in movimento’: non si dà ritmo – aveva già visto Aristotele (Probl. 882b2) – senza movimento. Senza percezione della frequenza alternata "di luce e di momenti d'ombra, di azioni e di pause", senza l'estetica, tutta fisica, che vede il pieno e il vuoto e l'alternanza sfumata fra densità e rarefazione come fondamento materiale dell'essere, non sarebbe stata concepita l'idea di ritmo. La prima modalità della relazione tra i corpi è la forma/ritmo che poi presterà i suoi nomi alla danza; e, di converso, la prima forma/ritmo è la danza degli atomi. Atomi principi ed elementi costitutivi di tutto quanto esiste, trascinati nel vuoto dello spazio da un vortice vitale e necessario, che si aggirano senza posa in un moto infinito, provando ogni tipo di connessione (omne genus motus et coetus experiundo scriverà Lucrezio, De rerum natura, I, 1026), intrecciando le loro diverse figure e dando origine a infinite forme. 

Prendendo spunto dalla rilettura del significato di ‘ritmo’ e ‘schema’ suggerito da Benveniste e ricollegato dal pensiero materialistico antico, questo numero di Engramma presenta diversi contributi che gravitano intorno al tema della forma ritmica dei corpi in movimento, a dialogo con la forma schematica che richiama il rigore della struttura, la tirannia del modello.

In un passaggio del saggio di Michele Bracco, La poesia, il ritmo, il corpo (capitolo di un volume dedicato al rapporto tra Friedrich Nietzsche e la poesia), nell'ambito di una riconsiderazione profonda e illuminante del pensiero di Nietzsche sul ritmo, leggiamo che “Il ritmo è fondamentalmente qualcosa che lega e costringe”. Lo stesso Nietzsche fa, nel suo pensiero e nella sua stessa biografia, un uso ambivalentemente tragico dell'idea di ritmo.

Un buon uso del ritmo può condurre a individuare sequenze e schemi, come fa lo scultore Gianpiero Schiavi, che nella sua opera Menade ricrea matericamente il moto scomposto della baccante, ma come esito di un accurato studio basato sull’analisi e il confronto delle fonti iconografiche antiche e moderne delle movenze delle fanciulle invasate del corteo dionisiaco.

Il tema dionisiaco ritorna nella nuova traduzione a cura di Giulia Bordignon del testo di Edgar Wind e Frederick Antal, The Maenad under the Cross, dove il ritmo esagitato e ‘fuori posto’ della seguace di Dioniso, nel Quattrocento cede la propria Pathosformel tutta pagana “con il corpo curvato all’indietro e con la testa gettata anch’essa tutta indietro” alla disperazione della Maddalena ai piedi della Croce.

La temperie artistica e culturale del primo Rinascimento è rievocata anche nell’analisi dello schema iconografico del fondale della Calunnia di Apelle di Sandro Botticelli: Sara Agnoletto propone una nuova interpretazione di uno dei riquadri del fondale, a partire dal riconoscimento di un tema che trae ispirazione dall'Inferno dantesco, e riconducendo la scelta dell'artista al tema dell’inganno d’amore.

A Botticelli è dedicato anche il contributo di Clio Nicastro, che ricostruisce la fortuna contemporanea delle figure mitiche in movimento del maestro fiorentino (in primis la Venere della Nascita) raccolte nella mostra berlinese The Botticelli Renaissance a cura di Stephen Weppelman e Marc Evans, che dal prossimo marzo 2016 sarà trasferita a Londra al Victoria and Albert Museum.

Il saggio di Tiziana Plebani è dedicato al rinvenimento del sigillo con cui Aldo Manuzio sigla due dei suoi tre testamenti autografi. L’immagine rappresentata nel sigillo, fino a oggi ignorato nelle trascrizioni del testamento, è il 'corpo' che nello schema della celebre impresa aldina raffigura un delfino avvinghiato a un’ancora.

A chiusura del sommario di questo numero, Roberta Aureli nella recensione del profilo @ArtLexaChung, restituisce il lavoro di due blogger spagnole che hanno individuato in alcuni celebri scatti alla modella Alexa Chung puntuali riferimenti a schemi iconografici della tradizione pittorica moderna e contemporanea. Il lavoro di María e Beatriz Valdovín consiste nel creare collage-meme che nel ritmo incalzante della rete sono divenuti immediatamente virali.

Infine, come sigla della riflessione tra schema e ritmo a cui è intitolato questo numero di "Engramma", adottiamo uno scatto della fotografa Έλλη Σουγιουλτζόγλου-Σεραϊδάρη che cattura un'immagine della bellissima Nikolshka danzante fra le pietre dell'Acropoli (1929) e, in felice contrappunto poetico, un passaggio tratto dai Quattro Quartetti di Thomas S. Eliot.

Έλλη Σουγιουλτζόγλου-Σεραϊδάρη (Nelli), La danzatrice Nikolska sull'Acropoli di Atene (1929)

Neither from nor towards; at the still point, there the dance is,
But neither arrest nor movement. And do not call it fixity,
Where past and future are gathered. Neither movement from nor towards,
Neither ascent nor decline. Except for the point, the still point, 
There would be no dance, and there is only the dance.

Non muove da, non muove verso; al punto fermo, là è la danza.
ma non è arresto, nè movimento. E non la chiamate fissità,
là dove passato e futuro sono riuniti. Non muove da, non muove verso,
non è ascesa non è declino. Tranne che per quel punto, quel punto fermo,
non ci sarebbe danza, e c’è solo la danza.

Thomas S. Eliot, The Four Quartets

Benveniste [1951, 1966] 1971
É. Benveniste, La notion de "rythme" dans son expression linguistique, "Journal de Psychologie normale et pathologique", 3, juill.-sept. 1951, pp. 401-410; ripubblicato in Problèmes de linguistique générale, Paris 1966, pp. 327-335; tr. it. Problemi di linguistica generale, Milano 1971, pp. 390-399. 

English abstract

Engramma issue no. 132 “Ritmo e schema” includes contributions by Monica Centanni, Alessandra Pedersoli, Michele Bracco, Giulia Bordignon, Gianpiero Schiavi, Sara Agnoletto, Clio Nicastro, Tiziana Plebani, Roberta Aureli.

keywords | Poetry; Rhythm; Body; Gianpiero Schiavi; Menade: Apelle Calumny; Botticelli; Metamorphosis; Manuzio; Wind; Antal; @ArtLexaChung.

Per citare questo articolo: M. Centanni e A. Pedersoli, Ritmo e schema, Editoriale di Engramma 132, “La Rivista di Engramma” n. 132, gennaio 2016, pp. 1-7 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2016.132.0005